Il principio della responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario si colloca in un contesto giuridico caratterizzato dalla compenetrazione tra ordinamento comunitario e diritto nazionale.
Il tema de quo richiede una preliminare ricognizione degli elementi costitutivi della fattispecie idonea, secondo l’orientamento della Corte di Giustizia, a dar luogo a responsabilità nell’ordinamento interno.
Appare opportuno, dunque, muovere da una sintetica ricostruzione della casistica giurisprudenziale comunitaria, allo scopo di giungere per tale via a definire i profili dell’illecito, considerato dal punto di vista della sua struttura, della sua imputazione oltre che del soggetto chiamato a risponderne. Da questo punto di vista, conviene muovere da quella giurisprudenza della Corte di Giustizia che identifica l’illecito nel fatto dello Stato membro, che, in qualità di legislatore, omette di adottare provvedimenti attuativi necessari alla trasposizione di direttive non direttamente applicabili, con ciò vanificando la portata espansiva del patrimonio giuridico del cittadino europeo.
Il caso giurisprudenziale guida è rappresentato dalla sentenza Francovich con la quale lo Stato italiano venne dichiarato responsabile per la mancata trasposizione di una direttiva che obbligava gli Stati ad assicurare, attraverso un meccanismo di garanzia, la liquidazione dei crediti dei salariati non pagati da datori di lavoro insolventi. La Corte di Giustizia accertò che la direttiva non aveva i caratteri di sufficiente precisione necessari per una sua applicabilità diretta e tratteggiò, quindi, la responsabilità extracontrattuale dello Stato per i danni subiti dai lavoratori messi nell’impossibilità, a seguito dell’inottemperanza del legislatore nazionale, di far valere i diritti loro attribuiti. Tale decisione è importante non solo per avere accolto il principio del diritto al risarcimento di posizioni giuridiche soggettive riconosciute da una direttiva non puntuale e non autoesecutiva – sul postulato che, in ossequio al principio di effettività (art.10 del Trattato), lo Stato sia comunque responsabile ogni qual volta non ottemperi agli obblighi che derivano dal Trattato (art. 249) -, ma anche per aver fatto filtrare, nel nostro ordinamento, un principio fino ad allora sconosciuto e cioè quello della responsabilità giuridica dello Stato nella sua veste di legislatore.
Ulteriore problema affrontato dalla Corte di Giustizia, dopo la sentenza Francovich, è stato quello se la responsabilità dello Stato per violazione di una norma comunitaria si configuri per il solo caso di direttive inattuate non autoesecutive, ovvero se il principio della tutela risarcitoria possa valere anche nell’ipotesi del mancato rispetto di norme pienamente efficaci ossia attributive di diritti esercitabili tanto nei rapporti intersoggettivi (efficacia orizzontale) quanto nei rapporti Stato – cittadino (efficacia verticale).
Con la pronuncia resa dalla Corte di Giustizia nei due procedimenti riuniti Brasserie du Pecheur e Factortame (cause c-46/93 e c-48/93), è prevalsa la tesi estensiva: il principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario ha portata del tutto generale e prescinde dal fatto che il diritto sia attribuito da una norma non immediatamente esecutiva, trovando applicazione tutte le volte che il legislatore nazionale, l’amministrazione, ovvero il potere giudiziario, anche attraverso una non corretta trasposizione od applicazione del diritto comunitario, abbiano leso un diritto riconosciuto al singolo dal diritto comunitario.
Orientamento questo riconfermato dalla sentenza Dillenkofer (dell’8 ottobre 1996), che ha precisato che l’omessa trasposizione di una direttiva costituisce in re ipsa una violazione grave e manifesta, e che, ai fini della gravità della violazione, rileva non soltanto l’omessa trasposizione della direttiva ma anche l’ipotesi dell’attuazione scorretta o incompleta della direttiva stessa.
Sul piano dell’evoluzione giurisprudenziale relativa ai possibili profili di inattuazione di una direttiva comunitaria e del diritto comunitario in genere, merita di essere ricordata altresì la sentenza Hedley Lomas (del 23 maggio 1996), con la quale è stata riconosciuta la responsabilità dello Stato inglese per i danni cagionati non da un atto normativo, ma da un atto amministrativo (diniego di licenza di esportazione) adottato in violazione del diritto comunitario. La società attrice chiedeva il risarcimento dei danni patiti in virtù delle illegittime restrizioni alle esportazioni derivate da atti amministrativi interni che essa considerava illegittimi in quanto contrastanti con il diritto comunitario.
La Corte di Giustizia, nel sancire l’incompatibilità dei provvedimenti in questione con il sistema dei trattati, sancì il principio secondo cui l’illecito può anche essere autonomamente commesso dallo Stato-Amministrazione, comportando conseguenze affatto simili a quelle già enunciate in tema di responsabilità dello Stato legislatore.
