ABSTRACT
Il presente contributo esamina le disposizioni introdotte dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, così come modificato dal decreto legislativo 21 settembre 2005, n. 238, in materia di controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidente rilevante e mette in rilievo i contenuti di alcune recenti sentenze della Corte Costituzionale intervenute nei giudizi di legittimità costituzionale di leggi regionali concernenti il “governo del territorio”.
PREMESSA
Le direttive comunitarie c.d. “Seveso II”
[1] e ”Seveso III”
[2] dettano disposizioni finalizzate a prevenire gli incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente; a tal fine, le stesse direttive indicano i criteri da adottare nelle politiche degli Stati dell’Unione Europea in materia di controllo dell’urbanizzazione, destinazione e utilizzazione dei suoli.
Per quanto riguarda la disciplina sulla tutela dell’ambiente, non solo le Regioni ordinarie non hanno acquisito maggiori competenze – invocabili anche dalle Regioni a statuto speciale – ma, al contrario, è stata espressamente riconosciuta allo Stato una competenza legislativa esclusiva, sia pure in termini che non escludono il concorso di normative delle Regioni; queste ultime fondate sulle rispettive competenze, per il conseguimento di finalità di tutela ambientale (cfr. sentenze della Corte Costituzionale n. 407 del 2002, n. 307 e n. 312 del 2003, n. 259 del 2004).
Alcune recenti sentenze della Corte Costituzionale intervenute nei giudizi di legittimità costituzionale, promossi con ricorsi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, relativi a leggi regionali sul “governo del territorio”, mettono in rilievo che la normativa regionale non può contrastare con i principi stabiliti dallo Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e nelle materie di competenza legislativa regionale di tipo concorrente, quali la “tutela della salute”, il “governo del territorio”, la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e la “protezione civile”, quest’ultima intesa in senso preventivo (art. 117, secondo comma, lettere l e m, nonché art. 3 della Costituzione).
Nella fase di attuazione del diritto comunitario, come precisato dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 336 del 27 luglio 2006), la definizione del riparto interno di competenze tra Stato e Regioni in materie di legislazione concorrente e, dunque, la stessa individuazione dei principî fondamentali, non può prescindere dall’analisi dello specifico contenuto e delle stesse finalità ed esigenze perseguite a livello comunitario. In altri termini, gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle modalità di ripartizione delle competenze, possono di fatto richiedere una peculiare articolazione del rapporto tra le norme di principio e le norme di dettaglio.
1) LA TUTELA DELL’AMBIENTE
Il tema della tutela ambientale entra a far parte del testo costituzionale soltanto nel 2001, quando il nuovo art. 117, secondo comma, lettera s), stabilisce che lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente” (legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n.3).
Invero, dall’elaborazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale, anche antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione (cfr. sentenze n. 507 e n. 504 del 2000, n. 382 del 1999 e n. 273 del 1998), è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia trasversale, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando tuttavia allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli della disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale.
L’evoluzione normativa e la giurisprudenza costituzionale, quindi, portano ad escludere che la “tutela dell’ambiente” possa configurarsi in una materia in senso stretto, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia con altri interessi e competenze e rappresenta, invece, un compito nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale.
Ciò non esclude, però, la possibilità che il legislatore regionale, nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’articolo 117 della Costituzione, possa assumere tra i propri scopi la cura di “interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali” (cfr. sentenze n. 135 e n. 62 del 2002; n. 307 e n. 222 del 2003; sentenza n. 407 del 2002).
2) IL CONTROLLO DELL’URBANIZZAZIONE NELLE AREE A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE
La direttiva c.d. “Seveso II”, all’art. 12, stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché nelle rispettive politiche in materia di controllo dell’urbanizzazione, destinazione e utilizzazione dei suoli e/o in altre politiche pertinenti si tenga conto degli obiettivi di prevenire gli incidenti rilevanti e limitarne le conseguenze.
Tali obiettivi debbono essere perseguiti tramite un controllo:
a) dell’insediamento degli stabilimenti nuovi;
b) delle modifiche degli stabilimenti con aggravio del preesistente livello di rischio;
c) dei nuovi insediamenti attorno agli stabilimenti esistenti, quali vie di comunicazione, luoghi frequentati dal pubblico, zone residenziali, qualora l’ubicazione o gli insediamenti possano aggravare il rischio o le conseguenze di un incidente rilevante.
