Il sistema elettorale italiano ed i modelli di governo

Sgueo Gianluca 02/08/07
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1. Premessa. 2.1 Sistemi elettorali e modelli di governance 2.2 Sistemi elettorali e partecipazione dei privati. 3. L’opportunità dei modelli decisionali non partecipati. 4. Conclusioni
 
1. Premessa[1]
Il sistema elettorale italiano nel 2005 ha subito una profonda trasformazione[1]. L’auspicato abbandono del sistema uninominale maggioritario a favore di un “proporzionale ibrido” non ha garantito però il risultato atteso: una maggiore stabilità dell’esecutivo. Ha ingenerato, al contrario, conseguenze disastrose per la governabilità del Paese, resesi evidenti all’indomani delle elezioni politiche del 2006. Il risultato della consultazione elettorale, favorevole al centro-sinistra, è stato inizialmente contestato dalla coalizione di centro-destra a causa del sostanziale equilibrio dei voti e del clima di incertezza che ne è derivato. Successivamente alla formazione del governo, poi, lo schieramento politico all’opposizione, facendo leva sulle debolezze strutturali dell’esecutivo, ha minato alle radici il rapporto fiduciario di questo con i gruppi di interesse[2], ostacolando, di fatto, l’attuazione del programma elettorale.
La difficile sostenibilità della situazione ha indotto la maggioranza politica (e parte dell’opposizione) a discutere il varo di una riforma elettorale in grado di garantire allo schieramento vincitore delle elezioni le condizioni per la reale governabilità del paese. Contemporaneamente, la creazione di un comitato promotore per un referendum elettorale ha intrapreso la raccolta delle firme necessarie per attivare una consultazione referendaria, conclusa con successo nel luglio 2007.
L’analisi del caso italiano, qui sintetizzato per sommi capi, è propedeutico alle finalità che si propone questa ricerca, articolata in due parti. Nella prima parte si opera una riflessione sui rapporti tra i nuovi modelli di governance ed i sistemi elettorali. In particolare, dimostrata l’influenza dei secondi sui primi, e viceversa, ci si chiede se la scelta di un sistema elettorale, nell’ottica delle politiche di governance, produca conseguenze apprezzabili sul livello di partecipazione dei cittadini.
La seconda parte ragiona sull’opportunità del ricorso a modelli decisionali non partecipati in funzione derivata, complementare o correttiva dei nuovi modelli di governance, alla presenza di un sistema elettorale proporzionale o maggioritario.
 
