INDICE
A. La programmazione delle assunzioni nel quadro della programmazione del fabbisogno di personale. Profili di autonomia e vincoli nella gestione delle risorse umane
Introduzione: la programmazione del personale come momento di razionalizzazione organizzativa sospesa fra i fabbisogni dell’Ente e la necessità di ridurre il costo del lavoro pubblico.
La delimitazione del campo di indagine ed i principi, costituzionali e sub-costituzionali, di riferimento.
Cenni sul contesto normativo e giuridico: la difficoltà di procedere con il “vecchio” sistema ed il difficoltoso cammino intrapreso dal legislatore nazionale.
a) In particolare: il travagliato iter delle finanziarie 2003, 2004, e 2005 ed i D.p.c.m. in materia di assunzioni.
b) Gli sviluppi più recenti (finanziaria 2006)ed il Decreto c.d. “Bersani”.
c) Le scontate novità della Finanziaria per il 2007: una prima analisi in prospettiva;
B. La programmazione del fabbisogno di personale: finalità, strumenti, esigenze di flessibilità e correlazione con altri meccanismi di programmazione.
1. Finalità, contenuti e protagonisti della programmazione: dall’art. 39 della L. n. 449/1997 ai più recenti sviluppi.
2. gli strumenti della programmazione: il programma triennale ed il piano annuale.
3. La Dotazione organica: dalla pianta alla dotazione organica;
a) Diverse concezioni di dotazione organica;
b) la necessità di andare oltre;
4. Cenni sul Regolamento sull’organizzazione degli uffici e servizi ed i soggetti della programmazione.
5. Programmazione delle assunzioni e flessibilità
a) La flessibilità…indotta e la flessibilità “volontaria”: programmazione delle assunzioni e strumenti alternativi;
b) cenni sulla programmazione delle procedure selettive e concorsuali;
c) I vincoli nei confronti delle Oo.ss.
6. Conclusioni.
A. La programmazione delle assunzioni nel quadro della programmazione del fabbisogno di personale. Profili di autonomia e vincoli nella gestione delle risorse umane
1. Introduzione: la programmazione del personale come momento di razionalizzazione organizzativa sospesa fra i fabbisogni dell’Ente e la necessità di ridurre il costo del lavoro pubblico
Che tali processi programmatori siano fondamentali per una corretta gestione degli enti locali emerge poi dal semplice esame di alcuni fenomeni che, prodottisi più o meno contemporaneamente nelle ultime decadi, militerebbero per un ridimensionamento ed una diversa organizzazione degli organici comunali: così, a titolo di esempio, in esito alla progressiva emanazione della legislazione c.d. “Bassanini”, con l’aumento del ricorso all’ autocertificazione è diminuito enormemente il numero dei certificati anagrafici da emettere; buona parte della più recente legislazione nazionale tende inoltre alla esternalizzazione o alla gestione associata di funzioni e servizi; e, come se non bastasse, la stessa introduzione dell’informatica e della telematica nelle attività comunali, pur in un’ottica di razionalizzazione e semplificazione, non può che avere profondi riflessi nell’organizzazione del lavoro; orbene a fronte di questi fenomeni di comune rilevazione, le dotazioni organiche sono state in larga misura modificate solo in misura marginale, sia nel numero che per profili, al punto che buona parte delle dotazioni organiche degli enti locali continua a prevedere un fabbisogno di personale largamente superiore al numero dei dipendenti di servizio[1].
2. La delimitazione del campo di indagine ed i principi, costituzionali e sub-costituzionali, di riferimento.
La programmazione delle assunzioni si inserisce pertanto nel più ampio quadro della programmazione del fabbisogno di personale che, riflettendo nel campo delle risorse umane i profili di rilevanza strategica desumibili dall’intera attività pianificatoria dell’Ente, ovvero sulla base della programmazione strategica e finanziaria (PEG, relazione previsionale e programmatica, bilanci pluriennali ed annuali, et similia), assicuri per quanto possibile il soddisfacimento dei fabbisogni dell’Ente, chiaramente ricollegabili alle funzioni proprie ed a quelle conferite all’Ente Locale: Ente che pertanto, sulla base delle risorse finanziarie disponibili ed in relazione ai compiti da svolgere ed ai servizi da erogare, potrà di volta in volta scegliere, con livelli di flessibilità e grado di autonomia che verranno più oltre approfonditi, se acquisire nuove risorse umane mediante assunzione di nuovo personale, oppure mediante procedimenti di mobilità – volontaria o di personale in disponibilità – , contratti a tempo determinato, collaborazioni esterne, o altri strumenti alternativi alle assunzioni di nuovo personale.
In tale contesto la necessità di una riduzione programmata delle spese di personale senza che i servizi erogati subiscano insostenibili riduzioni, ha portato il legislatore nazionale ad intraprendere – con gradi di imperatività ed efficacia tuttavia decrescenti man mano che il processo autonomistico procedeva, dalla L. n. 142/90 fino all’emanazione ed all’attuale fase di attuazione in concreto del titolo V° della Costituzione – un cammino che, iniziato con l’implementazione del sistema dei carichi di lavoro finalizzato alla razionale riduzione delle piante organiche degli Enti Locali, ha consentito di sviluppare strumenti e logiche di maggiore flessibilità identificabili nello “strumento” della dotazione organica e nei processi di rideterminazione della stessa sulla base della programmazione, triennale ed annuale, dei fabbisogni di personale, sino ad arrivare alla percezione dell’insufficienza ed ai tentativi di superamento ed abbandono del sistema delle dotazioni organiche in favore di strumenti o quanto meno di metodologie e comportamenti maggiormente dinamici e flessibili.
Obiettivo del presente lavoro, una vola delineati il regime giuridico ed i principi alla base del fenomeno della programmazione delle assunzioni, come parte integrante del modello di programmazione del fabbisogno di personale – da intendere quest’ultimo in rapporto con gli altri meccanismi di programmazione dell’Ente Locale -, è quello di esaminare per finalità e contenuti gli strumenti alla base della programmazione delle assunzioni di nuovo personale (programmazione triennale, annuale, dotazioni organiche, regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi), individuando i soggetti potenzialmente protagonisti del procedimento e delineando quanto meno in termini problematici i profili di flessibilità del sistema, nonché il grado di autonomia dell’Ente Locale nella programmazione delle assunzioni alla luce della più recente disciplina di ordine legislativo.
Infine, dopo aver brevemente valutato gli strumenti alternativi alle assunzione di nuovo personale a disposizione dell’Ente Locale, si perverrà ad alcune sintetiche conclusioni focalizzando l’attenzione sui riflessi della programmazione delle assunzioni nei piccoli Comuni nonché sulle più recenti disposizioni di legge finanziaria e sulle potenziali aspettative degli operatori di settore.
Le decisioni che gli Enti Locali provvedono ad assumere in materia di assunzione di nuovo personale trovano fondamento costituzionale nell’art. 97 Cost., che individua il concorso pubblico quale sistema ordinario di accesso al pubblico impiego per i soggetti più meritevoli, selezionati in modo efficace ed imparziale, dove altresì l’art. 51 della Costituzione garantisce a tutti i cittadini la facoltà di accedere ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.
Ma la cornice costituzionale, le disposizioni del nuovo titolo V° e la più recente legislazione di livello statale, consentono di individuare una serie di ulteriori principi che, con diversi livelli di dettaglio e differenziati gradi di indefettibilità, devono essere posti dal dirigente e dall’amministratore locale a fondamento del processo di programmazione delle assunzioni: ecco che, anche sulla scia dell’art. 119 della Costituzione, alla necessità di rendere flessibile la dotazione organica dell’Ente, al fine di implementare il migliore utilizzo delle risorse umane in termini di efficienza e di efficacia, si accompagna il principio della “riduzione programmata delle spese di personale” (art. 91 del D.lgs. n. 267/2000, Testo unico degli enti locali) attraverso l’utilizzo di strumenti caratterizzati da una piena autonomia dell’Ente Locale ma etero-condizionati da formulazioni normative – non sempre di principio ….[3] – esponenziali della necessità che gli enti locali contribuiscano ai risparmi ed alle economie poste in essere dal Governo Nazionale per stabilizzare le finanze dello Stato, sulla base dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario: una delle chiavi cioè maggiormente utilizzate dal legislatore per vincolare sempre più le politiche del personale negli Enti locali una volta abbandonato il modello vincolistico “leggero” delineato dalla Legge 449/97.
3. Cenni sul contesto normativo e giuridico: la difficoltà di procedere con il “vecchio” sistema ed il difficoltoso cammino intrapreso dal legislatore nazionale.
A partire dal Dlgs n. 29/93 la disciplina delle assunzioni di personale presso le Pubbliche Amministrazioni ha subito una progressiva ma radicale trasformazione che, nel solco del processo di privatizzazione del lavoro pubblico, ha individuato principi, modalità e strumenti oltremodo innovativi in tema di accesso al pubblico impiego.
Su tale crinale si muove ad esempio il D.P.R. n. 487/94 in tema di reclutamento del personale, il cui rigido ma efficace modello “centralista” veniva con successivo D.P.R. 693/96 degradato a rango di disciplina di indirizzo per gli Enti Locali, nel rispetto dei principi di auto-organizzazione delle autonomie.
Ma è con la Legge n. 127/97, e successivamente con il D.Lgs. n. 80/98, la cosiddetta “seconda privatizzazione del pubblico impiego”, che, tramite la configurazione del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, attraverso cui la Giunta provvede a disciplinare le dotazioni organiche, i requisiti per l’accesso al pubblico impiego, le modalità di assunzione nonchè quelle concorsuali, il modello trova una prima sistemazione e si provvede a fornire agli enti locali un indispensabile strumento di autonomia, nel rispetto dei principi dell’allora D.Lgs. n. 29/93, individuando nell’organo esecutivo il perno strategico delle decisioni sull’organizzazione, la programmazione del fabbisogno e la determinazione della dotazione organica.
La Giunta pertanto sulla base dei fabbisogni dell’Ente, ed alla luce delle risorse e dei programmi qualificati in sede di bilancio e di relazione previsionale e programmatica, potrà procedere a collegare gli obiettivi strategici dell’Ente (formalizzati annualmente nel PEG) e la conseguente distribuzione delle risorse fra i dirigenti, alla provvista di personale ritenuta necessaria per l’anno in corso e verosimilmente per l’intero triennio.
Con l’emanazione del D.lgs. n. 267/2000, Testo unico degli enti locali, il legislatore, chiariti con gli articoli 88 e 89 i rapporti fra le fonti di ordine nazionale (Testo unico sul Pubblico Impiego) e locale – con l’indicazione della riserva al regolamento interno dei procedimenti di selezione, sulla base dei principi dell’allora D.Lgs. n. 29/93, ora D.lgs n. 165 del 2001, Testo unico sul pubblico impiego, in un quadro di esaltazione dei principi di autonomia locale in cui le disposizioni di livello nazionale intervengono altresì in via di sussidiarietà normativa in mancanza di disposizioni locali – provvede a formalizzare con l’art. 91 l’obbligo per gli enti locali della programmazione del fabbisogno di personale.
In particolare l’art. 91 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, prevede in tema di assunzioni che:
“..1. Gli enti locali adeguano i propri ordinamenti ai principi di funzionalità e di ottimizzazione delle risorse per il migliore funzionamento dei servizi compatibilmente con le disponibilità finanziarie e di bilancio. Gli organi di vertice delle amministrazioni locali sono tenuti alla programmazione triennale del fabbisogno di personale, comprensivo delle unità di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, finalizzata alla riduzione programmata delle spese del personale.
2. Gli enti locali, ai quali non si applicano discipline autorizzatorie delle assunzioni, programmano le proprie politiche di assunzioni adeguandosiai principi di riduzione complessiva della spesa di personale, in particolare per nuove assunzioni, di cui ai commi 2-bis, 3, 3-bis e 3-ter dell’articolo 39 del decreto legislativo 27 dicembre 1997, n. 449, per quanto applicabili, realizzabili anche mediante l’incremento della quota di personale ad orario ridotto o con altre tipologie contrattuali flessibili nel quadro delle assunzioni compatibili con gli obiettivi della programmazione e giustificate dai processi di riordino o di trasferimento di funzioni e competenze.
3. Gli enti locali che non versino nelle situazioni strutturalmente deficitarie possono prevedere concorsi interamente riservati al personale dipendente, solo in relazione a particolari profili o figure professionali caratterizzati da una professionalità acquisita esclusivamente all’interno dell’ente
4. Per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso medesimo”.
Per quanto di interesse è evidentecome la definitiva codificazione dell’obbligo della programmazione triennale del fabbisogno del personale in vista della effettiva "riduzione programmata delle spese di personale ", vada letta in combinato disposto con quanto previsto dagli articoli 6 e 35 del D.lgs n. 165 del 2001, testo unico sul pubblico impiego, ad esempio con il riferimento all’impossibilità per gli operatori locali di procedere con nuove assunzioni in caso di mancato adempimento degli obblighi previsti dalla predetta programmazione, in tal senso venendosi a cristallizzare il perno centrale del " modello normativo " sotteso alla programmazione delle assunzioni.