La direttiva c.d. “Seveso III”, all’art. 1, comma 7, lettera a), stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché la loro politica in materia di assetto del territorio e/o le altre politiche pertinenti, nonché le relative procedure di attuazione tengano conto della necessità, a lungo termine, di mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti a rischio da un lato e le zone residenziali, gli edifici e le zone frequentate dal pubblico, le vie di trasporto principali, per quanto possibile, le aree ricreative le aree di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili dal punto di vista naturale, dall’altro.
Dalle norme comunitarie e statali, che disciplinano la materia “controllo dei rischi di incidente rilevante” , emerge pertanto una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti e funzionalmente collegati con quelli inerenti in via primaria alla “tutela dell’ambiente”.
A questo proposito, innanzitutto, occorre ricordare che nei c.d. “considerando” della citata direttiva “Seveso II” si afferma, tra l’altro, che la prevenzione di incidenti rilevanti è necessaria per limitare le loro “conseguenze per l’uomo e per l’ambiente”, al fine di “tutelare la salute umana”, anche attraverso l’adozione di particolari politiche in tema di destinazione ed utilizzazione dei suoli.
Più precisamente, il decreto legislativo n. 334 del 1999, dopo avere premesso, all’art. 1, che il decreto stesso contiene disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose e a “limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente”, all’art. 3, comma 1, lettera f), definisce “incidente rilevante” l’evento che “dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente”. E gli stessi concetti vengono sostanzialmente ribaditi anche negli artt. 7, comma 1, e 8, commi 2 e 10, cosicché si può fondatamente ritenere che il decreto legislativo in esame, oltre che l’ambiente, abbracci anche la materia “tutela della salute”, la quale, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, rientra nella competenza concorrente delle regioni.
Così come rientra pure nella competenza concorrente regionale la cura degli interessi relativi alla materia “governo del territorio”, cui fanno riferimento, in particolare, gli artt. 6, commi 1 e 2, comma 3, 8, comma 3, 12 e 14 dello stesso decreto, i quali prescrivono i vari adempimenti connessi all’edificazione e alla localizzazione degli stabilimenti, nonché diverse forme di “controllo dell’urbanizzazione”.
Anche le competenze relative alla materia “protezione civile” possono essere individuate in alcune norme del citato decreto, come, ad esempio, l’art. 11, l’art. 12, l’art. 13, comma 1 lettera c), comma 2 lettere c) e d), l’art. 20 e l’art. 24, le quali prevedono essenzialmente la disciplina dei vari piani di emergenza “all’interno o all’esterno dello stabilimento”.
In definitiva, quindi, il predetto D.Lgs. n. 334 del 1999 riconosce anche alle Regioni la titolarità di una serie di competenze (pur sempre concorrenti con quelle statali), che riguardano profili indissolubilmente connessi ed intrecciati con la tutela dell’ambiente.
Così definito il quadro degli interessi sottostanti alla vigente disciplina sulle attività a rischio di incidente rilevante, ne deriva che essa ha un’incidenza su una pluralità di interessi, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche – come si è visto – di competenza concorrente delle Regioni, che pertanto legittimano una serie di interventi regionali nell’ambito, ovviamente, dei principi fondamentali stabiliti della legislazione statale (ed europea) in materia.
3) IL GOVERNO DEL TERRITORIO
Con la riforma del Titolo V della Costituzione e con l’individuazione della materia “governo del territorio” come materia concorrente tra Stato e Regioni, si è evidenziata la necessità di riconfigurare il sistema della pianificazione, tenendo conto che con questo termine, di accezione ampia, si deve intendere non solo l’urbanistica, ma anche gli elementi di difesa del suolo, della tutela e della valorizzazione dei beni ambientali e paesistici, del miglioramento della qualità ambientale, delle interconnessioni tra gli strumenti di gestione dei rischi naturali e tecnologici e in tutti i settori (infrastrutture della mobilità, ad esempio) che producono effetti fisici, economici e sociali sul territorio e sull’ambiente.
Il “governo del territorio”, quindi, comprende:
a) l’urbanistica (edilizia ed espropriazione);
b) parte qua dei lavori pubblici e della difesa del suolo;
c) il sistema di coordinamento con le materie pertinenti e correlate (tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale).
