Una panoramica generale sul sistema di giustizia costituzionale italiano

Sgueo Gianluca 22/02/07
Scarica PDF Stampa
1. Definizione, concetto e natura di giustizia costituzionale – 2. Brevi cenni storici e comparati con le altre Costituzioni europee – 3. Finalità istituzionali e collocazione della giustizia costituzionale nell’ordinamento italiano – 4. Rapporti con altre giurisdizioni e poteri dello Stato
 
 
1. Definizione, concetto e natura di giustizia costituzionale
Svolgere una ricerca sulla giustizia costituzionale e sulle caratteristiche che la contraddistinguono è un’operazione complessa. Il presente studio si propone pertanto di analizzare la struttura, le origini, la storia, la collocazione istituzionale e la morfologia delle decisioni che fanno capo a quel sistema.
Ciò, lavorando sulla base di un ragionamento comparativista[1]: ponendo cioè a raffronto gli organismi costituzionali europei, e, in ambito nazionale, i poteri istituzionali che più frequentemente vengono a contatto e sono interessati dalla giustizia costituzionale. Può dirsi allora, in via generale, che la tesi sviluppi i propri ragionamenti ed argomenti le proprie conclusioni intorno all’organo Corte costituzionale, per il cui tramite ricava ed esplora il più vasto concetto di giustizia costituzionale.
Ebbene, il primo passaggio consiste nell’inquadramento concettuale del tema. Ciò, per due motivi principali. Anzitutto, perché, avendo chiaro il lettore (e, prima di lui, chi ha compiuto la ricerca) quale sia l’oggetto dello studio, e quale la complessità che presenta, sarà più agevole comprendere le problematiche che ad esso si legano.
Inoltre, perché ragioni di natura sistematica impongono la massima chiarezza in una trattazione che indagherà in ordine a tutti gli aspetti, problematici e non, che afferiscono all’oggetto della trattazione.
Una definizione iniziale di giustizia costituzionale che – operando con un buon margine di approssimazione – consenta di inquadrare l’argomento, potrebbe essere quella che le attribuisce tre prerogative: una collocazione generale, un’identificazione soggettiva ed una funzione[2].
La collocazione generale è quella che fa capo all’ordinamento italiano, nel quale la giustizia costituzionale si trova ad operare. Ragioni di economia del discorso impongono una trattazione che, salvo brevi cenni, si concentri sul contesto nazionale. Si badi tuttavia che le medesime considerazioni, fatte salve le inevitabili differenze, potrebbero ripetersi con riferimento ad altri contesti nazionali, europei ed extra-europei.
La seconda prerogativa è costituita dall’identificazione soggettiva. Ad essa fa capo un organo specifico: la Corte costituzionale. Della composizione, natura e compiti da questa esercitati si avrà modo di dire nel corso delle pagine che seguono.
Infine, l’ultima prerogativa, ed anche la più importante, è costituita dalla funzione. La funzione principale (ma non l’unica) che un sistema di giustizia costituzionale intende realizzare è quella consistente nel potere di sindacare in ordine alla legittimità delle norme statali rispetto alle norme ed ai valori espressi dalla Carta costituzionale.
In altre parole, la funzione suprema è costituita dalla garanzia dell’intangibilità e del rispetto dei principi che il legislatore costituente intese introdurre nel nostro ordinamento attraverso l’emanazione della Costituzione repubblicana, e che, in quanto tali, non possono essere derogati, se non attraverso lunghe e complesse procedure di revisione che interessano la Costituzione stessa.
Va ricordato che quanto si è appena specificato costituisce la definizione più estesa di giustizia costituzionale. In realtà nella dottrina prevalente il concetto in questione viene generalmente ricondotto e limitato all’ultimo dei tre aspetti analizzati, quello della funzione. Ciò non tanto perché si trascurino le altre due prerogative, ma più semplicemente perché le si danno per scontate, in quanto ricomprese dall’esercizio delle prerogative della Corte[3].
Tale nozione sintetica di giustizia costituzionale ha, comunque, un merito: ed è quello di individuare le ragioni che spingono gli ordinamenti moderni ad introdurre forme di tutela e garanzia nei confronti delle Carte costituzionali, cogliendo la natura del concetto in esame. Dall’esperienza storica e comparativistica, infatti, emerge con evidenza un dato. L’assicurazione della rigidità della Costituzione non è adeguatamente tutelata dalla sola distinzione, generalmente contenuta nelle stesse Carte costituzionali, tra leggi ordinarie e leggi costituzionali o di revisione costituzionale. Ciò accade perché, qualora fosse di competenza del solo Parlamento la scelta tra l’uno o l’altro tipo di fonti, il rispetto della Costituzione finirebbe per rimanere soggetto all’arbitrio di questo[4], rischiando pertanto di essere violato.
Un secondo, rilevante, profilo di questa esposizione preliminare prende in considerazione la natura della giustizia costituzionale. L’indagine preliminare non sarebbe infatti completa se non si svolgessero ulteriori, brevi, considerazioni in merito.
Più precisamente, il principio al quale si vuole fare riferimento è quello di legalità. La motivazione è presto spiegata: la natura della giustizia costituzionale discende direttamente da quel principio, che costituisce al tempo stesso l’obiettivo per il quale si istituiscono sistemi di garanzie costituzionali negli Stati, ed un limite nei confronti degli altri organi istituzionali, anzitutto il Parlamento.
Il principio di legalità è un principio non enunciato espressamente dalla Costituzione, ma implicitamente contenuto nell’art. 113 della stessa[5], laddove si stabilisce che contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria ed amministrativa[6].
Del principio di legalità esistono due diverse interpretazioni. Secondo l’interpretazione essenziale del principio, l’attività amministrativa deve trovare una base nella legge, poiché le Pubbliche Amministrazioni possono esercitare solamente i poteri indicati da questa ed esclusivamente nei modi che questa prescrive.
Quello che interessa qui però è il secondo significato che si attribuisce al principio, quello più esteso. Come sostiene infatti autorevole dottrina[7], il principio di legalità esercita la finalità ultima di preservare la “garanzia del circuito democratico”. In altre parole, favorisce i meccanismi che presiedono all’elezione popolare del Parlamento, all’approvazione parlamentare delle leggi (secondo i principi propri di una democrazia rappresentativa come quella italiana) ed all’esecuzione amministrativa delle leggi stesse.
In questo senso il principio di legalità ha una funzione di garanzia e di vincolo nei confronti degli organi legislativi, e viene affidato al controllo del sistema di giustizia costituzionale, così come è stato delineato nelle pagine precedenti.
Il cerchio, giunti a questo punto, si chiude. È stata offerta una definizione di giustizia costituzionale, se ne è chiarito il concetto, in senso estensivo e sintetico. Infine, si è chiarita la natura di questo, collegandola al (ed esplicitandola attraverso) principio di legalità. Avendo chiari questi aspetti, è possibile procedere al terzo passaggio della ricerca. Quello che opera una breve indagine storica e comparativista in ordine al sistema di giustizia costituzionale italiano ed europeo.
