1) La nullità provvedimentale prima dell’entrata in vigore della l. 15/05.
Prima dell’entrata in vigore della l. 15/2005 di riforma del procedimento amministrativo mancava una disposizione che disciplinasse, nel nostro ordinamento, la nullità del provvedimento amministrativo.
Nel vigore della normativa ante l.15/2005, dunque, ci si interrogava sulla possibilità di applicare al provvedimento amministrativo le disposizioni dettate dal codice civile per disciplinare la nullità del contratto; l’art. 1218 c.c. codifica 3 diverse ipotesi: la nullità testuale, la quale ricorre nel caso in cui il legislatore dispone espressamente la sanzione della nullità in presenza di determinati presupposti (come ad es. in caso di nullità dei patti successori ex art. 458 c.c., o di nullità del patto commissorio ex art. 2744 c.c.); la nullità strutturale, la quale opera in caso di mancanza di uno degli elementi essenziali del contratto; la nullità virtuale, alla stregua della quale il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga altrimenti.
Le differenze tra le diverse categorie di nullità si apprezzano sotto il profilo dei presupposti, mentre, per quanto riguarda gli effetti collegati alla sanzione della nullità, si ravvisa una certa omogeneità tra le diverse categorie: inefficacia originaria dell’atto nullo, natura di accertamento attribuita alla pronuncia di nullità, imprescrittibilità dell’azione, rilevabilità d’ufficio, insanabilità del vizio, legittimazione attiva assoluta.
L’analisi dei presupposti delle diverse categorie di nullità ha indotto taluni a sostenere che il provvedimento amministrativo sarebbe suscettibile di verificarsi nelle forme della nullità testuale e della nullità strutturale, ma non nella forma della nullità virtuale, dal momento che il vizio di violazione di norma imperativa, su cui si fonda la nullità virtuale, coinciderebbe con il vizio i violazione di legge, il quale dà luogo all’annullabilità del provvedimento, come confermato dalla previsione di cui all’art. 21 octies della l. 241/1990.
Aderendo ad un’altra soluzione, invece, potrebbe trovare applicazione anche la regola della nullità virtuale, ma il suo ambito andrebbe delimitato con riferimento alle ipotesi di violazione di norme imperative, mentre opererebbe il diverso regime dell’annullabilità del provvedimento in caso di violazione di norma non imperativa.
Un diverso orientamento ha ritenuto ipotizzare l’inapplicabilità della disciplina della nullità, ammettendo tuttavia l’ipotesi dell’inesistenza nei casi di atti compiuti joci causa, oppure adottati da un soggetto carente del relativo potere. Tale tesi fa leva sull’incompatibilità tra regime di nullità e giudizio amministrativo; infatti, mentre la nullità si caratterizza per l’imprescrittibilità e la natura accertativa della pronuncia, il giudizio amministrativo è connotato dai brevi termini decadenziali e dalla natura costitutiva della pronuncia del G.A..
2) La portata applicativa della nullità provvedimentale ex art. 21 septies e la nullità strutturale.
Con la legge di riforma del procedimento amministrativo, il legislatore ha introdotto l’art.21septies della l. 241/1990, rubricato “nullità del provvedimento”, il quale ha determinato due ordini di problemi: il primo relativo all’ambito applicativo della disposizione, il secondo relativo alla disciplina sostanziale e processuale applicabile ai provvedimenti amministrativi nulli.
Per quanto riguarda l’ambito applicativo della “nullità amministrativa”, è stata disposta l’applicazione del regime della nullità nelle ipotesi di nullità strutturale, nonchè nelle ipotesi di nullità testuale, mentre manca il riferimento alla nullità virtuale per la quale residuano, ad oggi, diverse soluzioni interpretative: alcuni interpretano la scelta del legislatore nel senso di escludere il regime della nullità in caso di nullità virtuali, con conseguente operatività della regola dell’annullabilità per violazione di legge. Altri prospettano una mera svista del legislatore con operatività della nullità virtuale.
