Data retention e intercettazioni telefoniche – ovvero la proroga della proroga alla conservazione dei dati

SOMMARIO: Premessa; 1. Lettura critica dell’art. 132 del D.lgs. n. 196/2003; 2. La Direttiva del Parlamento e del Consiglio 2006/24/ce. 2.1 (segue) Rilievi critici; 3. La posizione dei Garanti europei per il trattamento dei dati personali; Conclusione
 
  
L’Autore, funzionario AUSL, è Docente Incaricato di: Diritto Privato al Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, e di: Elementi di Diritto Pubblico al Corso di Laurea in Tecnico di Laboratorio Biomedico; presso la Università “G.D’Annunzio” – Facoltà di Medicina e Chirurgia di Chieti-Pescara; a.a. 2007/2008.
 
 
PREMESSA
 
            La Legge n. 15 del 2005, c.d. ‘pacchetto sicurezza’ Pisanu o “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale[1]attraverso l’art. 6 disciplina i settori della telefonia e di Internet stabilendo che i dati relativi al traffico telefonico e telematico siano conservati per dodici mesi[2].
            Tale previsione comprende anche le informazioni fino ad ora cancellabili, perché non legate alla fatturazione. La nuova disciplina[3] sulla conservazione dei dati (c.d. data retention[4]) scadeva il 31.12.2007;[5]
            I dati del traffico comprendono le chiamate, gli accessi e la tracciabilità delle navigazioni in rete e, qualora siano conservati oltre tale data, possono “essere utilizzati esclusivamente per le finalità del presente D.l., salvo l’esercizio dell’azione penale per i reati comunque perseguibili.” 
            In tema[6] di intercettazioni telefoniche[7] il Governo[8] ha adottato il D.l. n. 259/2006 con il quale ha stabilito che in presenza di documenti anonimi e di atti relativi ad intercettazioni illegali “l’autorità giudiziaria debba disporre l’immediata distruzione dei documenti…illegalmente formati o acquisiti…”[9]; così come, è stata introdotta una nuova fattispecie di reato che si concreta nel caso di detenzione di atti o documenti anonimi o illegittimamente raccolti[10].
Notevole preoccupazione ha destato la approvazione del decreto "milleproroghe[11]", che ha ulteriormente prolungato i termini di conservazione portandoli al 31 dicembre 2008.
Nella Sezione XII, all’art. 34 “Proroghe in materia di contrasto al terrorismo internazionale” è stabilito al comma 1°, lett. a) la modifica del comma 1 dell’art. 6 del D.l. 144/2005, per la parte riguardante la conservazione “dei dati del traffico telefonico o telematico” con la sostituzione della scadenza non più al 31 dicembre 2007 ma al 31 dicembre 2008.
Su tale aspetto il Garante per la protezione dei dati personali ha ritenuto necessario dovere intervenire, con  lettera[12] inviata al Presidente della Camera ed al Ministro delle Politiche Comunitarie, in merito al periodo di conservazione dei dati veicolati tramite telefono e/o Internet.
Tale autorevole intervento ha riportato quindi all’attenzione la, ormai, annosa problematica legata alla cd data retention.
L’avere previsto una dilatazione dei tempi di conservazione di tali dati, che “possono arrivare a 8 anni per i dati di traffico telefonico e a 3 per quelli telematici “. porta ad esprimere una serie di riflessioni sull’accaduto partendo dalla lettura della normativa di settore per giungere alle pronunce del Garante.
Restiamo dell’avviso che una piena consapevolezza dell’attuale scenario non possa prescindere da una conoscenza del quadro normativo italiano e comunitario in una materia particolarmente delicata in quanto risente di spinte emotive che non sono state sempre – mai? – bilanciate da ragionamenti efficaci che tenessero conto dell’impatto che tali norme hanno finito per avere nella vita quotidiana e, in definitiva, nel tessuto sociale e politico di un Paese come il nostro.
Ecco che, quindi, si rende necessario un rapido excursus al termine del quale ci prefiggiamo di avere fornito al lettore gli strumenti – sic! – per potere valutare meglio una tematica che coinvolge una serie di diritti di rango costituzionale, che vanno dal diritto alla libertà[13] ed alla riservatezza[14] a quello di tutelare l’ordine pubblico[15], ecc., oltre a problematiche tecniche relative alla sua implementazione.
 
 
1. UNA LETTURA CRITICA DELL’ART. 132 DEL D.LGS. N. 196/2003
 
Si ritiene opportuno partire dal D.lgs. n. 196/03, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, attraverso il quale il nostro Parlamento ha recepito la Direttiva comunitaria 2002/58/CE, in materia di comunicazioni elettroniche[16].
Il Codice ha recepito i contenuti della Direttiva n. 2002/58/CE: partendo dalla constatazione della crescente convergenza fra i settori delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell’informazione. Il Legislatore comunitario ha voluto assoggettare tutte le reti di trasmissione e i servizi correlati a un unico quadro normativo, prescindendo dal fatto che i dati personali siano utilizzati sulle reti telefoniche o sul web[17].
Che il Codice della privacy dovesse porre ordine e disciplina anche nel trattamento dei dati personali connesso alla fornitura di servizi di c.d. comunicazione elettronica era ovvio, così come ovvia era l’attesa di regole capaci di coniugare la tutela costituzionale della libertà e segretezza delle comunicazioni con le esigenze del procedimento penale, dove l’impiego di quei dati, a fini di indagine e prova, si è fatta progressivamente più utile e necessaria.
Il quadro regolamentare delineato dalle recenti modifiche apportate dal D.l. 354/03, convertito con modificazioni dalla Legge 45/2004, è stato recepito dall’art. 132 del Codice[18] che però, a nostro avviso, non si è rivelato particolarmente felice dal punto di vista investigativo sia per quanto riguarda la durata della conservazione dei dati che per le modalità attuative.
Esso si contraddistingue per questi peculiari e significativi aspetti:
a)       la conservazione prolungata dei dati da parte del gestore dei servizi di telefonia ai fini del procedimento penale, rectius per “finalità di accertamento e repressione dei reati” è stabilita con riguardo al solo traffico telefonico, con esclusione, quindi, in particolare dei dati internet; tale obbligo vige anche per “le chiamate senza risposta”;
b)      per i tempi di conservazione del periodo base e del periodo “ulteriore” è presupposto legittimante la sussistenza di sufficienti indizi di colpevolezza di uno dei delitti, riportati in nota[19];
c)       analogo obbligo verte in capo al fornitore di servizi telematici, id est: Internet, il quale deve conservare tali dati per un periodo pari a 6 mesi, “esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni”;
d)      anche per tali dati il Legislatore ha previsto una proroga di 6 mesi, purchè si sia in presenza di una delle fattispecie delittuose richieste per consentire la conservazione dei dati telefonici;
e)       i commi 3 e 4 contengono le modalità per esercitare l’accesso presso il fornitore dei dati da parte del p.m.  E’ necessario in ogni caso un decreto motivato del giudice (su richiesta del P.M. o di un difensore); mentre per il periodo “ulteriore” è presupposto legittimante la sussistenza di sufficienti indizi di colpevolezza di uno dei citati gravi delitti;
f)       il difensore può richiedere direttamente la documentazione al fornitore del servizio, ai sensi dell’art. 391-quater del c.p.p.., dei soli dati relativi alle utenze del proprio assistito, ivi compresi, quelli relativi al traffico in entrata, quando dall’omissione può derivare effettivo e concreto pregiudizio per lo svolgimento delle investigazioni difensive;
g)       il comma 4- bis prevede l’ipotesi in cui il p.m. disponga “la acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico con decreto motivato…” purchè sussista un “caso di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini”;
h)      il trattamento dei dati è effettuato con il rispetto delle misure previste dal codice, art. 17[20], per i trattamenti che presentano “rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali” e stabiliti dal Garante nell’ambito di una verifica all’inizio del trattamento.
L’obbligo di conservazione dei dati è soggetto a un regime differenziato a seconda che si tratti di dati inerenti il solo traffico telefonico oppure il traffico di tutti gli altri mezzi di comunicazione elettronica.
Riguardo ai dati telefonici, la legge 45/04 ha ristretto sia l’ambito di conservazione dei dati al solo traffico telefonico, sia la durata di conservazione, stabilita in 24 mesi per finalità di accertamento e repressione dei reati. L’acquisizione dei dati presso il fornitore avviene ora anche entro i primi 24 mesi esclusivamente dietro decreto motivato del giudice su istanza del pubblico ministero. Scaduto il primo termine di 24 mesi il giudice autorizza l’acquisizione dei dati, con decreto motivato, per ulteriori 24 mesi[21] se ritiene sussistano sufficienti indizi dei delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a) del c.p.p
 Fino alla data in cui diverranno efficaci le misure e gli accorgimenti prescritti dal Garante per la conservazione del traffico telefonico si osserva il termine di 5 anni.
In merito ai dati in rete, la disciplina inerente la conservazione e acquisizione dei dati di traffico di tutti gli altri mezzi di comunicazione elettronica, Internet e posta elettronica inclusi, prevede un obbligo di conservazione ordinario dei dati relativi al solo traffico di soli 6 mesi.
Attesa la peculiarità dei dati trattati dai gestori di servizi telefonici e telematici e, ancor più, la loro potenziale lesività del diritto alla riservatezza, il comma 5 richiama l’art. 17[22] e dispone, anche, la applicazione di una serie di misure[23] e di accorgimenti che vanno: dalla previsione di “specifici sistemi di autenticazione informatica[24] e di autorizzazione degli incaricati del trattamento” dei dati personali, alla “conservazione separata dei dati” una volta decorsi i termini di 24 o 6 mesi, ex comma 1°; alla indicazione delle “modalità tecniche per la periodica distinzione dei dati”.
 