 
2. Brevi cenni storici e comparati con le altre Costituzioni europee
La Corte costituzionale nasce ufficialmente con l’emanazione della Carta costituzionale[8]. Da questa viene disciplinata nell’esercizio delle sue funzioni fondamentali, nella sua composizione e negli effetti che le sue decisioni producono sulle leggi.
Con l’istituzione della Corte costituzionale si volle creare un giudice diverso, per formazione e composizione, da tutti gli altri organi giurisdizionali. Inoltre, e soprattutto, perché i giudizi di questo organo divergevano profondamente da quelli degli altri organi giurisdizionali, vertendo sulle stesse norme di legge.
Non mancarono, in effetti, orientamenti interpretativi che dubitarono della natura giurisdizionale della Corte, o del complesso di funzioni che ad essa furono affidate. Alcuni preferirono addirittura individuarvi un potere di tipo politico, considerando l’organo quale con-titolare della funzione di indirizzo, oppure configurandolo come una sorta di legislatore al negativo[9] (destinatario cioè non del potere di emanazione, ma di abrogazione delle leggi).
Ad ogni modo, sebbene la Costituzione contenesse i principi fondamentali inerenti il funzionamento della Corte, demandava però a successive leggi costituzionali la definizione degli ulteriori aspetti che ne disciplinassero compiutamente l’attività. Senza di esse la Corte non poteva funzionare adeguatamente.
Dunque, nel febbraio del 1948 la stessa Assemblea costituente (i cui poteri erano stati prorogati per due mesi) approvò la legge costituzionale n. 1 del 1948, con cui stabiliva chi, e secondo quali modalità, potesse adire la Corte[10].
Cinque anni più tardi, nel 1953, con la legge costituzionale n. 1 e la legge ordinaria n. 87, si completò l’ordinamento della Corte. A causa dei ritardi dovuti al Parlamento, che faticò a trovare l’intesa e la maggioranza necessarie per nominare i cinque giudici di propria spettanza, l’insediamento definitivo della Corte costituzionale avvenne solamente nel 1955. In quello stesso anno la Corte provvedette all’emanazione delle cd. “norme integrative”, ovvero le norme regolamentari per la disciplina dei suoi procedimenti.
La prima udienza pubblica della Corte si tenne il 23 aprile 1956, sotto la Presidenza di Enrico De Nicola, già Capo dello Stato repubblicano e, per pochi mesi, Presidente della Repubblica[11].
A dimostrazione dell’indipendenza del sistema di giustizia costituzionale rispetto alla Corte stessa, sta il fatto che nei circa otto anni che seguirono all’entrata in vigore della Costituzione ed alla instaurazione della Consulta, fossero i giudici ordinari a svolgere, in maniera diffusa, il controllo di costituzionalità[12].
Non solo, nel dibattito inerente la possibilità per i giudici di esercitare il solo controllo formale delle leggi[13], ovvero poter estendere il loro sindacato anche ai vizi sostanziali, derivanti cioè dal contenuto normativo delle leggi, prevalse questa seconda posizione[14].
Nel medesimo tempo, ed in contemporanea, operò un altro giudice speciale: l’Alta Corte per la Regione siciliana, istituita dall’art. 24 dello Statuto della Sicilia[15]. Ad essa, secondo quest’ultima disposizione, spettava giudicare “sulla costituzionalità delle leggi emanate dall’Assemblea regionale”, nonché “delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, rispetto al presente Statuto ed ai fini della efficacia dei medesimi entro la Regione”[16]. Ad ogni modo, i compiti di questa vennero successivamente assorbiti dalla Corte costituzionale, in qualità di giudice unico in grado di sindacare sulla legittimità degli atti[17].
La storia che si è brevemente tratteggiata non è troppo dissimile da quella di altri Stati europei, anch’essi impegnati a predisporre il modo migliore per preservare i principi espressi nelle costituzioni. In realtà, i numerosi esempi forniti dalla storia e dalla letteratura permettono di distinguere tra due macromodelli tradizionali, a seconda che si affidasse la funzione di difesa della Costituzione a istanze neutrali o ad organi politicamente impegnati. Le prime sono chiamate a difendere la costituzione come fosse “diritto costituzionale astratto”[18] dagli abusi che possono commettere gli altri soggetti costituzionali. Le seconde, invece, difendono la Costituzione come situazione costituzionale concreta, dalle minacce esterne che ne mettono in pericolo l’esistenza[19].
Se si escludono le riflessioni teoriche su questi due modelli, il presupposto reale della giustizia costituzionale viene a realizzarsi pienamente solo con l’età delle costituzioni rivoluzionarie, sia americana che francese. La Costituzione assume allora il significato di norma costitutiva e regolativa della vita politica, operante in una propria sfera obiettiva, indipendentemente dai rapporti di forza tra i soggetti costituzionali. La Costituzione, in altre parole, viene concepita per la prima volta come norma giuridica capace di conformare a sé stessa la vita costituzionale[20].
Nel secondo dopoguerra, così come era avvenuto in Italia, anche in Europa la concezione dominante di Costituzione diviene quella di ordinamento giuridico delle funzioni dello Stato e, al tempo medesimo, determinante fondamentale dei valori della vita sociale. La grande novità è dunque costituita dal fatto che non più solamente l’organizzazione politica, ma anche quella sociale viene compresa nei sistemi costituzionali. Conformemente a questi radicali cambiamenti, cambiano anche i sistemi di giustizia costituzionale.
In particolare, nel panorama europeo, oltre alla ininterrotta tradizione di giustizia costituzionale del federalismo svizzero[21], dopo il ristabilimento della Corte costituzionale in Austria nel 1945, anche la Germania federale prevede nella sua Legge fondamentale del 1949 un compiuto sistema di giustizia costituzionale, che si presenta assai più articolato di quanto non fosse quello previsto nella Costituzione di Weimar. A queste, fanno seguito l’istituzione della Corte costituzionale di Cipro, nel 1960, quella della Turchia, nel 1961 e quella della Jugoslavia del 1963.
La Francia si doterà di un Consiglio costituzionale nel 1959, che in realtà nasce con funzioni limitate e solamente dopo gli anni ’70 diviene il protagonista della reviviscenza del proprio ruolo[22].
Infine, negli anni più recenti, si è avuta l’istituzione di un Tribunale costituzionale in Portogallo con l’emanazione della Costituzione del 1976, ed in Spagna nel 1978[23]. Altre forme di giustizia costituzionale, non ancora completamente dispiegate, operano in Belgio, ove, dal 1983, è istituita una Court d’arbitrage, che opera prevalentemente come giudice dei conflitti costituzionali tra le due comunità di lingua francese e fiamminga; ed in Grecia, dove esiste una Corte costituzionale sin dal 1975, che esercita un controllo di costituzionalità sulle leggi, seppur con limiti notevoli rispetto agli altri esempi riportati.
Tra i Paesi dell’Europa orientale, la Polonia e l’Ungheria sono i casi più interessanti. Entrambe, rispettivamente dal 1986 e dal 1984, affrontano le loro prime esperienze di giustizia costituzionale, seppure all’interno di forti influenze politiche del regime socialista[24].