Relativamente alla nullità strutturale, l’ipotesi del provvedimento carente degli elementi essenziali ha innescato il problema dell’individuazione di tali elementi: secondo una prima tesi di stampo privatistico dovrebbe farsi riferimento agli elementi essenziali del contratto, nei limiti della compatibilità e quindi con esclusione dell’accordo che è incompatibile con la natura unilaterale del provvedimento amministrativo; conseguentemente gli elementi essenziali del provvedimento andrebbero individuati nell’interesse pubblico (corrispondente alla causa contrattuale), nel bene cui aspira il privato (coincidente con l’oggetto del contratto), nella modalità di esternazione del provvedimento (corrispondente alla forma del contratto).
Diversamente, un’altra tesi sostiene che gli elementi del provvedimento siano diversi e vadano ricavati dalla legge sul procedimento: soggetto pubblico, soggetto privato e pubblico interesse; si discute per quanto riguarda la motivazione del provvedimento, in relazione alla mancanza della quale è stato sostenuto che renderebbe il provvedimento nullo, in quanto contrastante con i principi di trasparenza e buon andamento sanciti dalla Costituzione, nonchè con il principio comunitario di effettività della tutela giurisdizionale, il quale potrebbe risultare frustrato dalla carenza della motivazione, sulla quale fondare il ricorso giurisdizionale. Al contrario si sostiene che, in caso di motivazione carente, non potrebbe operare il vizio di nullità, potendo applicarsi la sanzione dell’annullamento per violazione di legge ex art. 21 octies, con possibilità che la mancanza di motivazione rientri nei vizi non invalidanti, in quanto risolventesi in una violazione meramente formale della legge: il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, pur se non vi fosse stata alcuna violazione di legge, ovvero pur se il provvedimento fosse stato motivato
3) Il difetto assoluto di attribuzione e l’istituto del funzionario di fatto.
Per quanto attiene al difetto assoluto di attribuzione, si è posto il problema di distinguere questa ipotesi dal vizio di incompetenza che dà luogo all’annullabilità ex art. 21 octies, nel qual caso si è prospettata la soluzione che distingue in base al criterio della sussistenza della norma attributiva del potere: se questa manca, si è in presenza del difetto assoluto di attribuzione, sanzionato con la nullità; se la norma sussiste, ma il potere è esercitato in assenza dei relativi presupposti, in tal caso opera l’incompetenza, con il conseguente regime dell’annullabilità.
L’introduzione di questa forma di nullità ha indotto parte della dottrina ad una rimeditazione sulla ammissibilità della figura del funzionario di fatto, in base alla considerazione che le fattispecie precedentemente riconducibili a tale istituto potrebbero oggi ricadere nell’area della nullità, con conseguenti problemi di compatibilità tra i due istituti.
La figura del funzionario di fatto è stata coniata dalla giurisprudenza con riferimento all’ipotesi dell’esercizio di pubbliche funzioni da parte i un soggetto sfornito di regolare investitura: secondo una prima soluzione tal istituto ricorre nel caso di esercizio in fatto del rapporto organico, in presenza dei presupposti di necessità ed urgenza; ricorrendo queste condizioni, gli atti compiuti dal funzionario privo di regolare investiturta saranno validi ed efficaci.
Resterebbero fuori dalla portata dell’istituto i casi di prorogatio, nonché di successiva caducazione dell’atto di nomina. La tesi prevalente, tuttavia, critica la precedente ricostruzione nella misura in cui, richiedendo il presupposto della necessità ed urgenza, esclude le ipotesi della prorogatio e delle successiva caducazione del titolo.
