Dato normativo
Ipotesi di preterintenzione
Nonostante sia prevista nella parte generale del codice, le ipotesi pacifiche di preterintenzione sono soltanto due. La principale è costituita dall’omicidio preterintenzionale, che si realizza ex art. 584 c.p. allorché un soggetto, con atti diretti a percuotere o ledere, cagiona (involontariamente) la morte di un uomo. La seconda è quella dell’aborto preterintenzionale, la quale ricorre quando, con azioni dirette a provocare lesioni, si cagiona come effetto non voluto l’interruzione della gravidanza (art. 18 co. 2, legge n. 194/1978).
Se si ritiene che la preterintenzione possa essere un tertium genus dell’elemento psicologico, laddove il legislatore parla di preterintenzione, cosa si intende per “oltre l’intenzione”?
In dottrina e giurisprudenza esistono diversi indirizzi in ordine al problema se con tale modello di responsabilità si delinei un’ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva, di dolo misto a colpa, ovvero di dolo del solo fatto minore.
Secondo una prima ricostruzione (tesi del dolo misto a responsabilità oggettiva) il delitto preterintenzionale sarebbe costituito dal dolo del reato base, misto alla responsabilità oggettiva del delitto più grave; in tale caso, l’agente vorrebbe realizzare solo il fatto minore, ma viene a realizzarsi un reato più grave, casualmente dipendente da quello minore. In questo senso, si dice, deporrebbe l’inciso “quando dall’azione o omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave”, ex art. 43 c.p.; id est, l’inciso sopra indicato sembra non richiedere in alcun modo la necessaria sussistenza di un quid di imputazione psicologica, ma sembra richiedere solo un nesso causale diretto.
Alla stregua di questa concezione si prescinde da ogni indagine di carattere psicologico sulla volontarietà, sulla colpa o sulla prevedibilità dell’evento. Questa linea interpretativa determina problemi di coerenza costituzionale, in quanto non pare compatibile con l’insegnamento offerto dalla Corte costituzionale in tema di “colpevolezza “ (v. sentenza 364/88).
La Consulta ha, infatti, affermato che «[..] é da confermare che si risponde soltanto per il fatto proprio, purché si precisi che per fatto proprio non s’intende il fatto collegato al soggetto, all’azione dell’autore, dal mero nesso di causalità materiale, ma anche e soprattutto dal momento subiettivo costituito, in presenza della prevedibilità ed evitabilità del risultato vietato, almeno dalla colpa in senso stretto … Va precisato che, se nelle ipotesi di responsabilità oggettiva vengono comprese tutte quelle nelle quali anche un solo, magari accidentale, elemento del fatto, a differenza di altri elementi, non é coperto dal dolo o dalla colpa dell’agente (c.d. responsabilità oggettiva spuria o impropria), il comma 1 dell’articolo 27 Costituzione non contiene un tassativo divieto di responsabilità oggettiva. Diversamente va posto il problema per la cosiddetta responsabilità oggettiva pura o propria … Ove non si ritenga di restringere la c.d. responsabilità oggettiva pura alle sole ipotesi nelle quali il risultato ultimo vietato dal legislatore non é sorretto da alcun coefficiente subiettivo, va, di volta in volta a proposito delle diverse ipotesi criminose, stabilito quali sono gli elementi più significativi della fattispecie che non possono non essere coperti almeno dalla colpa dell’agente, perché sia rispettata la parte del disposto di cui all’articolo 2 7 comma 1 Costituzione relativa al rapporto psichico tra soggetto e fatto [..]».
Inoltre, la configurazione di un’ipotesi di responsabilità oggettiva per l’evento più grave non voluto, in assenza di alcun coefficiente di prevedibilità, sarebbe incoerente con il regime di imputazione soggettiva delle circostanze aggravatrici di cui all’articolo 59 comma 2 Cp, modif. dall’articolo 1 della legge 19/1990.
Questo indirizzo (tesi del dolo misto a colpa), appare maggiormente coerente con il principio di colpevolezza e con i principi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 368/88, secondo cui deve necessariamente postularsi la colpa dell’agente almeno in relazione agli “elementi più significativi della fattispecie”, fra i quali il “complessivo ultimo risultato vietato” se non si vuole incorrere nel divieto ex articolo 27, commi 1 e 3, Costituzione della responsabilità oggettiva c.d. pura o propria (di recente, Cass. Sez. Prima, n. 19611/2006).
Una parte della giurisprudenza più recente (Cass. Sez. 5^, n.13114/02, Cass. Sez. 5^, n. 13673/2006) ha ritenuto che dalla lettera dell’art. 43 c.p., si possa solo desumere che è necessario il dolo del fatto minore, in quanto il legislatore sembra disinteressarsi del tutto dell’eventuale elemento psicologico che deve accompagnare l’evento più grave (tesi del dolo del fatto minore). Secondo questo indirizzo, considerato l’art. 61 c.p., n. 3 che prevede un’aggravante se nel delitto colposo si agisce nonostante la previsione dell’evento, la tassativa limitazione dell’aggravante al delitto colposo conferma che la previsione dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato e’ componente necessaria e non circostanziale nel delitto preterintenzionale, come in quello doloso: quanto al delitto preterintenzionale, la disposizione dell’art. 43 assorbe la prevedibilità di evento piu’ grave nell’intenzione di risultato, per il quale parametri di negligenza, imprudenza o imperizia, men che d’inosservanza di norme, sono assolutamente irrilevanti.
Tale tesi, in realtà, sembra avvicinarsi molto a quella della preterintenzione come dolo misto a responsabilità oggettiva, in quanto affermare che il legislatore si disinteressa dell’elemento psicologico del fatto più grave vuol dire, nella sostanza, limitare la valutazione del fatto al solo nesso causale tra condotta ed evento, senza alcuna ricerca dell’elemento psicologico che si traduce, evidentemente, in assenza di elemento psicologico e, quindi, de plano, in responsabilità oggettiva.
Quale che ne sia la ricostruzione più corretta sul piano del diritto positivo, sta di fatto che la figura del delitto preterintenzionale non è esente da riserve, tanto che si dubita dell’opportunità di mantenerlo in vita nell’auspicata prospettiva di riforma della responsabilità oggettiva.
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