Che cosa accade se un cittadino – ad esempio polacco o rumeno – commette delle condotte criminose in data antecedente alla ratifica del Trattato di adesione di quello Stato all’Unione Europea?
In seguito all’adesione di quel Paese all’Unione Europea sono condotte penalmente rilevanti oppure lecite per lo Stato italiano?
Qualora il Paese di appartenenza dell’imputato venga a far parte della Unione Europea in epoca successiva alla commissione del reato, si verifica una successione di norme extrapenali che non integrano la fattispecie incriminatrice, così che non è consentita l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 2, comma 2 c.p. oppure si verifica il fenomeno dell’abolitio criminis, ed il fatto non costituisce più reato?
La domanda a cui la Giurisprudenza e la dottrina sono chiamate a rispondere è se la sopravvenuta circostanza che dei Paese di origine di imputato di reati previsti dal T.U. dell’immigrazione e che sono ora entrati a far parte dell’Unione Europea comporti l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2 c.p. e conseguentemente portare il Giudice a pronunciare l’assoluzione, con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
L’art. 2 comma 2 c.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un reato abrogato da una legge successiva alla sua commissione. Si tratta, in sostanza, di stabilire se debbano essere applicate ai rumeni le norme più favorevoli previste dall’articolo 2 del C.p. in caso di modifiche mediate della legge penale, conseguenti alla successione di norme integrative del precetto penale.
Il fatto. La Corte di Cassazione – sentenza 1815/07 – ha respinto il ricorso di un imputato condannato a due anni e tre mesi per aver favorito – a fini di lucro – l’ingresso in Italia di due cittadine polacche destinate a fare le “badanti” in Italia nel 2000, cioè in un periodo anteriore al 2004, anno in cui la Polonia è entrata a far parte dell’Unione Europea.
Successione di leggi penali nel tempo: il caso specifico delle “successione mediata”
Il contrasto tra l’adesione alla tesi più favorevole – che comporterebbe l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituisce reato – e quella più restrittiva – che ne determinerebbe la condanna stante il permanere del disvalore del fatto sono generate da un contrasto fra la dottrina e la giurisprudenziali.
La dottrina vuole inquadrare l’operatività delle fonti extrapenali nell’ambito dei presupposti della condotta, escludendo che esse vengano incorporate nella norma incriminatrice e che la loro modificazione possa, così, fare venire meno il disvalore inerente all’illecito penale precedentemente posto in essere ed in conseguenza determinare una situazione riconducibile alla abolitio criminis,
La giurisprudenza vorrebbe che le modifiche "mediate" delle norme penali incriminatrici venisse regolata dall’art. all’art. 2 c.p. sul presupposto che nel campo di applicazione della norma incriminatrice esplicano diretta incidenza tutte quelle fonti normative che contribuiscono a concretare il contenuto del precetto penale e la cui modificazione si riflette sulla ampiezza della fattispecie e sul disvalore del fatto.
Quid iuris in campo si successioni c.d. mediata?
La successione c.d. mediata delle norme penali trova campo di applicazione nel caso nelle norme penali in bianco e che ricorrono quando la norma penale è completa ma, invece rinvia per la determinazione del loro contenuto a concetti posti da altre norme o, nel caso di elementi extra-giuridici.
La posizione della dottrina.
La dottrina non unanime sulla tematica de qua, ma per dovere di sintesi sulla complessa materia si farà riferimento solo alle due tesi di maggiore respiro.
Un primo orientamento dottrinale l’art. 2 c.p. non può essere applicato in quanto la norma o il provvedimento integrativo sono solo un “requisito di fatto”.
Un secondo orientamento occorre valutare, caso per caso, se la modifica ha permesso che il disvalore rimanesse inalterato o meno.
Contrasto tra giurisprudenza di legittimità e di merito
La giurisprudenza non è unanime sulla valutazione della tematica in esame.
Secondo un orientamento più restrittivo della giurisprudenza di legittimità la ratifica del Trattato di adesione all’Unione Europea non può considerarsi come norma integratrice del precetto penale e non può trovare applicazione l’art. 2, comma 2, c. p..
Questa giurisprudenza specifica che la qualifica di “cittadino extracomunitario” rileva ai fini penali solo nel senso che costituisce un presupposto della condotta che può riflettersi sulla rilevanza penale del fatto concreto; la ratio del T.U. sull’immigrazione è ha mantenuto il suo valore offensivo fondato sulla profonda ripugnanza dello sfruttamento dell’essere umano;
Nella vicenda esaminata si verifica una vicenda successoria di norme extrapenali che non integrano la fattispecie incriminatrice comportando solo una variazione della rilevanza penale del fatto con decorrenza dalla emanazione del successivo provvedimento normativo di adesione del nuovo paese all’UE, limitatamente ai casi che possono rientrare nel nuovo provvedimento, senza fare venire meno il disvalore penale del fatto anteriormente commesso.