I Paesi scandinavi invece non hanno apposite istituzioni di giustizia costituzionale, ma affidano ai giudici ordinari, ed alle Corti supreme in particolare, il controllo della legittimità costituzionale delle leggi. Ciò avviene in particolare in Svezia (dove questa prerogativa è formalmente riconosciuta sin dal 1974), in Norvegia, Irlanda e Danimarca.
A conti fatti, ed operando necessariamente per approssimazione, può dirsi che in Europa (o, più in generale, nel mondo) i modelli che contraddistinguono i sistemi di giustizia costituzionale sono prevalentemente due. Questi si atteggiano diversamente a seconda che siano prevalentemente orientati alla difesa delle libertà fondamentali dei cittadini, oppure verso l’equilibrato sviluppo nei rapporti tra i poteri e le articolazioni territoriali dello Stato. Di conseguenza, tenderà a variare anche il comportamento concreto degli organi di giustizia costituzionale che, a seconda dei casi, resteranno attestati nella difesa e nella conservazione dei valori fondamentali connessi all’impianto storico dei vari ordinamenti. In altri casi, invece, si orienteranno allo svolgimento di un’attività di mediazione e moderazione dei conflitti prodotti dalle contingenze della vita politica e sociale[25].
 
3. Finalità istituzionali e collocazione della giustizia costituzionale nell’ordinamento italiano
È necessario ora tornare su questo argomento approfondendone due aspetti. Il primo, che si lega strettamente alle finalità della Corte, fa riferimento alla rigidità del sistema costituzionale odierno. Bisogna cioè vedere cosa comporta e quale significato abbia il concetto di rigidità della Costituzione. Il secondo aspetto, che verrà trattato nel capitolo successivo, riguarda invece i rapporti che la Corte (ed il sistema di cui è parte) intesse con le altre giurisdizioni e con i poteri dello Stato.
Il primo problema pone a raffronto il ruolo della Corte ed il sistema delle fonti del diritto, in particolare della Costituzione[26]. In particolare interessano due filoni argomentativi. Il primo è quello inaugurato dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 1146 del 1988, dove si afferma l’esistenza di un nucleo di principi supremi dell’ordinamento, sovraordinati rispetto a qualsiasi altra fonte normativa, anche di rango costituzionale.
Questo nucleo di principi, che viene ad identificarsi in particolare con i diritti umani inviolabili, entra a far parte del sistema della gerarchia delle fonti, appunto grazie all’opera del Giudice costituzionale. Ecco pertanto evidenziata la prima, rilevante funzione del sistema di giustizia costituzionale con riferimento al sistema delle fonti. Il Giudice delle leggi può intervenire su quella gerarchia, modificandola se ritiene necessario, e soprattutto può attribuire a determinati principi che ritiene fondamentali in quanto derivanti dalla stessa Costituzione, il valore di fonti del diritto, gerarchicamente sovraordinate rispetto alla legge.
Un secondo filone interpretativo, legato a quello appena posto in evidenza, riguarda il diritto vivente. Ovvero, l’importanza che la prassi, l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinaria e la consuetudine hanno nel sistema del diritto e nel rapporto con la Costituzione[27]. Ebbene, anche in questo caso il ruolo della Corte costituzionale è della massima importanza. Essa infatti ha isolato dapprima la tesi radicale dell’esistenza e della rilevanza giuridica della categoria, e quella che, al contrario, propendeva per l’esclusione dal sistema delle fonti e dal tessuto giuridico-sociale[28].
Successivamente la Corte ha coniato l’espressione “diritto vivente”[29], atta a racchiudere in sé tutta la complessità di un sistema di regole che, pur conformi alla Costituzione ed ai suoi principi, non fossero esplicitate in norme scritte, bensì promanassero dall’insieme degli orientamenti che in particolare la giurisprudenza assumeva con riguardo a specifiche problematiche giuridiche.
Al tempo stesso, anche l’interpretazione su certi temi ricorrenti che la Corte ha svolto ha costituito un esempio di diritto vivente. Infatti, non solo questa ha recepito ed accolto quegli orientamenti che le sono sembrati più consolidati, ed alla luce di quelli ha risolto numerose delle questioni poste alla sua attenzione, ma ha inoltre provveduto a formulare essa stessa dei convincimenti che hanno successivamente influenzato i giudici ordinari[30].
Questi due fattori che sono stati posti in evidenza portano a svolgere le necessarie conclusioni finali in ordine alla funzionalità del ruolo della Corte e, più in generale, del sistema di giustizia costituzionale. Come alcuni autori hanno giustamente sottolineato[31], e come è emerso dalle riflessioni che si sono svolte fino ad ora, questo ruolo può essere sinteticamente identificato nella garanzia della “ragionevolezza” dell’ordinamento.
Ora, a tale proposito va ricordato che il principio di uguaglianza costituisce uno dei principi fondamentali e più ricorrenti nelle pronunce della Corte. Nella giurisprudenza di quest’ultima infatti, i rapporti tra il principio di uguaglianza e l’idea di ragionevolezza sono venuti alla luce sempre più frequentemente nel corso degli anni, sviluppandosi forse non in modo lineare, ma certamente costante[32].
Tra le prime decisioni a rilevare in tal senso vi è sicuramente la n. 3 del 1957, in cui la Corte costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale relativamente ai criteri legali per cui la categoria dei ragionieri avrebbe potuto mantenere l’iscrizione all’albo degli esercenti la professione di commercialista. In quella occasione la Corte specificò che la corretta interpretazione del principio di uguaglianza deve essere intesa nel senso di dare eguale dignità giuridica a tutti di fronte alla legge, ma a parità di condizioni. Pertanto, la valutazione preliminare della diversità e della parità delle situazioni spetta al legislatore, il quale però non può che adeguarsi al precetto costituzionale della parità di trattamento ove ravvisi l’uguaglianza delle condizioni poste a fondamento della disciplina giuridica. Al contrario, di fronte a situazioni disomogenee, è ammissibile – ed anzi, ragionevole – una regolazione differenziata.
Al di là del caso di specie la Corte è tornata più volte sul tema, formando un indirizzo giurisprudenziale che, come già accennato, consente di individuare le funzioni effettive che le spettano. Queste sono sicuramente legate all’interpretazione del sistema delle fonti, sia scritte, sia anche non scritte (come nei casi riportati dei principi fondamentali e del diritto vivente). Ma, in ultima analisi, la Corte ha il dovere e la prerogativa di ricondurre l’ordinamento entro i canoni della ragionevolezza, indirizzandone gli orientamenti nel rispetto dell’assetto di valori posto dalla Costituzione.
.
4. Rapporti con le altre giurisdizioni e poteri dello Stato
Si è detto già in apertura di discorso che la principale funzione del sistema di giustizia costituzionale è costituita dalla necessità di preservare la Costituzione (ed i principi in questa enunciati) dalle prevaricazioni che provenissero da altri organi dello stato[33], primo tra tutti il Parlamento.