L’articolo 72 del decreto legislativo n. 112 del 1998 e l’articolo 18 del decreto legislativo n. 334 del 1999 stabiliscono che le Regioni provvedono a disciplinare la materia concernente il controllo dei rischi di incidente rilevante con specifiche normative ai fini, in particolare, di “garantire la sicurezza del territorio e della popolazione”.
Da ultimo, il decreto legislativo 21 settembre 2005, n. 238[3], che ha apportato modifiche ed integrazioni al decreto legislativo n. 334 del 1999, all’art. 23, impone l’obbligo di adottare linee guida in materia di assetto del territorio, per la formazione degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale e delle relative procedure di attuazione per le zone interessate degli stabilimenti a rischio di cui al decreto legislativo 19 agosto 1999, n. 334.
Dette linee guida, da emanare ad integrazione dei requisiti minimi di sicurezza stabiliti con il decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 maggio 2001[4], devono tenere conto della necessità di prevedere e mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti e le zone residenziali, gli edifici e le zone frequentate dal pubblico, le vie di trasporto principali, le aree ricreative e le aree di particolare interesse naturale o particolarmente sensibili dal punto di vista naturale, nonché tra gli stabilimenti e gli istituti, i luoghi e le aree tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42[5] ed individuano inoltre:
a) gli elementi che devono essere tenuti in considerazione nel quadro conoscitivo relativo allo stato del territorio, delle componenti ambientali e dei beni culturali e paesaggistici, interessati da potenziali senari di incidente rilevante;
b) i criteri per l’eventuale adozione da parte delle Regioni, nell’ambito degli strumenti di governo del territorio, di misure aggiuntive di sicurezza e di tutela delle persone e dell’ambiente, anche tramite interventi sugli immobili e sulle aree potenzialmente interessate da scenari di danno;
c) i criteri per la semplificazione e l’unificazione dei procedimenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, ai fini del controllo dell’urbanizzazione nelle aree a rischio di incidente rilevante.
Lo stesso decreto legislativo, all’art. 20, stabilisce che il piano di emergenza esterno di uno stabilimento a rischio deve essere elaborato anche al fine di mettere in atto tutte le misure necessarie per proteggere l’uomo e l’ambiente dalle conseguenze di un incidente rilevante mediante la cooperazione rafforzata, negli interventi di soccorso, con l’organizzazione di Protezione Civile.
Dette linee guida, quindi, dovranno stabilire i criteri generali per la pianificazione territoriale ed urbanistica relativa agli immobili interessati dal rischio di incidente rilevante per:
a) garantire la sicurezza delle persone presenti negli immobili potenzialmente interessati da effetti di incidenti rilevanti;
b) garantire la tutela e la valorizzazione dell’ambiente e dei beni culturali e paesistici presenti nelle aree adiacenti agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante;
c) garantire le condizioni territoriali, ambientali e di sicurezza dei contesti produttivi, al fine di mantenere e potenziare i livelli occupazionali e incentivare il miglioramento della qualità ecologica delle imprese.
Il decreto del Ministro dei Lavori Pubblici del 9 maggio 2001 stabilisce i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti soggetti agli obblighi del decreto legislativo n. 334/99, al fine di fornire orientamenti comuni ai soggetti competenti in materia di pianificazione urbanistica e territoriale e di salvaguardia dell’ambiente, per semplificare e riordinare i procedimenti, oltre che per raccordare le leggi e i regolamenti in materia ambientale con le norme del “governo del territorio”.
Ai sensi dell’art. 2 del decreto in argomento, le Regioni assicurano il coordinamento tra i criteri e le modalità stabiliti per l’acquisizione e la valutazione delle informazioni di cui agli articoli 6,7 e 8 del decreto legislativo 334 e quelli relativi alla pianificazione territoriale e urbanistica e assicurano, altresì, il coordinamento delle nome in materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal medesimo decreto legislativo n. 334/99, prevedendo anche opportune forme di concertazione tra gli enti territoriali competenti, nonché con gli altri soggetti interessati.
Ai sensi dello stesso articolo 2, il “piano territoriale di coordinamento” di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nell’ambito della determinazione degli assetti generali de territorio, deve disciplinare, tra l’altro, la relazione degli stabilimenti con gli elementi territoriali e ambientali vulnerabili, con le reti e i nodi infrastrutturali, di trasporto, tecnologici ed energetici, esistenti e previsti, tenendo conto delle aree di criticità relativamente alle diverse ipotesi di rischio naturale individuate nel “piano di protezione civile”.
