I principi comunitari del diritto amministrativo ed il loro recepimento da parte del legislatore italiano.

Sgueo Gianluca 15/02/07
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1. Il nuovo articolo 1 della legge n. 241 del 1990 a seguito delle modifiche apportate dal legislatore nel 2005 – 2.1 Le tre categorie di principi: presupposti, espressi ed espressi in generale – 2.2.1 Segue. I principi espressi in generale – 2.2.2 Segue. Il principio di proporzionalità, di responsabilità e di buona fede – 2.2.3 Segue. Il principio di precauzione – 3. Conclusioni
 
1. Il nuovo articolo 1 della legge n. 241 del 1990 a seguito delle modifiche apportate dal legislatore nel 2005
Le modifiche che il legislatore del 2005 ha apportato alla legge sul procedimento amministrativo del 1990 hanno inciso profondamente sulla strutturazione del procedimento stesso. Operando al fine di adeguarne i modelli e le strutture ai principi elaborati medio tempore dalla giurisprudenza nazionale e da quella comunitaria. Realizzando, in tal modo, un migliore adeguamento dell’ordinamento interno alle sopravvenute (e sopravvenienti) linee evolutive comuni.
Volendo evidenziare in particolare l’apertura del legislatore italiano ai principi sorti all’interno della comunità europea, diviene opportuno soffermarsi sul nuovo articolo 1 della legge sul procedimento. La disposizione, infatti, già nella sua originaria formulazione recepiva alcuni principi dell’azione amministrativa. Oggi, a seguito delle modifiche apportate, diviene lo strumento per garantire un adeguamento costante alle evoluzioni giurisprudenziali che il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia intendessero elaborare con riguardo al diritto amministrativo. L’adeguata comprensione di questo adeguamento passa per l’esame delle categorie di principi che la disposizione recepisce ed elabora.
 
2.1 Le tre categorie di principi: presupposti, espressi ed espressi in generale
Soffermando l’attenzione appositamente sui principi, è oggi possibile individuarne tre categorie. Anzitutto, quella dei cd. “principi presupposti”, ovvero quei principi che la norma non cita espressamente ma presuppone. Ciò, in ragione del fatto che gli stessi trovano espressa menzione in altre, ed altrettanto autorevoli, fonti. Si pensi, con riguardo al principio di imparzialità o a quello di buon andamento, al recepimento ad opera della Carta costituzionale.
In secondo luogo, rinveniamo i principi espressi, quelli che cioè trovano esplicita menzione all’interno della disposizione. Si tratta di quattro principi basilari: quello di economicità, anzitutto. In base ad esso l’Amministrazione è tenuta non tanto a contenere la spesa, quanto piuttosto ad operare con economia di tempo, pur con l’obiettivo del miglior risultato. Questo significa che, ad esempio, il procedimento non può essere aggravato da passaggi inutili, come potrebbe avvenire nel caso in cui un determinato parere tecnico fosse acquisito due volte. Né, più semplicemente, l’Amministrazione potrebbe rallentare ingustificatamente il procedimento per circostanze estranee a quelle previste e disciplinate dal legislatore.
Il secondo principio espresso è quello di efficacia. Si tratta, come noto, della necessità che si coniughino nel migliore dei modi il raggiungimento dei risultati concreti con gli obiettivi prestabiliti. Da notare è semmai la circostanza che, tra tutti, è sicuramente il principio meno frequentemente richiamato dalla giurisprudenza, evidentemente in ragione della difficoltosa misurabilità dello stesso e della persistente fumosità con la quale certi indirizzi interpretativi si ostinano a configurarlo.
Il terzo principio è quello della pubblicità, il quale si lega, da un punto di vista cronologico ed ideologico, a quello della trasparenza. Il principio di conoscibilità impone infatti all’Amministrazione di garantire la conoscibilità esterna del proprio operato. Così concepito tuttavia, non garantisce all’interessato alla conoscenza la reale padronanza delle informazioni. Dunque, viene progressivamente esteso fino a divenire trasparenza, ossia dovere dell’Amministrazione di trasmettere il flusso informativo all’utenza, di modo che questa possa comprendere ed elaborare le informazioni[2].
 
