Il Tribunale di Milano ha dovuto affrontare di recente uno spinoso quanto delicato caso, relativo alla fattispecie del delitto di lesioni personali gravi commesso da un imputato sieropositivo affetto da virus H.I.V., in danno della propria compagna.
In particolare, l’attenzione del giudicante milanese si è soffermata sulla necessità di un preciso inquadramento del nesso di causalità tra condotta ed evento, andandolo ad individuare sulla base di circostanze fattuali proprie del caso in trattazione, nonché alla luce degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali più recenti, seppur in certi casi di segno opposto tra loro.
Di notevole rilevanza poi secondo il Tribunale, si è rivelato il positivo accertamento dell’elemento psicologico del reato, essendosi accertata in esito al dibattimento non solo la piena consapevolezza da parte dell’imputato in ordine alla propria conclamata patologia, ma anche la circostanza che questi l’aveva taciuta alla compagna, con la quale aveva intrattenuto frequenti rapporti sessuali.
Valendo quanto appena riferito per poter radicalmente escludere una possibile angolazione della vicenda in termini di pura colpa, le motivazioni sul punto della sentenza si sono soffermate sulla differenziazione qualitativa e quantitativa tra i concetti di dolo eventuale e colpa cosciente, propendendo in ultima per la prima tesi essendosi potuta dimostrare, nel caso di specie, la concreta previsione o prevedibilità dell’evento in capo al soggetto attivo del reato.
Secondo il Tribunale di Milano infatti, il contagio da H.I.V. da parte di soggetto a conoscenza del proprio stato di sieropositività, deve essere qualificato quale lesione personale dolosa, sussistendo il dolo eventuale ogni volta in cui le circostanze concrete del caso facciano ritenere il rischio del contagio da parte del partner come evento di verificazione pressoché certa.
La ricerca dell’elemento psicologico del reato si è dunque mossa in direzione della teoria dell’accettazione del rischio, non potendosi rilevare dubbio alcuno, secondo il giudice di primo grado, sul fatto che sotto il profilo psicologico ci si trovi in presenza di dolo eventuale.
Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza del dolo eventuale anche e soprattutto in considerazione di precise circostanze fattuali: quali il fatto che l’agente non aveva comunque adottato strumenti idonei diretti a ridurre il rischio del contagio, il numero elevato dei rapporti sessuali non protetti e la loro ripetizione nel tempo.
L’imputato in buona sostanza, nonostante fosse a conoscenza del proprio stato di contagio ha comunque voluto accettare il rischio che, mediante la propria condotta reiterata, avrebbe potuto determinare con estrema certezza l’evento finale, atteso che la fiducia o meglio, come ha indicato il Tribunale, la speranza del soggetto sieropositivo nella non verificazione del contagio, doveva ritenersi priva di fondamento razionale.
L’accertata mancanza di un qualsiasi comportamento da parte del soggetto attivo teso ad evitare o, quantomeno, ridurre il rischio di un possibile contagio, ha poi indotto il giudicante nel ritenere ulteriormente confermata l’esistenza di una piena accettazione da parte del soggetto affetto da HIV, dell’evento contagio.
Secondo le conclusioni fornite dal Tribunale di Milano pertanto, l’atteggiamento psicologico tenuto dall’imputato, in quanto consapevole del proprio stato patologico, non poteva di certo essere strutturato nei limiti di una semplice imprudenza, avendo lo stesso comunque perseguito nell’intento di avere rapporti sessuali non protetti, anche a costo di realizzare il risultato delittuoso ed essere di conseguenza ritenuto responsabile, come è avvenuto, per i gravi fatti allo stesso ascritti.
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“(Omissis) – Le argomentazioni…svolte risolvono in termini positivi il tema del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato d il contagio subito dalla parte offesa, nonché quello della consapevolezza dello stesso in ordine alla condotta contestata.
Sul nesso di causalità si è detto, e ripetuto più volte, come non emergano ipotesi alternative che possano escludere la riferibilità alla condotta dell’imputato, della patologia contratta dalla parte lesa. In merito alla consapevolezza da parte dell’imputato ed in generale al profilo soggettivo inerente alla condotta, il Tribunale ritiene che il tema debba essere risolto nel senso prospettato nella imputazione.
Non vi è dubbio che, su un piano strettamente teorico la condotta possa essere astrattamente inquadrata in termini di colpa cosciente o di dolo eventuale.
Come da gran tempo osservato da dottrina e giurisprudenza, il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell’evento. Questa previsione, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente nella volizione dell’azione ne accetta il rischio. Nella colpa cosciente, invece, la verificabilità dell’evento rimane una ipotesi astratta, che, nella coscienza dell’autore,non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non è in alcun modo valutata.
E’ quindi il criterio dell’accettazione del rischio che va applicato: risponde a titolo di dolo l’agente che pur non volendo l’evento accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo; risponde, invece, a titolo di colpa aggravata l’agente che, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce ragionevolmente nella speranza che esso non si verifichi.