L’art. 6 del D.lgs n. 165 del 2001, avente ad oggetto “Organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche” prevede testualmente che:
“ 1. Nelle amministrazioni pubbliche l’organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità indicate all’articolo 1, comma 1, previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell’articolo 9. Nell’individuazione delle dotazioni organiche, le amministrazioni non possono determinare, in presenza di vacanze di organico, situazioni di soprannumerarietà di personale, anche temporanea, nell’ambito dei contingenti relativi alle singole posizioni economiche delle aree funzionali e di livello dirigenziale. Ai fini della mobilità collettiva le amministrazioni effettuano annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica e profilo professionale. Le amministrazioni pubbliche curano l’ottimale distribuzione delle risorse umane attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale.
2. …….
3. Per la ridefinizione degli uffici e delle dotazioni organiche si procede periodicamente e comunque a scadenza triennale, nonché ove risulti necessario a seguito di riordino, fusione, trasformazione o trasferimento di funzioni. Ogni amministrazione procede adottando gli atti previsti dal proprio ordinamento.
4. Le variazioni delle dotazioni organiche già determinate sono approvate dall’organo di vertice delle amministrazioni in coerenza con la programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, e con gli strumenti di programmazione economico-finanziaria pluriennale. Per le amministrazioni dello Stato, la programmazione triennale del fabbisogno di personale è deliberata dal Consiglio dei ministri e le variazioni delle dotazioni organiche sono determinate ai sensi dell’articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
5. ……
6. Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette. “
L’art. 35 del D.lgs n. 165 del 2001, avente ad oggetto “Reclutamento del personale”, nello stabilire fra l’altro i principi cui le procedure selettive e di reclutamento del personale devono adeguarsi, prevede altresì che:
“..1. L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro:
a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno;
b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.
2. Le assunzioni obbligatorie da parte delle amministrazioni pubbliche, aziende ed enti pubblici dei soggetti di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, avvengono per chiamata numerica degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della vigente normativa, previa verifica della compatibilità della invalidità con le mansioni da svolgere. Per il coniuge superstite e per i figli del personale delle Forze armate, delle Forze dell’ordine, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del personale della Polizia municipale deceduto nell’espletamento del servizio, nonché delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata di cui alla legge 13 agosto 1980, n. 466, e successive modificazioni ed integrazioni, tali assunzioni avvengono per chiamata diretta nominativa.
3. Le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti principi:
a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione;
b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;
d) decentramento delle procedure di reclutamento;
e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali.
4. Le determinazioni relative all’avvio di procedure di reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale deliberata ai sensi dell’articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni. Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, ivi compresa l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità, l’avvio delle procedure concorsuali è subordinato all’emanazione di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze .
4-bis. …
5. …
5-bis. I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi.
6. ….
7. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, nel rispetto dei principi fissati dai commi precedenti.”
Su questo nucleo giuridico-normativo si sono tuttavia nel tempo innestate una serie di disposizioni normative perlopiù derivanti dalle varie leggi finanziarie succedutesi nel tempo per delimitare l’ambito della partecipazione degli enti locali al risanamento finanziario e contabile del Paese: le disposizioni di contrattazione collettiva invece rivestono in materia, salvo alcune eccezioni di un certo rilievo, valore meramente ricognitivo, dovendosi in tal senso ricordare come nell’ambito del sistema delle relazioni sindacali l’intera materia della programmazione del fabbisogno di personale e delle assunzioni sia sottoposta a mera consultazione con riferimento alla ridefinizione della dotazione organica ed a concertazione relativamente alla definizione dei piani triennali ed annuali del fabbisogno.
Il segnale è chiaro: i vertici dell’amministrazione centrale, col passare del tempo, pressati dai vincoli contabili di ordine comunitario e dalla necessità di risanare le finanze del Paese, pervengono – con estremo ritardo, altresì…- alla ovvia conclusione che il costo dell’autoreferenzialità della macchina amministrativa pubblica – incluse le amministrazioni periferiche e locali – in termini di sostenibilità delle spese necessarie per il supporto delle risorse umane, è ormai inaccettabile.
È necessario produrre di più e in maniera più efficiente, insomma ( L. n. 241/90 ) ma avendo a disposizione meno risorse, finanziarie ed umane, da ricalibrare sui fabbisogni dell’Ente e sull’attività programmatoria dello stesso.
Ma dal momento che il mercato del lavoro locale si è sempre prestato ad essere fonte di inesauribili " clientele " per gli amministratori di comuni e province, e le piante organiche degli enti locali – ipertrofiche e sovradimensionate – hanno con il tempo perso qualunque riscontro con la necessità di fornire dei servizi di buon livello ai cittadini, il legislatore sente il bisogno di intervenire sempre più in maniera strutturale e cogente sulle autonome determinazioni degli enti locali, in un clima di evidente – e sostanzialmente non immotivata – " sfiducia " nei confronti delle amministrazioni locali e nella capacità di queste ultime di contenere la spesa per il personale.
Ed è con l’articolo 39 della legge numero 449/97 ( finanziaria per il 1998) che si inaugura la nuova frontiera, spingendo tutte le pubbliche amministrazioni e nella specie anche gli enti locali, verso un contenimento strutturale della spesa per il personale al fine di prevedere un impegno tutto particolare nella migliore allocazione e gestione delle risorse umane.
Il tutto operando non più con meccanismi automatici tramite valutazione discrezionale, ma sulla base di rilevazioni oggettive delle esigenze produttive dell’Ente valutate in stretto rapporto ed in evidente correlazione con il peso e la natura delle funzioni esercitate.
Le successive finanziarie ( per il 1999, il 2000 e per il 2001) ed in particolare la legge numero 488/99, finanziaria per il 2000, si muovono nel filone del contenimento della spesa per il personale, superando altresì per gli enti locali la metodologia della rilevazione dei carichi di lavoro nella determinazione delle variazioni di organico, e ricollegando la programmazione delle assunzioni di nuovo personale alla verifica degli effettivi bisogni dell’ente ed alla disponibilità concreta di risorse, mediante l’utilizzo di strumenti più innovativi e flessibili quali la dotazione organica.
La legge numero 448/01, finanziaria per il 2002, esplicitamente rinforza i vincoli all’autonomia degli enti locali in materia di assunzioni, subordinandone la procedibilità alla autocertificazione del rispetto del patto di stabilità interno.
Introduce inoltre con maggiore rigore la necessità di ricorrere alle procedure di mobilità come alternativa alle assunzioni; limita la possibilità di ricorrere ad assunzioni di personale a tempo determinato o con convenzioni, dichiarando altresì la nullità delle assunzioni effettuate in violazione.
Agli organi di revisione il compito di accertare che i documenti di programmazione del fabbisogno di personale siano improntati al principio di riduzione complessiva della spesa e che eventuali deroghe, frutto di nuove assunzioni, siano specificamente ed analiticamente motivate.
a) in particolare: il travagliato iter delle finanziarie 2003, 2004, e 2005 ed i D.p.c.m. in materia di assunzioni.
Gli interventi legislativi degli anni più recenti sono scaturiti dalla ulteriore necessità di risolvere una serie di anomalie verificatesi nella gestione delle risorse umane e strumentali che hanno generato inefficienze e costi crescenti nelle pubbliche amministrazioni.
Le politiche di riduzione del costo del lavoro pubblico, perseguite dalle diverse leggi finanziarie attraverso la riduzione del personale in servizio e delle dotazioni organiche, nonché il blocco delle procedure di reclutamento, pur con limitate deroghe, debbono essere peraltro lette in stretta correlazione con i principi generali che.regolano l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni.
Infatti con l’imposizione di vincoli di spesa il legislatore ha, di fatto, inteso sanare situazioni spesso derivanti dall’utilizzo improprio delle diverse tipologie contrattuali chiedendo, quindi, alle amministrazioni comportamenti più corretti ed efficienti nella gestione delle risorse umane.
Al riguardo appare utile ricordare che, per rendere effettiva l’attuazione dei principi di cui all’articolo 97 della Costituzione, l’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ha stabilito che l’organizzazione ed i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche devono essere finalizzati ad accrescere l’efficienza delle amministrazioni, razionalizzare il costo del lavoro pubblico, realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane, in particolare curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti.
In particolare le finanziarie successive a quella per il 2002, malgrado la modifica degli assetti costituzionali nelle more intervenuta, ed ormai in atto, apportano un giro di vite ulteriore nelle politiche per la riduzione dei costi del personale ed assestano un colpo quasi mortale alla possibilità per gli enti locali di programmare e successivamente procedere con nuove assunzioni.
In sintesi, e riservandosi di approfondire successivamente in maniera più analitica, la legge numero 289/02 (finanziaria per il 2003) all’articolo 34 introduce per tutte le pubbliche amministrazioni l’obbligo della rideterminazione delle dotazioni organiche, e pone per il 2003 il divieto, con poche eccezioni, di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, dove per le autonomie locali si rinvia ad un successivo DPCM ( per inciso emesso il 12 settembre 2003) per fissare i criteri ed i limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per il 2003 che tuttavia, salvo il ricorso a procedure di mobilità, dovevano essere contenute entro percentuali non superiori al 50% delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso del 2002.
La legge 350/03 ( finanziaria per il 2004) conferma l’impianto della precedente legge finanziaria, compresa in particolare la limitazione percentuale per le assunzioni di nuovo personale fissata al 50% del turnover dell’ultimo anno, e rimanda al solito DPCM (emesso il 27 luglio 2004) con riferimento agli enti locali; provvede inoltre, come effetto del contingentamento delle assunzioni, a riproporre la proroga del termine di validità delle graduatorie concorsuali a tutto il 2004 e contemporaneamente offre la possibilità di ricorrere a graduatorie di altro ente, previo accordo tra le amministrazioni: in sostanza si cerca di creare una situazione più favorevole per i soggetti abilitati alla programmazione ed all’effettuazione delle nuove assunzioni per gli enti locali al fine di ammorbidire in qualche modo i cogenti obblighi previsti dalla normativa e di creare strumenti procedurali più agevoli per pervenire all’immissione in ruolo di nuovo personale.
È evidente il travaglio del Legislatore nell’intervenire su profili organizzativi di stretta attinenza locale, pur a fronte di forti pressioni di segno opposto di ordine finanziario e contabile.
Con la legge numero 311/04, finanziaria per il 2005, si stabilisce al comma 93 l’obbligo per gli enti locali di una riduzione non inferiore al 5% delle spese complessive per il personale; si ricordi in particolare che proprio tale norma della finanziaria affermava testualmente che:
‘" …ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi e norme di indirizzo per le predette amministrazioni…., che operano le riduzioni delle rispettive dotazioni organiche secondo l’ambito di applicazione da definire con il decreto del presidente del consiglio di cui al comma 98.”
La stessa finanziaria provvede quindi con il comma 98 a rinviare ad un successivo DPCM la fissazione dei criteri e dei limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per il triennio 2005-2007, previa attivazione delle procedure di mobilità – con ciò ponendo un chiaro riferimento al novellato articolo 34 bis del testo unico sul pubblico impiego -, il cui ritardo nell’emanazione, avvenuta nel corso del 2006, testimonia l’estrema difficoltà del governo nel raggiungere un accordo, in sede di conferenza unificata, con regioni ed autonomie locali.
Per effetto delle disposizioni della legge finanziaria, il governo ha tuttavia ottenuto il blocco de facto delle assunzioni a tempo determinato, se non altro perché i dirigenti e gli amministratori addetti alla programmazione ed allo svolgimento delle nuove assunzioni, non hanno potuto nella maggior parte dei casi fare a meno di attendere il promesso DPCM, nutrendosi seri dubbi su eventuali profili di responsabilità, anche contabile, per chi avesse operato nuove assunzioni in mancanza del preventivo decreto di autorizzazione anticipato dalla finanziaria per il 2005.
L’attesa pubblicazione del DPCM assunzioni e le interpretazioni del Ministero dell’Economia ( che con nota del 29 maggio 2006 ha confermato la possibilità di procedere all’individuazione dei limiti alle nuove assunzioni per il triennio 2005-2007 sulla base del costo e non del numero delle cessazioni verificatesi nel correlato triennio 2004-2006) e della Funzione pubblica (circ. U.p.p.a. n. 5/06 del 22 maggio 2006 che, richiamando altresì il noto parere del Consiglio di Stato n. prot. 3556/2005, sez. III del 16.01.05[4], ha provveduto ad affermare : “…che le progressioni verticali possono essere realizzate nel limite della spesa massima complessiva per le assunzioni che ogni Ente, secondo la dimensione demografica ed in relazione allecessazioni dal servizio di personale verificatesi nel triennio 2004/2006, può effettuaresecondo i criteri previsti dal DPCM 15 febbraio 2006 fermo restando la disciplina cheregola le modalità concorsuali di accesso al pubblico impiego e nell’ambito dellaprogrammazione triennale dei fabbisogni e delle dotazioni organiche vigenti.
Si coglie l’occasione comunque per rappresentare la possibilità di estendere tale modalità di computo non solo alle progressioni verticali ma anche alle assunzioni dall’esterno in considerazione delle difficoltà nel trasformare la parte residuale di risorse,specie nei casi ove sono previste poche unità di assunzione, in unità di assunzioni.
