Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza del 20 marzo 2007 n. 1331 ha respinto l’appello avverso la sentenza di primo grado proposto da un’A.t.i. costituenda che aveva partecipato il pubblico incanto indetto dal Comune di Bari per l’affidamento del servizio integrato di gestione degli impianti di pubblica illuminazione della città.
La concorrente aveva dichiarato l’insussistenza di alcuna delle cause di esclusione di cui all’art. 12 D.Lgs.157/1995 ma, a seguito dell’acquisizione d’ufficio dei certificati penali del presidente del consiglio di amministrazione e procuratore della mandante, è stata accertata la condanna, con sentenza patteggiata-pena sospesa-per violazione delle norme sulla repressione dell’evasione fiscale in particolare dell’art. 4 n. 5 e 7 della legge 516/1992.
È stata respinta la progettazione di parte ricorrente secondo la quale non dovrebbe trovare applicazione l’art. 12 del d.lgs. 157/1995 perché non in vigore nè al tempo della commissione del reato da parte del procuratore, né alla data del patteggiamento: se il soggetto in questione avesse saputo dell’incidenza del reato patteggiato sulla moralità professionale dell’appaltatore, non avrebbe patteggiato.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto manifestamente inammissibile il dubbio di illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 24, della richiamata disposizione ed ha ricordato che alle gare si applicano le norme vigenti al momento della loro indizione.
Giova sottolineare che è rimasto isolato il decreto del Presidente del Tar Lombardia 31 luglio 2002, n. 616 che, per evitare una grave violazione dei principi costituzionali, non ha configurato quale causa di esclusione una sentenza di patteggiamento emessa anteriormente all’entrata in vigore della legge 412/2000, che ha sostituito l’art. 75 comma 1 lett. c) del D.P.R. 554/99 includendo le sentenze di condanna emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p. fra le cause di esclusione dalla partecipazione alle procedure d’affidamento di appalti pubblici.
La Corte Costituzionale con la sentenza 25 luglio 2002, n. 394 ha considerato come il rito speciale, regolato dagli artt. 444 e ss. c.p.p., permetta all’imputato di scegliere l’applicazione della pena su richiesta nella consapevolezza dei benefici e degli svantaggi. In base alla considerazione che le successive modificazioni legislative non possano alterare in peius gli effetti della sentenza di patteggiamento essa ha ritenuto che l’art. 10, l. n. 97 del 2001, in materia di procedimenti disciplinari a carico dei dipendenti pubblici, viola i principi costituzionali nella parte in cui prevede che gli artt. 1 e 2 della stessa legge si riferiscano anche alle sentenza di applicazione della pena su richiesta pronunciate anteriormente alla sua entrata in vigore.
È importante la precisazione fatta dal Consiglio di Stato relativa all’estinzione del reato che ha costituito oggetto di sentenza di patteggiamento, che non opera ipso iure, bensì richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 676 c.p.p..
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