2.2.1 Segue. I principi espressi in generale
La terza categoria di principi merita una menzione a sé stante, appunto perché comprende i principi del diritto comunitario. La scelta del legislatore è stata, al proposito, chiara. Si è preferito optare per l’assenza di una menzione espressa dei principi medesimi, favorendo così l’immediata recezione non solo dei principi comunitari già esistenti, ma anche delle interpretazioni innovative che dovessero seguire nel tempo.
Si tratta di una posizione che il legislatore italiano ha avuto modo di ponderare nel corso dei lavori preparatori della legge n. 15 del 2005, sostituendo ad un primo progetto che menzionava espressamente i principi medesimi, con quello attuale. Tenendo inoltre presente la circostanza per cui nello stesso progetto di Costituzione europea (all’art. II-101) si è scelto di fare menzione espressa solo di un numero limitato di principi. Si tratta dei principi di imparzialità ed equità, di ragionevolezza dei termini, di necessarietà del contraddittorio in caso di esito negativo della domanda dell’interessato, dell’accesso e, per finire, dell’obbligatorietà della motivazione.
A rilevare però, sono in particolare quattro principi di matrice giurisprudenziale: quello di proporzionalità, quello di responsabilità, quello di buona fede e quello di precauzione.
 
2.2.2 Segue. I principi di proporzionalità, di responsabilità e di buona fede
I primi tre principi non costituiscono una novità significativa nell’elaborazione giurisprudenziale comunitaria. Com’è infatti noto il principio di proporzionalità impone all’Amministrazione l’obbligo di giustificare l’utilizzo dei mezzi utilizzati al fine di perseguire un determinato risultato. Ciò in particolare nell’ambito della concorrenza, dove l’apposizione di limiti dev’essere estremamente ridotta e circostanziata.
Poi, il principio di responsabilità, in ragione del quale la posizione dell’Amministrazione è equiparata, sotto il profilo della responsabilità, a quella del contraente privato. In altre parole, secondo il modello della responsabilità contrattuale, grava sull’Amministrazione (e non sul ricorrente) l’obbligo di dimostrare che l’inadempimento non è a lei direttamente imputabile.
Infine, il principio di buona fede, cui si è legata la reinterpretazione della posizione dell’Amministrazione nei confronti dei soggetti privati. Secondo l’orientamento tradizionale infatti, essendo l’Amministrazione pubblica preposta alla tutela di un interesse generale, non era possibile vincolarne l’operato alla buona fede ed all’affidamento dei privati. Al contrario, questa avrebbe dovuto poter sempre ritornare sulle proprie decisioni, assumendo l’orientamento a sé più favorevole. Secondo il nuovo orientamento interpretativo sviluppato dalla Corte invece, il principio si estrinseca nel concetto di derivazione privatistica del legittimo affidamento.
Dunque, il cittadino che abbia riposto fiducia nell’adozione di determinati provvedimenti amministrativi, suffragando questa fiducia con elementi di fatto, deve vedersi riconosciuto almeno un corrispettivo a titolo di indennizzo, qualora l’Amministrazione ritenga opportuno negare le premesse e procedere diversamente. A ben vedere, non si impedisce al potere pubblico di tutelare l’interesse generale secondo l’orientamento ritenuto più consono a questo, ma, al tempo medesimo, si tutela anche la posizione del cittadino in buona fede.
 