Inoltre, proprio il dettato del comma 98 dell’art.1 della legge 311/2004 che richiama il concorso delle autonomie locali al rispetto degli obiettivi di finanza fa correttamente esplicito riferimento “alla realizzazione di economie di spesa lorde”, al fine di non ledere l’autonomia delle regioni e delle autonomie locali, che sarà oggetto di verifica ai sensi dell’art. 6 del DPCM 15 febbraio 2006.
Si ritiene quindi compatibile, con quanto previsto dal citato comma 98 e dalle disposizioni del DPCM richiamato, il computo delle assunzioni in termini di equivalenza della spesa riferita alle cessazioni verificatesi.”)[5]; hanno in qualche modo mitigato il rigore dell’impostazione sistematica primigenia, fornendo tuttavia un quadro di differenziazione fra enti particolarmente penalizzante per quelli di maggiore dimensione.
Il DPCM provvede in sintesi alla individuazione, per le Province e per i Comuni, dei criteri e dei limiti relativi alle assunzioni a tempo indeterminato, nonché alla definizione dell’ambito applicativo delle disposizioni relative alla rideterminazione degli organici per gli anni 2005, 2006 e 2007, in attuazione dell’articolo 1, commi 93 e 98[6], della legge n. 311 del 2004.
Specifica in tal senso che:
“…Le modalità di rideterminazione devono essere finalizzate alla riduzione del divario esistente tra dotazione organica e personale in servizio. Le Amministrazioni nell’effettuare la predetta rideterminazione, non possono, comunque operare incrementi alle dotazioni organiche vigenti.
3. Le Province, i Comuni, le unioni di Comuni e le Comunità montane, ai fini del calcolo per la rideterminazione delle dotazioni organiche di cui al comma 93, dell’articolo 1, della legge n. 311 del 2004, procedono alla definizione delle rispettive dotazioni organiche prendendo a riferimento la spesa relativa al personale in servizio riferito a ciascuna qualifica, alla data del 31 dicembre 2004.
Sono, altresì, fatte salve le procedure concorsuali in atto alla data del 30 novembre 2004, le mobilità che l’amministrazione di destinazione abbia già avviato alla data del 1° gennaio 2005, nonché quelle connesse a processi di trasformazione o soppressioni di amministrazioni pubbliche ovvero concernenti personale in situazione di eccedenza.
4. La spesa del personale determinata ai sensi del comma 3, non potrà essere aumentata, in relazione alla media percentuale tra posti in organico e posti vacanti come risultante dal censimento del personale degli enti locali al 1° gennaio 2004, in misura superiore alle seguenti percentuali:
amministrazioni provinciali 16%
comuni con popolazione da 5.000 a 14.999 abitanti 19%
comuni con popolazione da 15.000 a 49.999 abitanti 18%
comuni con popolazione da 50.000 a 249.999 abitanti 15%
comuni con oltre 250.000 abitanti 8%
5. Ai sensi del comma 93, dell’articolo 1, della legge n. 311 del 2004, le dotazioni organiche, così come rideterminate ai sensi dei precedenti commi, in nessun caso potranno comportare una spesa complessiva superiore a quella discendente dalle dotazioni organiche vigenti alla data del 31 dicembre 2004 ed, inoltre, ogni singolo ente non sarà, comunque, tenuto ad operare una riduzione superiore al 5% del costo della dotazione organica vigente al 31 dicembre 2004.
6. Qualora nel corso del triennio 2005, 2006 e 2007 si procedesse a passaggi di personale in attuazione del decentramento amministrativo, gli Enti potranno rideterminare le rispettive dotazioni organiche integrandole con i posti necessari. Le dotazioni organiche potranno, comunque, essere aumentate con l’ingresso di personale derivante da processi di ristrutturazione e privatizzazione di pubbliche amministrazioni o in situazione di eccedenza, nonché del personale docente di cui all’articolo 35, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
7. Sono esclusi dagli adempimenti di cui ai precedenti commi del presente articolo gli enti delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle D’Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano nonché i Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le unioni di Comuni e le Comunità montane.”
Ma naturalmente l’indicazione dell’obbligo tendenziale di ridurre il divario esistente fra le dotazioni organiche ed il personale effettivamente in servizio non poteva non accompagnarsi con una corrispondente delimitazione delle nuove assunzioni e della misura del turn over su base locale.
In tal senso è bene a questo punto evidenziare come il DPCM, all’art. 5, provveda a disporre testualmente che:
“ 1. Per le Amministrazioni comunali, le unioni di Comuni e le Comunità montane, ai fini della determinazione dei risparmi di spesa da conseguire nel triennio 2005, 2006 e 2007 di cui al comma 98, dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, si applica la metodologia di cui al comma 1dell’articolo 3 del presente decreto.
2. Nel triennio 2005, 2006 e 2007, le assunzioni di personale a tempo indeterminato per le Amministrazioni comunali, le unioni di Comuni e le Comunità montane, nel rispetto di quanto previsto dal comma precedente, devono garantire la realizzazione di economie di spesa lorde non inferiori a 165 milioni di euro per l’anno 2005, a 442 milioni di euro per l’anno 2006, a 658 milioni di euro per l’anno 2007 ed a 727 milioni di euro a decorrere dall’anno 2008.
3. ….
4. Per il raggiungimento degli obiettivi di risparmio previsti dall’articolo 1, comma 98, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sono fissati i criteri di cui ai successivi commi 4, 5 e 6.
5. I Comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti, le unioni di Comuni, le Comunità montane ed i Consorzi possono procedere alla copertura totale del turn-over verificatosi nel corso del triennio 2004, 2005 e 2006.
6. I Comuni con popolazione compresa tra i 2.000 e i 5.000 abitanti possono assumere n. 1 unità a fronte di una cessazione. Effettuata tale assunzione, è possibile procedere ad effettuare la seconda assunzione dopo che si sono verificate, nel corso del triennio, ulteriori sei cessazioni. Per gli enti che alla data di entrata in vigore del presente decreto, avessero già raggiunto, a decorrere dal 1 gennaio 2004, un numero di cessazioni pari a 4, effettuata la prima assunzione, possono procedere alla seconda assunzione quando si siano verificate, complessivamente, n. 5 cessazioni. I suddetti enti per procedere alle successive assunzioni dovranno attenersi a quanto previsto dal precedente comma 5 del presente articolo.[7]
7. I Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti possono assumere nel limite del 25 per cento delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso del triennio 2004, 2005 e 2006;
8. Per tutti gli enti le cessazioni dal servizio si considerano cumulativamente nel corso del triennio 2004, 2005 e 2006. Ai fini del calcolo del costo delle cessazioni, si intendono per “cessazioni” quelle derivanti da estinzione del rapporto di lavoro, riferendosi al personale a tempo indeterminato, con esclusione dei processi di mobilità.
9. ….”
Pertanto, ed in estrema sintesi, fermo restando quanto si verrà ad affermare nel successivo paragrafo, sulla base del combinato disposto fra la legge finanziaria per il 2005 ed il DPCM , saranno applicabili i seguenti criteri per le diverse tipologie di enti quivi configurate:
• enti locali che non hanno rispettato il patto di stabilità: non possono procedere ad assunzioni a nessun titolo (fatta eccezione per quelle connesse al passaggio di funzioni agli enti territoriali, con oneri coperti da trasferimenti erariali compensativi); la stessa mobilità tra enti può avvenire solo per compensazione, fermo restando il principio di invarianza della spesa (art. 7 Dpcm); –
• province che hanno rispettato il patto: si applicano le limitazioni di cui all’art. 3 Dpcm (differenza tra il costo delle cessazioni e il risparmio atteso da ciascuna provincia, in base alla tabella allegata al decreto);
• comuni con popolazione superiore a cinquemila abitanti (che hanno rispettato il patto): possono assumere nel limite dei 25% delle cessazioni dal servizio verificatesi nel corso dei triennio 2004, 2005 e 2006;
• comuni con popolazione compresa tra i 2mila e i cinquemila abitanti: possono assumere n. 1 unità a fronte di una cessazione; effettuata tale assunzione, è possibile procedere ad effettuare la seconda assunzione dopo che si sono verificate, nel corso del triennio, ulteriori sei cessazioni. Per gli enti che alla data di entrata in vigore del presente decreto avessero già raggiunto, a decorrere dal l° gennaio 2004, un numero di cessazioni pari a 4, effettuata la prima assunzione, possono procedere alla seconda assunzione quando si siano verificate, complessivamente, n. 5 cessazioni. I suddetti enti per procedere alle successive assunzioni dovranno attenersi a quanto previsto dal comma 5;
• comuni con popolazione inferiore ai duemila abitanti, unioni di comuni comunità montane e consorzi: possono procedere alla copertura totale del turn-over verificatosi nel corso del triennio 2004, 2005 e 2006.
L’apparente mutamento di registro operato dalla legge finanziaria per il 2005 rispetto alle precedenti due finanziarie[8], e quindi l’insistenza sulla quantificazione delle risorse da risparmiare piuttosto che sulla percentuale di personale da ammettere al turn over, discende tuttavia non tanto da una specifica determinazione dell’esecutivo, quanto piuttosto da una importante pronuncia della Corte Costituzionale che, valutando l’articolo 34 comma 11 della legge finanziaria per il 2003, nonché l’articolo 3 comma 60 della legge finanziaria per il 2004, relativi entrambi all’individuazione di una quota del 50% come limite massimo di assunzioni fruibili da parte degli enti locali a fronte del totale delle cessazioni del servizio avvenute nel 2002 e, rispettivamente, nel 2003, ha messo in evidenza come questa sia una disposizione che " non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della copertura della vacanza… Precetto che, proprio perché specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una indebita invasione, da parte della legge statale, dell’area riservata alle autonomie regionali e degli enti locali….".
E’ un fenomeno questo che come si vedrà porterà il legislatore a nuovi e più penetranti interventi sulle autonome scelte degli enti locali, paradossalmente determinati proprio dalla pronuncia della Corte Costituzionale appena esaminata.
b) Gli sviluppi più recenti (finanziaria 2006) ed il Decreto c.d. Bersani.
Con la previsione del taglio obbligatorio dell’1 % della spesa di personale per il triennio 2006/2008, disposta dall’articolo 1 comma 198 della legge 23 dicembre 2005 numero 266 ( legge finanziaria per il 2006), il governo impone alle autonomie locali un giro di vite notevolissimo nella gestione del personale, che si manifesta con un evidente riflesso in termini negativi sulla programmazione delle assunzioni per il successivo triennio.
Ed infatti, ferma restando la necessità di conseguire le economie previste nelle disposizioni della legge finanziaria per il 2005, con riferimento perciò fra l’altro alla riduzione del 5% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico, da intendere come disposizione di principio e di indirizzo da esplicare con successivo DPCM, di cui già sopra, la legge finanziaria per il 2006 dispone un taglio obbligatorio ed indiscriminato, abbandonando ogni tipo di gradualismo in materia di contenimento e della spesa di personale, pari all’1% della spesa di personale in relazione al triennio 2006-2008; prescindendo dal notevole dibattito accesosi fra le organizzazioni di categoria ed in dottrina, in merito a quali spese debbano essere considerate ai fini della predetta disposizione “spese per il personale” ed alle modalità suggerite dallo stesso governo per pervenire a tale riduzione, è bene sottolineare che tale obbligo viene imposto a prescindere dalle dimensioni dell’ente locale ed è pertanto da considerare applicabile non solo agli enti virtuosi, quelli cioè soggetti al patto di stabilità ed ottemperanti alle disposizioni da questo prescritte, ma anche ai comuni al di sotto dei duemila abitanti, come è noto esclusi dalle limitazioni al turn over previste dal DPCM.
Non è difficile tuttavia intendere come il combinato disposto fra le due disposizioni, se da un lato offre ai comuni al di sotto dei duemila abitanti la possibilità teorica di pervenire alla copertura totale del turn over, dall’altra, imponendo una riduzione del costo totale del personale pari all’1%, rende di fatto difficile se non impossibile procedere ad un rimpiazzo di risorse umane che per la le ridotte dimensioni dell’ente è spesso essenziale ed indispensabile.
Orbene anche alla luce del DPCM sulle assunzioni è lecito evidenziare come lo spiraglio offerto dalla normativa nazionale per procedere a nuove assunzioni, si sia stretto al punto da colpire indiscriminatamente enti piccoli e grandi, virtuosi e non virtuosi, e da incidere in maniera eccessivamente gravosa sull’autonomia organizzativa degli enti locali: in tal senso il passaggio indicato dalla legge finanziaria per il 2006 da un obbligo di riduzione tendenziale della spesa di personale ad una riduzione effettiva ha portato parte della dottrina ad evidenziare la netta violazione del principio autonomistico.
Pertanto, alla normativa prevista dalla finanziaria per il 2005, rispettosa delle decisioni della Corte Costituzionale assunte con le note sentenze numero 390/2004 e numero 417/05, si aggiunge ora un vincolo ulteriore e dettagliato ( 1% di riduzione della spesa di personale, che pur costituendo un macro aggregato, rappresenta tuttavia un sufficiente grado di dettaglio tale da poter incorrere in future potenziali censure della Corte Costituzionale) che di fatto comporta un’ ingerenza nell’autonomia degli enti locali di dubbia costituzionalità[9].