2.1 Sistemi elettorali e modelli di governance
I modelli teorici sulla governance premettono, in sede di enunciazione dei propri obiettivi, la necessità di superare il modello standard di gestione dell’amministrazione pubblica, ritenuto inadeguato ad offrire soluzioni efficaci ai problemi della collettività[3]. Da una simile, uniforme, premessa discendono postulati diversificati, le cui variabili dipendono dal contesto nel quale si colloca e dallo scopo che intende perseguire la ricerca. Fatte salve, dunque, le differenze proprie di ciascun costrutto teorico, è comune il denominatore riconducibile al ridimensionamento delle strutture pubbliche a presidio dell’azione amministrativa ed il contestuale decentramento dei poteri verso il basso, in funzione accrescitiva dei poteri locali, ovvero la delega verso l’alto, in funzione sussidiaria degli ordinamenti sovranazionali[4].
Simili riforme, il cui disegno è agevole sulla carta, risultano tuttavia particolarmente complesse nella fase attuativa, in pendenza di condizioni sfavorevoli alla loro realizzazione. In particolare, affinchè la destrutturazione del settore pubblico non si riduca a mera opera di restauro stilistico si rendono necessarie, ed anzi imprescindibili, tre condizioni: anzitutto, la concertazione degli attori politici deputati all’ideazione, prima, ed alla realizzazione, dopo, delle riforme; poi, lo spirito di collaborazione da parte delle amministrazioni; infine, la condivisione degli obiettivi da parte della “base”: l’utenza che di quelle riforme è la prima e principale destinataria.
L’influenza che un sistema elettorale è in grado di esercitare su questi tre fattori è variabile. Nel primo caso, al di là dei diversi, e talora opposti, aspetti ideologici che fondano le riforme strutturali (il cui confronto è benvenuto, in quanto anima di un sistema democratico[5]) non è possibile prescindere da un forte spirito di condivisione per garantire il successo delle iniziative che vi si legano. Una condivisione che nasce in due casi: in presenza di una maggioranza numerica salda in Parlamento, tale da contenere le spinte dell’opposizione e favorire lo sviluppo unidirezionale del processo di riforma[6]. Oppure che nasca, diciamo così, in vitro, quale risultato di larghe intese che, in presenza di un comune accordo sui punti fondamentali della realizzanda riforma, consentano di trovare un equilibrio sostenibile e ne garantiscano la realizzazione.
È da dire che, tra le due ipotesi, la seconda è quella che presenta le maggiori difficoltà, soprattutto in quelle democrazie rappresentative – il caso italiano è senz’altro tra queste –  in cui la vita politica è interpretata dai suoi protagonisti secondo la logica dello scontro piuttosto che del dialogo, in cui raramente si perviene alla conclusione di intese a largo raggio[7], considerate rischiose perché labili, legate a contingenze e non sempre in grado di superare lo spettro di una crisi politica. Le condizioni preliminari per la realizzabilità della prima ipotesi risiedono, invece, non tanto nell’abilità politica dell’esecutivo, quanto piuttosto nelle garanzie che offre un sistema elettorale adeguato. In tal senso, la scelta tra un sistema proporzionale ed uno maggioritario diventa decisiva per creare le condizioni favorevoli ad una governabilità stabile e salda, con cui portare a compimento politiche di riforma strutturale ad ampio respiro.
È vero poi, a tale riguardo, che l’influenzabilità delle politiche di governance ad opera dei sistemi elettorali può essere invertita. È dimostrabile cioè che, in seno all’adozione delle politiche decisionali rubricabili come “new models of governance”, vi sia l’interesse ad apportare modifiche al sistema elettorale che garantiscano un tornaconto nel breve periodo (in sede elettorale) e nel lungo periodo (in sede, appunto, di attuazione delle riforme). Il caso italiano, in tal senso, è illuminante. Il governo Berlusconi, nel 2005, varò una riforma elettorale le cui finalità (di breve periodo) erano volte a consentire una vittoria alle consultazioni elettorali ormai prossime. La successiva governabilità sarebbe stata assicurata, nelle intenzioni, dalla presenza di una maggioranza altrettanto forte di quella che aveva caratterizzato la legislatura. L’inaspettata vittoria del centro-sinistra, favorita proprio dalla nuova legge elettorale, ha determinato (nel medio periodo) effetti contrari a quelli attesi. Tuttavia, l’estrema frammentarietà della maggioranza, frutto dell’anima proporzionale della riforma, ed il clima ostruzionistico dell’opposizione prospettano (nel lungo periodo) problemi di governabilità difficilmente superabili. Questo conferma sia le conseguenze che una legge elettorale può produrre sull’attuazione delle politiche di governance, sia, soprattutto, l’aspetto speculare: l’intenzione cioè delle forze politiche, per il tramite dell’attuazione di riforme di governance, di intervenire, modificandolo, il sistema elettorale[8].
A differenza del caso precedente, la connesione tra il sistema elettorale vigente e lo spirito di partecipazione delle amministrazioni alle riforme appare molto meno significativa, ed anzi trascurabile. Benchè, infatti, sia innegabile che la collocazione ai vertici delle pubbliche amministrazioni di una dirigenza che possa garantire il successo attuativo delle riforme sia il frutto delle scelte di governo (e dunque, ancora una volta, dipenda dalla solidità di questo) non necessariamente un Esecutivo nato a seguito di consultazioni elettorali maggioritarie è in grado di indirizzare le pubbliche amministrazioni nella direzione a sé più favorevole, e viceversa. Ad esempio, per quanto riguarda l’Italia, il governo Berlusconi (1991 – 2006), pur forte di una salda maggioranza parlamentare, non fu in grado di assicurarsi il controllo delle amministrazioni regionali e locali, perdendo consensi proprio nelle consultazioni elettorali a livello locale.
 