Commento alla sentenza della Corte di Cassazione 1815/07: il fatto è ancora reato perché il disvalore permane.
La Suprema Corte ha stabilito che l’adesione del Paese – ad esempio la Polonia come nel caso esaminato dalla sentenza che si commenta – in epoca a successiva al momento della commissione del reato non integra una successione “mediata” delle leggi penali nel tempo. “…Essa implica solo una variazione della rilevanza penale del fatto con decorrenza dalla emanazione del successivo provvedimento normativo di adesione di adesione all’Unione Europea. Ciò vale solo per i casi che possono rientrare nel nuovo provvedimento. Questo non fa venire meno il disvalore penale del fatto compito in epoca anteriore…”
In questo caso l’art. 2 c.p. che regola la successione delle leggi penali nel tempo non può essere applicato perché il comportamento illecito continua mantenere un disvalore penale sia prima dell’adesione del Paese all’Unione Europea sia dopo l’adesione.
La Corte di Cassazione stabilisce che non é intervenuta una legge modificativa della condotta illecita, la quale non è stata depenalizzata.
Infatti la norma penale non ha subito variazioni e la ratifica al Trattato di adesione all’Unione Europea da parte di quel Paese non deve essere considerata come una norma che integra il precetto penale, cioè non fa parte del precetto penale.
Pertanto mentre per le norme penali incriminatrici vige la disciplina dell’art. 2 c.p., per questa norma rimane avulsa la disciplina dell’art. 2 comma 2 c.p..
Anche nel caso di adesione del Paese prima non comunitario all’Unione Europea, rimane sostanzialmente immutata la legge penale incriminatrice di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la successione di leggi peni nel tempo riguarda solo le norme extrapenali e non le c.d. modifiche mediate della legge penale incriminatrice; pertanto si applica sempre la legge penale al tempo del commesso reato.
Si ha “modifica mediata” della fattispecie penale incriminatrice quanto si verifica la successione prevista dai commi dell’art. 2 c.p. in caso di norme penali che rimandano ad un’altra norma o un altro elemento che integra la fattispecie incriminatrice
Ai sensi dell’art. 2 comma 4 c.p. è quindi esclusa l’abolitio criminis in relazione a fatti commessi da cittadini all’epoca non comunitari che ora –grazie al Trattato di adesione lo sono diventati – perché la fattispecie in esame non ha subito variazioni e non è stata modificata.
Non può essere applicato l’art. 2 comma 2 c.p. perché il fatto continua ad essere penalmente rilevante mantenendo il suo disvalore penale
Insomma, le modifiche normative non hanno inciso sul disvalore del fatto oggetto della fattispecie incriminatrice.
La giurisprudenza di merito invece sposa la tesi contraria: abolitio criminis.
Contrariamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, Tribunale penale di Viterbo cimentandosi in merito all’assunzione di cittadini stranieri – nella fattispecie rumeni in Italia senza permesso di soggiorno – aveva assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
Questo orientamento del Giudice di Viterbo è perfettamente in linea con la giurisprudenza di merito della Capitale che in caso di inottemperanza all’ordine di espulsione del Questore di una cittadina ceca aveva stabilito che la modifica della norma comunitaria che individua i Paesi facenti parte dell’Unione Europea, determina una fattispecie riconducibile al comma 2 dell’art. 2 c.p. quindi una successione di leggi penali nel tempo.
Secondo la giurisprudenza di merito l’istituto della successione delle leggi penali nel tempo, disciplinato dall’art. 2 c.p., non può essere circoscritto solo al caso di modifica diretta della norma penale, ma si estende anche alle c.d.”modifiche mediate”della legge penale. Si tratta di norme penali che rimandano ad un’altra norma o un altro elemento che integra la fattispecie incriminatrice.
Di conseguenza nel caso in esame, la modifica normativa inciderebbe in via diretta su tutta la normativa amministrativa che disciplina l’ingresso degli stranieri in Italia.
Il venir meno dello status di cittadino extracomunitario, contribuendo ad integrare il contenuto del precetto penale, finisce per incidere, eliminandolo, sul disvalore penale del fatto complessivamente considerato.
dott.ssa MARILISA BERNARDIS
BIBLIOGRAFIA
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DOTTRINA
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Rilevanza penale dell’abolizione del servizio militare obbligatorio: tra successione di norme e “scomparsa” del fatto tipico, in
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· A. NATALINI, Assunzione di rumeni senza permesso di soggiorno: non è più reato in “Dirittoegiustizia.it on line “ del 27 gennaio 2007.
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