Svolgimento del processo
La controversia origina dalla impugnazione, proposta innanzi al Tar Catania dalle odierne parti controricorrenti in proprio e quali associati al centro Studi Notariato di Catania, avverso la Circolare del 31 maggio 2005 prot. n. 2005/3.0/25079 emessa dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale per la Sicilia, avente ad oggetto «Legge Regionale 26 marzo 2002, n. 2 recante "Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002". Art. 60 (Agevolazioni fiscali). Attività di recupero d’imposta. Direttiva agli Uffici», nonché degli atti richiamati nella circolare medesima, emessi dalla Direzione centrale normativa e contenzioso della stessa Agenzia, da ultimo ribaditi con nota del 23 marzo 2005, n. 53667, tutti riguardanti l’interpretazione della legge regionale siciliana indicata nell’oggetto. Con l’impugnazione era dedotta la violazione dell’art. 60 della predetta legge regionale e successive modifiche: tale norma agevolativa, con riferimento agli atti elencati nell’art. 1 della legge n. 604 del 1954 (tra i quali gli atti di compravendita immobiliare), avrebbe previsto, secondo l’assunto dei ricorrenti e al contrario di quanto si affermava da parte dell’Agenzia, l’applicabilità del beneficio anche agli atti di compravendita diversi da quelli preordinati alla formazione ed all’arrotondamento della proprietà contadina (come originariamente stabilito dal citato art. 1, L. n. 604/1954).
Il Tar Catania, con sentenza n. 1075/05 del 7 giugno 2005, depositata il 28 giugno 2005, ritenuto ammissibile il ricorso e sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo (il cui difetto era stato eccepito dalla costituita Agenzia delle Entrate), accoglieva il ricorso stesso e annullava gli atti impugnati, ritenendo che la norma agevolativa disponesse il beneficio a favore di chiunque ponesse in essere uno degli atti elencati nell’art. 1, comma 1, L. n. 604/1954, senza che occorresse far riferimento al fine perseguito dagli atti elencati e cioè alla ricomposizione della piccola proprietà contadina.
Avverso tale sentenza, l’Agenzia delle Entrate interponeva appello al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, riproponendo l’eccezione di difetto di giurisdizione e insistendo per l’infondatezza del ricorso originario. L’impugnazione era dichiarata improcedibile dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana per sopravvenuta carenza di interesse, stante l’approvazione di una norma di interpretazione autentica della disposizione oggetto di contestazione, contenuta nell’art. 20, comma 15, l.r. Sicilia n. 19/2005, che così recitava: «Le agevolazioni di cui all’articolo 60 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, ed all’articolo 99 della legge regionale 16 aprile 2003, n. 4, si applicano per tutti gli atti traslativi da chiunque posti in essere a partire dall’1 gennaio 2002 fino alla data del 31 dicembre 2006, alla sola condizione che abbiano ad oggetto terreni agricoli secondo gli strumenti urbanistici vigenti alla data di stipula dell’atto e loro pertinenze; il riferimento al primo comma dell’articolo 1 della legge 6 agosto 1954, n. 604, vale solo ai fini dell’individuazione delle tipologie di atti agevolati. La presente disposizione costituisce interpretazione autentica dell’articolo 60 della legge regionale 26 marzo 2002, n. 2».
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con unico motivo, denunciando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Resistono con controricorso, illustrato anche con memoria, i dott.ri Vincenzo C. , Giuseppa G. , Barbaro L. C. , Giorgio L. , Giuseppe R. e Giovanni V.