Il decreto del 9 maggio 2001, inoltre, prevede che:
- per quanto riguarda la “pianificazione territoriale”, le province e le città metropolitane, ove costituite, nell’ambito dei propri strumenti di pianificazione territoriale con il concorso dei comuni interessati, individuano le aree sulle quali ricadono gli effetti prodotti dagli stabilimenti soggetti alla disciplina di cui al decreto legislativo 334, acquisendo, ove disponibili, le informazioni relative alla pianificazione urbanistica;
- per la “pianificazione urbanistica”, gli strumenti urbanistici debbono individuare e disciplinare, anche in relazione ai contenuti del suddetto Piano territoriale di coordinamento, le aree da sottoporre a specifica regolamentazione, tenendo conto anche di tutte le problematiche territoriali e infrastrutturali relative nell’area vasta. A tal fine, gli strumenti urbanistici comprendono un Elaborato Tecnico “Rischio di incidenti rilevanti (RIR)” relativo al controllo dell’urbanizzazione;
- ai fini del “controllo dell’urbanizzazione”, le autorità competenti in materia di pianificazione territoriale e urbanistica, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e finalità, debbano utilizzare: a) per gli stabilimenti soggetti all’articolo 8 del decreto legislativo 334, le valutazioni effettuate dall’Autorità competente di cui all’articolo 21 del medesimo decreto legislativo; b) per gli stabilimenti soggetti agli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 334, le informazioni fornite dal gestore.
Ferme restando le attribuzioni di legge, gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica recepiscono gli elementi pertinenti del “piano di emergenza esterno” di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 334.
Il decreto in argomento ha dimostrato di potere essere attuato nelle Regioni ove esiste una legislazione sul governo del territorio di recente formazione; in altre Regioni, il “controllo dell’urbanizzazione” è stato incardinato nell’ambito delle procedure di pianificazione ordinaria anche indipendentemente dall’ambito oggettivo delle direttive Seveso. In ogni caso, occorrerà migliorare: 1) il metodo di verifica della compatibilità territoriale, tenendo conto della classificazione delle destinazioni d’uso della disciplina urbanistica; 2) il metodo di verifica della compatibilità ambientale, tenendo conto delle declaratorie di tutela definite dagli strumenti di pianificazione e dai vincoli esistenti, nonché dalla pericolosità degli stabilimenti.
4) LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE SU LEGGI REGIONALI IN MATERIA DI “GOVERNO DEL TERRITORIO”
Le Regioni, nell’ambito del “governo del territorio”, possono assumere finalità di tutela ambientale, non essendo dubbio che tra i valori che gli strumenti urbanistici devono perseguire, abbiano rilevanza non secondaria quelli artistici, storici, documentari e comunque attinenti alla cultura, “nella polivalenza di sensi del termine” (sentenza n. 232 del 2005).
In altra recente sentenza (n. 182 del 2006), la Corte Costituzionale ha precisato che lo Stato deve far valere la propria potestà legislativa primaria in materia di ambiente e beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e la propria potestà di stabilire principi fondamentali in materia di governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali (art. 117, terzo comma, della Costituzione), ai quali le Regioni devono sottostare nell’esercizio delle proprie competenze, cooperando eventualmente ad una maggior tutela del paesaggio, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato.
Nella sentenza n. 182 del 5 maggio 2006[6]viene affermato chela tutela dell’ambiente e dei beni culturali è riservata allo Stato (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) mentre la valorizzazione dei secondi è di competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.): da un lato, spetta allo Stato il potere di fissare principi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, e, dall’altro, le leggi regionali, emanate nell’esercizio di potestà concorrenti, possono assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale, purché siano rispettate le regole uniformi fissate dallo Stato.
Appare, in sostanza, legittimo, di volta in volta, l’intervento normativo (statale o regionale) di maggior protezione dell’interesse ambientale (sentenze n. 62, n. 232 e n. 336 del 2005).
In relazione alla pianificazione paesaggistica, lo Stato, nella parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, pone una disciplina dettagliata, cui le Regioni devono conformarsi, provvedendo o attraverso tipici piani paesaggistici, o attraverso piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici (art. 135, comma 1).