Il punto di partenza più appropriato è sicuramente quello immediatamente successivo alla conclusione del dibattito per l’emanazione della Costituzione, ed al superamento dei già riportati contrasti interpretativi in ordine al ruolo o, addirittura, alla legittimità dell’esistenza della Corte. In particolare l’incompleteza di taluni dei pochi precetti costituzionali riguardanti la Corte e la espressa previsione di ulteriori norme riproposero problemi tecnici in un contesto parlamentare (e, più in generale, culturale) nel quale alcune posizioni ideologiche e politiche continuavano ad osteggiare l’instaurazione di un sistema di giustizia costituzionale propriamente detto. Tali impostazioni ebbero nuova eco in sede parlamentare, ponendosi quale premessa di diversi orientamenti politico-legislativi ed in particolare del ruolo istituzionale che la Corte sarebbe andata a ricoprire[34].
Tra le tesi dottrinarie contrarie alla Corte costituzionale rilevano soprattutto quelle di coloro i quali, all’inizio del secolo o nei decenni intermedi tra le due guerre, teorizzavano forme di garantismo piuttosto rudimentali o addirittura metagiuridiche, che facevano espresso riferimento alla situazione italiana antecedente all’entrata in vigore della Costituzione.
Altri, più in generale, portavano avanti una polemica avversa al novus ordo costituzionale, lamentando in generale le condizioni che caratterizzavano il nuovo sistema rispetto al precedente, e dunque identificando nel ruolo istituzionale della Corte un esempio evidente della decadenza subita dall’ordinamento italiano[35].
Il tema del rapporto tra sistema di giustizia costituzionale e potere legislativo è venuto evolvendosi nel tempo, parallelamente all’acquisizione da parte della Corte costituzionale della consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie funzioni. Quattro in particolare appaiono le vicende giurisprudenziali che meglio evidenziano questa presa di coscienza[36]. La prima è quella che si viene a manifestare alla fine degli anni cinquanta in relazione al controllo della Corte sulla legittimità formale della legge, ossia sul processo di formazione di quest’ultima. Tale vicenda pose in gioco la compatibilità di questo tipo di controllo con l’antico e radicato principio della insindacabilità degli interna corporis del Parlamento[37].
La seconda vicenda si collega all’affermazione delle sentenze cd. “creative”. Queste, nate dal ceppo comune delle sentenze cd. “manipolative”, cioè quelle sentenze che accoglievano parzialmente la questione, incidendo sulla sostanza normativa del testo, senza tuttavia toccarne l’enunciazione formale, si vennero a caratterizzare per il fatto di dichiarare l’illegittimità di una disposizione nella parte in cui prevede una certa norma anziché un’altra più conforme alla Costituzione.
Sebbene nascessero con lo scopo pratico di superare le esitazioni del Parlamento, di fatto queste sentenze finivano per sottrarre a quest’ultimo un potere proprio ed esclusivo. Al tempo stesso, dimostravano la piena intraprendenza della Corte nell’intervenire attivamente nella creazione del diritto vivente.
La terza vicenda attiene le sentenze cd. “monitorie”. Trattasi di quelle sentenze in cui la Corte, nell’accogliere o respingere una questione, esprime un avviso, una raccomandazione, o, più correttamente, un indirizzo nei confronti del legislatore, affinché lo stesso intervenga a porre una nuova disciplina della materia per superare il vuoto normativo prodottosi.
Infine, la quarta vicenda, è quella che fa direttamente capo al già accennato problema della ragionevolezza. La Corte, superata l’interpretazione restrittiva del principio di uguaglianza, cui la ragionevolezza si collega, ha talora esteso il principio di ragionevolezza anche ad altri ambiti. In particolare su alcuni parametri costituzionali come il principio di buon andamento della P.A., o il diritto di difesa. Addirittura, in alcune circostanze, giungendo a valutare l’adeguatezza della norma, e finendo pertanto per esercitare un vero e proprio sindacato sul potere legislativo.
Del rapporto con gli altri organi di giustizia s’è, in parte, già parlato[38]. Ovvio che si tratti di un rapporto inspirato alla collaborazione, poiché, come si avrà modo di vedere nei prossimi capitoli, l’accesso alla Corte costituzionale avviene prevalentemente attraverso il ricorso di un giudice.
 
 


[1] Sul significato della comparazione del diritto e, più in generale, sulla sua utilizzabilità nelle diverse aree giuridiche, si rimanda alla lettura di Pizzorusso A., Sistemi giuridici comparati, Milano, 1998 ; nonché Pizzorusso A., Comparazione giuridica e sistema delle fonti del diritto, Torino, 2000
[2] I tre aspetti vengono efficacemente sintetizzati da Congiu S., Definizione di giustizia costituzionale, in Leggiweb.it, 2006, pag. 1: “Per Giustizia Costituzionale si intende la predisposizione, all’interno di un determinato ordinamento giuridico di un organo che ha il compito di sindacare la legittimità costituzionale delle norme giuridiche prodotte dai vari organi statali”.
Sul merito si sofferma anche Zagrebelsky G., Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, pagg. 11 ss., il quale afferma che: “La giustizia costituzionale è un’acquisizione recente del diritto costituzionale. Eppure l’esigenza i tentativi di difesa della costituzione sono antichi come la riflessione sui problemi dello Stato. La garanzie della costituzione che sono state immaginate esprimono in tutti i contesti la radicata aspirazione a stabilizzare le regole della convivenza politica e difenderle dalla minaccia del caso abnorme imprevisto. Non ritenendosi sufficiente garanzia il pur e semplice lealismo costituzionale delle forze in campo e il loro spontaneo equilibrio, si prevedono strumenti ad hoc”.
Cfr. anche Cheli E., Il giudice delle leggi, Bologna, 1997, pag. 9:”Nella realtà dello Stato contemporaneo qual è la vera funzione del giudice delle leggi? La risposta che normalmente si dà a questa domanda è che un semplice giudice delle leggi serve a togliere efficacia agli atti del potere legislativo che si pongono in contrasto con la Costituzione, cioè a rendere compiutamente obbligatoria ed operante la stessa Costituzione”.
V. Malfatti E., PAnizza S., Romboli R., Giustizia costituzionale, Torino, 2003, pagg. 9 ss., si soffermano soprattutto su due fattori. Quello storico e quello inerente le condizioni che determinano la diffusione del modello di giustizia costituzionale moderno. A quest’ultimo proposito sostengono che: “Il successo delle esperienze di giustizia costituzionale introdotte nel secondo dopoguerra, quelli che secondo una certa classificazione possono considerarsi i sistemi di giustizia costituzionale di seconda generazione, e il prestigio acquisito in particolare da alcuni di questi organi…hanno contribuito alla progressiva diffusione dell’istituto, in molti casi accompagnata da fenomeni di imitazione di soluzioni fatte proprie in altri ordinamenti, magari anche a scapito della coerenza complessiva e della stessa funzionalità del quadro sistematico d’insieme”.