Nell’iter giurisprudenziale seguito dalla Corte di Giustizia sulla materia de qua appare doveroso il richiamo alle sentenze Konle e Haim ove la Corte ha precisato che gli Stati possono assicurare la garanzia della tutela risarcitoria per danni da violazioni comunitarie, prevedendo la responsabilità non dello Stato ma del soggetto pubblico che abbia esercitato il potere in modo dannoso e contra ius.
Il problema, in considerazione della tendenza dell’ordinamento italiano ad un più ampio trasferimento di competenze dello Stato verso gli enti territoriali (Regioni, Province ed enti locali), assume particolare rilievo sia per le attività normative, ove l’illecito sia stato perpetrato dalle articolazioni territoriali, sia per l’attività amministrativa dove si è radicato il modello basato sul decentramento amministrativo.
Interessante appare dunque la problematica connessa all’individuazione di responsabilità di detti enti segnatamente per quel che riguarda le materie di loro competenza, per le responsabilità derivanti dall’omessa trasposizione normativa delle direttive comunitarie, in considerazione del dictum di cui all’art. 120 Cost., che intestando allo Stato il potere sostitutivo, attribuisce allo stesso il ruolo di soggetto referente a livello comunitario degli inadempimenti nazionali.
Un veloce excursus nelle pronunce delle Corte di Giustizia consente di affrontare, inoltre, la questione della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario imputabile al potere giudiziario.
La questione concernente l’eventuale responsabilità dell’organo giudiziario ha trovato linfa nella sentenza Kobler (del 30 settembre 2003) nella quale viene affrontata per la prima volta nella storia della Corte di Giustizia la questione relativa alla responsabilità dello Stato giurisdizione per violazione del diritto comunitario.
Più specificamente la sentenza prende in esame la problematica relativa alla possibilità da parte di un organo giurisdizionale interno a riesaminare la sentenza di un giudice nazionale di ultimo grado qualora a seguito di un intervento della Corte di Giustizia fosse stata acclarata la difformità della sentenza al diritto comunitario.
La Corte di Giustizia, pur nel tentativo di non scalfire l’essenza stessa del giudicato, si è espressa positivamente sulla questione di cui trattasi sempre che la norma di diritto violata attribuisca diritti ai singoli.
Non poche le problematiche sottese alla pronuncia di cui trattasi e connesse al principio, indiscusso in tutti gli ordinamenti giuridici, dell’indipendenza dell’organo giudiziario. Tali problematiche, a giudizio della Corte sono superabili ove si consideri che nessuno dei poteri di cui si compone lo Stato sfugge all’obbligo di adempiere all’impegno sancito all’art. 10 del trattato ove è dato leggere che gli Stati devono adottare “tutte le misure di carattere generale e particolare finalizzate agli scopi del trattato e di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione di tali scopi”. Dal tessuto motivazionale della sentenza sarà, altresì, significativo ricavare le argomentazioni elaborate in tema di intangibilità del giudicato.
Sempre in materia di responsabilità dello stato giurisdizione merita un breve cenno il recente intervento della Corte di Giustizia (13 giugno 2006 C173/2003).Dall’esame di tale pronuncia è utile rilevare come la Corte abbia ribadito l’orientamento rigoroso in merito alla responsabilità dello Stato nazionale per giudicato violativo del diritto comunitario.
Dall’esame delle pronunce de quibus emerge pertanto come la giurisprudenza comunitaria va sempre più arricchendo il quadro di analisi e studi ampliando, in tal modo, la generalizzazione delle ipotesi di responsabilità.
La prospettiva della sua concretizzazione involge ogni ipotesi di mancato rispetto della portata precettiva delle disposizioni comunitarie (la “violazione manifesta e grave”) e quindi può essere commessa direttamente da ogni organo od articolazione dello Stato chiamato all’attuazione del diritto comunitario.
Il vincolo della corretta attuazione del diritto comunitario astringe infatti lo Stato inteso nel suo complesso e nelle sue articolazioni: tanto l’uno quanto le altre non possono sottrarsi all’osservanza di tale obbligo, né richiamando il proprio diritto costituzionale, né invocando eventuali difficoltà di ordine pratico, manifestatesi in sede di attuazione dello stesso. L’unica possibile esimente è rappresentata dalla presenza di un errore scusabile, oppure dalla sussistenza di una oggettiva difficoltà attuativa riferibile agli stessi organi comunitari quale, ad esempio, un difetto di chiarezza nella formulazione della norma violata oppure la tolleranza o l’avallo da parte delle istituzioni comunitarie di disposizioni o prassi nazionali difformi.
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