La legge della Regione Toscana n. 1 del 2005 sul governo del territorio tende al superamento della separatezza tra pianificazione territoriale ed urbanistica, da un lato, e tutela paesaggistica dall’altro, facendo rientrare la tutela del paesaggio nell’ambito del sistema della pianificazione del territorio e rendendo pertanto partecipi anche i livelli territoriali inferiori di governo (province e comuni) nella disciplina di tutela del paesaggio.
Il principio di fondo di questo sistema – che è condivisibile nella misura in cui gli enti locali sono chiamati a contribuire alla pianificazione regionale (art. 144, comma 1, del Codice); ed in cui gli strumenti di pianificazione territoriale dei livelli sub-regionali di governo perseguano, attraverso la propria disciplina, obiettivi di tutela e valorizzazione del paesaggio (art. 145, comma 4) – presenta però il suo elemento critico, laddove, trasferendo le decisioni operative concernenti il paesaggio alla dimensione pianificatoria comunale, si pone in contraddizione con il sistema di organizzazione delle competenze delineato dalla legge statale a tutela del paesaggio, che costituisce un livello uniforme di tutela, non derogabile dalla Regione, nell’ambito di una materia a legislazione esclusiva statale ex art. 117 Cost., ma anche della legislazione di principio nelle materie concorrenti del governo del territorio e della valorizzazione dei beni culturali.
La giurisprudenza costituzionale ha ammesso che le funzioni amministrative, inizialmente conferite alla Regione, possano essere attribuite agli enti locali (sentenze n. 259 del 2004 e n. 214 del 2005) in materia ambientale, ma è l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali.
Nella sentenza n. 62 del 29 gennaio 2005[7] viene affermato che la competenza statale in tema di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, non esclude la concomitante possibilità per le Regioni di intervenire, anche perseguendo finalità di tutela ambientale (cfr. sentenze n. 407 del 2002, n. 307 del 2003 e n. 259 del 2004), nell’esercizio delle loro competenze in tema di “tutela della salute” e di “governo del territorio”, ovviamente nel rispetto dei livelli minimi di tutela apprestati dallo Stato e dell’esigenza di non impedire od ostacolare gli interventi statali necessari per la soddisfazione di interessi unitari, eccedenti l’ambito delle singole Regioni.
Ciò non comporta che lo Stato debba necessariamente limitarsi a stabilire solo norme di principio, lasciando sempre spazio ad una ulteriore normativa regionale; del pari, l’attribuzione delle funzioni amministrative il cui esercizio sia necessario per realizzare interventi di rilievo nazionale può essere disposta, in questo ambito, dalla legge statale, nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, e in base ai criteri generali dettati dall’art. 118, primo comma, della Costituzione, vale a dire ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Nella stessa sentenza, viene affermato che, quando gli interventi individuati come necessari dallo Stato, in vista di interessi unitari di “tutela ambientale”, concernono l’uso del territorio, e in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio, da un lato, con la competenza regionale concorrente in materia di “governo del territorio”, oltre che con altre competenze regionali, dall’altro lato con gli interessi delle popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza n. 303 del 2003); il livello e gli strumenti di tale collaborazione possono naturalmente essere diversi in relazione al tipo di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie che devono essere soddisfatte.
Nei suddetti casi, per garantire i principi costituzionali di sussidiarietà, di ragionevolezza e di leale collaborazione, è necessario che siano previste idonee forme di partecipazione della Regione interessata, fermo restando che in caso di dissenso irrimediabile possono essere previsti meccanismi di deliberazione definitiva da parte di organi statali, previa adozione di adeguate garanzie procedimentali anche ai sensi della legge n. 241 del 1990 e s.m.i..
Come precisato in un’altra sentenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 336 del 27 luglio 2005), la salvaguardia di tali garanzie, dopo le modifiche apportate all’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990dall’art. 11 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), passa – nel caso in cui il dissenso verta tra una amministrazione statale ed una amministrazione regionale – attraverso il coinvolgimento diretto della Conferenza Stato-Regioni.