[3] Si prenda, a titolo esemplificativo, Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, 1995, pagg. 691 ss., in cui emerge in tutta la sua evidenza la definizione “ristretta” di giustizia costituzionale. In particolare, è interessante il passaggio in cui l’autore sottolinea che: “…la garanzia fondamentale non si affida alla Corte, né al procedimento aggravato della legislazione costituzionale, né alla proclamazione finale per cui la forma repubblicana non è suscettibile di revisione. Essenziale, piuttosto, è che le forze politiche organizzate nel Paese (o, quanto meno, la parte maggiore di esse) rimangano fedeli ai valori che informano la Costituzione, anziché sovvertirli, sia pure con la forza. Ma la previsione di un’apposita giustizia costituzionale fornisce pur sempre un’effettiva garanzia: indipendentemente dalla quale le stesse previsioni dell’art. 138 Cost. rischierebbero di risolversi in una lettera morta”.
[4] Sottolinea Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, 1995, pag. 692: “In altre parole, l’autocontrollo del Parlamento non può essere sufficiente allo scopo; ma si rende invece necessario l’autocontrollo di un organo o di organi diversi da quelli politicamente rappresentativi. Solo a questo modo, cioè, si rafforza il principio di legalità, imponendolo al legislatore stesso sotto forma di principio di costituzionalità: così da perfezionare lo Stato di diritto, nel quale la legittimità costituzionale viene ad integrare la legittimità amministrativa e giurisdizionale”.
[5] Sebbene questa resti l’opinione prevalente, va detto che non tutti gli autori sono d’accordo nel derivare il principio di legalità dall’articolo 113 della Costituzione. Secondo alcuni, infatti, esso deriverebbe dall’art. 97, il quale, stabilendo che l’organizzazione dei pubblici uffici segue le disposizioni di legge, porrebbe la legge su una posizione di supremazia rispetto all’attività di tali uffici. Secondo altri autori il fondamento è da rinvenirsi nel combinato disposto degli artt. 24 e 113 della Costituzione. Sancendo questi il controllo del giudice sull’attività della P.A., implicitamente imporrebbero a questa (e agli altri organi costituzionali) di non contrastare la legge stessa. Infine, altri autori derivano il principio dall’art. 101, che assoggetta i giudici al rispetto della legge. Dacché sono gli stessi giudici ad eseguire il controllo sugli atti dell’amministrazione, è evidente che quest’ultima deve rispettare il principio di legge. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla lettura di Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pagg. 560 ss.
[6] Aggiunge Cassese S., Istituzioni di diritto amministrativo, in Cassese S. (diretto da) Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, pagg. 8 ss., che il principio in realtà trova un fondamento anche in ambito europeo, per la precisione negli artt. 220 e 230 del Trattato istitutivo. Secondo il primo dei quali spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato ; mentre, in virtù del secondo articolo, la Corte di giustizia esercita un controllo di legittimità sugli atti degli organi della Comunità europea”.
[7] Cfr. Cassese S., Istituzioni di diritto amministrativo, in Cassese S. (diretto da) Corso di diritto amministrativo, Milano, 2004, pagg. 8 ss. ; in merito anche Caringella F., Il diritto amministrativo, Napoli, 2004, pag. 560: “La legalità sostanziale implica che il legislatore debba disciplinare compiutamente i pubblici poteri e in tal modo esso si sovrappone all’istituto della riserva di legge, sia essa assoluta o relativa. Nelle materie non coperte da riserva (peraltro assai rare), il principio di legalità si atteggia in senso formale come necessità della previa norma di legge attributiva del potere”.
[8] Sono numerosi i contributi degli autori che si sono soffermati sulla genesi e sull’evoluzione storia della Corte costituzionale. Per una sintesi che tocchi gli avvenimenti più importanti, senza soffermarsi sui singoli episodi, si suggerisce la lettura del sito della Consulta, consultabile presso l’indirizzo web www.cortecostituzionale.it.
Sul dibattito che precedette e accompagnò l’emanazione della Costituzione, riporta Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, 1995, pagg. 697 ss.., emerse una caratteristica essenziale: “…quella consistente nella natura accentrata dei relativi giudizi, in quanto monopolizzati da un organo nuovo ed apposito. Per un primo verso, infatti, sono rimasti isolati coloro che osteggiavano la stessa introduzione della giustizia in esame, nel timore che il controllo così esercitato dovesse rivelarsi incompatibile con la sovranità degli organi centrali di governo…per un secondo verso, non ha trovato seguito la tesi…del sindacato diffuso, esercitatile da qualunque giudice nell’ambito della sua giurisdizione; ed è stata ben presto scartata anche l’idea…di riservare il sindacato sulla legittimità delle leggi ad un preesistente organismo giurisdizionale, quale la Corte di Cassazione”.
Al riguardo scrive pagine di grande interesse anche Bonini F., Storia della Corte costituzionale, Roma, 1996, pag. 13: “L’apparizione sulla scena della Corte costituzionale è stata…potenzialmente dirompente di equilibri cristallizzati, sotto diversi punti di vista. Ed in effetti il complesso e contraddittorio dibattito avvenuto nei vari stadi del processo di elaborazione del testo costituzionale mostra le frizioni provocate dall’introduzione di un terzo incomodo tra legislativo e giudiziario. Il primo avvertiva che qualcosa gli era tolto, sia dal punto di vista del sistema parlamentare classico che di quello rilanciato dai nuovi protagonisti, i nuovi partiti di massa; il secondo avvertiva che qualcosa non gli era stato dato che, in ipotesi, avrebbe potuto essergli dato, giacché il controllo sulla costituzionalità della legge sarebbe spettato ai giudici comuni, se non si fosse istituito un organo apposito”.
Si veda anche Rodotà C., La Corte costituzionale, Roma, 1986, pag. 18: “La Costituzione entra in vigore il primo gennaio 1948. Ma le leggi che devono fissare le regole sul funzionamento della Corte non vengono subito approvate. La Corte comincerà a lavorare solo otto anni dopo. Si tratta di un enorme ritardo, che si spiega con i molti fatti politici e istituzionali accaduti in quel periodo. Nel 1947, prima ancora della conclusione dei lavori della costituente, si rompe la coalizione di governo Dc-Pci-Psi…sono gli anni in cui i partiti politici di centro vedono la propria alleanza come una cittadella assediata da quelli che essi considerano i nemici della democrazia. La formula di governo centrista, ostile ai comunisti e socialisti, è identificata con l’interesse generale del Paese”.
La presente ricerca, peraltro, trascura volutamente gli sviluppi di un sistema di controllo costituzionale antecedenti all’emanazione della Costituzione repubblicana. Volendo approfondire questo aspetto si rimanda alla lettura di D’orazio G., La genesi della Corte costituzionale, Milano, 1981, pagg. 25 ss. ; dello stesso avviso Malfatti E., Panizza S., Romboli R., Giustizia costituzionale, Torino, 2003, pag. 2: “Per spiegare le origini della giustizia costituzionale è necessario risalire all’età delle costituzioni rivoluzionarie, nordamericana e francese. È nella seconda metà del XVIII secolo, infatti, che iniziano a delinearsi i presupposti affinché di giustizia costituzionale in senso proprio si possa cominciare a parlare, ed in particolare è nel contesto del dibattito che si sviluppa attorno al testo della Carta statunitense del 1787 che affiora per la prima volta l’idea di un controllo sulla conformità delle leggi ai superiori principi contenuti nella Costituzione”.