2.2.3 Segue. Il principio di precauzione
L’ultimo, ma anche più interessante, tra i principi comunitari è quello di precauzione. In merito, si sono alternate nel tempo due diverse prospettive, opposte, ciasuna espressione di interessi di settore specifici.
La prima, che chiameremo “versione verde”, facente capo agli ambientalisti più intransigenti, interpreta la necessaria precauzionalità come dovere delle Amministrazioni di interrompere qualsiasi attività che presenti un pur minimo rischio di pericolosità per l’uomo. Ciò, fino alla completa dimostrazione della totale assenza di pericolosità del prodotto incriminato[3].
La seconda invece, la “versione minimalista”, è quella adottata dalle imprese, le quali ritengono necessaria la piena certezza sulla pericolosità del prodotto per poter adottare il principio di precauzione. Ad esempio all’interno del WTO, la giurisprudenza di riferimento ha sempre chiesto l’evidenza scientifica della pericolosità per poter adottare legittimamente il principio di precauzione.
Tra le due versioni estreme se ne pone una intermedia, che è quella sposata dalla Comunità Europea. L’art. 174, par. 3, del Trattato istitutivo, stabilisce infatti che la precauzionalità debba essere adottata sulla base dei principi scientifici e tecnici disponibili. Dunque, la valutazione precauzionale può essere compiuta alla sola condizione che sussitano le possibilità concrete di eseguire un’adeguata istruttoria.
A livello nazionale il principio di precauzione trova inoltre una menzione espressa nell’articolo 301 del D.lgs n. 152 del 2006 (il codice dell’ambiente). In esso viene specificato espressamente che la prima condizione per applicare questo principio è proprio quella della probabilità del danno, che ribadisce, in sostanza, il principio comunitario dell’adeguata istruttoria. Inoltre, da esso si evince che le misure precauzionali debbono essere proporzionali al rischio, provvisorie, rapide e devono basarsi su una adeguata ponderazione del rapporto tra costi e benefici.
 
3. Conclusioni
Dalla breve analisi appena compiuta emergono alcune considerazioni di rilievo. La prima, e più significativa, è quella per cui il procedimento amministrativo si arricchisce di una serie di principi finora recepiti solamente nelle aule di tribunale, ma non ancora consacrati dalla lettera della legge.
Tra questi, un posto di assoluto rilievo spetta proprio ai principi del diritto comunitario. Si tratta di principi che il legislatore ha scelto, opportunamente, di non codificare, preferendo lasciare uno spazio di manovra adeguato all’ordinamento interno, qualora provenissero nuovi impulsi dall’ambito comunitario.
Le prospettive future sono molteplici. Fondamentale sarà la cooperazione tra i singoli Stati europei ed i rispettivi procedimenti amministrativi, ed il processo di integrazione posto in essere dai giudici comunitari. Circostanza questa che avvalora e conferma l’evoluzione che il diritto amministrativo sta subendo negli ultimi anni: non più e non soltanto diritto domestico ma, al contrario, diritto dei rapporti transnazionali.
 
 


[1] Il presente articolo è il frutto della rielaborazione delle riflessioni svolte dal Prof. Francesco De Leonardis dell’Università degli studi di Macerata, svolte il 27 novembre 2006 presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Viterbo, nel corso della conferenza intitolata “I principi comunitari dell’azione amministrativa”.
[2] A parte gli esempi scontati in materia di accesso ai documenti, che costituiscono il più importante corollario della trasparenza amministrativa, può citarsi anche il settore del diritto ambientale. Rileva, tra questi, la cd. resumè non tecnique, contemplata dall’art. 6.6 della convenzione di Aarhus, che, tra le altre cose, prevede espressamente la necessità che i testi normativi siano chiari.
[3]Notandosi al proposito che la dimostrazione del “rischio zero” è equivalente alla probatio diabolica che, fatti salvi i correttivi apportati, il codice civile impone al proprietario che agisce rivendicando il proprio diritto su un bene. Venendosi cioè a creare una situazione per cui un prodotto potenzialmente pericoloso non potrebbe più essere reimmesso nel commercio, a fronte dell’impossibilità di offrire la dimostrazione della sua totale innocuità.

Sgueo Gianluca

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