SOMMARIO: 1. Una presidenza di garanzia 2. La Presidenza della Repubblica tra politica e giustizia 3. Il Presidente della Repubblica come Presidente del C.S.M.
1. Una presidenza di garanzia.
Come è stato autorevolmente sostenuto [1], l’atteggiarsi del ruolo presidenziale dipende in larga misura dal contesto in cui questi si trova inserito: dal contesto giuridico della forma di governo complessiva – ruolo del parlamento, del governo, della magistratura, degli organi di garanzia in genere – ma insieme dal contesto politico formato dai partiti e dalle loro reciproche relazioni, e anche dal contesto sociale generale, dallo stato della cultura in senso ampio del paese, come pure dal sistema internazionale in cui l’Italia si inserisce.
In sostanza, il preciso essere dell’istituzione Presidente della Repubblica è il prodotto del sistema complessivo, più di quanto non vi influisca (come in verità influisce). E’ questa una caratteristica non solo storicamente inevitabile per l’intera vita pubblica d’un paese, ma coessenziale alla natura dello stato democratico, nel quale è impensabile che una carica, per quanto di vertice e qualificata come Capo dello stato, abbia un valore nettamente determinante sulle altre.
Il pluralismo proprio del sistema, infatti, fa sì che le relazioni complessive tra il Presidente e la sua interpretazione del mandato siano funzione corrispettiva di una molteplicità di attori, e, se mai alcuno di essi fosse destinato a svolgere un ruolo prevalente, lo sarebbero quelli collettivi, in primis parlamento, governo, magistratura, partiti e società.
E sono stati appunto il contesto storico e i suoi attori che hanno informato di sé la funzione istituzionale e il discorso pubblico del Presidente Ciampi per il quale:
«L’arte di contenere e regolare i conflitti, che è l’essenza della democrazia, fondata sull’accettazione di principi di libertà condivisi e rispettati da tutte le forze politiche, mette continuamente alla prova le coscienze, stimola l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i cittadini, e permette di costruire istituzioni e organizzazioni sociali solide, capaci di evolvere nel tempo». [2]
Questa frase potrebbe descrivere l’indirizzo politico-costituzionale del suo settennato, che ha offerto al sistema politico un punto di mediazione e alla società civile un punto di riferimento insostituibile.
Già il clima e le modalità stesse in cui venne a maturare l’elezione di Ciampi avevano offerto, sin da subito, indicazioni molto precise sulle aspettative della classe politica che lo aveva scelto intorno al ruolo che il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto giocare nell’era del maggioritario.
L’elezione di Ciampi è stata la risultante dell’instabilità e dell’impossibilità di fissare un criterio comune tra una maggioranza di centrosinistra lacerata irrimediabilmente al suo interno e un’opposizione di centrodestra che si pronunciava solo per anatemi : in fondo – e ciò ha segnato in modo determinante le coordinate della sua presidenza – Ciampi ha rappresentato il punto di equilibrio tra coalizioni sfibrate, che esprimevano una forte domanda di ri-legittimazione, esigendo quindi un impegno a riconoscerle e al tempo stesso a garantirle. [3]
In un contesto politico-istituzionale ancora segnato della necessità di completare il processo di transizione verso un sistema compiutamente bipolare e maggioritario, la Presidenza della Repubblica ha quindi assunto funzioni arbitrali, in una dinamica che ha progressivamente portato ad orientare l’azione del capo dello Stato verso lo svolgimento di un ruolo peculiare «di mediazione e di sutura» tra le varie componenti, sociali e istituzionali, la cui divaricazione si era andata aggravando. [4]
L’opera di relazione, bilanciamento e orientamento svolta da Ciampi – in particolare durante la XIV legislatura con l’insediamento del governo Berlusconi – ha evitato che i numerosi strappi alla legalità costituzionale producessero una permanente lacerazione nelle relazioni tra le forze politiche e sociali, in una fase in cui al bipolarismo politico si era di fatto sostituito una sorta di antagonismo/dualismo morale e antropologico tra le due Italie.