[9] Si tratta di orientamenti molto interessanti, che furono tuttavia presto abbandonati. Oggi, infatti, prevale in senso assoluto la teoria che postula la natura giurisdizionale della Corte, seppure qualifica la stessa come un particolarissimo tipo di autorità giurisdizionale. La questione viene presa ed analizzata compiutamente da D’orazio G., La genesi della Corte costituzionale, Milano, 1981, in particolare laddove, dopo aver riportato gli orientamenti di tutti i grandi partiti politici, sottolinea che: “gli orientamenti prevalenti manifestavano la persistenza (non disgiunta da un comprensibile spirito corporativo) di vecchi schemi organizzatori, incentrati sulla suprema magistratura ordinaria, o su un astratto meccanicistico sincretismo istituzionale tra vecchie strutture e nuova funzione o, talvolta, rivelavano, più semplicemente, scarsa chiarezza di idee sulla natura dei parametri del giudizio e delle valutazioni commesse all’organo di garanzia: come quando, ad esempio, si attribuiva alla Cassazione a sezioni unite, nella nuova sede di competenza, di assicurare che le leggi osservassero i principi dell’ordine pubblico e che non costituissero un regresso storico”.
[10] Cfr. Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, 1995, pag. 699: “I tratti distintivi della giurisdizione costituzionale non sono stati, però, fissati dalla Costituzione. Il primo comma dell’art. 137 ha infatti affidato ad una apposita legge costituzionale il compito di stabilire le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale; e la materia non è stata regolata che in modo assai sommario dalla stessa l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1”.
[11] La questione dibattuta è interessante. Come riporta il materiale informativo contenuto nel sito web della Consulta, essa riguardava “la costituzionalità di una norma della vecchia legge di pubblica sicurezza del 1931, che richiedeva un’autorizzazione di polizia per distribuire volantini o affiggere manifesti, e puniva la distribuzione o affissione non autorizzate: questione sollevata da ben trenta diversi giudici penali di tutto il paese, i quali dubitavano della conformità della norma all’articolo 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di manifestazione del pensiero. Per sostenere l’incostituzionalità della legge parlarono alcuni fra gli avvocati e i giuristi più illustri, fra cui Costatino Mortati, Vezio Crisafulli e Giuliano Vassalli (tutti, più tardi, in tempi diversi, eletti giudici costituzionali), nonché Piero Calamandrei, già membro dell’Assemblea costituente e grande studioso del processo e della Corte costituzionale. La Corte dovette anzitutto decidere sul punto, molto discusso, se la sua competenza a controllare la costituzionalità delle leggi si estendesse anche alle leggi emanate prima della Costituzione (come appunto la legge di pubblica sicurezza del 1931) o fosse invece limitata (come sosteneva l’ Avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio) alle leggi approvate dopo la Costituzione. È evidente l’importanza del problema, dato che gran parte della legislazione che allora, e ancora per molti anni in sèguito, componeva l’ordinamento del nostro Stato veniva dal fascismo e dall’epoca precedente ed era rimasta in vigore. Escludere il controllo della Corte su di essa avrebbe significato impedire di fatto che la Costituzione diventasse davvero operante in molti settori dell’ordinamento, rinviandone l’attuazione a tempo indefinito. La Corte affermò che tutte le leggi, anteriori o posteriori alla Costituzione, potevano essere controllate e dovevano essere annullate se contrastanti con la Costituzione. I principi di questa, infatti, non si rivolgono solo al legislatore, ma si impongono immediatamente a tutti: cittadini, autorità e giudici. La norma della legge di pubblica sicurezza che era stata impugnata fu così dichiarata incostituzionale”.
[12] Riprendendo un modello concettuale che, in sede di lavori preparatori alla realizzazione della Costituzione repubblicana, alcuni avevano proposto, ma che venne scartato per il timore che disperdesse anziché concentrare le energie per garantire il rispetto dei valori costituzionali.
[13] La tesi favorevole a questa impostazione faceva perno sull’interpretazione restrittiva delle parole “nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti”.
[14] In merito cfr. Paladin L., Diritto costituzionale, Padova, 1995, pag. 700: “Quanto alle norme legislative preesistenti alla Costituzione, ciascun giudice è stato perciò chiamato a valutare se le norme costituzionali ne avessero operato una abrogazione implicita; quanto invece alle leggi sopravvenute dopo il 1 gennaio 1948, anch’esse sono state sindacate in vista di una loro eventuale disapplicazione, allo stesso modo nel quale i giudici ordinari disapplicano i regolamenti illegittimi”.
[15] La maggior parte dei contributi sull’Alta Corte siciliana riguarda il ruolo da questa svolta in contemporanea all’istituzione della Corte costituzionale e nelle more dell’effettiva entrata in vigore di questa. Tuttavia, svolge riflessioni parzialmente differenti D’orazio G., La genesi della Corte costituzionale, Milano, 1981, pag. 25: “è corrente affermazione nella nostra pubblicistica politico-costituzionale che l’esistenza, nella forma di governo fondata sulla vigente Costituzione repubblicana, di una istituzione (quale quella prevista nell’art. 135), investita di attribuzioni riconducibili alla complessa nozione teorica e storica di giustiia costituzionale e, in particolare, la previsione di un controllo, accentrato in un organo ad hoc, della legittimità formale e sostanziale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, non abbiano riscontro nella precedente storia istituzionale italiana, ma costituiscano una delle novità più caratterizzanti del novus ordo e segnino un netto distacco dalle nostre tradizioni giuridico-politiche. Il rilievo, in quanto riferito al diritto positivo, è sostanzialmente esatto ove si trascuri la temporanea e quasi anticipatrice esperienza di un organo provvisorio quale l’Alta Corte per la Sicilia, già prevista dallo Statuto speciale di quella regione (1946), ma lentamente e fortunosamente estinta, nelle funzioni e nella stessa costituzione organica, in nome del principio dell’unità della giurisdizione costituzionale del nuovo ordinamento dello Stato”.
[16] Le spettava inoltre una particolare giurisdizione penale in ordine ai reati compiuti dal Presidente e dagli Assessori regionali nell’esercizio delle loro funzioni, previa accusa deliberata dall’Assemblea.
[17] Cfr. Bonini F., Storia della Corte costituzionale, Roma, 1996, pag. 87: “Il tema, affrontato nel disegno di legge approvato in prima lettura dal Senato, avrebbe dovuto essere risolto da una proposta di legge costituzionale, stralciata dalla proposta Leone, per la cessazione delle funzioni dell’Alta Corte per la Regione Sicilia. Ma essa fu rapidamente bloccata dall’iniziativa dei deputati siciliani…anche se il Parlamento, per rispetto ad evidenti equilibrio geopolitici, si guarderà sempre dall’entrare nel merito, l’effettiva entrata in funzione della Corte costituzionale…porterà tuttavia un colpo definitivo all’Alta Corte, nonostante i diversi tentativi dei parlamentari siciliani di mantenerla in funzione. La sua definitiva abrogazione non si avrà comunque che con la sentenza della Corte costituzionale 22 gennaio 1970, n. 6, che dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 26 e 27 del R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, che approva lo Statuto della Regione siciliana”.