2.2 Sistemi elettorali e partecipazione dei privati
Un discorso a parte merita, infine, la base elettorale. In questo caso valgono, ma in senso invertito, le medesime considerazioni svolte a proposito del livello politico. Infatti, mentre nella logica propria di un sistema maggioritario il voto è “forzosamente” veicolato verso un numero ridotto di schieramenti politici che, a loro volta, assumono posizioni di ampio raggio, tali da consentire l’immedesimazione tra il maggior numero di elettori (ed il loro potere di scelta) ed il partito, in un sistema a matrice proporzionale, invece, si legittima la sopravvivenza di schieramenti politici di piccole dimensioni a difesa di interessi settoriali più o meno estesi. Ebbene, a differenza del caso precedente, qui sembrerebbe preferibile l’adozione di un sistema elettorale non maggioritario poiché, teoricamente, una politica di riforma varata da un Parlamento eletto su base proporzionale si presta a garantire un più elevato livello di rappresentatività.
Tale affermazione di principio, veritiera fintanto che considerata astrattamente, avulsa cioè dalle logiche che presiedono al funzionamento di un sistema democratico, necessita di qualche approfondimento. In via preliminare, va detto che la percezione che i singoli hanno del livello di rappresentatività loro garantito non consegue necessariamente ad una coscienza critica delle implicazioni prodotte dal sistema elettorale vigente[9]. Per meglio dire, il singolo misura il peso della propria influenza sulle decisioni pubbliche attraverso aspetti più concreti, legati al rapporto quotidiano con le istituzioni[10]. Ad esempio, dalla percezione della possibilità di opporsi alle decisioni delle amministrazioni, che sono il più diretto interlocutore dei suoi bisogni. Sono dunque le strutture amministrative e le procedure di loro competenza che consentono (o impediscono, dipende dalle circostanze) ai portatori di interessi di sviluppare una coscienza partecipativa alla vita pubblica, o piuttosto percepire la propria posizione passivamente[11].
Come abbiamo già spiegato, inoltre, le strutture amministrative rivestono un ruolo decisivo nell’attuazione delle riforme, pur non derivando in capo ad esse (se non indirettamente) alcuna apprezzabile conseguenza dal sistema elettorale vigente. È possibile sostenere allora che un sistema politico coeso, o, viceversa, frammentato, prodotti dal sistema elettorale vigente, sono in grado di indirizzare le amministrazioni con maggiore o minore successo, accrescendo o diminuendo la partecipazione dei cittadini, quantitativamente e qualitativamente. Questo è appunto il caso italiano, in cui le principali riforme amministrative sono state realizzare nel corso degli anni ’90 del secolo scorso, in presenza di condizioni favorevoli al loro successo.
 