Individuate le ipotesi rientranti nell’istituto de quo, si identificano le conseguenze giuridiche dello stesso; la giurisprudenza distingue i provvedimenti favorevoli da quelli sfavorevoli: i primi sono considerati validi ed efficaci pur se adottati da un soggetto privo di regolare investitura, per ragioni di tutela dell’affidamento del destinatario; diversamente, i secondi, sono tendenzialmente considerati invalidi, ponendosi tuttavia problemi relativamente all’individuazione del regime applicabile che, secondo una tesi sarebbe la annullabilità per incompetenza oppure per violazione di legge, secondo un’altra tesi sarebbe la nullità per la c.d. acompetenza (una sorta di nullità ante litteram, coniata in via pretoria prima della riforma del 2005).
Con l’entrata in vigore della riforma parrebbe porsi un problema di compatibilità tra l’istituto dell’esercizio in fatto di pubbliche funzioni, laddove consente la validità ed efficacia di atti adottati da un soggetto privo di investitura, e sanzione della nullità per difetto assoluto di attribuzione, alla cui stregua, in caso di mancanza del potere pubblicistico di adozione dell’atto, dovrebbe postularsi la nullità e conseguente inefficacia ab origine dell’atto adottato dal funzionario di fatto.
In altre parole, è possibile continuare ad affermare la validità dei provvedimenti favorevoli del funzionario di fatto, pur in presenza dell’art. 21 septies che predica la nullità degli atti adottati in difetto assoluto di attribuzione? In attesa di autorevoli interventi dirimenti, possono in questa sede formularsi alcune ipotesi: in primo luogo potrebbe sostenersi, come affermato da uno dei primi commentatori, che la nuova disciplina ha cancellato l’istituto del funzionario di fatto, sancendo la definitiva inefficacia degli atti adottati da chi non fosse nella titolarità legittima di pubblici poteri; aderire a questa lettura ermeneutica, tuttavia, significa abbassare il livello di tutela del cittadino nei confronti della PA, frustrando le esigenze di affidamento del privato nei confronti del corretto esercizio dei pubblici poteri.
Per tutelare questa esigenza si potrebbe affermare che l’introduzione della nullità per difetto di attribuzione svelerebbe la propria incidenza solamente nei confronti degli atti sfavorevoli adottati dal funzionario di fatto, rigettando le tesi dall’annullabilità ed optando per la soluzione della nullità, già coniata dalla giurisprudenza sotto le spoglie della “acompetenza”; diversamente, per quanto attiene ai provvedimenti favorevoli, proprio al fine di assecondare le citate esigenze di affidamento, potrebbe affermarsi che nessuna incidenza ha la previsione della nullità per difetto di attribuzione nei confronti della validità ed efficacia dei provvedimenti favorevoli adottati dal funzionario di fatto: validi ed efficaci erano prima, validi ed efficaci restano oggi.
4) La disciplina applicabile alla nullità provvedimentale ed i difficilli rapporti con il processo amministrativo.
Andando ad esaminare i problemi di disciplina sostanziale/processuale applicabile, deve premettersi che il legislatore della riforma non ha dettato disposizioni specifiche, salva la previsione della giurisdizione esclusiva del G.A. riguardante le ipotesi di provvedimenti violativi/elusivi del giudicato.