Non bastasse ciò, si ricordi che il comma 198 della legge finanziaria per il 2006, originariamente privo di concrete sanzioni nel caso di mancato rispetto del raggiungimento della riduzione dell’ 1 % delle spese di personale, ha trovato nel recente decreto legge numero 223/06, cosiddetto decreto Bersani, l’esplicita previsione – con la modifica del successivo comma 204 – del divieto assoluto di assumere personale a qualsiasi titolo per gli enti locali che non abbiano rispettato il vincolo della riduzione di spese dell’ 1% rispetto al 2004: in tal senso è possibile condividere pienamente quanto affermato dalla migliore dottrina circa il fatto che, benché la irrogazione di una esplicita sanzione per gli enti locali inadempienti riassumibile nel divieto di assunzione di personale a qualsiasi titolo escluda una diretta responsabilità di tipo disciplinare o contabile per i dirigenti e gli amministratori che abbiano operato in senso contrario, è pur vero che una “…ipotesi di responsabilità personale in capo a dirigenti e/o amministratori potrà maturare, in analogia alla interpretazione data dalla Corte dei Conti per il mancato rispetto del patto di stabilità, solo nel caso in cui le amministrazioni non daranno attuazione al divieto legislativo di effettuare nuove assunzioni”[10].
Davvero non si poteva comprendere, insomma, quale margine di autonomia residuasse in capo agli Enti Locali in termini di programmazione delle assunzioni, e che senso avesse procedere con la programmazione triennale ed annuale del fabbisogno di personale, la rideterminazione delle dotazioni organiche e la eventuale redazione di bandi per la selezione di nuovo personale da immettere nei ruoli ormai “invecchiati” dei Comuni e delle Province d’Italia, poste le enormi difficoltà per amministrazioni anche di diverse dimensioni e tradizioni, nel centrare l’obiettivo della riduzione dell’1% del costo del personale: l’autonomia organizzativa degli EELL ha un costo, è vero, ma l’atteggiamento del legislatore nazionale sembrava poco propenso a riconoscere e stimolare tale autonomia, pur essendo pronto a riscuoterne anticipatamente il prezzo….
c) Le incoraggianti novità della Finanziaria per il 2007: una prima analisi in prospettiva
Il cambio di guida politica dell’esecutivo nazionale ha obiettivamente comportato per gli Enti locali il ritorno ad un clima di maggiore concertazione e condivisione nelle scelte di indirizzo per la politica di assetto dei governi locali: con qualche inattesa contraddizione[11] il nuovo Governo sembra infatti avviato ad operare le proprie scelte in tema di contenimento del deficit pubblico nel pieno rispetto dell’impianto costituzionale vigente nonché prestando maggiore ascolto alle istanze provenienti dal mondo delle Autonomie e dagli organi esponenziali di queste ultime, con particolare riferimento cioè all’Anci.
In questo clima di rinnovata fiducia nascono le disposizioni della Finanziaria per il 2007 la cui limitata estensione in termini “quantitativi” non deve trarre in inganno circa la portata della svolta: pochi commi della legge bastano a traguardare un evidente cambio di direzione rispetto alle ultime tre o quattro Finanziarie prodotte dal Governo Berlusconi, pur mantenendone in termini ragionevoli l’impianto rigoroso e finalizzato alla complessiva riduzione delle spese da parte delle Amministrazioni centrali e Locali.
Con specifico riferimento a queste ultime ed alle disposizioni in tema di politica del Personale, l’intervento si realizza su innumerevoli aspetti di carattere generale e particolare della disciplina, incentrandosi nella specie sulla limitazione delle assunzioni a tempo indeterminato, la stabilizzazione del personale precario e degli L.s.u., l’autorizzazione per l’indizione di un nuovo corso-concorso per l’accesso all’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali, la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti di formazione e lavoro, et similia: inevitabilmente ai fini del presente lavoro si terrà conto unicamente delle disposizioni relative ai vincoli per le nuove assunzioni a tempo indeterminato ed agli indubbi problemi di coordinamento con il tessuto normativo preesistente, con alcuni brevi cenni in termini critici e problematici alle previsioni in tema di stabilizzazione del personale precario e dei lavoratori socialmente utili.
Prima di procedere è bene tuttavia dare un’occhiata alle disposizioni di cui all’Art. 1, Commi 557-562, della Legge Finanziaria per il 2007 in materia di personale per regioni e enti locali:
“…557. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica di cui ai commi da 655 a 695, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, anche attraverso la razionalizzazione delle strutture burocratico-amministrative. A tale fine, nell’ambito della propria autonomia, possono fare riferimento ai princìpi desumibili dalle seguenti disposizioni: a) commi da 513 a 543 del presente articolo, per quanto attiene al riassetto organizzativo; b) articolo 1, commi 189, 191 e 194, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per la determinazione dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa al fine di rendere coerente la consistenza dei fondi stessi con l’obiettivo di riduzione della spesa complessiva di personale. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 98, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e all’articolo 1, commi da 198 a 206, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, fermo restando quanto previsto dalle disposizioni medesime per gli anni 2005 e 2006, sono disapplicate per gli enti di cui al presente comma, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
558. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli enti di cui al comma 557, fermo restando il rispetto delle regole del patto di stabilità interno, possono procedere, nei limiti dei posti disponibili in organico, alla stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché del personale di cui al comma 1156, lettera f), purchè sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive.
559. Il personale proveniente dai consorzi agrari ai sensi dei commi 6 e 7 dell’articolo 5 della legge 28 ottobre 1999, n. 410 e collocato in mobilità collettiva alla data del 29 settembre 2006 può essere inquadrato a domanda presso le regioni e gli enti locali nei limiti delle dotazioni organiche vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
560. Per il triennio 2007-2009 le amministrazioni di cui al comma 557, che procedono all’assunzione di personale a tempo determinato, nei limiti e alle condizioni previste dal comma 1-bis dell’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel bandire le relative prove selettive riservano una quota non inferiore al 60 per cento del totale dei posti programmati ai soggetti con i quali hanno stipulato uno o più contratti di collaborazione coordinata e continuativa, esclusi gli incarichi di nomina politica, per la durata complessiva di almeno un anno raggiunta alla data del 29 settembre 2006.
561. Gli enti che non abbiano rispettato per l’anno 2006 le regole del patto di stabilità interno non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipo di contratto.
562. Per gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004. Gli enti di cui al primo periodo possono procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, ivi compreso il personale di cui al comma 558…”
Assunzioni e vincoli di spesa: in sostanza, quanto al primo profilo, il sistema disegnato dal precedente esecutivo con le Finanziarie per il 2005 ed il 2006, ed attuato con il D.p.c.m. in materia di assunzioni, viene quasi completamente scardinato mediante la disapplicazione e la radicale riscrittura delle relative norme, residuando disposizioni senza dubbio rigorose ma comunque meno invasive (si pensi all’art. 1 comma 93 della L. n. 311 del 30/12/2004 relativo al ridimensionamento delle dotazioni organiche; nonché al richiamo, come riferimento per i principi da seguire da parte degli operatori degli EELL, per la riduzione di spese del personale, all’art. 1 commi 189, 191 e 194 della L. n.266/05): in sostanza si assiste ad un concreto “allentamento” dei vincoli precedentemente disposti dalle precedenti Finanziarie per l’assunzione di nuovo personale da parte degli EELL, cui corrisponde quale contropartita “politica” la necessità di tenere debitamente conto del personale precario e socialmente utile in servizio da un certo numero di anni ai fini delle suddette assunzioni a tempo indeterminato.
Emerge in sostanza la scelta, in un clima di comunque rigorosa tenuta della spesa per il personale, di risolvere il duplice problema delle carenze di organico degli enti locali e del precariato pubblico locale mediante l’allentamento dei vincoli alle assunzioni e la creazione di una corsia privilegiata per la stabilizzazione del precariato.
Addentrandosi nella lettura delle singole disposizioni emerge la sensazione di un coordinamento neppure troppo cercato con le disposizioni in materia di personale delle precedenti Finanziarie, ma cosa senza dubbio sorprendente, anche con quelle del decreto legge, poi convertito, n. 223/06, c.d. “primo” decreto Bersani.
La novità più evidente è la scomparsa della fascia di enti fra 2000 e 5000 abitanti e delle restrizioni alle assunzioni per questi previste dal combinato disposto dalla Finanziaria per il 2006 e dal D.p.c.m.: la soglia di discrimine viene individuata ora nella soggezione o meno al patto di stabilità e conseguentemente la soglia unica è prevista a quota 5000 abitanti.
Per gli enti soggetti al Patto e quindi per quelli con più di 5000 ab., l’unico vincolo specifico – oltre a quelli di ordine generale individuati dal D.lgs. n. 165/01 – previsto per poter procedere ad assumere a tempo indeterminato nel corso del 2007 è quello disposto dal comma 561, ovvero il rispetto per l’anno 2006 delle regole del Patto di stabilità interno: solo gli Enti che abbiano violato nel corso del 2006 il Patto si vedranno pertanto irrogato il divieto di effettuare assunzioni nel 2007.
Non si dimentichi tuttavia il generico richiamo di cui al comma 557 (“Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica di cui ai commi da 655 a 695, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, anche attraverso la razionalizzazione delle strutture burocratico-amministrative..”) che, pur costituendo una norma propositiva sprovvista di soglie minime di risparmi da conseguire e/o di sanzioni per il mancato raggiungimento, deve essere ad avviso di chi scrive letta in combinato disposto con l’art. 1 comma 93 della L. n. 311 del 30/12/2004 relativo al ridimensionamento delle dotazioni organiche, tuttora vigente anche per tali enti in mancanza di un’esplicita disapplicazione.
Per gli enti non soggetti al Patto e quindi per quelli con meno di 5000 ab., la novità più evidente è che la previsione del comma 198 della Finanziaria 2006 secondo cui le spese di personale per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 non avrebbero dovuto superare il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1%, pur non essendo stata esplicitamente espunta o disapplicata, risulta – quantomeno per il 2007[13] – di fatto abrogata dalla disposizione che si limita a richiedere spese non superiori a quelle del 2004.
La previsione del comma 562 primo periodo è di estrema importanza ai fini della determinazione degli Enti che, rispettandone le previsioni, potranno procedere con nuove assunzioni: ed infatti gli enti che non supereranno il tetto di spesa per il personale del 2004 potranno effettuare assunzioni a tempo indeterminato di nuovo personale entro il tetto delle cessazioni verificatesi “…nel precedente anno”.
Qui il regime previsto dal D.p.c.m. non risulta novato se non per l’inclusione degli enti compresi nella fascia fra 2000 e 5000 abitanti fra quelli in grado di procedere al turn over integrale: d’altra parte ove le cessazioni di personale fossero avvenute nel corso del 2004 o del 2005, malgrado quanto testualmente previsto dalla Finanziaria per il 2007, la ratio del sistema e la concorrente applicazione del D.p.c.m. consentono di fornire indicazioni favorevoli all’effettuazione delle corrispondenti assunzioni.
Cenni sulle c.d. “stabilizzazioni”: si è visto come dalla lettura delle disposizioni della Finanziaria emerga in sostanza l’impressione che si sia voluto risolvere contemporaneamente il duplice problema delle carenze in organico degli enti locali e quello del precariato pubblico locale mediante l’allentamento dei vincoli alle assunzioni e la creazione di una corsia privilegiata per la stabilizzazione del precariato: sul piano strettamente operativo-gestionale tuttavia una simile equazione politica non regge in alcun modo.
Ed infatti le carenze in dotazione organica degli enti locali sono spesso riconducibili a posizioni e profili qualificati e di categoria C o D (si pensi alla cronica carenza di responsabili degli uffici tecnici per i piccoli comuni…) e pertanto – interamente esclusi i lavoratori impegnati in attività socialmente utili e la gran parte dei collaboratori a tempo determinato – gli unici lavoratori a tempo determinato che potrebbero idealmente rispondere a questo indirizzo sarebbero i responsabili “assunti” a tempo determinato e fino al termine del mandato del Sindaco ai sensi dell’art. 110 T.u.e.l., su cui però non vi è ancora accordo in dottrina e negli uffici legislativi predisposti all’emanazione di circolari esplicative in merito alla computabilità o meno ai fini delle stabilizzazioni ex lege!
D’altra parte sarebbe oltremodo ingeneroso evidenziare più del dovuto l’astuto inserimento…in zona Cesarini, all’interno del comma 558, dell’inciso “..nonché del personale di cui al comma 1156 lettera f)” , che ha consentito di prevedere anche per il personale impegnato in attività socialmente utili la stabilizzazione annunciata per il “personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni”: un problema così grave come quello posto dal “precariato socialmente utile” nelle pubbliche amministrazioni avrebbe forse meritato un più approfondito dibattito parlamentare ed una più meditata sorte normativa…
Ciò detto sul piano critico, è bene fissare alcuni punti fermi in coerenza con il presente lavoro: le disposizioni sulla stabilizzazione del personale a tempo determinato in servizio da almeno tre anni – con le cadenze previste dal comma 558 – e dei lavoratori impegnati in attività socialmente utili, si pongono nei confronti degli enti locali come meramente facoltative, non costituendo in alcun modo un obbligo potenzialmente lesivo dell’Autonomia degli EE.LL. medesimi.