 
 
2. LA DIRETTIVA DEL PARLAMENTO E DEL CONSIGLIO 2006/24/CE.
 
 
In ambito comunitario la materia in oggetto è stata disciplinata attraverso la Direttiva[25] del Parlamento e del Consiglio 2006/24/CE[26], adottata in data 15 marzo 2006.
L’art. 1 individua l’oggetto e il campo di applicazione stabilendo che il fine è quello “di armonizzare le disposizioni degli Stati membri relative agli obblighi, per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione, relativi alla conservazione di determinati dati da essi generati o trattati, allo scopo di garantirne la disponibilità a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, quali definiti da ciascuno Stato membro nella propria legislazione nazionale”.  
Mentre la applicazione è circoscritta “ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione delle persone sia fisiche che giuridiche, e ai dati connessi necessari per identificare l’abbonato o l’utente registrato.” Resta escluso il “contenuto delle comunicazioni elettroniche, ivi incluse le informazioni consultate utilizzando una rete di comunicazioni elettroniche.”
La Direttiva consente la conservazione dei dati delle comunicazioni[27] per un periodo che va da un minimo di 6 ad un massimo di 24 mesi[28]. I dati devono essere disponibili per le autorità nazionali competenti, in casi specifici, "ai fini di ricerca, accertamento e perseguimento di reati gravi, come definiti da ciascuno Stato membro nella propria legislazione nazionale». (Mar. 15, 2006)
E’, inoltre, previsto che decorso tale periodo di conservazione, i dati vengano distrutti a meno che gli stessi non siano stati già scrutinati dalle forze dell’ordine che hanno deciso di conservarli per finalità investigative[29].
E’, comunque, vietata la conservazione dei contenuti delle comunicazioniparticolari"[31].[30], anche se viene lasciata una scappatoia ai singoli Stati membri i quali possono continuare la conservazione in presenza di "circostanze
In questo caso, per avvalersi della scappatoia lo Stato membro deve notificare e motivare l’allungamento dei termini alla Unione europea.
Spetta alla Commissione Europea verificare la congruità della eccezione che ha portato lo Stato membro a chiedere una proroga nella conservazione dei dati; tale attività dovrà espletarsi entro sei mesi dalla notificazione.
La approvazione presuppone l’accertamento che la richiesta avanzata dallo Stato membro non miri a creare “un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione occulta degli scambi fra gli Stati membri e se rappresentino o meno un ostacolo al funzionamento del mercato interno".
Currently, 66 organizations and companies have signed in support of the petition.            La Direttiva in questione trova il suo fondamento giuridico nell’art. 95 CE che dispone la adozione di “misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno”.
Poiché la Direttiva va ad impattare sui diritti fondamentali degli individui, ci riferiamo alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni che a loro volta fanno parte del più ampio diritto alla riservatezza, si spiega il motivo che ha condotto il Parlamento e la Commissione a legiferare assieme.
C’è chi[32]vità giudiziarie in materia penale. acutamente ha fatto notare come sia stato preferito operare con riferimento al I° Pilastro[33] dell’U.E. anziché ricorrere al cd III° Pilastro che conferisce al Consiglio il potere di legiferare attraverso decisioni quadro “per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”, su materie attinenti la cooperazione di polizia e le atti
Il riferimento al I° Pilastro anziché al III° finisce, quindi, per avere risvolti di natura politica e giuridica: il primo perché va a enfatizzare i rispettivi ruoli assunti dal Parlamento e dalla Commissione in materia; il secondo perché tale scelta può diventare fonte di contenzioso legale.
 
 
2.1 (segue) Rilievi critici
 
Numerosi organismi[34] non governativi[35] hanno rilevato che il testo di legge finisce per l’adottare delle maglie piuttosto larghe in quanto non limita l’applicazione della normativa alla sussistenza dei reati di terrorismo ma la estende ad altre esigenze investigative non sufficientemente definite.
Da una lettura attenta della Direttiva emergono una serie di aspetti critici.
Un primo aspetto riguarda la implementazione della normativa che presuppone la adozione di una serie di accorgimenti tecnologici che faranno aumentare i costi di gestione a carico degli operatori telefonici e del Web e, in definitiva, saranno spalmati sulle bollette degli utenti[36]!
Un secondo aspetto, a nostro avviso ancora più importante, riguarda le finalità per le quali sarà possibile consultare i dati conservati: inizialmente pensata per combattere il terrorismo e la criminalità organizzata, la direttiva è stata invece estesa a tutti i tipi di reati che si possono commettere.
Un terzo aspetto, legato al secondo, riguarda i potenziali rischi futuri collegati a tale norma che formalizza il principio secondo il quale sia possibile detenere dati personali degli utenti dei servizi di telefonia e telematici. In un periodo caratterizzato – a livello comunitario, ma il ragionamento può essere condotto anche avendo a riferimento l’intero Pianeta – da una forte deriva antilibertaria causata dalla spinta emotiva a combattere il terrorismo internazionale è facile ipotizzare una estensione della conservazione, ergo controllo, dei dati anche per perseguire altre fattispecie criminose.
Resta poi una considerazione da fare in proposito, siamo veramente sicuri che attraverso una riduzione dei diritti fondamentali dei cittadini, peraltro sanciti dalle costituzioni di tutti i Paesi civili, si ottenga un innalzamento del livello di sicurezza pubblica?
3. LA POSIZIONE DEI GARANTI EUROPEI PER IL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
Tale Direttiva è stata oggetto di esame da parte del Gruppo ex art 29[37] il quale ha prodotto, in merito, una serie di osservazioni[38] che ci limitiamo, brevemente, a riportare.
Proprio l’aspetto della tutela della privacy costituisce il nodo più spinoso della direttiva: i Garanti alla privacy europei hanno più volte richiamato la Commissione su questo tema delicato.     
Anche a metà novembre del 2005, poco prima dell’uscita della normativa UE, le Autorità per la tutela dei dati personali avevano severamente ammonito l’Europarlamento dall’approvare una legge che interferisse con il diritto fondamentale alla riservatezza delle comunicazioni. Dichiarandosi ben consapevoli dei pericoli rappresentati dal terrorismo e della necessità di farvi fronte in modo efficace, i Garanti ribadirono che ciò doveva avvenire senza minacciare i diritti fondamentali che sono alla base delle società democratiche, nel cui novero il diritto alla riservatezza riveste una posizione fondamentale.
La data retention, secondo i Garanti, andava equiparata all’intercettazione vera e propria, e quindi adottata solo in misure eccezionali; la loro proposta era di specificare chiaramente le finalità della conservazione dei dati (terrorismo e criminalità organizzata), indicare in quale misura le autorità competenti potrebbero accedere ai database e utilizzarli, limitare al massimo il periodo di conservazione, prevedere un riesame periodico della motivazione di base che rende necessaria la data retention e l’esclusione dei dati relativi ai contenuti delle comunicazioni.
Attraverso il citato Parere i Garanti europei hanno convenuto che:
  • le disposizioni della direttiva avranno conseguenze di ampia portata per tutti i cittadini europei e per la loro privacy;
  • la decisione di conservare i dati nell’intento di combattere i reati gravi è senza precedenti ed ha dimensione storica;
  • essa invade la vita quotidiana di ogni cittadino e può porre a repentaglio i valori e le libertà fondamentali di cui godono e che rispettano tutti i cittadini europei.
Viene, inoltre, ribadita la necessità di “prevedere salvaguardie adeguate e specifiche per tutelare gli interessi vitali degli individui, quali sono menzionati nella direttiva 2002/58/CE, in particolare il diritto alla riservatezza quando si utilizzano servizi pubblici di comunicazione elettronica. Inoltre, il gruppo di lavoro ritiene d’importanza cruciale che le disposizioni della direttiva siano interpretate e attuate secondo modalità armonizzate, così da assicurare ai cittadini il medesimo grado di tutela in tutta l’Unione europea.”
Nella ottica di favorire una implementazione omogenea della normativa da parte degli Stati membri il Gruppo ex art 29 ha individuato, quindi, una serie di spunti a cui fare costante riferimento:
1) Indicazione precisa dello scopo: i dati vanno conservati soltanto per scopi specifici. Di conseguenza, si deve definire e determinare con chiarezza il concetto di "reati gravi". Ogni altro trattamento dei dati va escluso, oppure va limitato rigorosamente in base a salvaguardie specifiche.
2) Limitazione dell’accesso: i dati devono essere disponibili soltanto ad autorità garanti della legge, determinate specificamente, quando tale accesso sia necessario ai fini delle indagini, dell’accertamento e del perseguimento dei reati menzionati nella direttiva. L’elenco di tali autorità deve essere reso pubblico. Ogni volta che vengono attinti dati, l’operazione deve essere registrata. Le registrazioni devono essere trasmesse alla o alle autorità di vigilanza, per assicurare un efficace controllo.
3) Conservazione di un minimo di dati: i dati da conservare vanno limitati al minimo. Ogni aggiunta alla loro lista va testata per accertarne l’assoluta necessità.
4) Dati da non recuperare: le indagini, gli accertamenti e il perseguimento di reati gravi non devono comportare il recupero generalizzato, da parte delle autorità garanti della legge, dei dati, tra quelli conservati, riguardanti le abitudini in fatto di spostamenti e di comunicazioni di persone non sospette.
5) Esame giudiziale / indipendente dell’accesso autorizzato: in linea di principio, l’accesso ai dati va autorizzato caso per caso dalle autorità giudiziarie, ad eccezione di quegli Stati in cui una specifica possibilità di accesso è prevista dalla legge ed è soggetta a supervisione indipendente. Se possibile, nelle autorizzazioni si devono precisare quali particolari dati sono necessari per il caso specifico in questione.
6) Scopi dei prestatori di servizi: ai sensi della direttiva riguardante la conservazione dei dati, i prestatori di servizi pubblici di comunicazione o gestori di reti telematiche non sono autorizzati ad elaborare per altri fini, in particolare per fini loro propri, i dati conservati unicamente a scopi di ordine pubblico.
7) Separazione dei sistemi: in particolare, i sistemi di memorizzazione dei dati per scopi di ordine pubblico devono essere logisticamente separati dai sistemi utilizzati per fini commerciali.
8) Misure di sicurezza: si devono definire norme minime riguardanti le misure di sicurezza di natura tecnica ed organizzativa che i suddetti prestatori di servizi devono adottare, specificando nei particolari le disposizioni generali della direttiva riguardante la conservazione dei dati.
 
 
CONCLUSIONE
 
La proroga alla conservazione dei dati telefonici e telematici disposta con il Decreto Milleproroghe suscita giustificati allarmi riguardo il livello di riservatezza che viene garantito ai cittadini.
La creazione di enormi data base, tra loro collegati!, contenenti la registrazione obbligatoria e la conservazione delle telefonate dei cittadini europei da parte dei gestori telefonici e dei comportamenti online da parte dei provider internet rappresentano un precedente per attuare politiche di sorveglianze di massa.
Si fa sempre più reale, quindi, il rischio di schedature che di fatto finiranno per limitare fortemente quei diritti della personalità sanciti dalle Costituzioni degli Stati membri. D’altro canto siamo portati a ritenere che la limitazione dei diritti e delle libertà, sanciti dal legislatore nostrano, non siano state giustificate da un effettivo aumento della sicurezza individuale e collettiva ma, che al contrario abbiano prodotto un impoverimento del tessuto sociale e dei principi di rango costituzionale che lo tenevano unito.
Una tale condotta finirà, probabilmente, per incidere in maniera lesiva sul tessuto sociale dei singoli Paesi senza, in realtà, offrire garanzie di maggiore successo nella lotta al terrorismo ed alla finalità organizzata.
Per il futuro è auspicabile che l’operato dei nostri legislatori si focalizzi sull’aspetto repressivo, senza comprimere più del necessario i diritti e le libertà dei singoli e delle associazioni, mentre quello della nostra classe politica dovrà tenere a mente le implicazioni di natura sociale ed economica che creano e/o favoriscono la nascita dei fenomeni terroristici e partire da esse per favorire un loro superamento.
 
 
 
Febbraio 2008
 
Dott. Giovanni Modesti


[1] Gjergji I., Prime note sul D..l 27 luglio 2005, n. 144, recante: “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, in www.Costituzionalismo.it ; Bugio A., De-regolare e reprimere. Cenni sul “liberismo giuridico” del secondo governo Berlusconi, in DeriveApprodi, 2003. Per una lettura critica del decreto in esame e in particolare per quanto attiene ai profili di incostituzionalità, si rimanda a Oddi A., Brevi osservazioni a “prima lettura” sul d.l. 22 settembre 2006, n. 259, su www.costituzionalismo.it; Marcoccio G., Data retention, la “Pisanu” dovrà fare i conti con l’Europa, www.Interlex.com
[2] Da rilevare che già esisteva una analoga disposizione in materia, ci si riferisce alla Delibera n. 467/00/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che prevedeva l’obbligo per ‘i soggetti che offrono servizi di telecomunicazione…di consentire l’identificazione certa degli utenti che fanno uso di detti terminali per l’invio di posta elettronica”. Si rimanda in proposito a Sarzana di S.Ippolito, Emergenza terrorismo e Internet, su www.lidis.it; per una completa trattazione dell’argomento.
[3]Briganti G., Le comunicazioni elettroniche nel codice della privacy: sicurezza, riservatezza e spamming, ; La direttiva europea sulle comunicazioni elettroniche (Direttiva 2002/58/CE); www.iusreporter.it
[4]Lisi A., La tutela della privacy: tra data retention e diritto all’anonimato, www.studiodl.it
[5] Art. 6 “Nuove norme sui dati del traffico telefonico e telematico”
[6] Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti Giovanni: Come l’Italia ha risposto al terrorismo internazionale: la legislazione e la giurisprudenza tra istanze di sicurezza e tutela dei dati personali, in Quaderni di Overlex n. 3 gennaio 2007, www.overlex.com
[7] Buraschi F., Intercettazioni telefoniche e informatiche, www.megaLab.it; Cammarata M., Intercettazioni e dossier illegali: qui custodiet custodes?; Intercettazioni e pubblicazioni: i veri problemi; www.mcreporter.it:   Monti A., Otto anni di abusi e il garante emette un comunicato; www.interlex.it; Privilegio informativo e Privacy; http://interlex.itFois B., Pronto, chi sparla? Vicende telefoniche, fra privatizzazioni e intercettazioni, www.democrazialegalità.it;   D’Avanzo G., Dall’Inter a Telecom, i 100 mila file degli spioni, Repubblica, 23 maggio 2006; Stefanelli F., Brevi considerazioni dul D.L. 22 settembre 2006, n. 259, www.penale.it
[8] D.lgs. n. 259 del 22 settembre 2006, recante “Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche” nel preambolo afferma: “la straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure volte a rafforzare le misure di contrasto alla detenzione illegale di contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate illecitamente, nonché ad informazioni illegalmente raccolte”.
[9]Il Decreto è stato convertito in Legge n. 281 del 20 novembre 2006.
[10] Per una lettura critica del decreto in esame, in particolare per quanto attiene ai profili di incostituzionalità, si rimanda a Oddi A., Brevi osservazioni a “prima lettura” sul d.l. 22 settembre 2006, n. 259, su www.costituzionalismo.it .
[11] D.l. 31 dicembre 2007, n. 248 – “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”, pubblicato sulla G.U. del 31 dicembre 2007, n. 302.
[12] Dal sito del Garante, riportiamo integralmente il seguente comunicato stampa: “Con una lettera inviata al Presidente della Camera ed una al Ministro delle politiche comunitarie, il Garante per la privacy ha ribadito le proprie preoccupazioni sul periodo di conservazione dei dati di traffico telefonico ed Internet detenuti per finalità di giustizia. Attualmente, dopo il recente decreto "milleproroghe", che ha prolungato i termini fino al 31 dicembre 2008, i tempi di conservazione possono arrivare a 8 anni per i dati di traffico telefonico e a 3 per quelli telematici. L’Autorità ha posto l’esigenza che il bilanciamento degli interessi coinvolti sia conforme alle prescrizioni della direttiva comunitaria in materia (la cosiddetta "direttiva Frattini"), e che la direttiva stessa, la quale prevede tempi di conservazione dei dati di traffico sia telefonico che telematico compresi tra un minimo di sei mesi ed un massimo di due anni, sia tempestivamente recepita. Al presidente Bertinotti, l’Autorità ha sottoposto inoltre la necessità che, in sede di conversione del decreto "milleproroghe", vengano introdotte alcune modifiche correttive alla norma, specificando che il periodo di conservazione dei dati è prorogato fino all’ entrata in vigore del decreto di recepimento della direttiva e comunque non oltre il 31 dicembre 2008. Al Ministro Bonino, il Garante ha espresso l’auspicio che il D.lgs. di recepimento della direttiva Frattini, già in fase di predisposizione, sia adottato nel più breve tempo possibile in modo tale da mettere fine all’attuale situazione di anomalia. Roma, 15 gennaio 2008”
[13] Gjergji I., Prime note sul decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”, www.Costituzionalismo.it “ la ‘guerra al terrorismo internazionale’ diviene fronte di un ulteriore attacco alle libertà, senza, peraltro, offrire alcun sostanziale contributo alla tutela della sicurezza pubblica, intesa come pacifica convivenza tra cittadini, popoli e Stati. La prospettiva securitaria che informa il decreto, determina la lesione dei diritti inviolabili della persona umana, sulla base del convincimento, irrazionale ed inaccettabile, che le garanzie individuali, sostanziali e processuali, costituiscono un impedimento allo svolgimento delle attività investigative, un ostacolo all’accertamento della verità”.
14. Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti Giovanni: Commento breve al D.Lgs.vo n. 196/2003. Codice in materia di protezione dei dati personali, su www.dirittosuweb.com; ottobre 2005 e su www.diritto.it/artt./dir_privacy/diritto_privacy.html; (2005); Introduzione al D.lgs. n. 196 del 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) con particolare riferimento alle misure di sicurezza, su www.filodiritto.com/diritto/privato/informaticagiuridica/introduzioneprivacymisuresicurezzamodesti.htm; (2005)
 
[15] Sull’argomento sia consentito rimandare a Modesti Giovanni: La sentenza della Corte di Giustizia della comunità europea del 30 maggio 2006 avente ad oggetto le cause c-317/04 e c-318/04 e la vexata quaestio del trasferimento dei dati personali dei passeggeri degli aerei diretti negli Stati Uniti (ovvero un argine all’affermazione della regola “tutti sospetti, nessun sospetto”); su www.diritto.itwww.dirittosuweb.com; www.nyberg.it; (settembre 2006); pubblicata sulla Rivista di Diritto, Economia e Gestione delle Nuove Tecnologie (RDEGNT) n. 03-06- Luglio Settembre 2006; Terrorismo e privacy: le risposte del nuovo e del vecchio continente a cinque anni dagli attentati di New York e di Washington, su www.diritto.it (Dicembre 2006); Il regime delle intercettazioni telefoniche alla luce della Legge n. 281 del 20.11.2006, su www.overlex.com; /Gennaio 2007);
 
[16] La legge 3 febbraio 2003, n. 14, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle comunità europee. Legge comunitaria 2002” delega al Governo – tra le altre cose – l’attuazione della direttiva comunitaria 2002/58/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali, entro 18 mesi, cioè entro il 30 giugno 2003. La direttiva, sopra richiamata, disciplina le comunicazioni elettroniche e lo fa assoggettando ad un unico quadro normativo i settori delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell’informazione; prescindendo dal fatto che i dati personali siano utilizzati sulle reti telefoniche o sul web.
 
[17] In quest’ottica è stata emanata una “direttiva quadro” (2002/21/Ce) che ha istituito la cornice normativa comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, e quattro “direttive particolari”. Alla direttiva n. 58, si aggiungono quella relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (2002/20/CE); quella sull’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate nonché all’interconnessione delle stesse (2002/19/CE); e quella sul servizio universale e sui diritti degli utenti in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica (2002/22/CE).
 
[18] L’art. 132, “Conservazione di dati di traffico per altre finalità” e fa parte del Titolo x – Comunicazioni elettroniche – Capo I – Servizi di comunicazione elettronica.
[19]Delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a): strage, terrorismo, associazione per delinquere, omicidio, sfruttamento della pornografia minorile, ecc., del c.p.p., nonché dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici.
 
[20] Art. 17, d.lgs 196/03 “ 1. Il trattamento dei dati diversi da quelli sensibili e giudiziari che presenta rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità dell’interessato, in relazione alla natura dei dati o alle modalità del trattamento o agli effetti che può determinare, è ammesso nel rispetto di misure ed accorgimenti a garanzia dell’interessato, ove prescritti. 2. Le misure e gli accorgimenti di cui al comma 1 sono prescritti dal garante in applicazione dei principi sanciti dal presente codice, nell’ambito di una verifica preliminare all’inizio del trattamento, effettuata anche in relazione a determinate categorie di titolari o di trattamenti, anche a seguito di un interpello del titolare”.
 
[21] Resta da stabilire se i dati del traffico telefonico, il cui accesso resta precluso dopo la scadenza dei termini sopra indicati, possano ugualmente essere utilizzati come prova se acquisiti prima dell’entrata in vigore dell’attuale legge e se possano essere acquisiti anche successivamente, con strumenti alternativi, attraverso le scritture contabili e di fatturazione che le società sono tenute a conservare per tempi molto più lunghi per dimostrare l’osservanza delle normative fiscali.
[22] Tale art. del Codice in materia di protezione dei dati personali è, a nostro avviso, in assoluto la norma più indeterminata nel contenuto e oscura nelle sue determinazioni! Trattasi di una fattispecie introdotta in Italia dal D.Lgs.vo n. 467/2001. Si tratta di tipologie di dati[22] non sensibili né giudiziari, che si differenziano dai dati comuni a causa della loro potenzialità lesiva per i diritti, le libertà fondamentali o la dignità dei titolari. Questa categoria non è identificata in concreto: è il Garante che ad ogni inizio di trattamento che gli sia notificato dovrà valutare se questo, per la natura dei dati elaborati, le conseguenze che può provocare o le modalità con cui si svolgerà, presenti la suddetta pericolosità. Le disposizioni in materia di dati particolari si applicano sia ai soggetti privati che alle P.A. La mancata adozione delle misure previste dal Garante costituisce un reato punito allo stesso modo della violazione delle norme sul trattamento dei dati sensibili. (art. 167, comma 2).
[23] Rodilosso P., Le misure di sicurezza a tutela della privacy nelle intercettazioni telefoniche, in www.AmministrazioneinCammino.it; Cerchi AIl Garante: nuove regole su dati telefonici e web, IlSole24Ore del 26.11.07
[24]Per la illustrazione di tali concetti sia consentito rimandare a testi dell’Autore indicati nella nota 14 del presente contributo.
 
[25]Marcoccio G., Data retention: che cosa prevede la direttiva europea, www.interlex.com
[26] DIRETTIVA 2006/24/CE DEL Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 riguardante la conservazione di dati generati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE (Pubblicata sulla GUCE n. L105 del 13 aprile 2006)
[27] Per "dati" si intendono "quelli necessari per rintracciare ed identificare la fonte di una comunicazione, per rintracciare e identificare la destinazione di una comunicazione, per determinare la data, l’ora e la durata di una comunicazione, per determinare il tipo di comunicazione, per determinare le attrezzature di comunicazione degli utenti, per determinare l’ubicazione delle apparecchiature di comunicazione mobile. Ciò si applica alle comunicazioni effettuate con telefoni fissi e mobili ma anche a quelle via Internet (accesso, posta elettronica e telefonate), compresi i tentativi di comunicazione non riusciti".
[28] Art. 6 Periodi di conservazione “Gli Stati membri provvedono affinché le categorie di dati di cui all’art. 5 siano conservate per periodi non inferiori a sei mesi e non superiori a due anni dalla data della comunicazione.”
[29] Art. 7, Protezione e sicurezza dei dati, lett. d) “i dati vengono distrutti alla fine del periodi di conservazione, fatta eccezione per quelli consultati e conservati”
[30]Art. 7, Protezione e sicurezza dei dati, comma 2: 2. A norma della presente direttiva, non può essere conservato alcun dato relativo al contenuto della comunicazione.”
[31] Art. 12 Future misure1. Uno Stato membro che si trovi ad affrontare circostanze particolari che giustificano una proroga, per un periodo limitato, del periodo massimo di conservazione di cui all’art. 6, può adottare le necessarie misure. Lo Stato membro notifica immediatamente alla Commissione e informa gli altri Stati membri delle misure adottate in virtù del presente art., motivandone l’introduzione. 2. Entro sei mesi dalla notifica di cui al paragrafo 1, la Commissione approva o respinge le misure nazionali in questione, dopo aver accertato se costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione occulta degli scambi fra gli Stati membri e se rappresentino un ostacolo al funzionamento del mercato interno. In assenza di decisione da parte della Commissione entro tale periodo, le misure nazionali si considerano approvate. 3. Quando le misure nazionali di uno Stato membro in deroga alle disposizioni
[32] Carta A. e Fratini A., I vacillanti pilastri della “data retention”; 2006
[33] Con l’espressione ‘Terzo Pilastro’ si vogliono richiamare le norme del Titolo VI del Trattato per la costituzione della Unione europea che reca la seguente intestazione “ Disposizioni relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale “. Il Secondo Pilastro è rappresentato, invece, dalle norme del Titolo V del T.U.E. recante “ Disposizioni concernenti una politica estera e di sicurezza comune “. Il Primo Pilastro fa riferimento ai diritti in senso stretto della Comunità europea.
[34] ALCEI (Electronic Frontiers Italy), Italia; Digital Rights, Danimarca; EDRI (European Digital Civil Rights), Europa; Electronic Frontier Finland, Finlandia; Electronic Frontier Foundation, Stati Uniti; FITUG (Förderverein Informationstechnik und Gesellschaft e.V.), Germania; Foundation for a Free Information Infrastructure, Europa Internet Society, Bulgaria; IRIS (Imaginons un Réseau Internet Solidaire), Francia; Liga voor de Mensenrechten (League for Human Rights), Belgio; luridicum Remedium, Repubblica Ceca; Netzwerk Neue Medien, Germania; Open Rights Group, Gran Bretagna; Privacy International, Gran Bretagna;Quintessenz, Austria; VIBE!AT (Austrian Association for Internet Users), Austria
[35] La petizione EDRI  Paesi Bassi (dove la campagna è stata lanciata), e oltre 5000 da Germania e Finlandia. . e XS4ALL contro la conservazione dei dati ha attratto quasi 42000 firme, di cui oltre 16000 raccolte nei
[36] In merito a tale aspetto si tenga presente che il testo di legge non prevede alcun genere di rimborso per le spese sostenute per la data retention.
[37]L’art. 29 della Direttiva 9+5/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, ha istituito un gruppo per la tutela delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali. Il Gruppo è composto dal rappresentante dell’autorità di controllo designato da ciascuno Stato membro.
[38]Parere WP 113 del 21 ottobre 2005
 
«This directive is without prejudice to the Protocol on asylum for nationals of Member States of the European Union as annexed to the Treaty Establishing the European Community» (Directive 2004/83/EC of 29 April 2004, considerando n. 13).
Here we have just three lines to remember the hypothesis of asylum of nationals of Member States generally forgotten.
It may sound strange but at least it is an unusual and not impossible situation also because we can’t forgive what considerando n. 14 of the same Directive tell us: “The recognition of refugees status is a declaratory act”. In other words, as it is formalised in article 9, nr. 1, a), in case of qualification for being a refugee, acts of persecution within the meaning of article 1 A of the Geneva Convention must «(a) be sufficiently serious by their nature or repetition as to constitute a severe violation of basic human rights, in particular the rights from which derogation cannot be made under Article 15(2) of the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedom; or (b) be an accumulation of various measures, including violations of human rights which is sufficiently severe as to affect an individual in a similar manner as mentioned in (a)».
Acts of persecution like those mentioned above can take the form of
(i)                 acts of physical or mental violence, including acts of sexual violence;
(ii)               legal, administrative, police, and/or judicial measures which are in themselves discriminatory or which are implemented in a discriminatory manner;
(iii)             prosecution or punishment, which is disproportionate or discriminatory;
(iv)             denial of judicial redress resulting in a disproportionate or discriminatory punishment;
(v)               prosecution or punishment for refusal to perform military service in a conflict, where performing military service would include crimes or acts falling under the exclusion clauses as set out in Article 12(2);
(vi)             acts of a gender-specific or child-specific nature.
Communitarian dispositions we are used to keep under consideration about asylum are Articles 2 and 63 of the Treaty on European Union referred anyway to third countries nationals and stateless persons. The first one puts as an objective that of maintaining and developing an area of freedom, security and justice, in which the free movement of persons is assured in conjunction with appropriate measures with respect to external border controls, asylum, immigration and the prevention and combating of crime. Article 63 has been modified by Treaty of Lisbon[1]. In particular it says:
«1. The Union shall develop a common policy on asylum, subsidiary protection and temporary protection with a view to offering appropriate status to any third-country national requiring international protection and ensuring compliance with the principle of non refoulement.
This policy must be in accordance with the Geneva Convention of 28 July 1951 and the Protocol of 31 January 1967 relating to the status of refugees, and other relevant treaties.
2. For the purposes of paragraph 1, the European Parliament and the Council, acting in accordance with the ordinary legislative procedure, shall adopt measures for a common European asylum system comprising:
(a) a uniform status of asylum for nationals of third countries, valid throughout the Union;
(b) a uniform status of subsidiary protection for nationals of third countries who, without obtaining European asylum, are in need of international protection;
(c) a common system of temporary protection for displaced persons in the event of a massive inflow;
(d) common procedures for the granting and withdrawing of uniform asylum or subsidiary protection status;
(e) criteria and mechanisms for determining which Member State is responsible for considering an application for asylum or subsidiary protection;
(f) standards concerning the conditions for the reception of applicants for asylum or subsidiary protection;
(g) partnership and cooperation with third countries for the purpose of managing inflows of people applying for asylum or subsidiary or temporary protection.
3. In the event of one or more Member States being confronted by an emergency situation characterised by a sudden inflow of nationals of third countries, the Council, on a proposal from the Commission, may adopt provisional measures for the benefit of the Member State(s) concerned. It shall act after consulting the European Parliament».
It is undoubted that these two articles define the general rules for asylum and refugees. What we have to understand is  if and in which way these general dispositions may be applied to asylum seekers from Member States and how different may seem conditions and cases of asylum for nationals of Member States.  
Communitarian laws on this matter are Protocol n. 29 to Treaty of Amsterdam as changed by Protocol 1 of Lisbon[2] and declarations n. 48, 49 and 56 annexed to Treaty of Amsterdam, a part the mentioned considerando n. 13 of Directive 2004/83/EC.
Fundamental points are represented by the fact that any application for asylum made by a Member State’s national may be taken into consideration or declared admissible for processing by another Member State only in the following cases:
1. if the Member State of which the applicant is a national proceeds after the entry into force of the Treaty of Amsterdam, availing itself of the provisions of Article 15 of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, to take measures derogating in its territory from its obligations under that Convention
2. if the procedure referred to in Article 7(1) of the Treaty on European Union has been initiated and until the Council or, where appropriate, the European Council takes a decision in respect thereof with regard to the Member State of which the applicant is a national;
3. if the Council has adopted a decision in accordance with Article 7(1) of the Treaty on European Union in respect of the Member State of which the applicant is a national or if the European Council has adopted a decision in accordance with Article 7(2) of that Treaty in respect of the Member State of which the applicant is a national;
4. if a Member State should so decide unilaterally in respect of the application of a national of another Member State; in that case the Council shall be immediately informed; the application shall be dealt with on the basis of the presumption that it is manifestly unfounded without affecting in any way, whatever the cases may be, the decision-making power of the Member State.
Preliminary and instrumental to a correct interpretation of what previewed before are:
a)                  art. 7 of the Treaty on European Union which establishes a mechanism for the suspension of certain rights in the event of a serious and persistent breach by a Member State of those values;
b)                 question of extradition of nationals of Member States of the Union as addressed in the European Convention on Extradition of 13 December 1957 and the Convention of 27 September 1996 drawn up on the basis of Article 31 of the Treaty on European Union relating to extradition between the Member States of the European Union;
c)                  the respect the Protocol confirms of the finality and the objectives of the Geneva Convention of 28 July 1951 relating to the status of refugees;
d)                 in accordance with Article 6(1) of the Treaty on European Union, the Union recognises the rights, freedoms and principles set out in the Charter of Fundamental Rights
e)                  pursuant to Article 6(3) of the Treaty on European Union, fundamental rights, as guaranteed by the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, constitute part of the Union’s law as general principles
f)                  pursuant to Article 49 of the Treaty on European Union any European State, when applying to become a Member of the Union, must respect the values set out in Article 1a of the Treaty on European Union
g)                 each national of a Member State, as a citizen of the Union, enjoys a special status and protection which shall be guaranteed by the Member States in accordance with the provisions of Part Two of the Treaty on the Functioning of the European Union
h)            Member States be regarded as constituting safe countries of origin in respect of each other for all legal and practical purposes in relation to asylum matters.
Juridical perspective is completed by three declarations annexed to the final act of Amsterdam and precisely:
a) Declaration Nr. 48 relating to the Protocol on asylum for nationals of Member States of the European Union:
«The Protocol on asylum for nationals of Member States of the European Union does not prejudice the right of each Member State to take the organisational measures it deems necessary to fulfil its obligations under the Geneva Convention of 28 July 1951 relating to the status of refugees».
b) Declaration Nr. 49 relating to subparagraph (d) of the Sole Article of the Protocol on asylum for nationals of Member States of the European Union
«The Conference declares that, while recognising the importance of the Resolution of the Ministers of the Member States of the European Communities responsible for immigration of 30 November/1 December 1992 on manifestly unfounded applications for asylum and of the Resolution of the Council of 20 June 1995 on minimum guarantees for asylum procedures, the question of abuse of asylum procedures and appropriate rapid procedures to dispense with manifestly unfounded applications for asylum should be further examined with a view to introducing new improvements in order to accelerate these procedures».
c) Declaration Nr. 56 by Belgium on the Protocol on asylum for nationals of Member States of the European Union.
«In approving the Protocol on asylum for nationals of Member States of the European Union, Belgium declares that, in accordance with its obligations under the 1951 Geneva Convention and the 1967 New York Protocol, it shall, in accordance with the provision set out in point (d) of the sole Article of that Protocol, carry out an individual examination of any asylum request made by a national of another Member State».
 
The articles of Treaty on European Union here above refer to specific conditions in presence of which asylum for national of Member States can be admitted. The first of these conditions is represented by derogation from provisions of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms availing of article 15 of the same Convention. In other words a national from a Member State might legitimately present his/her application for asylum if the Member State takes measures inconsistent with its obligations under international laws supposing as an excuse a time war or other public emergency threatening the life of the nation[3].
Second case is the application of procedure indicated in Article 7 (1) and (2) of EU Treaty in respect of the Member State of which the applicant is a national[4].
Article 7
1. On a reasoned proposal by one third of the Member States, by the European Parliament or by the Commission, the Council, acting by a majority of four fifths of its members after obtaining the assent of the European Parliament, may determine that there is a clear risk of a serious breach by a Member State of principles mentioned in Article 6(1), and address appropriate recommendations to that State. Before making such a determination, the Council shall hear the Member State in question and, acting in accordance with the same procedure, may call on independent persons to submit within a reasonable time limit a report on the situation in the Member State in question.
The Council shall regularly verify that the grounds on which such a determination was made continue to apply.
2. The Council, meeting in the composition of the Heads of State or Government and acting by unanimity on a proposal by one third of the Member States or by the Commission and after obtaining the assent of the European Parliament, may determine the existence of a serious and persistent breach by a Member State of principles mentioned in Article 6(1), after inviting the government of the Member State in question to submit its observations.
(omissis)[5].
 
 In any case each Member States is regarded as constituting, as said before, safe countries of origin in respect of each other for all legal and practical purposes. This is a really important mutual admission for the consequences it has to have. First of all we are talking about European citizens. In other words we keep into consideration the hypothesis of a national of one of the Member States and in the same time a person with communitarian nationality who could be forced to present an application for asylum. Each country within EU can be assumed as an origin country and as a further consequence as a safe country of origin. But this quite obvious analysis is sufficient to emphasize also the limits of such a definition of ‘safe country of origin’ introduced into Directives referred to third country or stateless asylum seekers and refugees[6]. Not only, from this we enter directly into the question of interpretation of paragraph 1 and 3 of article 6 of the Treaty on European Union. This is due to the fact that now, more than before, interpretation is based on three elements: definition of refugee or asylum seeker; distinction between the principles guaranteed by European Convention for the Protection for Human Rights and Fundamental Freedoms which constitute part of the Union’s law and the values transposed from the Treaty on the Functioning of the European Union to the Charter of Fundamental Rights; jurisdiction of the Court of Justice of the European Communities to ensure that in the interpretation and application of Article 6 cited above the law is observed by the European Community.
The first element has been anticipated in the sense that considerando (or recital) 13 and 14 read together with art. 9, nr. 1, a), underline that violation of the Geneva Convention article 1 must be valuated with regards to art. 15 of Convention for the Protection of Human Rights. Paragraphs (1) and (2) of the Geneva Convention article 1 appear particularly important for us. And of the two paragraphs the nr. 2 is determinant here considering the particular political and geographical context potential asylum seekers come from, in other words European Union.
“(2) As a result of events occurring before I January 1951 and owing to well-founded fear of being persecuted for reasons of race, religion, nationality, membership of a particular social group or political opinion, is outside the country of his nationality and is unable, or owing to such fear, is unwilling to avail himself of the protection of that country; or who, not having a nationality and being outside the country of his former habitual residence as a result of such events, is unable or, owing to such fear, is unwilling to return to it.
In the case of a person who has more than one nationality, the term "the country of his nationality" shall mean each of the countries of which he is a national, and a person shall not be deemed to be lacking the protection of the country of his nationality if, without any valid reason based on well-founded fear, he has not availed himself of the protection of one of the countries of which he is a national”.
 
We find here the causes of discrimination or violation of fundamental human rights and freedoms. But it is mentioned the possibility of a double nationality person may have. We cant’ forget also what it is written in article 1 of the Protocol relating to the Status of Refugees entered into forced 4 October 1967. In its paragraphs 2 and 3 it is clearly said that «the term of ‘refugee’ shall, except as regards the application of paragraph 3 of this article, mean any person within the definition of article 1 of the Convention as if the words “As a result of events occurring before 1 January 1951 and…” and the words “…as a result of such events”, in article 2 A(2) were omitted. 3. The present Protocol shall be applied by the States Parties hereto without any geographic limitation, save that existing declarations made by States already Parties to the Convention in accordance with article 1B (I) (a) of the Convention, shall, unless extended under article 1 B (2) thereof, apply also under the present Protocol». This represents an important admission of all possible hypothesis of asylum independently from geographic area and we are just in a particular case of asylum within an area apparently out of  situations that should justify an application for asylum.
Finally we arrive to those essential change introduced by Treaty of Lisbon with the substitution in the body of the Protocol nr. 29 of ‘principle’ with ‘value’ as a consequence of their transfer from the Treaty to the Charter. The change refers to the same rights Convention on Human Rights defines as ‘principle’ and the Treaty on European Union considers as ‘principles’ because deriving from the Convention.
Question is now on  if the term of value instead of principle may represent a deminutio, in terms of defence of rights and formal and substantial safeguard of human rights and freedoms. And here it could be reinforced the role of the Court of Justice of European Community. If it is philosophically and ethically comprehensible defining ‘common values’ human dignity, freedom, equality and solidarity, it is also particular the double identification of the same fundamental rights as principles and as values. As a consequence there could be a possible discussion about the interpretation of those fundamental rights according to different ethical approach to them seen as values instead of principles, a concept legally stronger then the other one.
In this contest a quick consideration has to be proposed with regards to the cited declarations and in particular declaration n. 49 which summarizes a basic problem referred to asylum but in connection to and in direct derivation from immigration. While EU Commission is going to propose a Common European Asylum System able to solve also mixture between legal and illegal immigration laws and different national asylum systems, declaration n. 49 remands us of point (d) of Sole Article of the Protocol n. 29 here under exam in order to underline the possibility of ‘manifestly unfounded applications for asylum’ as well as ‘the question of abuse of asylum procedure’. And also declaration n. 56 centralizes attention on the same point (d). This may signify that possibility of abuse is admissible such as the fact that a single Member State should unilaterally decide in respect of the application of a national of another Member State. In a similar situation ‘the application shall be dealt with on the basis of the presumption that ii is manifestly unfounded without affecting in any way, whatever the cases may be, the decision-making power of the Member State’. We see here the adoption of the same definitions and the emerging of the same difficulties which characterize applications presented by third country nationals and stateless persons.
The last question introduces us also to the more controversial element admitted in the Protocol n. 29 in its seventh recital where it is said that “the question of extradition of nationals of Member States of the Union is addressed in the European Convention on Extradition of 13 December 1957 and the Convention of 27 September 1996 drawn up on the basis of Article 31 of the Treaty on European Union relating to extradition between the Member States of the European Union”.
Some final considerations have to be done. The first is due to the surprise that in occasion of the Treaty of Lisbon, there has not been introduced the remind to European Convention of Extradition by the moment that from 2002 it has been adopted the framework decision on European Arrest Warrant. Second step is exactly on the framework decision 2002/584/GAI of 13 June 2002 on the European Arrest Warrant, which substitutes the Convention on extradition of 1957. It is a very important premises for two reasons. Rules for surrender are quite different and political asylum, which could represents one of the cases the quite general and generic Protocol n. 29 could contemplate, has been abolished. Moreover this could represent a really divergent disposal from directives on asylum where it is clearly said that Member States can make an exception [to the right to remain in the MS pending the examination of the application] only where, in accordance with Articles 32 and 34, a subsequent application will be further examined or where they will be surrender or extradite, as appropriate, a person either to another MS pursuant to obligations in accordance with a European Arrest Warrant or otherwise, or to a third country, or to international criminal courts or tribunals (art, 7, § 2, Directive 2005/85/EC of 1 Dec. 2005).
 So, in concrete terms, how could we interpret the application of asylum for nationals of a Member States? Surely we could reason in terms of cases of violations of fundamental rights and freedoms, for example discrimination or limitation to free sexual tendency or detention in prisons where it has been proved that systems do not guarantee human rights or at least they are proved admitting abuses, violence or inhuman treatments.
 
 
 
 
 
 
 
 


[1] Treaty or European Union has a formulation of Article 63 a bit different. Before Treaty of Lisbon there were defined measures on asylum, in accordance with the Geneva Convention of 28 July 1951 and the Protocol of 31 January 1967 relating to the status of refugees and other relevant treaties, within the following areas:
(a) criteria and mechanisms for determining which Member State is responsible for considering an application for asylum submitted by a national of a third country in one of the Member States;
(b) minimum standards on the reception of asylum seekers in Member States;
(c) minimum standards with respect to the qualification of nationals of third countries as refugees;
(d) minimum standards on procedures in Member States for granting or withdrawing refugee status;
2. measures on refugees and displaced persons within the following areas:
(a) minimum standards for giving temporary protection to displaced persons from third
countries who cannot return to their country of origin and for persons who otherwise need international protection;
(b) promoting a balance of effort between Member States in receiving and bearing the consequences of receiving refugees and displaced persons.
[2] The complete text as integrated, replaced and deleted by Protocol of Lisbon (p. 191 ss)  is here transposed.
Protocol (No 29) on asylum for nationals of Member States of the European Union (1997)
THE HIGH CONTRACTING PARTIES;
WHEREAS, in accordance with Article 6(1) of the Treaty on European Union, the Union recognises the
rights, freedoms and principles set out in the Charter of Fundamental Rights;
WHEREAS pursuant to the provisions of Article 6(2) of the Treaty on European Union the Union shall respect fundamental rights as guaranteed by the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms signed in Rome on 4 November 1950;
WHEREAS pursuant to Article 6(3) of the Treaty on European Union, fundamental rights, as guaranteed by the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, constitute part of the Union’s law as general principles;
WHEREAS the Court of Justice of the European Communities has jurisdiction to ensure that in the interpretation and application of  Article 6, paragraphs (1) and (3) Article 6(2) of the Treaty on European Union the law is observed by the European Community;
WHEREAS pursuant to Article 49 of the Treaty on European Union any European State, when applying to become a Member of the Union, must respect the principles values set out in Article 1a Article 6(1) of the Treaty on European Union,
BEARING IN MIND that Article 7 of the Treaty on European Union Article 309 of the Treaty establishing the European Community establishes a mechanism for the suspension of certain rights in the event of a serious and persistent breach by a Member State of those principles values;
RECALLING that each national of a Member State, as a citizen of the Union, enjoys a special status and protection which shall be guaranteed by the Member States in accordance with the provisions of Part Two of  the Treaty on the Functioning of the European Union Treaty establishing the European Community;
BEARING IN MIND that the Treaty establishing the European Community establishes an area without internal frontiers and grants every citizen of the Union the right to move and reside freely within the territory of the Member States;
RECALLING that the question of extradition of nationals of Member States of the Union is addressed in the European Convention on Extradition of 13 December 1957 and the Convention of 27 September 1996 drawn up on the basis of Article 31 of the Treaty on European Union relating to extradition between the Member States of the European Union;
WISHING to prevent the institution of asylum being resorted to for purposes alien to those for which it is intended;
WHEREAS this Protocol respects the finality and the objectives of the Geneva Convention of 28 July 1951 relating to the status of refugees;
HAVE AGREED UPON the following provisions which shall be annexed to the Treaty establishing the European Community,
Sole Article
Given the level of protection of fundamental rights and freedoms by the Member States of the European Union, Member States shall be regarded as constituting safe countries of origin in respect of each other for all legal and practical purposes in relation to asylum matters. Accordingly, any application for asylum made by a national of a Member State may be taken into consideration or declared admissible for processing by another Member State only in the following cases:
(a) if the Member State of which the applicant is a national proceeds after the entry into force of the Treaty of Amsterdam, availing itself of the provisions of Article 15 of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, to take measures derogating in its territory from its obligations under that Convention;
(b) if the procedure referred to in Article 7(1) of the Treaty on European Union has been initiated and until the Council or, where appropriate, the European Council, takes a decision in respect thereof with regard to the Member State of which the applicant is a national;
(c) if the Council has adopted a decision in accordance with Article 7(1) of the Treaty on European Union in respect of the Member State of which the applicant is a national or if the European Council has adopted a decision in accordance with Article 7(2) of that Treaty in respect of the Member State of which the applicant is a national.
(c) if the Council, acting on the basis of Article 7(1) of the Treaty on European Union, has determined, in respect of the Member State which the applicant is a national, the existence of a serious and persistent breach by that Member State of principles mentioned in Article 6(1);
(d) if a Member State should so decide unilaterally in respect of the application of a national of another Member State; in that case the Council shall be immediately informed; the application shall be dealt with on the basis of the presumption that it is manifestly unfounded without affecting in any way, whatever the cases may be, the decision-making power of the Member State.
 
 
[3] Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms:
Article 2 . Right to life
1 Everyone’s right to life shall be protected by law. No one shall be deprived of his life intentionally save in the execution of a sentence of a court following his conviction of a crime for which this penalty is provided by law.
2 Deprivation of life shall not be regarded as inflicted in contravention of this article when it results from the use of force which is no more than absolutely necessary:
a in defence of any person from unlawful violence;
b in order to effect a lawful arrest or to prevent the escape of a person lawfully detained;
c in action lawfully taken for the purpose of quelling a riot or insurrection.
Article 3 . Prohibition of torture
No one shall be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment or punishment.
Article 7 . No punishment without law
1 No one shall be held guilty of any criminal offence on account of any act or omission which did not constitute a criminal offence under national or international law at the time when it was committed. Nor shall a heavier penalty be imposed than the one that was applicable at the time the criminal offence was committed.
2 This article shall not prejudice the trial and punishment of any person for any act or omission which, at the time when it was committed, was criminal according to the general principles of law recognised by civilised nations.
Article 15 . Derogation in time of emergency
1 In time of war or other public emergency threatening the life of the nation any High Contracting Party may take measures derogating from its obligations under this Convention to the extent strictly required by the exigencies of the situation, provided that such measures are not inconsistent with its other obligations under international law.
2 No derogation from Article 2, except in respect of deaths resulting from lawful acts of war, or from Articles 3, 4 (paragraph 1) and 7 shall be made under this provision.
3 Any High Contracting Party availing itself of this right of derogation shall keep the Secretary General of the Council of Europe fully informed of the measures which it has taken and the reasons therefor. It shall also inform the Secretary General of the Council of Europe when such measures have ceased to operate and the provisions of the Convention are again being fully executed”.
[4] In Protocol n. 29 of 1997 in forth recital, become fifth after Lisbon Treaty has been approved, it was mentioned article 309 whose provisions are these after that the article has been replaced by this new:
“«‘Article 309
For the purposes of Article 7 of the Treaty on European Union on the suspension of certain rights resulting from Union membership, the member of the European Council or of the Council representing the Member State in question shall not take part in the vote and the Member State in question shall not be counted in the calculation of the one third or four fifths of Member States referred to in paragraphs 1 and 2 of that Article. Abstentions by members present in person or represented shall not prevent the adoption of decisions referred to in paragraph 2 of that Article.
For the adoption of the decisions referred to in paragraphs 3 and 4 of Article 7 of the Treaty on European Union, a qualified majority shall be defined in accordance with Article 205(3)(b) of this Treaty.
Where, following a decision to suspend voting rights adopted pursuant to paragraph 3 of Article 7 of the Treaty on European Union, the Council acts by a qualified majority on the basis of a provision of the Treaties, that qualified majority shall be defined in accordance with Article 205(3)(b) of this Treaty, or, where the Council acts on a proposal from the Commission or from the High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy, in accordance with Article 205(3)(a).
For the purposes of Article 7 of the Treaty on European Union, the European Parliament shall act by a two-thirds majority of the votes cast, representing the majority of its component members.’
[5] Treaty of European Union: Article 6
1. The Union is founded on the principles of liberty, democracy, respect for human rights and fundamental freedoms, and the rule of law, principles which are common to the Member States.
2. The Union shall respect fundamental rights, as guaranteed by the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms signed in Rome on 4 November 1950 and as the. y result from the constitutional traditions common to the Member States, as general principles of Community law.
3. The Union shall respect the national identities of its Member States.
4. The Union shall provide itself with the means necessary to attain its objectives and carry through its policies.
 
[6] Court of Justice of European Community, C-133/06, conclusion presented of 27 Sept. 2007

Modesti Giovanni

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