In primo luogo deve identificarsi l’A.G. dotata di giurisdizione nei confronti di provvedimenti nulli: seguendo una prima elaborazione, si sostiene che la nullità, in quanto caratterizzata da inefficacia originaria, rende il provvedimento inidoneo a degradare le posizioni di diritto soggettivo ad interesse legittimo, con la conseguenza che la giurisdizione sui provvedimenti nulli apparterrebbe sempre al G.O. Una diversa lettura, accolta da una delle prime pronunce di merito della giurisprudenza amministrativa (Tar Puglia III sez. n°4581/2005), ha affermato che, esclusa la presenza di una giurisdizione esclusiva, salvo che per gli atti violativi o elusivi del giudicato, la sussistenza della giurisdizione generale di legittimità deve ravvisarsi ogni qual volta il ricorrente fa valere una posizione di interesse legittimo; il tar, dunque, ribadisce la piena operatività del criterio tradizionale di riparto fondato sulla natura della posizione giuridica azionata, escludendo altresì che a fronte di un provvedimento nullo siano riscontrabili esclusivamente posizioni di diritto soggettivo, ben potendo il privato vantare interessi di tipo pretensivo, i quali conservano la propria qualifica di interessi legittimi pur in seguito all’adozione di un provvedimento di diniego nullo. Pare quindi potersi affermare che la giurisprudenza amministrativa accoglie una soluzione che, lungi dal fornire una soluzione generalizzante ed indefinita al problema del riparto di giurisdizione sui provvedimenti nulli, sancisce un principio di neutralità del provvedimento nullo rispetto al criterio di riparto fondato sulla posizione soggettiva: sarà l’A.G. a valutare in concreto la natura della posizione soggettiva del ricorrente ed il conseguente organo dotato di giurisdizione.
La disciplina civilistica sostanziale dispone l’imprescrittibilità, insanabilità, inefficacia originaria del contratto nullo, la sua convertibilità.
La disciplina processuale prevede la legittimazione attiva assoluta, la rilevabilità “ex officio “e la conseguente proponibilità ex novo in appello dell’eccezione di nullità (345 II comma c.p.c.), la natura di accertamento della pronuncia di nullità.
Pare opportuno rammentare che, con riferimento al rilievo di ufficio della nullità, le SS.UU. hanno recentemente mutato indirizzo, ammettendo il rilievo d’ufficio anche in ipotesi di domanda volta a caducare il contratto e non solo in caso di domanda volta ad ottenere l’esecuzione dello stesso.
L’opinione prevalente prospetta l’applicazione del regime civilistico di nullità anche in caso di provvedimenti amministrativi nulli: a ciò potrebbe giungersi attraverso l’applicazione del procedimento di interpretazione analogica, sussistendo sia una lacuna normativa, sia una normativa che denota la medesima ratio della fattispecie non disciplinata; queste considerazioni, tuttavia, devono fare i conti con le peculiarita’ del processo amministrativo, le quali inducono a dubitare della compatibilità delle regole civilistiche di nullità con la giurisdizione del G.A.: ci si riferisce, in primo luogo, alla natura impugnatoria del giudizio amministrativo, destinato a sfociare, in caso di accoglimento, in una pronuncia caducatoria di tipo costitutivo, la quale sarebbe in contrasto con la natura di accertamento della pronuncia di nullità; in secondo luogo, si rileva l’incompatibilità tra i termini decadenziali brevi entro i quali impugnare il provvedimento amministrativo ed il regime di imprescrittibilità dell’azione di nullità.
Il problema relativo alla natura impugnatoria del giudizio amministrativo, destinato ex art 26 comma II l. Tar a sfociare in una decisione avente natura costitutiva, contrastante con la natura accertativa della pronuncia di nullità potrebbe trovare soluzione laddove si ritenesse che il giudizio amministrativo, in seguito alle innovazioni della l.205/2000 della l.15/05, sia divenuto un giudizio sul rapporto nel quale convivono, fianco a fianco, il tradizionale potere caducatorio costitutivo ed il più recente potere accertativo; l’ingresso del potere accertativo sulla scena del processo amministrativo sarebbe dimostrato, seguendo tale lettura, dalla previsione del potere risarcitorio(la pronuncia di condanna non è costitutiva) in capo al G.A., nonchè dalla possibilità di valutare la spettanza del bene nel giudizio sul silenzio e nel rito sull’accesso, oltre che dalla disciplina dei cosiddetti vizi non invalidanti.
Relativamente al conflitto tra brevi termini decadenziali ed imprescrittibilità pare opportuno, in questa sede, rimettere ogni valutazione ad una più attenta analisi.
avv. Fabrizio Aliotta
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