Di obbligo vero e proprio invece si tratta con riferimento alla previsione di una riserva del 60% “delle assunzioni a tempo determinato ai collaboratori coordinati e continuativi con un rapporto di almeno un anno…” [14], ed è qui appena il caso di evidenziare come tale previsione, oltre a porsi potenzialmente in contrasto con le disposizioni di ordine costituzionale in tema di autonomia organizzativa degli Enti Locali, appaia francamente illegittima alla luce della nota giurisprudenza della Corte Costituzionale – sia pure dettata in tema di assunzioni a tempo indeterminato – che dal 1999 in poi ha individuato nella soglia del 50% il limite ragionevole entro cui fissare la soglia di accesso riservato a personale interno nei pubblici concorsi.
In ogni caso, e tornando al problema della stabilizzazione del personale precario, gli Enti potranno procedere in via immediata alla stabilizzazione se tale personale è stato assunto mediante procedure concorsuali; ove ciò non fosse avvenuto sarà necessario sottoporre tali dipendenti ad una specifica prova selettivo-concorsuale.
Da qui un problema di non poco momento: il personale impegnato in attività socialmente utili di cui all’inciso “..nonché del personale di cui al comma 1156 lettera f)” , come è noto non è stato assunto mediante procedure selettive, ma l’ultimo inciso di cui al comma 558 presenta un riferimento testuale, ai fini dell’effettuazione di prove selettive per chi non abbia già sostenuto prove concorsuali, solo al personale assunto a tempo determinato. Sembrerebbe pertanto che i lavoratori impegnati in attività socialmente utili possano essere stabilizzati automaticamente e senza l’effettuazione di prove selettive, residuando in capo ai vari responsabili del personale dei comuni d’Italia ogni valutazione in merito a quale lavoratore impegnato in A.s.u. stabilizzare a parità di qualifica e profilo professionale oltre al fondato dubbio di porre in essere atti di assunzione potenzialmente illegittimi per contrasto con le disposizioni costituzionali in materia di accesso al pubblico impiego (art. 97 comma 3).
Realisticamente la norma andrà letta nel senso che gli enti locali, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa in tema di personale, potranno procedere a stabilizzare lavoratori impegnati in A.s.u. previo espletamento di adeguate procedure selettive per posti vacanti in dotazione organica di corrispondente categoria e profilo.
Con lettura oltremodo discutibile, invece, il recente Memorandum d’intesa” fra Governo e sindacati per la riorganizzazione del lavoro pubblico, di fatto prevede che ai fini della stabilizzazione dei lavoratori A.s.u. non sia necessario l’espletamento di prove selettive: quanto sia compatibile un simile modus operandi con il principio di livello costituzionale del concorso pubblico ed aperto a tutti[15] è giudizio che si lascia all’intelligenza dell’attento lettore…
Infine le assunzioni di personale precario, a tempo determinato ed impegnato in A.s.u., sono soggette ai vincoli di carattere generalefin qui esaminati, e pertanto le Amministrazioni soggette al patto di stabilità devono averlo rispettato mentre per quelle non soggette al patto[16] le assunzioni così disposte saranno conteggiate nel tetto della sostituzione del personale cessato nell’anno precedente, fermo restando il computo dei relativi oneri nell’ambito della spesa per il personale per annum da confrontare con quella del 2004.
***
C’è da chiedersi in conclusione se il maggior rispetto dimostrato dal Legislatore statale per l’autonomia degli enti locali basti a bilanciare il minor rigore nella gestione su base nazionale delle politiche occupazionali di livello locale: in teoria un simile modello, per cui l’autonomia degli Enti locali nelle scelte di politica occupazionale troverebbe il proprio limite fisiologico nella concreta definizione di profili tracciabili di responsabilità amministrativa e contabile per gli operatori locali oltre che nella perdita di moduli funzionali, di contributi statali e della stessa possibilità di assumere per gli enti locali; nonchè nell’efficace esplicarsi delle dinamiche dei poteri di controllo; sembrerebbe garantire sufficienti margini di riuscita, spostando a valle la concreta definizione degli assetti organizzativi in materia di personale e delle politiche di nuove assunzioni, anche alla luce delle risorse disponibili su base locale e delle esigenze dei singoli enti autonomi.
B. La programmazione del fabbisogno di personale: finalità, strumenti, esigenze di flessibilità e correlazione con altri meccanismi di programmazione.
1. Finalità, contenuti e protagonisti della programmazione: dall’art. 39 della L. n. 449/1997 ai più recenti sviluppi.
La programmazione triennale del fabbisogno di personale, introdotta dal 1° gennaio 1998 (art. 39 della legge n. 449/1997), rappresenta uno degli strumenti di pianificazione strategica a disposizione dell’amministrazione comunale.
Questo concetto di pianificazione è stato come si è visto successivamente ripreso (TUEL, TUPI e diverse leggi finanziarie) ed ancora oggi rappresenta il vincolo, al di là dei limiti fissati per le assunzioni dalla normativa nazionale, per poter costituire rapporti di lavoro subordinato con la pubblica amministrazione.
In sostanza uno strumento nato come pianificatorio e di prospettiva strategica si è di fatto tramutato in un “deflattore” di nuove assunzioni in omaggio alle esigenze, spesso contingenti, di salvaguardia dei bilanci.
In realtà, non esiste un riferimento normativo che provveda a definire il contenuto del piano dei fabbisogni, ma tuttavia diverse fonti normative provvedono a citarlo, come ad esempio, gli artt. 3 e 7 CCNL 14 settembre 2003, nel caso dei contratti di formazione e lavoro e nei contratti a termine; malgrado ciò, ed in sintesi, si può ritenere “..che il piano individui tutti i bisogni di personale dell’amministrazione”[17].
Oltre al piano triennale l’art. 15, comma 5, del CCNL 1° aprile 1999 fa riferimento anche ad una programmazione annuale dei fabbisogni di personale. Questi due strumenti (piano triennale e piano annuale) rispondono ovviamente a logiche diverse e secondo alcuni autori possono essere disposti da organi diversi.
Stupisce in ogni caso che di tali strumenti si trovi notizia in fonti di ordine contrattuale, dal momento che, come si vedrà, la materia è soggetta a consultazione e concertazione con le oo.ss., non certo a contrattazione…
Nel Piano triennale si dovrebbero individuare le «scelte strategiche» ovvero i fabbisogni reali e le linee politiche che stanno alla base delle scelte sui servizi da garantire ai cittadini: troveremo pertanto delle preliminari osservazioni sulle modalità di gestione, sui livelli qualitativi e quantitativi garantiti e sulle evoluzioni future in linea con le linee programmatiche che l’amministrazione si è data. I contenuti sono certamente costruiti intorno agli obiettivi dell’ente, ma esulano dall’esplicazione di concrete modalità di realizzazione.
La competenza all’adozione di questo strumento è, per quanto si è detto e per quello che si è in precedenza anticipato in altro paragrafo del presente lavoro, della Giunta comunale, che naturalmente deciderà sulla base di proposte del direttore generale dell’ente, se nominato, o più semplicemente del dirigente responsabile del personale.
Il piano annuale deve invece individuare con cadenza temporale più stringente i percorsi e le azioni concrete che danno esecuzione alla programmazione di più lungo periodo; qui prendono forma anche scelte di ordine chiaramente gestionale, “..come la definizione dei profili necessari, la cadenza dei reclutamenti, i livelli di spesa (nei limiti degli strumenti di programmazione di bilancio), gli strumenti di reclutamento e selezione ecc. Proprio per queste ragioni la competenza, che andrebbe definita nel Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi (come pure quella sull’adozione della dotazione organica), potrebbe essere attribuita anche ad organi gestionali di massimo livello (ad esempio, alla direzione generale)” [18].
La stessa revisione della dotazione organica, che dovrebbe seguire la programmazione e che spesso l’accompagna, è uno strumento che rende concreti i fabbisogni e quindi diventa uno strumento attuativo dell’intera pianificazione dei fabbisogni: ed infatti una volta adottato il piano triennale ed annuale si dovrà passare all’armonizzazione e, se necessario, alla modifica della dotazione organica che dovrà esprimere i bisogni permanenti dell’amministrazione.
Con questa «ripartizione» delle competenze, oltre tutto, si distribuiscono le responsabilità ai vari livelli dell’Amministrazione e comunque si realizza quella separazione di funzioni tra chi deve esercitare quelle di indirizzo politico-amministrativo e controllo e chi quelle di gestione.
2. gli strumenti della programmazione: il programma triennale ed il piano annuale.
Dalla distinzione contenutistica e di competenze sopra rilevata, quindi, consegue anche una diversa proiezione dei percorsi di impostazione, definizione, adozione e realizzazione del sistema programmatorio in esame, proiezione che potrebbe sinteticamente riassumersi in un processo che alcuni autori hanno voluto così definire[19]:
“…A) Programmazione triennale dei fabbisogni di personale:
1) riprogettazione dei processi erogativi al fine di determinare economie funzionali ed organizzative;
2) analisi delle risorse in atto e dei loro attuale impiego alla luce della riprogettazione erogativa di cui sopra;
3) ridistribuzione delle risorse impiegate in funzione della reimpostazione procedimentale ed erogativa;
4) analisi delle strategie di gestione dei servizi esistenti e di implementazione di nuovi e diversi servizi;
5) analisi dei fabbisogni di risorse ad esito della riprogettazione erogativa e della necessità di impostare nuovi processi o di implementare quelli esistenti;
6) indicazione dei mezzi di finanziamento necessari in armonia con le previsioni contenute nell’atto di programmazione finanziaria pluriennale di tipo autorizzatorio;
7) elaborazione dell’atto programmatorio sulla base delle aree di investimento e di disinvestimento in relazione alla tipologia di servizi da incrementare o decrementare”.
In tal senso la programmazione triennale dei fabbisogni diventa la sede in cui la manovra di programmazione delle assunzioni di medio periodo viene posta a confronto con i fabbisogni prevedibili dell’Ente in termini di servizi da erogare e funzioni da svolgere, e con le risorse, umane e finanziarie, disponibili.
“B) Pianificazione annuale dei fabbisogni di personale:
1) individuazione delle aree di professionalità da implementare;
2) definizione dei profili professionali e delle relative categorie contrattuali da acquisire in funzione delle posizioni professionali ricercate;
3) distribuzione delle posizioni professionali in ordine ai servizi da implementare o di nuova istituzione;
4) pianificazione degli strumenti di reclutamento nell’ambito delle diverse previsioni legislative, regolamentari e contrattuali;
5) pianificazione dei momenti temporali di acquisizione delle diverse professionalità in funzione delle priorità delineate nell’atto di programmazione triennale;
6) indicazione dei mezzi finanziari di copertura e loro distribuzione in ragione della pianificazione temporale delle acquisizioni di cui sopra;
7) verifica della compatibilità con altri strumenti di pianificazione che interessano lo stesso esercizio, con particolare riguardo alle previsioni recate dal piano esecutivo di gestione.”
I punti 4) e 5) chiariscono con sufficiente grado di definizione come la pianificazione annuale provveda alla “stepizzazione” ed alla cronoprogrammazione delle nuove assunzioni che pertanto in tale sede trovano un primo orizzonte temporale di riferimento.
D’altra parte la diversificazione tra programmazione strategica triennale e pianificazione operativa annuale fin qui evidenziata condiziona, ovviamente, anche i rispettivi contenuti degli strumenti di acquisizione delle professionalità, con particolare riguardo alle finalità stesse che i due strumenti sono volti a conseguire.
Un simile approccio funzionalista consente di individuare con un sufficiente grado di approssimazione i contenuti delle due tipologie programmatorie, riportando al Programma triennale dei fabbisogni di personale i più pregnanti profili di governance locale, dal momento che tale strumento è finalizzato all’esplicitazione delle politiche in materia di acquisizione delle professionalità in funzione degli obiettivi strategici di governo che, nel periodo, l’amministrazione intende conseguire, rilevando conseguentemente la competenza della giunta quale organo di governo ed indirizzo.
L’articolazione contenutistica, dunque, atterrà alle modalità di gestione dei diversi servizi dell’ente, alle scelte strategiche di implementare o espungere l’erogazione di determinati servizi, alle opzioni politiche sugli obiettivi che si intendono perseguire nella gestione, concernenti ad esempio la dismissione di attività o l’attivazione di nuovi servizi. Tali scelte, di natura strettamente politica, sono accompagnate anche dai livelli di spesa che l’amministrazione intende o è in grado di sopportare per la realizzazione delle linee strategiche individuate, budget che, in effetti, è già contenuto nel bilancio triennale di previsione, il quale, presentando le relative proiezioni di spesa ed avendo natura autorizzatoria, consente, all’organo esecutivo (Giunta) di procedere con le proprie attività pianificatorie agendo sul personale e provvedendo ad attuare le proprie politiche di assunzione di nuove risorse umane nei limiti indicati nello strumento stesso.