Motivazione
In via preliminare deve essere, d’ufficio, rilevata l’ammissibilità del ricorso. La sentenza del giudice amministrativo, impugnata dall’Agenzia delle Entrate, nonostante formalmente abbia dichiarato l’improcedibilità del ricorso, ha, in effetti, pronunciato sul merito del ricorso stesso, giacché, essendo stato applicato alla fattispecie lo ius superveniens, tale applicazione si è risolta nel riconoscimento della pretesa dei ricorrenti (avente per oggetto l’eliminazione dell’atto ad essi sfavorevole, siffatta decisione, quindi, presuppone una implicita pronuncia sulla giurisdizione del giudice amministrativo che l’ha emessa, con la conseguenza che la sentenza – in quanto affetta, secondo la tesi dedotta dall’amministrazione ricorrente, da vizi, per essersi pronunciata (sia pur per implicito) su questioni sottratte alla cognizione di qualsiasi giudice, ovvero demandate ad un diverso ordine giurisdizionale – è ricorribile innanzi a queste Sezioni Unite essendo in discussione, senza che vi osti alcuna preclusione, una presunta violazione dei limiti esterni della giurisdizione.
Passando all’esame della questione di giurisdizione, occorre precisare che l’atto oggetto di impugnazione nel giudizio amministrativo è costituito da una circolare interpretativa dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Sicilia, con la quale l’amministrazione, con contestuale invio di una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati, aveva interpretato la legge regionale siciliana n. 2 del 26 marzo 2002, individuando quali fossero, a suo parere, le condizioni che dovevano sussiste per la concessione delle agevolazioni dalla stessa legge previste.
Per la sua natura e per il suo contenuto (di mera interpretazione di una norma di legge), non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, la circolare non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al giudice amministrativo, in via di azione, o disapplicabili dal giudice tributario od ordinario, in via incidentale. Il che rileva, in primo luogo, sul piano generale, perché le circolari, come è stato affermato dalla dottrina prevalente, non possono né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna nell’ambito dell’amministrazione all’interno della quale sono emesse; e, in secondo luogo, con particolare riferimento all’ordinamento tributario, il quale come è noto, è soggetto alla riserva di legge. D’altra parte, per quanto concerne la dottrina specialistica, coloro che non concordano con una simile generale impostazione, pervengono, in definitiva, alla medesima conclusione, perché sostengono che l’irrilevanza normativa delle circolari dal punto di vista del sistema tributario significa che le stesse sono inidonee, in quanto contenenti norme interne, ad operare all’esterno dell’ordinamento minore cui appartengono. Secondo i fautori di tale tesi dottrinaria, infatti, questa semplice premessa avrebbe il pregio di ridurre al rango di pseudo problema la questione della non impugnabilità in via autonoma delle circolari: proprio perché rilevanti all’interno di un ordinamento parziale (o sezionale), esse non possono essere prese in considerazione dall’ordinamento generale, cui, invece, appartiene – per definizione – il potere giurisdizionale.
Anche la giurisprudenza ha da tempo espresso analoga opinione sulla inefficacia normativa esterna delle circolari. A quest’ultime, infatti, è stata attribuita la natura di atti meramente interni della pubblica amministrazione, i quali, contenendo istruzioni, ordini di servizio, direttive impartite dalle autorità amministrative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati, esauriscono la loro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi ed i loro funzionari. Le circolari amministrative, quindi, non possono spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei all’amministrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima, essendo destinate esclusivamente ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, senza poter incidere sul rapporto tributario, tenuto anche conto che la materia tributaria è regolata soltanto dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facoltà discrezionale dell’amministrazione finanziaria (in questa prospettiva cfr. Cass., Sez. I, 25 marzo 1983, n. 2092 e 17 novembre 1995, n. 11931; Cass. Sez. V, 10 novembre 2000, n. 14619 e del 14 luglio 2003 n. 11011).
