Breve nota illustrativa alla sentenza 27 settembre 2007, in c-409/04 della Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee

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La sentenza annotata, pronunciata dalla terza sezione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, prende le mosse da un rinvio pregiudiziale contenente una serie di quaestiones, ex art. 234 Trattato CE, promosso dalla High Court of Justice (England and Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) con ordinanza 6 maggio 2004 ([1]).
   La domanda pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 28 bis, n. 3, 1° comma, e 28 quater, parte A, lett. a), 1° comma, della sesta Direttiva del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea 17 maggio 1977, 77/388/CEE ([2]), in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari-Sistema comune di imposta sul valore aggiunto a base imponibile uniforme, come modificata dalla Direttiva del Consiglio dei Ministri UE 17 ottobre 2000, 2000/65/CE ([3]). Prima di analizzare, nel dettaglio, i profili portati all’attenzione della Corte di Giustizia, risulta opportuno delineare il quadro normativo di riferimento. L’art. 2, punto 1, della sesta Direttiva di cui sopra, assoggetta all’ IVA le cessioni di beni nonché le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale nonché le importazioni di beni; inoltre, a norma dell’art. 28 bis, sono parimenti soggetti all’ IVA gli acquisti intracomunitari ([4]) di beni effettuati a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente che non è soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale, che non beneficia della franchigia di imposta prevista dall’art. 24 e che non rientra nelle disposizioni previste all’art. 8, paragrafo 1, lett. a), seconda frase o all’art. 28 ter, punto B, paragrafo 1. Le questioni sollevate dal giudice nazionale inglese si collocano nel contesto del regime transitorio dell’IVA applicabile al commercio intracomunitario istituito, ai fini dell’abolizione delle frontiere interne il 1 gennaio 1993, dalla Direttiva 91/680 CEE nel quale ogni acquisto intracomunitario di beni tassato nello Stato membro di destinazione della spedizione o del trasporto comporta come corollario, ai sensi dell’art. 28 quater, parte A, lett. a), 1° comma, della sesta Direttiva, una cessione esente nello Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto ([5]).
   Con le prime due questioni, che vanno affrontate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte UE se il termine “spedito” di cui agli artt. 28 bis, n. 3, 1° comma, e 28 quater, parte A, lett. a), 1° comma, della sesta Direttiva vada interpretato nel senso che l’acquisito intracomunitario si realizza e l’esenzione della cessione intracomunitaria diviene applicabile unicamente quando il potere di disporre il bene quale proprietario è stato trasmesso all’acquirente ed il fornitore prova che codesto bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione. La Corte conferma questa prospettiva, escludendo che il termine “spedito” riguardi solamente l’inizio del processo di spedizione e invitando a determinare il suo significato in ragione di parametri oggettivi e del contesto in cui si colloca la sesta Direttiva ([6]). Pertanto, se un’interpretazione meramente letterale lascierebbe presupporre che il concetto de quo si riferisca alla fase iniziale del processo di spedizione o di trasporto, la Corte di Giustizia CE, anche tenendo conto delle osservazioni degli Stati membri, nega una siffatta ricostruzione della ratio della norma, ritenendo che essa implichi che i beni “abbiano effettivamente lasciato lo Stato membro di cessione” ([7]). Quindi, l’argomentazione secondo la quale l’intentio del fornitore e dell’acquirente di porre in essere un’operazione intracomunitaria è sufficiente perché la stessa possa qualificarsi come tale, non regge alla luce degli invocati parametri oggettivi da parte del giudice comunitario. La Corte ritiene, infatti, che, in quanto sussiste un obbligo in capo all’amministrazione finanziaria di effettuare indagini al fine di verificare la volontà del soggetto passivo, è necessaria l’esistenza di un movimento fisico dei beni, pena il venir meno del sistema comune dell’IVA oltre che della certezza del diritto ([8]).
   In merito, invece, alla terza questione portata all’attenzione della Corte, essa si incentra sull’art. 28 quater, parte A, lett. a), 1° comma, ed in particolare sul requisito della buona fede intesa in senso soggettivo in capo al soggetto-fornitore. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in merito, valuta contrario al principio della certezza del diritto che uno Stato membro, il quale ha stabilito i requisiti ai fini dell’applicazione dell’esenzione di una cessione intracomunitaria, fissando un elenco di documenti dettagliati da esibire alle autorità competenti, ed ha accettato in un primo tempo i documenti presentati dal fornitore in quanto prove giustificative del diritto all’esenzione, possa, in un secondo momento, obbligare il fornitore stesso ad assolvere all’IVA relativa alla cessione allorchè consti che, in ratione di una frode commessa dall’ acquirente di cui il fornitore non aveva e non poteva aver conoscenza (la c.d. ignoranza non colpevole), i beni in questione non hanno realmente lasciato il territorio dello Stato membro di cessione. In altri termini, se, da un lato, è legittimo, da parte degli Stati nazionali, adottare efficaci provvedimenti volti a preservare il più possibile i diritti dell’erario, dall’altro lato, essi “non devono eccedere quanto necessario a tal fine” ([9]) e mettere in discussione, come si evince da cospicua e costante giurisprudenza della Corte, la neutralità dell’IVA ([10]); ne consegue che le circostanze in base alle quali il fornitore ha agito in una buona fede, adottando tutte le misure ragionevoli in suo potere, ed in base alle quali è esclusa la sua partecipazione ad una frode, “costituiscono elementi importanti per determinare la possibilità di obbligare tale fornitore ad assolvere l’IVA a posteriori” ([11]).
 
Daniele Trabucco
Assistente universitario in Istituzioni di Diritto Pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova (daniele.trabucco@alice.it)
 
Innocenzo Megali
Avvocato del Foro di Venezia. Relatore in convegni giuridici (avv.megali@libero.it)
 
 
 
  
  


([1]) L’ordinanza è pervenuta alla cancelleria della Corte il 24 settembre 2004.
 
([2]) In G.U. serie L n. 145, p. 1
 
([3]) In G.U. serie L n. 269, p. 44.
 
([4]) Si definisce “acquisto intracomunitaro di un bene” l’acquisizione del potere di disporre come proprietario di un bene mobile materiale spedito o trasportato, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto del bene. 
([5]) In questa direzione, sentenza 6 aprile 2006, causa C-245/04. 
 
([6]) In tal senso, sentenza 26 giugno 1990, causa C-185/89; sentenza 5 giugno 1997, causa C-2/95; sentenza 19 aprile 2007, causa C-455/05.
 
([7]) Si veda il punto 33 della sentenza. 
 
([8]) Così, sentenza 6 aprile 1995, causa C-4/94.
 
([9]) Si veda, il punto 53 della sentenza. 
 
([10]) Cfr., sentenze 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96.
 
([11]) Cfr., punto 66 della sentenza.  

Trabucco Daniele ~ Megali Innocenzo

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