[18] L’espressione è attribuibile a Zagrebelsky G., Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, pagg. 11 ss., il quale specifica che il diritto costituzionale astratto può essere inteso come: “un diritto naturale variamente concepito, composto prevalentemente da norme costituzionali scritte”.
[19] Cfr. Zagrebelsky G., Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, pag. 11: “Sono esempi del primo tipo i tribuni della costituzione francese dell’anno VIII (1799); i censori della costituzione della Pennsylvania del 1776, ispirati ai sindaci di cui parla B Spinoza nel Tractatus politicus. In Italia, tra il sette e ottocento, hanno avanzato proposte di questo genere, spesso sotto i nomi dell’antichità classica (il censore delle leggi, gli efori, i tribuni) Filangieri, Verri e Pagano…come esempi del secondo tipo, si possono ricordare gli efori della costituzione spartana, che la tradizione vorrebbe essere stati istituiti da Licurgo. Sebbene spesso si consideri insieme alle istituzioni indicate al punto precedente, si trattava di una magistratura politica, che esprimeva le cinque tribù di Sparta e esercitava un potere censorio sulla vita pubblica e privata, vegliava sull’educazione dei giovani e teneva sotto controllo gli iloti e gli stranieri. Il suo compito era preservare la costituzione di Sparta ma, con questo pretesto, gli efori giunsero a esercitare poteri tirannici e per questo furono combattuti dai loro antagonisti politici, i re”.
[20] Ed è esattamente da questo momento che non sono più i rapporti costituzionali materiali a fare la costituzione, come avveniva nell’Antico Regime, ma è la Costituzione che crea i rapporti costituzionali materiali. Dalla vita politica vengono isolate una serie di regole fondamentali che si rendono autonome dagli svolgimenti costituzionali concreti e si basano sulla generale convergenza di tutte le forze costituzionali.
[21] Cfr., al riguardo, Auer A., La juridiction constitutionnelle en Suisse, Francfort, 1983
[22] Al riguardo, nota Zagrebelsky G., Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, pag. 33: “La vicenda del Conseil costitutionnel è particolarmente significativa perché si è innestata in una situazione politica dualista (la droite e la gauche), favorita dal sistema elettorale. Ciò ha comportato maggiori difficoltà per l’accettazione di una autonoma funzione di garanzia costituzionale (come dimostrano le violente reazioni provocate da alcuni importanti decisioni del Conseil…). Conclusivamente, la legittimità di una funzione di garanzia costituzionale indipendente è stata accettata anche in Francia, a dimostrazione che la tensione dualistica esistente in quel paese è, per così dire, di secondo grado, rispetto a quella che ha come posta la sovranità o, se si vuole, che la sovranità di cui si tratta è attenuata…in una situazione di conflitto dualista attenuato, la giustizia costituzionale può valere come strumento di razionalizzazione del passaggio da una fase politica all’altra e trovare in ciò la ragione della sua generale accettazione”.
Si confrontino anche le osservazioni svolte da Favoreu L., Il Conseil constitutionnel e l’alternanza, in Quaderni costituzionali, 1982, pagg. 593-603
[23] Gli studiosi concordano nel ritenere questi due modelli di giustizia costituzionale tra più avanzati esistenti. Ciò in ragione del fatto che i legislatori costituzionali hanno potuto fare tesoro dell’esperienza maturata negli altri Paesi europei.
[24] Si veda Roussillon H., Le Probléme du controle de la consitutionnalitè des lois dans les pays socialistes, in Revue de droit publique, 1977, pagg. 55 ss.
[25] Cfr. Cheli E., Il giudice delle leggi, Bologna, 1997, pag. 10: “Questa molteplicità di funzioni trova la sua spiegazione nella complessità dei modelli di giustizia costituzionale in concreto operanti, nel fatto che in uno stesso modello possono sommarsi finalità diverse, nell’eventualità che un modello costruito in funzione di un obiettivo determinato possa evolvere, nel corso del tempo, sotto la spinta di esigenze pratiche ed assumere obiettivi nuovi. Non esistono dunque buone possibilità di descrivere un sistema di giustizia costituzionale secondo categorie astratte, dal momento che ogni sistema tende a configurarsi come una realtà unica, in relazione alla specialità del suo rapporto con la struttura costituzionale – con la forma di Governo e di Stato e, più in generale, con il tessuto politico e sociale – nel cui ambito è chiamato ad operare. Esistono, invece, radici storiche che concorrono a spiegare la nascita dei sistemi di giustizia costituzionale nei vari paesi del mondo e l’influenza reciproca dei diversi modelli”
[26] Si tratta di un campo di indagine che, avverte Lipari N., Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto,Napoli, 2006, pagg. 7 ss., “…può apparire paradossale…il paradosso sembra risiedere nel fatto che, svolgendosi istituzionalmente la funzione della Corte sul piano di un rapporto tra fonti (quella ordinaria e quella costituzionale), queste appaiono essere presupposto di qualsiasi sua decisione, più che oggetto di un’analisi specifica volta ad individuare il punto di incidenza del sindacato di costituzionalità. Nel giudizio incidentale di costituzionalità l’atto avente forza di legge…sembra non offrirsi ad alternative interpretative, riducendosi necessariamente all’enunciato rispetto al quale l’organo giurisdizionale che ha sollevato la questione ha collegato il dubbio di conformità a costituzione”.
[27] L’importanza del tema è evidenziata da Macario F., Dottrina del diritto vivente e sistema delle fonti del diritto civile, in Lipari N., Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, Napoli, 2006, pag. 59: “Snodo giuridico tra i più delicati e, al contempo, complessi nell’esame relativo al ruolo e al valore della giurisprudenza tout court nel sistema delle fonti, nonché intenzione cruciale, da un lato, fra le diverse funzioni, di tipo legislativo e giurisdizionale, dall’altro, fra le diverse forme di attività interpretativa poste in essere dalle corti – quelle comuni ossia di giurisdizione ordinaria o amministrativa e quella costituzionale -, la dottrina del diritto vivente può dirsi davvero un leitmotiv nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale del cinquantennio che sta per compiersi, avendone accompagnato l’intero percorso, si può dire sin dalle origini”.
[28] Quest’ultima tesi venne sostenuta, in particolare, da Santoro Passarelli V., A proposito del diritto vivente, in Ordinamento e diritto civile. Ultimi saggi, Napoli, 1988
[29] L’opportunità della formula è testimoniata da tutta una serie di espressioni analoghe. Si prendano ad esempio l’espressione “Costituzione vivente”, oppure “norma vivente”. Di questi aspetti tratta Macario F., Dottrina del diritto vivente e sistema delle fonti del diritto civile, in Lipari N., Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, Napoli, 2006, pagg. 60 ss.