In sostanza è a questo punto che la programmazione strategica dell’ente, finanziaria e di gestione del personale, di competenza del Consiglio e, rispettivamente, della Giunta, ma in entrambi i casi di medio periodo (triennale), trova il proprio equilibrio e la sintesi dialettica: ovviamente le previsioni di spesa contenute nel bilancio previsionale triennale non potranno che tener conto delle politiche che, in materia di reclutamento di personale, l’ente andrà ad adottare nell’arco temporale preso in considerazione dallo strumento di programmazione finanziaria.
Ecco che il Piano operativo annuale dei fabbisogni di personale tradurrà invece in azioni concrete e positive, mediante scelte di natura gestionale, le opzioni di governo che il programma strategico ha indicato, pervenendo adozione di un atto, di tipica competenza gestionale e non politica (Direzione generale o altri organi di gestione), che delinei contenuti operativi in funzione del reclutamento delle professionalità necessarie all’attuazione degli obiettivi di governo recati dal programma triennale, secondo una ben definita scansione temporale che tenga in debita considerazione i contenuti ed i risultati indicati dalle linee strategiche di governo.
“…A tal proposito, quindi, i contenuti tipici del piano annuale dei fabbisogni di personale dovrebbero articolarsi sulla base dei seguenti elementi minimali di indicazione, assolutamente necessari per la traduzione pratica delle linee politiche sviluppate nel programma triennale e necessariamente rispettosi delle scelte di governo operate mediante l’adozione delle linee stesse:
a) servizio di destinazione in funzione dei fabbisogni rilevati nell’ambito del programma strategico;
b) profilo professionale richiesto in ragione delle risposte attese dagli obiettivi indicati nel programma di cui sopra;
c) categoria contrattuale di ascrizione della posizione professionale richiesta;
d) modalità di reclutamento della risorsa tra quelle consentite dall’ordinamento vigente, tra le quali possono attualmente annoverarsi: il concorso pubblico, la progressione verticale, la mobilità esterna, la costituzione di un rapporto in formazione e lavoro, il concorso interno, la cessione di personale a seguito di trasferimento o di delega di funzioni;
e) termine temporale di attivazione dei rapporto in relazione alle priorità indicate nell’ambito del programma strategico;
f) livello di spesa generato dalla costituzione dei rapporto programmato nell’ambito delle destinazioni economiche previste dallo strumento strategico e dal bilancio previsionale pluriennale;
g) indicatori di efficienza e/o di efficacia che pongano in rilievo l’attuazione del piano sia sotto il profilo della scelta delle azioni reclutative più appropriate, che nell’ottica della spesa originata dalle azioni stesse, secondo un’opportuna valutazione del rapporto di base "costi-benefici”.
Come, si può vedere dai contenuti sommariamente richiamati sopra, le indicazioni portate dalla struttura del piano annuale non possono essere strettamente ricondotte alla sfera politica delle scelte di governo in materia di acquisizione delle risorse umane, bensì appaiono di natura squisitamente gestionale, appartenenti, più propriamente, all’ambito tecnico-gestionale ed affidate, pertanto, ad organi addetti alla gestione e non al governo del sistema pubblico. Tali scelte, infatti, attengono ad elementi di mera discrezionalità tecnica e non certamente politica, ancorché, come tali, debbano porsi quali opzioni adottate in armonia, nel rispetto ed in fedele attuazione delle decisioni assunte, dagli organi di governo, mediante l’assunzione dell’atto di governo di programmazione dei fabbisogni di personale.
D’altra parte, a ben vedere, quali sono gli elementi di «politicità» o di governance che possono rinvenirsi nell’ambito delle determinazioni che attengono all’individuazione di quali professionalità acquisire e di quali modalità impiegare per tali acquisizioni in funzione del perseguimento degli obiettivi definiti con le linee strategiche del programma triennale? A parere di chi scrive, invero, in tali opzioni non emergono elementi di strategicità politica, bensì meri profili di decisionalità tecnica in funzione della gestione del sistema di pianificazione operativa del reclutamento per la realizzazione dei risultati di governo indicati dai relativi organi dell’amministrazione.. “ [20]
3. La Dotazione organica: dalla pianta alla dotazione organica;
Il decreto legislativo numero 165/2001 stabilisce che l’organizzazione e la disciplina degli uffici e delle dotazioni organiche, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche stesse sono determinate " previa verifica dei limiti effettivi fabbisogni ".
Con questo sistema si perviene al definitivo superamento della metodologia della rilevazione dei carichi di lavoro prevista dalla precedente normativa, strumenti questi che per primi avevano consentito di impostare il processo di contenimento della spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni; tale metodologia veniva introdotta per legare in maniera scientifica e comunque oggettiva le dotazioni organiche alle effettive esigenze produttive degli enti, con l’obiettivo di scardinare la pura logica incrementale fino ad allora perseguita.
I carichi di lavoro lasciano dunque il posto alla verifica degli effettivi fabbisogni che come si è visto in altra parte del presente lavoro sono alla base dell’organizzazione della disciplina degli uffici nonché della consistenza della variazione delle spese per le dotazioni organiche in funzione della razionalizzazione del costo del lavoro e della migliore utilizzazione delle risorse umane.
Il cambiamento di rotta consiste in sostanza nell’ aver abbandonato il concetto di pianta organica per sostituirlo con quello di dotazione organica al fine di giungere alla codificazione del concetto di fabbisogno di personale in un processo di crescente flessibilizzazione della programmazione e della gestione delle risorse umane, particolarmente sotto il profilo della programmazione delle nuove assunzioni.
La pianta organica ha storicamente rappresentato il documento in cui veniva cristallizzata l’organizzazione dell’ente con le relative dotazioni di personale, distinte per categorie e profili, per cui finiva inevitabilmente per collegare inscindibilmente i singoli posti all’interno degli uffici alle mansioni da eseguire, creando un rigidità sia nella strutturazione organizzativa degli uffici sia nella concreta gestione dei dipendenti e delle mansioni, sia ancora nella correlazione con le dinamiche politiche e con gli obiettivi operativi che mal si accompagnano ad una visione statica dell’ organizzazione.
Con il decreto legislativo numero 29/1993 si è sviluppato il primo passaggio evolutivo pervenendo al concetto di dotazioni organiche complessive, riservando l’allocazione funzionale delle risorse umane all’interno delle singole strutture, alle decisioni operative dei dirigenti che operavano mediante lo strumento dei carichi di lavoro.
E tuttavia tale ultimo strumento non ha portato ad una effettiva razionalizzazione delle dotazioni organiche, continuando ad inserirsi all’interno di una logica incrementale che finiva per prescindere dagli obiettivi produttivi dell’ente e dalle risorse finanziarie effettivamente disponibili.
È con il decreto legislativo numero 80/1998 che si consuma l’ultima evoluzione del modello attualmente vigente, poi cristallizzata nelle successive modifiche al testo unico del pubblico impiego, nel momento in cui si provvede a collegare la dotazione organica agli effettivi fabbisogni dell’ente collegandola ad un programma triennale annualmente aggiornato, che non si limiti a venire incontro alle esigenze contingenti – come può emergere da una mera rilevazione dei carichi di lavoro – ma anche agli obiettivi e alle strategie dell’ente.
a. Diverse concezioni di dotazione organica;
Ma l’impostazione fornita dal dettato legislativo, nel configurare il superamento del concetto di pianta organica, non ne fornisce uno rigidamente inteso di dotazione organica; emerge pertanto la possibilità che gli enti locali, in piena autonomia, configurino livelli di flessibilità nell’organizzazione delle risorse umane, di diversa modalità e tipologia, sostanzialmente riconducibili a sensibilità diverse di ordine politico o amministrativo-gestionale.
Se pertanto la dotazione organica di tipo complessivo è correlata per disposizioni di legge alla quantificazione del fabbisogno organico effettuata in relazione alla programmazione finanziaria ed ai fabbisogni dell’ente, nulla vieta che gli amministratori e i dirigenti optino per un modello di dotazione organica statico e poco flessibile, reiterando di fatto i profili e le metodologie precedentemente utilizzate per la definizione della pianta organica dell’ente (modello che potremmo definire “vetero-emulativo”).
In tali situazioni cambia in sostanza la veste ed il tessuto normativo, ma non la sostanza ed il merito dei provvedimenti di programmazione del personale.
Sensibilità politico gestionali più orientate verso la flessibilità potrebbero optare invece per un concetto di dotazione organica di tipo “matriciale” in cui la dotazione organica complessiva è intesa quale risultante della sommatoria delle dotazioni organiche delle singole articolazioni della struttura organizzativa dell’ente, in piena corrispondenza con il numero delle posizioni professionali assegnate di volta in volta alle strutture di massima dimensione, a quelle intermedie, ed a quelle interne a queste ultime.
In questo modo la dotazione organica introduce una stretta correlazione tra le posizioni professionali in organico e l’assetto dell’ente medesimo, in quanto le prime, dal momento in cui viene approvata la dotazione organica da parte della giunta, sono già collocate in ambiti organizzativi predeterminati ( settori, servizi, aree, uffici, etc.)
Ma il complesso normativo fin qui esaminato autorizza una concezione più estesa e flessibile del concetto di dotazione organica di tipo complessivo: ove si ritenesse infatti che la giunta abbia il compito di definire gli obiettivi strategici dell’ente in relazione ad un tetto di spesa annua massima sostenibile con riferimento alle risorse umane, tale obiettivo potrebbe essere ugualmente conseguito con un modello di dotazione organica distinto unicamente per categorie e non già recante una predeterminata assegnazione delle provviste dotazionali ai responsabili delle diverse articolazioni organizzative dell’ente.
È evidente come un modello di dotazione organica che potremmo definire “categoriale” svincola ogni modifica organizzativa dall’intervento della giunta, rendendo più fluida e flessibile l’organizzazione e la gestione dell’ente nelle varie strutture e livelli in cui questo si articola.
b. la necessità di andare oltre;
Quanto finora assunto in tema di dotazioni organiche potrebbe indurre a credere che l’attuale sistema sia pienamente condiviso dagli operatori e dalla dottrina, e che non presenti spunti problematici o difficoltà applicative: la dottrina più attenta tuttavia ha puntato il dito contro l’apparente contraddizione fra un sistema che mira alla massima flessibilità nell’organizzazione e nella gestione delle risorse umane della pubblica amministrazione e che invece presenta profili di residuale staticità del sistema che impediscono alle pubbliche amministrazioni di pervenire alla piena affermazione di strumenti di programmazione del fabbisogno di personale più vicini a quelli operanti nel settore privato.
Si pensi ad esempio alla costante riproposizione di un dualismo fra “posto” e “persona” che compare nella formulazione di molte disposizioni normative e contrattuali, ed all’utilizzo di modelli di dotazione organica che sostanzialmente ripropongono la tipologia della vecchia pianta organica o semplicemente risultano costruiti su base matriciale.
Tale dottrina[21] insiste per il superamento del concetto di dotazione o pianta organica, immaginando piuttosto una diversa nozione di “provvista professionale” quale insieme non di posizioni di ruolo configurate in un organico rotazionale di volta in volta definito come pianta o dotazione, quanto piuttosto come insieme di rapporti di lavoro di varia tipologia (a tempo determinato, indeterminato, part-time, etc.) dinamicamente costituiti con l’amministrazione comunale in un dato momento storico, a prescindere quindi da un corrispondente posto formalmente definito in un atto assimilabile alla dotazione organica.
Sarebbe compito di una nuova generazione di Giuslavoristi provvedere a riconfigurare un simile fenomeno giuridico-organizzativo nell’ambito di modelli contrattuali che offrano garanzie di tutela per il pubblico lavoratore e rispondano ad esigenze di piena flessibilità fra pubbliche amministrazioni ed all’interno di queste.
4. Cenni sul Regolamento sull’organizzazione degli uffici e servizi ed i soggetti della programmazione.
Da quanto finora assunto in tema di strumenti della programmazione ed in particolare relativamente ai processi di ristrutturazione e rideterminazione della dotazione organica, emerge con chiarezza come i margini di autonomia dell’ente locale nell’attribuzione di contenuti e nella definizione delle stesse modalità strutturali degli stessi, debbano essere esplicitati e definiti in un atto di autoregolazione che consenta fra l’altro, con disposizione di livello regolamentare, ai direttori del personale dell’ente, di porre in essere in una cornice di legittimità ed autonomia, i propri atti di organizzazione, nella specie rilevando i fabbisogni e le esigenze dell’ente; valutando e distribuendo le risorse finanziarie dando vita ad uno specifico budget per l’acquisizione di nuove risorse umane; redigendo e proponendo alla giunta le proposte per i piani del fabbisogno triennale (ed annuale, ove a questa incombenza non provvedano in via diretta ) di personale; dando inizio alle procedure di selezione di nuovo personale, previa attivazione delle procedure di mobilità; et similia.
In tal senso l’art. 89 del Tuel testualmente cita:
“..1. Gli enti locali disciplinano, con propri regolamenti, in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo princìpi di professionalità e responsabilità.
2. La potestà regolamentare degli enti locali si esercita, tenendo conto di quanto demandato alla contrattazione collettiva nazionale, nelle seguenti materie:
a) responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative;
b) organi, uffici, modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
c) princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;
d) procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
e) ruoli, dotazioni organiche e loro consistenza complessiva;
f) garanzia della libertà di insegnamento ed autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca;
g) disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra impiego nelle pubbliche amministrazioni ed altre attività e casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici.
3. I regolamenti di cui al comma 1, nella definizione delle procedure per le assunzioni, fanno riferimento ai princìpi fissati dall’articolo 36 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni.
4. In mancanza di disciplina regolamentare sull’ordinamento degli uffici e dei servizi o per la parte non disciplinata dalla stessa, si applica la procedura di reclutamento prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487.
5. Gli enti locali, nel rispetto dei princìpi fissati dal presente testo unico, provvedono alla rideterminazione delle proprie dotazioni organiche, nonché all’organizzazione e gestione del personale nell’ambito della propria autonomia normativa ed organizzativa con i soli limiti derivanti dalle proprie capacità di bilancio e dalle esigenze di esercizio delle funzioni, dei servizi e dei compiti loro attribuiti. Restano salve le disposizioni dettate dalla normativa concernente gli enti locali dissestati e strutturalmente deficitarii.
6. Nell’ ambito delle leggi, nonché dei regolamenti di cui al comma 1, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dai soggetti preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”
Dunque, se come si è visto in precedenza spetta alla giunta l’intera attività di programmazione strategica mediante atti di macro-organizzazione, quali l’emanazione del Regolamento sull’organizzazione degli uffici e dei servizi, la rideterminazione delle dotazioni organiche (in termini solo numerici o anche per profili) e la programmazione del fabbisogno del personale (solo triennale o anche, in un’ottica più tradizionale, quella annuale); la concreta gestione delle risorse umane e, nell’ipotesi meno diffusa ma sicuramente più coerente con lo spirito del sistema, anche la programmazione annuale del fabbisogno di personale e la gestione pienamente flessibile della dotazione organica il più possibile “per categorie”, oltre alle attività precedentemente indicate (attività di budgeting per l’acquisizione di nuove risorse umane; attività di proposta per i piani del fabbisogno triennale – ed annuale, ove a questa incombenza non provvedano in via diretta – di personale; attivazione delle procedure di selezione di nuovo personale, previo ricorso alle procedure di mobilità, etc), saranno di competenza della dirigenza.
5. Programmazione delle assunzioni e flessibilità
a) la flessibilità…indotta e la flessibilità “volontaria”: programmazione delle assunzioni e strumenti alternativi
Si è giàvisto in altre parti del presente lavoro come una gestione attenta e flessibile delle risorse umane consenta di determinare, più o meno “volontariamente” – sulla base cioè di imposizioni normative di ordine nazionale o in piena autonomia – le modalità, in termini di acquisizione e gestione delle risorse umane, con cui procedere allo svolgimento delle funzioni di cui l’ente locale è depositario.
D’altra parte le rideterminazioni in riduzione delle dotazioni organiche adottate negli ultimi anni derivano come è noto sostanzialmente dalle modifiche intervenute nel settore pubblico che comportano un mutamento sostanziale dei fabbisogni degli enti.
L’analisi, infatti, deve tener presente che gli investimenti in innovazione tecnologica, il trasferimento di competenze e l’esternalizzazione di attività non possono non avere effetti sulle programmazioni dei fabbisogni in termini di riduzione delle dotazioni organiche e di aggiornamento dei profili professionali.
In base agli elementi emersi in sede di programmazione le amministrazioni possono determinare le dotazioni organiche quale presupposto necessario ed indispensabile per pianificare un’efficace politica del personale.
Infatti il ricorso ai più importanti strumenti gestionali relativi al personale, quali ad esempio le procedure di reclutamento, di mobilità e di progressione verticale ed orizzontale, impongono quasi sempre la presenza di una “vacanza” nelle previsioni della dotazione organica dell’amministrazione, o quantomeno una concreta e verificabile lacuna di professionalità e di profili professionali da colmare, con il riconoscimento in sede di valutazione del merito acquisito e delle eccellenze personali, mediante la “crescita” economica e professionale della risorsa umana interna.
In considerazione di tale ruolo strategico assunto dalla determinazione delle dotazioni organiche l’articolo 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 ne ha dettato una disciplina puntuale e stringente.
Inoltre, in questi ultimi anni il legislatore è intervenuto ad imporre un taglio delle stesse quale contromisura ai comportamenti non efficienti e al fine di adeguarli alle reali esigenze ed agli attuali compiti delle amministrazioni.
Al riguardo si aggiunga che l’articolo 11 del decreto legge n. 4 del 2006 è intervenuto a modificare l’articolo 6 del decreto legislativo citato, inserendo un periodo al comma 1. La novella prevede che le pubbliche amministrazioni, nell’individuare le dotazioni organiche, non possono determinare situazioni di soprannumerarietà di personale, anche temporanea, sia per quanto concerne le aree funzionali che le posizioni dirigenziali.
La disposizione deve essere letta nell’ottica del miglioramento organizzativo. L’intento del legislatore risulta, infatti, quello di imporre una chiarezza effettiva sulle reali dotazioni organiche, impedendo, da un lato, situazioni di incertezza per i dipendenti coinvolti, e, dall’altro, costringendo le amministrazioni a definire precisamente la consistenza delle risorse umane necessarie con le quali fare fronte ai compiti di istituto.
Non si dimentichi, con riferimento al tema di una flessibilità…indotta, che il comma 93 dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004, recepito per le regioni e gli enti locali con i DDPCM 15 febbraio 2006, e tuttora – non lo si dimentichi – vigente anche a fronte della legge Finanziaria per il 2007, ha previsto che per rideterminare le dotazioni organiche le amministrazioni adottino misure di razionalizzazione e riorganizzazione degli uffici mirate ad una razionale riallocazione del personale ed alla ottimizzazione dei compiti direttamente connessi con le attività istituzionali.
D’altra parte le amministrazioni regionali e gli enti locali, nonché gli enti del servizio sanitario nazionale non dovranno più, in tale sede, considerare le previsioni di cui al comma 198 della legge n. 266 del 2005, relativo alla riduzione delle spese di personale, e rivedere i fabbisogni dal punto di vista quantitativo e qualitativo, ma non v’è dubbio che l’eliminazione del vincolo normativo da parte del nuovo legislatore non elimini l’esigenza sostanziale che ne era alla base, né appare contrario agli interessi dell’intero mondo delle Autonomie locali un oculato e discrezionale esercizio della corrispondente facoltà.
Più in generale la pianificazione delle attività di provvista di personale deve essere il risultato di un’analisi volta ad individuare il carattere permanente o temporaneo delle esigenze.
Il legislatore ha, infatti, disegnato in maniera puntuale il percorso organizzativo e gli strumenti per una migliore gestione degli apparati, ancorando gli strumenti gestionali alle diverse esigenze dell’amministrazione, nel rispetto delle cause tipiche dei singoli contratti, della contrattazione collettiva e delle leggi sul mercato del lavoro.
Le amministrazioni, inoltre, possono ricorrere a forme contrattuali atipiche, i cui presupposti devono essere attentamente valutati, che possono essere utilizzate per fronteggiare esigenze diverse.
Le esigenze permanenti possono essere soddisfatte con vari strumenti quali la mobilità ed il reclutamento di personale con contratto a tempo indeterminato o di formazione lavoro.
Esigenze di tipo temporaneo potranno suggerire al dirigente ed all’amministratore impegnato nella programmazione delle assunzioni, di ricorrere a contratti a tempo determinato o a specifiche collaborazioni professionali e, se ricorrenti nel tempo, stimoleranno il ricorso a strumenti più sofisticati come il lavoro interinale; esigenze qualitativamente permanenti porteranno piuttosto ad optare per tipologie contrattuali ricollegabili a forme maggiori di stabilità lavorativa, eventualmente mitigata da istituti come il part-time.
Ma almeno due istituti dovranno essere sicuramente tenuti presenti da chi si accinge a programmare nuove assunzioni: si tratta della mobilità e delle progressioni verticali.
Di queste ultime e della equiparazione ad ogni fine di legge alle nuove assunzioni -con le modalità ed i limiti desunti in via ermeneutica dalla dottrina e dagli operatori a seguito dell’emanazione del noto parere del Consiglio di Stato e delle circolari del ministero della funzione pubblica che di tali progressioni si sono occupate – si è già detto in altra parte del presente lavoro: basterà evidenziare come per l’ente locale la crescita professionale di una risorsa interna costituisca una inevitabile ed evidente priorità e pertanto nella programmazione delle assunzioni di nuovo personale sarà bene tenerne conto in adeguata misura….
La mobilità d’altro canto è uno dei più importanti strumenti per la corretta gestione delle risorse umane. Essa consente di perseguire una migliore distribuzione organizzativa del personale nell’ambito della pubblica amministrazione globalmente intesa, di gestire le eccedenze di personale e di consentire lo scambio delle differenti professionalità.
L’ordinamento ammette due tipologie di mobilità.
La prima prevede la possibilità per le amministrazioni di ricoprire i posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti in servizio presso altra amministrazione, che facciano domanda di trasferimento (articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001).
La seconda è diretta a tutelare la conservazione del posto di lavoro di quei dipendenti che si trovino in posizione di eccedenza presso l’amministrazione di appartenenza a causa, ad esempio, di processi di riorganizzazione (articoli 33, 34 e 34 bis del TUPI).
E’ necessario sottolineare che l’istituto della mobilità è dal legislatore preferito rispetto alle ordinarie misure di reclutamento. Infatti, per quanto attiene la mobilità volontaria, l’articolo 30, comma 2, come integrato dalla legge 28 novembre 2005, n. 246, dispone la nullità degli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale.
Per la mobilità d’ufficio, inoltre, il comma 5 dell’articolo 34 bis sancisce che le assunzioni effettuate in violazione del previo esperimento delle procedure di mobilità sono nulle di diritto.
Tale principio è stato ulteriormente ribadito dall’articolo 9 del decreto legge n. 4 del 2006, come convertito, che ha previsto l’istituzione di una banca dati informatica, ad adesione volontaria, finalizzata all’incontro fra domanda e offerta di mobilità, da tenersi presso il Dipartimento della funzione pubblica con l’intento di agevolare la mobilità volontaria dei pubblici dipendenti.
Relativamente alla mobilità d’ufficio la già menzionata modifica dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001, prevede che ai fini della mobilità collettiva le amministrazioni effettuino annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica o profilo professionale.
Con tale disposizione appare chiara l’intenzione del legislatore di dare più celere attuazione a tutte le disposizioni in tema di mobilità, in quanto l’amministrazione ricevente effettua un monitoraggio periodico delle vacanze per ogni singola sede e profilo o.10 qualifica, agevolando così anche le attività svolte dalle strutture preposte a gestire le liste del personale in disponibilità.
Da ultimo appare utile svolgere alcune considerazioni in ordine all’efficacia del principio del previo esperimento delle procedure di mobilità rispetto al reclutamento di personale tramite l’avvio di processi di progressione verticale.
Il problema si pone relativamente alla qualificazione della progressione verticale in termini di nuova assunzione.
Al riguardo è necessario sottolineare che per quanto concerne i passaggi di area il Consiglio di Stato, Commissione speciale pubblico impiego, nel parere del 9 novembre 2005, ha avuto modo di affermare che rientrano “…nel blocco delle assunzioni anche le progressioni verticali da un’area ad un’altra, poiché, anche in tal caso, si verifica una novazione del rapporto di lavoro, in quanto si tratta di accesso a funzioni più elevate, qualsiasi sia il nomen della posizione funzionale attribuita dalla contrattazione collettiva, che può divergere da contratto a contratto.”
Tale costante giurisprudenza non ignora comunque che la decisione,correttamente assunta, di avviare procedure di progressione professionale nasce da un’attenta analisi organizzativa che l’amministrazione deve compiere in sede di programmazione triennale dei fabbisogni verificando anche l’esistenza, al proprio interno, di professionalità utili. E’ in tale sede, infatti, che si devono valutare i percorsi per una razionale riallocazione del personale ed ottimizzazione dei compiti direttamente connessi con le attività istituzionali e dei servizi da rendere all’utenza, con eventuale riduzione del personale impiegato in compiti logistico strumentali e di supporto (si veda l’articolo 1, comma 93, della legge n. 311 del 2004).
Nei processi di riconversione del personale trova ampio spazio la possibilità di valorizzare le professionalità interne che meglio rispondono al fabbisogno dell’ente, così costituendo una valida alternativa, anche in termini di acquisizione di competenze specifiche e di costi, al reclutamento dall’esterno.
In questa ottica è lo stesso Ministero della Funzione Pubblica a suggerire che non trovi applicazione alle procedure di progressione verticale l’art. 34bis ed il principio del previo esperimento della mobilità, in quanto le medesime costituiscono una diretta e più favorevole conseguenza di una precisa scelta organizzativa assunta in sede di programmazione triennale dei fabbisogni.