3. L’opportunità dei  modelli decisionali non partecipati
Finora abbiamo dato per scontata la circostanza che le politiche pubbliche di riforma debbano tenere in considerazione l’opinione dei privati, ignorando l’utilizzabilità di modelli decisionali non partecipati, nelle tre funzioni che si possono loro riconoscere: derivata, complementare o correttiva.
In generale, è da premettere che l’utilizzo di simili modelli decisionali andrebbe scongiurato. La riduzione del livello di democraticità che ne deriva rischia infatti di annullarne i vantaggi in termini di rapidità nel raggiungimento dei risultati[12]. Inoltre, con essi, si riduce il livello di condivisione delle riforme; si aumenta il contenzioso in sede di attuazione e si soffrono ripercussioni negative sul gradimento dell’opinione pubblica.
In alcuni casi tuttavia l’utilizzabilità di simili strumenti può costituire una derivazione naturale delle politiche di governance, pur se tendenzialmente partecipate. Una simile ipotesi si verifica in presenza di un sistema elettorale maggioritario, in cui operi un esecutivo appoggiato da una maggioranza parlamentare solida. In questi casi il ricorso a procedure non partecipare può essere uno strumento naturale per accellerare ulteriormente i tempi delle riforme e attenuarne le conseguenze negative[13].
Il nuovo sistema elettorale italiano invece, essendo a matrice proporzionale, crea maggiori problemi di governabilità. Si è detto che il principale ostacolo all’attuazione delle politiche di governance è, in questi casi, la presenza di un numero eccessivo di attori, e di interessi, cui dare ascolto. Le soluzioni al problema sono due: la modifica del sistema elettorale, le cui procedure sono però lunghe ed osteggiate dai piccoli partiti, che hanno interesse al permanere di un sistema elettorale loro favorevole[14]; oppure, il ricorso a processi decisionali non partecipati. Con essi si possono perseguire due finalità: correttiva o complementare. Nel primo caso, le procedure decisionali hanno lo scopo di introdurre riforme di impatto (soprattutto mediatico[15]) in tempi brevi. Per questo si dice che correggono le disfunzioni connaturate ad una maggioranza parlamentare debole. Nel secondo caso, il presupposto è il medesimo, ma cambiano i mezzi: le procedure non partecipare costituiscono una forma di bilanciamento alle ipotesi di partecipazione, funzionale alla riduzione dei tempi e dei costi procedurali[16].
 
4. Conclusioni
L’interpretazione offerta agli avvenimenti occorsi in Italia tra il 2005 ed il 2006 e sinteticamente riassunti nelle pagine precedenti, vuole offrire una chiave di lettura a margine delle riflessioni teoriche sui new models of governance. La pretesa non è quella dell’esaustività ma, piuttosto, della concretezza. Lo studio del legame tra sistemi elettorali e politiche di governance, e delle implicazioni che comporta, può essere approfondito sotto altri aspetti che ragioni di spazio hanno impedito di affrontare in queste pagine.
Ciò premesso, è chiaro che non si può, se non al costo di odiose forzature, operare un giudizio di merito su quale sistema elettorale sia preferibile adottare per garantire la migliore realizzazione degli obiettivi dei nuovi modelli di governance. Né, del resto, un singolo caso di studio sarebbe sufficiente per trarre conclusioni adeguate.
L’impressione è che una legge elettorale adeguata possa favorire le forze politiche, consegnando loro un Parlamento governabile, ma anche la collettività, consentendo l’ingresso degli interessi di settore nelle valutazioni programmatiche e nell’attuazione delle politiche di riforma[17]. Si tratta, semmai, di inserire nell’agenda dei lavori una riflessione approfondita su cosa debba intendersi per legge elettorale adeguata[18].
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


[1] Il presente articolo è il frutto di alcune riflessioni critiche svolte in occasione di una ricerca sui modelli di governance nel confronto tra vecchi e nuovi Stati membri dell’Unione europea. Qui presento la bozza iniziale dei lavori, corredata delle opportune correzioni, mentre la versione finale è in lingua inglese. Questo spiega anche il perché la bibliografia utilizzata sia interamente in inglese.


 
Notes
 
[1] For a general argument upon italian electoral changes and new models of governance applicaton see Shin M.E., Agnew J., “The geographical dynamics of italian electoral change, 1987-2001”, Electoral studies, Vol. 26 (2), pp. 287-302; Ferrara F., “Two in one: party competition in the italian single ballot mixed system”, Electoral studies, Vol. 25 (2), pp. 329-350; Borghi V., Van Berkel R., “New modes of governance in italy and the netherlands: the case of activation policies”, Public administration. An international quarterly, Vol. 85 (1), pp. 83-101
2 Interest group are a major channel through wich citizens can express their opinions to decision-makers. Their participation in policymakingmay improve decision-making processes by supporting policies that are in line with citizens preferences and blocking policies that solely reflect the interest of governing state. This subject is developed more fully in Dur A., De Bievre D., “The question of interest group influence”, Journal of public policy, Vol. 27 (1), pp. 1-12; HAlpin R.H., “The participatory and democratic potential and practice of interest groups: between solidarity and representation”, Public administration. An international quarterly, Vol. 84 (4), pp. 919-940
3 Mostly Caporaso J.A., Wittenbrinck J., “The new models of governance and political authority in Europe”, Journal of european public policy, Vol. 13 (4), pp. 471-480; Treib O., Bahr H., Falkner G., “Models of governance: towards conceptual clarification”, Journal of european public policy, Vol. 14 (1), pp. 1-20
4 Scholars examining the impact of EU on national parliamentshave concluded that integration undermines domestic legislatures. See Duina F., Raunio T., “The open method of co-ordination and national parliaments: further marginalization or new opportunities?”, Journal of european public policy, Vol. 14 (4), pp. 489-506
5 for a research over the ideology debate see Russell D.J., “Social modernization and the end of ideology debate: patterns of ideological polarization”, Japanese journal of political science, Vol. 7 (1), 1-22; Smirnov O., Fowler J.H., “Policy motivated parties in dynamic political competition”, Journal of theoretical politics, Vol. 19 (1), pp. 9-32
6 An ideal strong political party has two components: legislative discipline and programmatic platforms. See Carey J., Reynolds A., “Parties and accountable government in new democracies”, Party politics, Vol. 13 (2), pp. 255-274
7 For a confrontation with english-speaking countries see Hay C., “What’s globalization got to do with it? Economic interdependence and the future of european welfare states”, Government and opposition, Vol. 41 (1), pp. 1-22
8 For a comprehensive study on the relation between legislation and political parties see Karvonen L., “Legislation on political paries”, Party politics, Vol. 13 (4), pp. 437-455
9 For a general argument to this subject see Thompson N., Bell D., “Articulating political knowledge in deliberation”, Contemporary politics, Vol. 12 (3-4), pp. 287-300; Edwards J., “Equal power to the people?”, Contemporary politics, Vol. 12 (3-4), pp. 321-331
10 For a study of the role of knowledge of political system as an explanatory variable of voting choice see Bellucci P., “Tracing the cognitive and affective roots of party competenze: Italy and Britain, 2001”, Electoral studies, Vol. 25 (3), pp. 548-569; Budge I., McDonald M.D., “Election and party system effects on policy representation: bringing time into a comparative perspective”, Electoral studies, Vol. 26 (1), pp. 168-179
11 The phenomenon has been called “street level bureaucracy”. See Hupe P., Hill M., “Street-level bureaucracy and public accountability”, Public administration. An international quarterly, Vol. 85 (2), pp. 279-299; for a general view about the ability of bureaucracy to represent minority clients see also Hong-Hai L., “Representative bureaucracy: rethinking substantive effects and active representation”, Public administration review, Vol. 66 (2), pp. 193-204; Yang K., “Citizen involvement efforts and bureaucratic responsiveness: participatory values, stakeholder pressures, and administrative praticality, Public administration review, Vol. 67 (2), pp. 249-264
12 The notion of what democratic legitimacy requires is not very clear, and especially how it can be achieved when applied to politics and policy-making beyond the nation state. For details, Papadopulos Y., BEnz A. (2006), “Governance and democracy. Comparing national, european and international experiences, London: Routledge; See also Elstub S., “A double-edged sword: the increasing diversity of deliberative democracy”, Contemporary politics, Vol. 12 (3-4), pp. 301-319; a difference between radical democracy and system democracy is made in Bevir M., “Democratic governance: systems and radical perspectives”, Public administration review, Vol. 66 (3), pp. 426-436
13 For examples during the Berlusconi’s government see Romano S., “Berlusconi’s foreign policy, inverting traditional priorities”, The international spectator, Vol. 41 (2), pp. 101-108
14 Mostly Gerring J., “Minor parties in plurality electoral systems”, Party politics, Vol. 11 (1), pp. 79-107
15 The points that follow are developed more fully in Smith P., “Politics and the media”, Government and opposition, Vol. 42 (1), pp. 128-137; Christou G., Simpson S., “The internet and public-private governance in the European Union”, vol. 26 (1), pp. 43-61; Popkin S.L., “changing media and changing political organization: delegation, representation and news”, Vol. 8 (1), pp. 71-94; Bonhomme M., Rinn M., “Internet et les usages du politique”, Mots. Les languages du politique, 80, pp. 87-89
16 Moreover, it has been argued that the institutions of both representative and direct democracy cannot be thought to legitimately reveal the true interests of voters or citizens. For details Dowding K., “Can populism be defended? William Riker, Gerry Mackie and the interpretation of democracy”, Government and opposition, Vol. 41 (3), pp. 327-347
17 For a general argument to this effect see Timbeau X., “Comment le projet européen s’égare”, Le débat, 141, pp. 154-164
18 Mostly Van Der Anker C., “Institutional implications of global justice as impartiality: cosmopolitan democracy”, Global society, Vol. 20 (3), pp. 268-285
 