[30] Un esempio evidente di questa reciproca influenza potrebbe essere considerato quello inerente la risarcibilità degli interessi legittimi. La Giurisprudenza ordinaria infatti ha per anni negato la risarcibilità della lesione di questa posizione giuridica soggettiva e la Corte costituzionale ha finito per recepire quegli orientamenti. Tuttavia, sul finire degli anni ottanta, una serie di fattori hanno spinto la Corte a ritenere superato quell’orientamento ed ha “spingere” affinché vi fosse una rinnovata visione interpretativa da parte della giurisprudenza ordinaria. Il risultato è stato offerto dalla sentenza delle Sezioni Unite dalla Cassazione civile, n. 500 del 1999, con cui si è finalmente attribuita la possibilità di ricevere un equo risarcimento ai titolari di interessi legittimi che siano stati lesi da un comportamento della Pubblica Amministrazione.
[31] In particolare, si sofferma sull’argomento Morrone A., Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, il quale sottolinea che: “L’esigenza di soddisfare un minimo grado di ragionevolezza è imperativo che riguarda l’esercizio di tutte le pubbliche funzioni, salvo che per gli atti rigidamente vincolati dalle norme di conferimento del relativo potere…”
[32] Cfr. Morrone A., Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, pag. 39: “Nella giurisprudenza costituzionale i rapporti tra il principio di eguaglianza e l’idea di ragionevolezza sono venuti alla luce solo in maniera graduale e non sempre secondo uno sviluppo storico lineare, ma, piuttosto, attraverso un percorso fatto di ripetuti e alterni momenti di slancio e di ritorno, in una dialettica tra judicial activism e jiudicial self-restraint nei confronti di differenti letture – di cui non è sempre chiara la matrice propriamente dottrinale oppure giurisprudenziale – dell’eguaglianza giuridica applicata al giudizio sulle leggi. Se questa considerazione suggerisce un approccio al tema di tipo problematico, ciò nondimeno, l’incontro della ragionevolezza con il giudizio intorno all’art. 3 comma 1, cost., può essere collocato, diacronicamente, tra i fatti che fin dall’inizio hanno contraddistinto il modo di essere della giustizia costituzionale”.
[33] Di prevaricazioni, ma non solo, parla Rodotà C., La Corte costituzionale, Roma, 1986, pag. 105: “Nel seguire la storia e i lavori della corte costituzionale, dalle sue prime sentenze a oggi, più volte si è visto il rapporto tra questo organo garante della costituzione e gli altri organi e le altre funzioni statali; il Parlamento e le Regioni (potere legislativo), la magistratura (potere giudiziario), il governo (potere esecutivo) e via via fino a toccare tutte o quasi le istituzioni della nostra Repubblica”.
[34] Ne parla compiutamente D’orazio G., La genesi della Corte costituzionale, Milano, 1981, pag. 157: “Alcune integrazioni essenziali della disciplina costituzionale offrirono l’occasione – nel quadro politico generale risultante dalle elezioni del 1948 ed in relazione al mutamento di interesse o di prospettiva nel frattempo intervenuto nel particolare settore – a decise contrapposizioni di strategie istituzionali e di tesi dottrinali invocate a loro sostegno oppure volte a coordinare le soluzioni proposte con la più generale visione ed interpretazione sistematica che si andava allora delineando in sede scientifica, in relazione alle istituzioni del nuovo ordinamento o ai loro rapporti con la Corte. Si verificarono, infine, inversioni di tendenze che se, da un lato, segnarono un ritardo nel processo di attuazione costituzionale in generale, dall’altro videro le cause di tali fenomeni riflettersi, in particolare, sulla tematica della giustizia costituzionale e sui tempi della costituzione e del concreto funzionamento dell’organo”.
[35] A causa di queste circostanze, sostengono Ruggeri A, Silvestri G., Corte costituzionale e Parlamento. Profili problematici e ricostruttivi, Milano, 2000, pag. 2, che: “Definire, in una formula di sintesi, il tratto o i tratti maggiormente marcati ed espressivi dei rapporti tra la Corte costituzionale ed il Parlamento, quali sembrano risultare dal modello costituzionale e per come sono venuti a maturazione nell’esperienza è, con ogni probabilità, un’impresa disperata. Una folla di elementi e di dati, infatti, preme e reclama di esser messa in prima fila in un siffatto catalogo, non di rado, peraltro…costituita da materiali reciprocamente contraddittori (nel senso di orientati verso criteri qualificatori irriducibili ad unità), sicché, a conti fatti, non si riesce a comprendere quale possa poi essere l’ordine giusto (ammesso che un ordine in senso proprio davvero vi sia o possa tentarsene la sistemazione…).
[36] Tra i numerosi autori che si sono soffermati su questo aspetto si rimanda in particolar,e per la completezza delle informazioni contenute, a Malfatti E., PAnizza S., Romboli R., Giustizia costituzionale, Torino, 2003, pagg. 298 ss. Gli autori specificano in premessa che: “La giustizia costituzionale è oggi ritenuta, quasi unanimemente, come un elemento essenziale delle democrazie contemporanee e come un valore connaturato allo stato costituzionale, in quanto fondato sulla tutela dei diritti fondamentali e sulla sottoposizone della sfera politica ai canoni costituzionali garantiti dalla presenza di un controllo di tipo giurisdizionale….Nel qualificare la natura e le funzioni esercitate dalla Corte costituzionale appare ormai chiaro che queste, per i caratteri che hanno concretamente assunto, non siano inquadrabili né tra le funzioni di tipo legislativo, né tra quelle di tipo propriamente giurisdizionale, ma vengono a collocarsi in una posizione intermedia che caratterizza quella che da più parti è stata definita l’ambiguità del ruolo della Corte o il carattere ibrido delle sue funzioni e che ha portato a definire l’organo di giustizia costituzionale come organo giurisdizionale dotato di forza politica, giudice e legislatore al tempo stesso e le funzioni come controllo sostanzialmente politico condotto in forma giurisdizionale”.
[37] Cfr. Cheli E., Il giudice delle leggi, Bologna, 1997, pag. 56: “La Corte affrontò questa materia nel lontano 1959 (sent. 9/59)…per giungere alla definizione del problema in questi termini l’illegittimità formale della legge può essere sindacata dal giudice costituzionale, quando tale illegittimità discenda dalla violazione di norme costituzionali o di norme dei regolamenti parlamentari a contenuto costituzionalmente vincolato (che siano cioè attuazione diretta di norme sul procedimento definite in Costituzione); detta illegittimità non può essere, invece, sindacata in sede di giudizio di legittimità costituzionale quando il vizio formale discenda dalla violazione di norme dei regolamenti parlamentari a contenuto libero, la cui interpretazione e applicazione deve essere in ogni caso riservata alle Camere, nell’esercizio di una potestà sovrana sottratta ad ogni controllo esterno”.
[38] Tornano sul merito Malfatti E., PAnizza S., Romboli R., Giustizia costituzionale, Torino, 2003, pag. 309: “L’adozione di un sistema diffuso attraverso il riconoscimento ad ogni giudice della possibilità di controllare la costituzionalità delle leggi, avrebbe fatto sì che tutti i giudici sarebbero divenuti per ciò necessariamente interpreti della Costituzione, dovendo sempre giudicare, seppure con effetti limitati al caso da decidere, sulla conformità ad essa della legge da applicare, mentre la scelta di un sistema accentrato di controllo di costituzionalità portava alla individuazione di un organo apposito…”.

Sgueo Gianluca

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento