REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI MESSINA
in persona dei magistrati
**************** Presidente
***************** Consigliere
*************** Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile
TRA
*** ***, rappresentata e difesa dall’Avv. *************;
APPELLANTE
Istituto Bancario San Paolo di Torino;
San Paolo IMI S.p.A.;
*** Francesco;
*** ********;
APPELLATI-CONTUMACI
OGGETTO: appello avverso sentenza numero 1486/02 del Tribunale di Messina, in materia di annullamento di fideiussione per incapacità naturale.
Conclusioni delle parti: all’udienza del 15.12.2004, parte appellante precisava le conclusioni come da verbale, riportandosi a quelle rassegnate nell’atto introduttivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra *** evocava in giudizio l’Istituto Bancario S. Paolo di Torino, opponendosi al decreto ingiuntivo emesso (anche) nei suoi confronti dal Tribunale di Messina, in data 07.08.1991
A sostegno della domanda, eccepiva l’annullabilità, per incapacità naturale di essa attrice, della fideiussione posta a fondamento della pretesa creditoria di controparte.
L’opposizione veniva rigettata dal giudice di prime cure.
Avverso siffatta pronuncia proponeva appello la ***, evidenziandone l’erroneità nell’aver ritenuto necessaria, ai fini dell’annullamento, la mala fede dell’istituto di credito e rilevando, in ogni caso, che la prova della mala fede era stata raggiunta.
Gli appellanti non si costituivano e, pertanto, ne deve essere dichiarata la contumacia.
Accolta l’istanza di inibitoria, la causa veniva assunta in decisione all’udienza del 25.02.2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello, a parere della Corte, è fondato.
L’incapacità naturale della signora ***, al momento della sottoscrizione della fideiussione, risulta ampiamente provata dalla relazione di consulenza tecnica espletata in primo grado, assolutamente esaustiva sotto l’aspetto logico e tecnico- argomentativo e, pertanto, integralmente condivisa dalla Corte.
Come anticipato, l’opposizione è stata tuttavia rigettata, in quanto si è ritenuto che, nella fattispecie, dovesse trovare applicazione l’art. 428, II comma c.c..
L’assunto non può essere condiviso.
Pare utile, per illustrare le ragioni del superiore convincimento, una breve analisi sulla ratio dell’art. 428 c.c. e sulla struttura del negozio di fideiussione.
Come è noto, l’art. 428 c.c., nel disciplinare gli effetti degli atti compiuti dall’incapace naturale, distingue gli atti dai contratti.
Per l’annullamento degli atti compiuti dall’incapace è infatti sufficiente il grave pregiudizio che ne potrebbe risultare per l’autore; per converso, per dichiarare l’invalidità dei contratti è necessario che la controparte fosse a conoscenza dello stato di incapacità, rilevando qui l’eventuale pregiudizio esclusivamente quale indizio ai fini dell’accertamento della mala fede.
Recita l’articolo in esame:
[1] “Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore”.
[2] “L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente”.
Da entrambe le disposizioni emerge una duplice esigenza: quella di tutelare il soggetto che sia assolutamente incapace di ponderare le conseguenze, giuridiche ed economiche, dei propri atti e quella di tutelare l’affidamento del terzo che abbia confidato nella validità dell’atto e/o nella stabilità dei suoi effetti. Questa duplice esigenza assume diversa intensità, nelle ipotesi disciplinate dai due commi in esame.
a) nel primo caso, mancando un soggetto che abbia partecipato alla formazione dell’atto (e venendo il terzo in rilievo solo successivamente, quale destinatario dei relativi effetti giuridici), la norma è finalizzata principalmente alla tutela dell’incapace. Pertanto, l’invalidità dell’atto discende dal solo pregiudizio per il suo autore. Pregiudizio, in mancanza del quale l’ordinamento ritiene meritevole di tutela l’interesse del terzo, estraneo alla formazione dell’atto, e tuttavia destinatario dei relativi effetti.
b) nella seconda ipotesi, per converso, sussistendo una controparte, la finalità di tutela dell’incapace recede rispetto alla concorrente esigenza di tutelare l’affidamento del contraente in buona fede. Proprio per questo, in tale ipotesi, presupposto per l’annullamento del contratto è la malafede dell’altro contraente. Mala fede che, peraltro, è presupposto necessario e sufficiente per l’annullamento. Ciò, in quanto, in mancanza di buona fede, l’ordinamento non ritiene meritevole di tutela l’interesse della controparte. Con la conseguenza, del tutto coerente, che il contratto è annullabile anche se non ne sia derivato (o non ne possa derivare) alcun pregiudizio per l’incapace.
Se le superiori considerazioni sono corrette, la differente disciplina dell’annullamento, nelle ipotesi disciplinate dall’articolo in esame, non discende dalla natura (negoziale o meno) dell’atto, ma dalla sua struttura (unilaterale o bilaterale).
In altri termini, i diversi presupposti dell’annullamento previsti dai due commi dell’articolo summenzionato si applicheranno, rispettivamente, alle fattispecie di atto unilaterale e bilaterale.
In ogni caso, anche a non voler condividere tale ultima interpretazione, la disciplina di cui al I comma si dovrà in ogni caso applicare per analogia, sussistendone identità di ratio (e salva diversa, specifica disciplina), anche ai negozi giuridici unilaterali.
A questo punto, occorre interrogarsi sulla natura del contratto di fideiussione in oggetto.
Costituisce principio pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, quello secondo cui, quando l’obbligazione fideiussoria è assunta a titolo gratuito, cioè senza pattuizione di un compenso o vantaggio in favore del fideiussore, essa costituisce un contratto con obbligazioni a carico di una sola parte, per il cui perfezionamento non è necessaria una dichiarazione espressa di accettazione del creditore, essendo sufficiente che costui, a norma dell’art.. 1333, secondo comma, cod. civ., non rifiuti la proposta entro il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi.
Molteplici contrasti, di contro, sussistono sulla struttura del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente e, correlativamente, sulla sua natura.
La fattispecie si articola in una proposta, “irrevocabile non appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata” (art.1333, 1°co.), e nella espressa previsione di un potere di rifiuto in capo al cosiddetto oblato, il cui mancato esercizio, “nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi”, importa la conclusione del contratto (art.1333, 2°co.).
Secondo la dottrina tradizionale, la fattispecie in esame è da ricondursi allo schema consensualistico classico (art. 1326 c.c.). In quest’ottica, il mancato rifiuto del destinatario assume il significato di accettazione tacita, o di comportamento negativo legalmente tipizzato quale accettazione.
Questo orientamento, seguito dalla giurisprudenza più risalente, risente dell’impostazione tradizionale e liberale del contratto, inteso come puro incontro delle volontà e strumento generale di autonomia negoziale, nell’ottica dell’assoluta intangibilità delle altrui sfere giuridiche individuali.
E infatti, ove si ammettesse la costituzione del rapporto per volontà di una sola parte, ne risulterebbe riconosciuta la possibilità di incidere sulla sfera giuridica dei terzi, anche in mancanza della loro volontà.
Secondo un altro orientamento, la bilateralità strutturale non è requisito essenziale del contratto che, pertanto, può formarsi anche unilateralmente. Anche il principio di intangibilità delle altrui sfere giuridiche, secondo questa impostazione, non deve essere considerato assoluto, ma limitato ai soli effetti potenzialmente pregiudizievoli per il destinatario.
Secondo tale dottrina, la fattispecie disciplinata dall’art. 1333 costituirebbe proprio un’ipotesi di “negozio unilaterale con rilievo bilaterale” (unilaterale nella struttura e bilaterale dal punto di vista dei relativi effetti).
Le pronunce giurisprudenziali applicative dell’art. 1333 c.c. denotano un’evoluzione sostanzialmente parallela a quella della dottrina.
Secondo un primo orientamento, infatti, nei contratti unilaterali, se la proposta diviene irrevocabile appena giunta a conoscenza del destinatario, è tuttavia necessaria l’accettazione, anche tacita di costui (Cass., 16 marzo 1951, n.672, in Giur. it., 1952, I, 1, 858).
Una prima, decisiva apertura della giurisprudenza verso l’unilateralità della fattispecie si ha con la nota sentenza n° 9500 del 1987, che ha statuito che “la proposta di trasferimento di un immobile, che un genitore rivolga al figlio minore per eseguire quanto concordato con il coniuge nel verbale di separazione consensuale a titolo di contributo per il mantenimento del minore, malgrado sia espressamente qualificata come proposta di donazione, è diretta a dar vita ad un contratto atipico e gratuito che si perfeziona ai sensi dell’art. 1333, c.c., per effetto del mancato rifiuto”.
Siffatta impostazione ha trovato seguito nella giurisprudenza più recente, che ha sconfessato la ricostruzione della fattispecie in esame quale incontro reciproco di volontà: di volontà tacita (o implicita, ovvero ancora presunta) è possibile parlare solo dove la legge ammette la possibilità di provare che, nel caso concreto, tale volontà è mancata o non è desumibile dal comportamento del dichiarante (artt. 684, 686, 1237, secondo comma, c.c.) Se questa prova non può essere data, perchè la legge ricollega invariabilmente un determinato effetto giuridico ad un comportamento (attivo o inattivo) di un soggetto (artt. 476. 477. 1237, primo comma, 1399, quarto comma, 1597, 1823, secondo comma, c.c.) deve riconoscersi che la volontà privata non ha, a tal fine, nessuna parte e che l’effetto non ha quindi natura negoziale.
Neppure l’art. 1333 c.c. offre la possibilità di una prova contraria e non è pertanto possibile considerare il comportamento inerte del destinatario della proposta alla stregua di un atto di autonomia negoziale, cui siano applicabili le norme sull’efficacia e la validità dei contratti. Sicché, se vuol intendersi la norma per quello che prevede, deve ammettersi che, nella particolare ipotesi da essa contemplata e per ogni promessa c.d. gratuita (con obbligazioni cioè a carico del solo promittente), il rapporto può costituirsi senza bisogno di accettazione e quindi, in definitiva, per effetto di un atto unilaterale. " (così, Cass. civ., sez. I 27-09-1995, n. 10235, in parte motiva).
Lo schema strutturale dell’art. 1333 c.c., come sopra delineato, si adatta perfettamente alla fattispecie oggetto della presente decisione (v. tra le altre,Cass. civ., sez. I 26-05-1997, n. 4646).
Pertanto, in applicazione dell’art. 428, I comma c.c, si deve ritenere che, ai fini dell’eccezione di annullabilità della fideiussione da parte dell’incapace naturale, sia sufficiente la prova del pregiudizio che potrebbe derivargliene; pregiudizio che, nella specie, avuto riguardo alla natura dell’atto (di garanzia di un debito altrui), deve ritenersi in re ipsa.
Ne discende la revoca del decreto ingiuntivo opposto, non essendo la sig.ra *** tenuta a onorare la garanzia derivante da un negozio (unilaterale) annullabile.
La particolarità della questione affrontata e la mancata resistenza di controparte costituiscono giustificati motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti e ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa respinte, in riforma della sentenza impugnata, così provvede:
– revoca il decreto opposto;
– compensa le spese.
Messina, 3 marzo 2008
Il relatore Il Presidente
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