Per le esigenze di carattere permanente le amministrazioni possono naturalmente procedere al reclutamento di personale a tempo indeterminato, i cui principi sono stabiliti dall’articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
In particolare il comma 4 dell’articolo citato prevede che le determinazioni per l’avvio di procedure di reclutamento sono adottate, come si è visto, sulla base della programmazione triennale dei fabbisogni.
b) cenni sulla programmazione delle procedure selettive e concorsuali;
Appena un cenno infine sulla necessità che in sede di programmazione delle assunzioni si tenga adeguatamente conto delle tipologie di procedura selettiva e/o concorsuale da adottare.
E’ evidente infatti che una volta che si sia deciso di acquisire nuove risorse umane scartando tutti gli strumenti alternativi offerti dall’ordinamento; si sia adempiuto infruttuosamente agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in tema di mobilità; e non si intenda procedere con i meccanismi di scorrimento delle liste di collocamento; è necessario avere ben chiaro come procedere alla selezione e quali siano le conseguenze di una scelta piuttosto che di un’altra.
Tali scelte investono di fatto quanto meno il profilo della durata temporale della selezione medesima e rilevano al fine della programmazione delle assunzioni e più generale del fabbisogno di personale al fine di poter fra l’altro collocare esattamente in termini cronologici i maggiori oneri a carico dei bilanci dell’ente; ma ad essere investito è anche il profilo della tipologia di personale da selezionare dal momento che le diverse metodologie di selezione, individuali o di gruppo, mediante colloqui liberi o strutturati, test, prove tecniche, ordinarie prove concorsuali abbinate a prove orali, la valutazione dei curricula, et similia, devono essere calibrate sulla tipologia di risorsa umana che si intende selezionare.
Non si dimentichi inoltre che l’ente locale, nella propria autonomia e previa indicazione nel regolamento sull’organizzazione degli uffici e dei servizi, potrà procedere alla esternalizzazione dei procedimenti concorsuali o solo di alcune fasi degli stessi, fermo restando che in sede di programmazione delle assunzioni andrà valutata la convenienza di tale procedura in termini economici ed in termini di effettiva necessità.
c) i vincoli nei confronti delle Oo.ss.
In termini di flessibilità ed autonomia degli enti locali nelle scelte di gestione delle risorse umane si ricorda inoltre come nell’ambito del sistema delle relazioni sindacali l’intera materia della programmazione del fabbisogno di personale e delle assunzioni sia sottoposta a mera consultazione con riferimento alla ridefinizione della dotazione organica ed a concertazione relativamente alla definizione dei piani triennali ed annuali del fabbisogno: i vincoli all’autonomia degli enti locali da parte delle oo.ss. appaiono pertanto in materia di programmazione delle assunzioni piuttosto limitati, anche se la propensione dei dirigenti e degli amministratori locali a fruire di tali ampi margini di autonomia appare limitata da una prospettiva a volte eccessivamente “concertativa”.
6. Conclusioni
Sia sul piano operativo dei fabbisogni dell’ente che su quello contabile-finanziario emerge con chiarezza la rilevanza e la centralità della programmazione delle assunzioni nell’ambito delle politiche di gestione del personale dell’ente locale: d’altra parte si tratta di immettere in termini duraturi e stabili nella struttura dell’ente nuove risorse umane, con tutte le conseguenza in termini di costi, assistenza, prestazioni attese ed effettivamente rese, problematiche di ordine sindacale etc.
Forse i termini della programmazione delle assunzioni dovrebbero essere spostati con maggiore decisione dal dato quantitativo-numerico a quello qualitativo-prestazionale, ma è evidente che sia il dato economico a risultare prevalente per urgenza ed immediatezza in una temperie storica che vede anche gli enti locali partecipare alle esigenze del contenimento delle spese in materia di personale.
Viene da chiedersi tuttavia quanto effettivamente “pesi” il meccanismo fin qui esaminato sulle esigue strutture di piccoli enti spesso composti da due o tre dipendenti in organico, che si trovino ad esempio di fronte alla necessità di sostituire un dipendente andato in pensione, presentando in bilancio spese di personale estremamente rigide, ed abbiano la cruciale necessità di non “sbagliare” in alcun modo l’acquisizione della risorsa umana sostitutiva; in tale ottica, ad esempio, emerge l’eccessiva gravosità di un’applicazione obbligatoria dei meccanismi di mobilità ai micro-enti così descritti.
D’altra parte la lettura della Legge Finanziaria per il 2007 non sembra suggerire su questo versante soluzioni mirate per esempio ad un recupero di efficienza e competitività delle piccole strutture organizzative locali: al contrario come si è visto, le previsioni in tema di stabilizzazione dei lavoratori precari su base locale parlano il linguaggio di una politica delle assunzioni di stampo assistenziale improntata alla sanatoria di precedenti tentativi di creazione di “cattivo” lavoro, peraltro ex post disconosciuti in parte dagli stesi artefici…
Di certo la promessa, desumibile dalle precedenti finanziarie, di un ritorno alla sostanziale autonomia nella gestione delle assunzioni di personale per gli enti locali a partire dal 2008, ha per adesso trovato una concreta conferma nella recente Finanziaria per il 2007, e “dell’alleggerimento” complessivo dei vincoli gli ee.ll. hanno indubbiamente beneficiato fin da subito: non è poco se si pensa che ove si fosse dovuto prendere il decreto “Bersani” del 2006 come un segnale per gli ee.ll., i presagi non avrebbero parlato affatto il linguaggio dell’autonomia e della flessibilità…
Avv. Alfredo Assisi
Segretario Generale dei Comuni di Colli sul Velino, Labro e Morro Reatino (RI)
[1] In tal senso si veda da ultimo la Circ. 2 maggio 2006 n. 3 dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica: “…Al fine di prevenire disfunzioni ed un cattivo utilizzo delle risorse umane in servizio, nonché una errata utilizzazione delle diverse tipologie contrattuali di lavoro,è necessario adottare, in un’ottica non solo formale ma di attenta gestione, i documenti di programmazione sul personale quali la programmazione triennale dei fabbisogni – prevista dall’articolo 39 della legge n. 449 del 1997 e dall’articolo 91 del decreto legislativo n. 267 del 2000, per gli enti locali – e le dotazioni organiche. Spesso sprechi e illegittimità nascono da un’adozione superficiale di questi documenti che costituiscono invece gli atti di impostazione per una sana gestione del personale”.
[2] Secondo L. Tamassia “..l’attività di programmazione del fabbisogno, dal punto di vista strettamente quantitativo, è dunque correlata alle disponibilità di bilancio dell’Ente e improntata ai principi di contenimento degli organici e della spesa programmata per il personale, che..l’art. 39, L. n. 449/97, pone quale criterio di riferimento anche per l’attività di programmazione delle assunzioni degli enti locali". In: Gestione del Personale degli Enti locali, a cura di L.Tamassia, prima edizione, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2004 , pag.441.
[3] si ricordi in tal senso la sentenza della corte costituzionale n. 390 del 17 dicembre 2004 con cui la Consulta provvedeva a espungere mediante dichiarazione di illegittimità costituzionale alcune norme delle finanziarie per il 2003 ed il 2004 in cui l’autonomia degli Enti locali nella programmazione delle assunzioni veniva illegittimamente limitata dall’indicazione di limiti percentuali cogenti di turn-over (50%) rispetto al 2002, nel cui ambito massimo potevano effettuarsi le assunzioni di nuovo personale.
[4] Parere relativo alle progressioni verticali, in sintesi parificate de facto alle nuove assunzioni – quantomeno con riferimento a quelle fra categorie diverse e non relative ai passaggi infracategoriali B2/B3 e D2/D3 – e pertanto ritenute come ricadenti nel “blocco delle assunzioni di cui all’art. 1, comma 95 della legge n. 311/2004”
[5] Il parere del Ministero in combinato disposto con la nota della funzione pubblica avvalorano e di fatto ratificano la tesi dell’Anci che aveva fin dall’emanazione del DPCM individuato il criterio del computo per costo e non per teste delle assunzioni dall’esterno e delle progressioni verticali. Così M. Mordenti, DPCM assunzioni: si al computo per costo, in Pubblico Impiego, luglio/agosto 2006, pag 34, editrice Il Sole 24 ore.
[6] Sulla parziale (solo per gli enti soggetti al Patto di Stabilità) disapplicazione di tale comma prevista dalla Legge Finanziaria per il 2007, e sui problemi interpretativi da questa determinati, si veda più oltre al par. 3 lett. C) del presente capitolo.
[7] Con la Legge Finanziaria per il 2007 questa fascia di Comuni scompare completamente, considerando che i commi dal 557 al 562 fanno cenno unicamente ai comuni soggetti (quelli con più di 5000 abitanti) o non sottoposti (quelli con meno di 5000 abitanti) alle regole del Patto di stabilità interno: anche per i Comuni con popolazione compresa tra i 2.000 e i 5.000 abitanti, pertanto, la Finanziaria 2007 propone novità di rilievo, pur non facendone cenno ed anzi proprio per questo, con evidenti ripercussioni in termini di maggiore autonomia e responsabilità nelle scelte per i dirigenti e gli amministratori.
[8] Così Enti Locali 2005 Personale, a cura di Di Cocco, Ruffini, Soloperto, cap. 1, “Accesso all’impiego”, editrice Ipsoa.
[9] Cosi M. Mordenti in “DPCM Assunzioni: più vincoli al personale degli Enti Locali”, Pubblico Impiego, Aprile 2006, ed. Il Sole 24 ore, con ampie osservazioni nel merito ed in dottrina.
[10] Arturo Bianco, in Divieto di assumere per chi non riduce la spesa, Pubblico Impiego, settembre 2006, ed. Il Sole 24 ore. L’autore ricorda inoltre come la concreta applicazione della sanzione sia subordinata all’istituzione di un apposito tavolo tecnico da istituire ed attivare entro il 30 settembre 2006, e che nel divieto di nuove assunzioni sono comprese anche quelle a tempo determinato.
[11] Non si dimentichi infatti quanto già detto nel precedente paragrafo circa le previsioni del decreto legge, poi convertito, n. 223/06, c.d. “primo” decreto Bersani, relative alla definizione in termini di assoluto divieto di assumere nuovo personale della sanzione, non prevista de facto nell’art. 1 comma 198 della L. n. 266/2005, per gli enti che non avessero rispettato il taglio obbligatorio dell’1% rispetto al 2004 delle spese di personale per il triennio 2006/2008: norma di per sé estremamente rigorosa e coerente ed in questo condivisibile ed opportuna, ma tesa ad irrigidire e rendere più gravosa per i dirigenti e gli amministratori degli EELL, l’ottemperanza ad una disposizione, quella del comma 198, sostanzialmente iniqua ed ingiusta per la sua diretta ed indiscriminata applicabilità a tutti gli enti locali, fossero essi “virtuosi” o meno, di dimensioni più o meno grandi, soggetti o meno al Patto di stabilità.
[12] Si ricordi che per procedere all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute “nel precedente anno” (…il Legislatore si riferisce solo al 2006 oppure sono comprese anche le cessazioni intervenute nel 2004 e nel 2005 ? I primi commentatori ed il “buon senso” interpretativo inducono a sposare ovviamente la seconda tesi…), gli enti non sottoposti alle regole del patto di stabilità interno dovranno presentare spese di personale previste per il 2007 non superiori al corrispondente ammontare dell’anno 2004.
[13] La mancata abrogazione esplicita ha fatto porre in dottrina il dubbio che il comma 198 resti vigente per il 2008 nella sua interezza e con le sanzioni disposte dal primo decreto Bersani: una simile ricostruzione tuttavia, sia pure giuridicamente sostenibile, sembra francamente irragionevole e poco accettabile…
[14] Arturo Bianco “Personale, regole meno rigide per gli Enti” in Guida agli Enti Locali, n. 3/2007.
[15] In questo senso L. Olivieri, Guida al Pubblico Impiego n. 2 del febbraio 2007, ed. Il Sole 24 ore;
[16] I comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti potranno peraltro godere di incentivazioni per ogni stabilizzazione effettuata di lavoratori socialmente utili, ma queste saranno conteggiate nel tetto delle assunzioni…
[17] Cosi L. Tamassia in “Fabbisogni di personale: il piano annuale e triennale”, Pubblico Impiego, maggio 2005, ed. Il Sole 24 ore
[18] In tal senso ancora L. Tamassia, ibid.
[20] Ancora L. Tamassia in “Fabbisogni di personale: il piano annuale e triennale”, Pubblico Impiego, maggio 2005, ed. Il Sole 24 ore. Le riflessioni dell’autore discendono ovviamente da una concezione notevolmente orientata verso la necessità di una piena manifestazione da parte della classe dirigente locale dei propri poteri di datori di lavoro pubblici, ma c’è da chiedersi se, per carenza di competenza o mancanza di volontà di rischiare, i dirigenti locali siano davvero pronti ad accettare la sfida di una gestione del personale così radicalmente orientata (N.d.A.).
[21] L. Tamassia In: Gestione del Personale degli Enti locali, a cura di L.Tamassia, prima edizione, Edizioni Il Sole 24 Ore, 2004 , pag.474 e ss.
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