References
 
– Bevir M., “Democratic governance: systems and radical perspectives”, Public administration review, Vol. 66 (3), pp. 426-436
– Bonhomme M., Rinn M., “Internet et les usages du politique”, Mots. Les languages du politique, 80, pp. 87-89
Borghi V., Van Berkel R., “New modes of governance in italy and the netherlands: the case of activation policies”, Public administration. An international quarterly, Vol. 85 (1), pp. 83-101
– Budge I., McDonald M.D., “Election and party system effects on policy representation: bringing time into a comparative perspective”, Electoral studies, Vol. 26 (1), pp. 168-179
Carey J., Reynolds A., “Parties and accountable government in new democracies”, Party politics, Vol. 13 (2), pp. 255-274
– Christou G., Simpson S., “The internet and public-private governance in the European Union”, vol. 26 (1), pp. 43-61
– Dowding K., “Can populism be defended? William Riker, Gerry Mackie and the interpretation of democracy”, Government and opposition, Vol. 41 (3), pp. 327-347
– Dur A., De Bievre D., “The question of interest group influence”, Journal of public policy, Vol. 27 (1), pp. 1-12,
– dwards J., “Equal power to the people?”, Contemporary politics, Vol. 12 (3-4), pp. 321-331
– Elstub S., “A double-edged sword: the increasing diversity of deliberative democracy”, Contemporary politics, Vol. 12 (3-4), pp. 301-319
Ferrara F., “Two in one: party competition in the italian single ballot mixed system”, Electoral studies, Vol. 25 (2), pp. 329-350
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– Papadopulos Y., Benz A. (2006), “Governance and democracy. Comparing national, european and international experiences, London: Routledge.
– Popkin S.L., “changing media and changing political organization: delegation, representation and news”, Vol. 8 (1), pp. 71-94
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Russell D.J., “Social modernization and the end of ideology debate: patterns of ideological polarization”, Japanese journal of political science, Vol. 7 (1), 1-22
– Shin M.E., Agnew J., “The geographical dynamics of italian electoral change, 1987-2001”, Electoral studies, Vol. 26 (2), pp. 287-302
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Timbeau X., “Comment le projet européen s’égare”, Le débat, 141, pp. 154-164
– Treib O., Bahr H., Falkner G., “Models of governance: towards conceptual clarification”, Journal of european public policy, Vol. 14 (1), pp. 1-20
Yang K., “Citizen involvement efforts and bureaucratic responsiveness: participatory values, stakeholder pressures, and administrative praticality, Public administration review, Vol. 67 (2), pp. 249-264

Sgueo Gianluca

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