Nella sentenza n. 232 dell’8 giugno 2005[8] viene affermato che la “tutela dei beni culturali”, inclusa nel secondo comma dell’art. 117 Cost. sotto la lettera
s) tra quelle di competenze legislativa esclusiva dello Stato, è materia che condivide alcune peculiarità con altre materie. Essa costituisce anche una materia-attività (cfr. sentenza n. 26 del 2004), condividendo alcune caratteristiche con la tutela dell’ambiente, non a caso ricompressa sotto la stessa lettera s) del secondo comma dell’art.117 della Costituzione.
Ai fini del discrimine delle competenze, ma anche del loro intreccio nella disciplina dei beni culturali, elementi di valutazione si traggono dalle norme del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e paesaggistici). Tale testo ribadisce l’esigenza dell’esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali art. 4, comma1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano le Regioni, le città metropolitane,le province e i Comuni, e non solo lo Stato, deputate ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art.1, comma 3).
La materia del governo del territorio, comprensiva dell’urbanistica e dell’edilizia (cfr. sentenza n. 362 del 2003 e n. 196 del 2004) rientra tra quelle di competenza legislativa concorrente. Spetta perciò alle Regioni, nell’ambito dei principi fondamentali determinati dallo Stato, stabilire la disciplina degli strumenti urbanistici.
In ogni caso, tali strumenti urbanistici e le suddette linee guida in materia di assetto del territorio, previste dal decreto legislativo n. 238 del 2005, debbono tenere conto della necessità di prevedere e mantenere opportune distanze tra gli stabilimenti industriali e i luoghi e le aree tutelati ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004.
5)CONCLUSIONI
Il decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 maggio 2001 stabilisce i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le aree interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante ed opera il raccordo delle leggi e dei regolamenti in materia ambientale con le norme del governo del territorio.
In attesa dell’emanazione delle sopracitate linee guida di cui all’articolo 23 del decreto legislativo n. 238 del 2005, si rende pertanto opportuna e urgente l’effettiva applicazione del decreto del 9 maggio 2001 e, a tal fine, appare necessario che:
a) i Comuni interessati elaborino il documento tecnico “Rischio di incidente rilevante (RIR)” relativo al controllo dell’urbanizzazione;
b) le Regioni assicurino il coordinamento delle nome in materia di pianificazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal decreto legislativo n. 334 del 1999, prevedendo anche opportune forme di concertazione tra gli enti territoriali competenti, nonché con gli altri soggetti interessati.
Tra questi soggetti, è di manifesta importanza la partecipazione della popolazione interessata, che ha diritto di essere consultata e di esprimere il proprio parere, nell’ambito del procedimento di formazione dello strumento urbanistico o del procedimento di valutazione di impatto ambientale. E ciò, sia nei casi di costruzione di nuovi stabilimenti, o di realizzazione di modifiche di stabilimenti esistenti con conseguente aggravio del rischio, sia nel caso di creazione di nuovi insediamenti e infrastrutture attorno agli stabilimenti già esistenti.
[1] La direttiva 96/82/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 9 dicembre 1996 è stata recepita con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 recante “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”.
[2] La direttiva 2003/105/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003 (in GUCE del 31 dicembre 2003) è stata recepita con il decreto legislativo 21 settembre 2005, n. 238 recante “Attuazione della direttiva 2003/105/CE, che modifica della direttiva 96/82/CE sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose”.
[3] Sul tema, sia consentito rinviare a S. Aprile, Il sistema dei controlli e delle sanzioni nelle attività a rischio di incidente rilevante, in Antincendio, n. 10, ottobre 2006, ed alla bibliografia ivi indicata.
[4] Decreto del Ministro dei lavori pubblici del 9 maggio 2001 (pubblicato in S.O. n. 151 alla G.U. n. 138 del 16 giugno 2001) recante “Requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione urbanistica e territoriale per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante”.
[5] Decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42 (pubblicato in S.O. n. 28 alla G.U. n. 45 del 24 febbraio 2004) recante “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
[6] La sentenza riguarda il giudizio di legittimità costituzionale in relazione alla legeg della Regione Toscana del 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il Governo del Territorio), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[7] Sentenza nei giudizi di legittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna n. 8 del 3 luglio 2003, legge della Regione Basilicata n. 31 del 21 novembre 2003 e legge della Regione Calabria n. 26 del 5 dicembre 2003 promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[8] Sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale della Legge Regione Veneto 23 aprile 2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio) promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri.
[9] Dirigente Ministero dell’Interno – Dipartimento Vigili del Fuoco – Area Rischi Industriali
Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
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