In materia di contagio da virus HIV, i precedenti giurisprudenziali appaiono, per la verità, tutt’altro che pacifici. E’ infatti accaduto che in identica fattispecie (ci si riferisce in particolare ad un caso trattato in prime cure dal Tribunale di Cremona, in sede di rito abbreviato, che aveva ritenuto la sussistenza del dolo eventuale nell’ipotesi di un coniuge sieropositivo che aveva contagiato, per via sessuale la propria moglie,con virus HIV, con esiti poi letali per la donna; mentre la Corte d’Assise d’Appello di Brescia e la S.C. di Cassazione, a conferma dell’indirizzo assunto in sede di impugnazione, avevano ritenuto la sussistenza dell’omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento), gli orientamenti assunti sono stati contrastanti.
A tale dibattito ha fornito un qualificato contributo anche la dottrina, che ha affermato che la distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente va individuata valorizzando le caratteristiche esterne e sociali del comportamento del soggetto, anche se non dovrà mai prescindersi dal riferimento alla previsione e alla volontà dello stesso, di modo che devono assumersi come base tutte quelle circostanze note al singolo soggetto al tempo della condotta.
La natura dolosa di un determinato pericolo andrà, pertanto, individuata nella circostanza che non sia individuabile una figura tipo in grado di prendere seriamente in considerazione l’assunzione di un simile rischio.
In altre parole, con riferimento ad una data situazione, tenendo conto delle circostanze concrete esistenti e di quelle note al soggetto agente, ciò avviene quando non sia possibile ricostruire una categoria di “agenti modelli”, in cui inscrivere il comportamento, in quanto nessuno avrebbe continuato ad agire nella convinzione della non verificabilità dell’evento.
Perché possa ravvisarsi la sussistenza del dolo eventuale, occorrerà, quindi, procedere per gradi: innanzi tutto il giudice dovrà valutare la sussistenza del tipico rischio doloso; poi dovrà procedere al riscontro, dapprima, della rappresentazione (interiore) di siffatto rischio da parte del soggetto agente e, successivamente, della decisione per la realizzazione del pericolo.
Con specifico riguardo al contagio da virus HIV, acquistano significato numerosi fattori indicatori, quali la frequenza, il tipo di rapporto, l’eventuale adozione di precauzioni alternative all’utilizzo del profilattico, in grado di diminuire il rischio di contagio. Ad es. quando i rapporti sessuali risultino isolati e sporadici, può essere esclusa – sempre secondo tale orientamento dottrinario – la sussistenza del dolo eventuale, mentre invece, qualora il numero dei rapporti sia duraturo e ripetuto nel tempo, deve essere ritenuta la sussistenza del dolo eventuale. Infatti, un simile rischio dovrà essere riconosciuto come proprio da un osservatore esterno: pertanto la fiducia – o meglio la speranza – del soggetto sieropositivo nella non verificazione del contagio deve essere ritenuta come priva di fondamento razionale. Del resto, l’assenza di qualsiasi comportamento volto a ridurre il rischio di infezione conferma l’esistenza di una piena accettazione da parte del soggetto portatore di HIV, dell’evento contagio.
Movendo da queste basi, ed in linea con quanto ritenuto, in analoghi casi dalla giurisprudenza di merito, il Tribunale ritiene che nel caso di specie non possa nutrirsi alcun dubbio sul fatto che, sotto il profilo psicologico, ci si trovi in presenza di dolo eventuale.
L’imputato, come sopra visto, al momento in cui iniziò la relazione con la […] era pienamente edotto dell’esistenza della sua patologia e del fatto che avrebbe potuto, con rapporti sessuali non protetti, contagiare altre persone. Nonostante ciò,egli intraprese una relazione sessuale continuativa, con rapporti ripetuti e non protetti, per un periodo non breve, di circa 2 anni, fino all’epoca del suo arresto, tacendo la sua condizione all’ignara compagna.
Non vi era, alla luce delle valutazioni sopra fatte, alcun elemento che, in un simile contesto potesse, con un minimo di fondamento razionale, far pensare che il contagio potesse essere evitato.
In ogni caso, l’imputato che, nei suoi due ricoveri ospedalieri – nell’anno 2000 – risultò ben consapevole di dover rappresentare l’esistenza della sua malattia,non fece nulla per poter in qualsiasi modo evitare o, se possibile, attenuare, l’evidente pericolo di contagio.
Si tratta di atteggiamento psicologico non collocabile nei limiti della semplice imprudenza, anche se accompagnata dalla previsione della verificazione dell’evento, che va ricondotto ad un atteggiamento di volontarietà (nelle forme del dolo eventuale), avendo lo stesso perseguito nell’intento di avere rapporti sessuali non protetti anche a costo di realizzare il risultato delittuoso.
L’imputato va pertanto ritenuto responsabile del reato ascrittogli e di conseguenza condannato – (Omissis)”.
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