Questi risultati interpretativi vanno condivisi alla stregua delle seguenti considerazioni. 1) La circolare emanata nella materia tributaria non vincola il contribuente, che resta pienamente libero di non adottare un comportamento ad essa uniforme, in piena coerenza con la regola che in un sistema tributario basato essenzialmente sull’autotassazione, la soluzione delle questioni interpretative è affidata (almeno in una prima fase, quella, appunto, della determinazione dell’imposta da corrispondere) direttamente al contribuente. 2) La circolare nemmeno vincola, a ben vedere, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall’ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo "per violazione della circolare": infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l’atto emanato sarà legittimo perché conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l’atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge. 3) La circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio – coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella autorevole dottrina che sostiene che, ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 della Costituzione. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esser valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni. 4) La circolare non vincola, infine, come già si è detto, il giudice tributario (e, a maggior ragione, la Corte di Cassazione) dato che per l’annullamento di un atto impositivo emesso sulla base di una interpretazione data dall’amministrazione e ritenuta non conforme alla legge, non dovrà essere disapplicata la circolare, in quanto l’ordinamento affida esclusivamente al giudice il compito di interpretare la norma (del resto, al giudice tributario è attribuita, nella materia tributaria, la giurisdizione esclusiva). In tal caso non può non concordarsi con una autorevole dottrina secondo la quale, ammettere l’impugnabilità della circolare interpretativa innanzi al giudice amministrativo – con la possibilità per quest’ultimo di annullarla, peraltro con effetto erga omnes – significherebbe precludere a tutti gli uffici dell’amministrazione finanziaria di accogliere quella interpretazione, con il risultato – contrario ai principi costituzionali – di elevare il giudice amministrativo al rango di interprete autentico della norma tributaria.
In realtà, la circolare interpretativa esprime, come è stato efficacemente detto, una "dottrina dell’amministrazione", vale a dire l’opinione di una parte (anche se "forte") del rapporto tributario, che, peraltro, può essere discussa e disattesa dal giudice tributario. E, qualora il giudizio di quest’ultimo corrisponda al parere espresso dall’amministrazione, caso sarà pur sempre l’interpretazione del giudice che avrà esclusivo valore ed efficacia. L’irrilevanza, nel senso fin qui spiegato, della circolare interpretativa in materia tributaria è stata, indirettamente, confermata da una recente sentenza della Corte costituzionale – la n. 191 del 14 giugno 2007 – a proposito di un atto che sembrerebbe avere rispetto alla circolare, un "valore più cogente", dato il suo carattere "intersoggettivo", e cioè la risposta dell’Agenzia delle Entrate ad una istanza di interpello ex art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. "Statuto del contribuente"). La norma, come è noto, prevede che il contribuente possa «inoltrare per i-scritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse» (art. 11, comma 1): «la risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente» (art. 11, comma 2). Orbene, la Corte costituzionale, affermato che «l’istituto dell’interpello del contribuente, regolato dall’art. 11 della legge n. 212 del 2000, costituisce lo strumento attraverso il quale si esplica in via generale l’attività consultiva delle agenzie fiscali in ordine all’interpretazione delle disposizioni tributarie», evidenzia che il parere espresso nella risposta «è vincolante soltanto per l’amministrazione e non anche per il contribuente, il quale resta libero di disattenderlo»: «coerentemente con la natura consultiva dell’attività demandata all’Agenzia delle entrate nella procedura di interpello, l’art. 11 non prevede, invece, alcun obbligo per il contribuente di conformarsi alla risposta dell’amministrazione finanziaria, né statuisce l’autonoma impugnabilità di detta risposta davanti alle commissioni tributarie (oggetto di impugnazione può essere, eventualmente, solo l’atto con il quale l’amministrazione esercita la potestà impositiva in conformità all’interpretazione data dall’agenzia fiscale nella risposta all’interpello)»: sicché deve ritenersi che «la risposta all’interpello, resa dall’amministrazione ai sensi dell’art. 11 della legge n. 212 del 2000, deve considerarsi un mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente».
Conclusione, codesta, che deve essere assunta anche riguardo alla circolare emanata dall’amministrazione.
Alla luce delle considerazioni svolte può, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: «La circolare con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreti una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’amministrazione non vincolante per il contribuente, e non è, quindi, impugnabile né innanzi al giudice amministrativo, non essendo un atto generale di imposizione, né innanzi al giudice tributario, non essendo atto di esercizio di potestà impositiva». Va, pertanto, dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione con la conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata. La particolarità e complessità della fattispecie giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.
PQM
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