In un quadro politico così complesso, Ciampi si è mosso con equilibrio e consapevolezza nell’esercizio costante di un ruolo di garanzia attiva, conscio che il sistema di checks and balance, tarato sul modello proporzionale, fosse insufficiente a salvaguardare le componenti vitali della democrazia dagli sconfinamenti potestativi della maggioranza. [5]
L’alto livello contenutistico delle esternazioni di Ciampi – pur su aspetti controversi sottolineati dal dibattito politico (economia, giustizia, europa) – è la dimostrazione di come, a fronte del minor coinvolgimento sui temi caldi della politics nazionale, si è venuta vieppiù rafforzando una funzione di «vigilanza mediatica» [6] (sia pro-attiva che ostativa) in alcuni settori di policy altrettanto delicati. Cosicchè non pochi hanno individuato in Ciampi una sorta di tutore sui generis delle garanzie costituzionali, la cui attività si è estrinsecata essenzialmente nei modi e nei contenuti della moral suasion. [7]
Moral suasion, come controllo preventivo e informale,che a sua volta si è rivelata come uno strumento a doppio taglio, che mentre consentiva di prevenire espliciti conflitti con il Governo, nel contempo sanciva l’inevitabile partecipazione e interferenza del Presidente nelle scelte politico-legislative della maggioranza. [8]
Nell’esercizio di tale opera di persuasione e dissuasione comunque emerge sempre il principio della funzione presidenziale accolta e vissuta come «mandato di garanzia costituzionale nei confronti di tutte le parti politiche» [9], desumibile dal fatto che « …nel nostro ordinamento il Presidente della Repubblica non ha, fra i suoi compiti, quello di governare; egli rappresenta l’unità nazionale, vigila ed opera affinchè siano rispettati i principi costituzionali, [ed inoltre] ha il diritto dovere di consigliare…». [10]
Auxilium et consilium : questo il compito che si è assunto il Presidente nei confronti del sistema Paese. Da un lato, quindi, la collaborazione con una classe politica ancora in cerca di una identità definitiva, considerando indispensabile, per un buon funzionamento del bipolarismo italiano, con tutte le sue tormentate e progressive modificazioni e tutti i suoi limiti normativi e procedurali, il mutuo e pieno riconoscimento dei diritti e delle prerogative di ciascun soggetto del confronto poltico-istituzionale. Dall’altro, il «diritto-dovere di consigliare» inteso come estrinsecazione di quella funzione di guardiano dei valori costituzionali, che la nostra Carta assegna al Presidente quale istituzione di garanzia: in questo senso, promuovendo, sollecitando o, quando ve n’ è stata occasione, sanzionando i programmi di azione, le procedure e i comportamenti di maggioranza e opposizione non in linea con la lettera e lo spirito della Costituzione, il Presidente-garante ha esercitato con puntiglio la sua «pedagogia istituzionale» nei confronti delle forze politiche, nel costante rispetto di tutte le opinioni. «Come un buon padre di famiglia…» secondo la definizione di Carlo Fusaro. [11]
E’ utile rammentare che la fase di transizione attraversata dall’Italia aveva infatti imposto una soluzione, che fosse idonea a sopperire al vuoto di potere politico creatosi dopo il crollo del sistema partitico in seguito a «Tangentopoli», fondata su quell’allargamento di ruolo del Capo dello Stato che è tipico di tutti i sistemi parlamentari nelle fasi di debolezza politica: ciò quindi ha esposto in modo inconsueto il Presidente, gravandolo, nella prima fase della c.d. transizione, di scelte spettanti al sistema dei partiti, in quel momento assenti. Così ad es., nella formazione del governo Scalfaro assunse (almeno in apparenza) un ruolo decisivo, tanto che si parlò, impropriamente, di «governi del Presidente» benché si trattasse piuttosto di governi «a forte componente tecnica» e non certo espressione di un indirizzo politico presidenziale. [12]
Durante l’ultimo settennato, in cui si è sperimentato per la seconda volta nella storia italiana (dopo il quinquennio degasperiano) un governo con a capo lo stesso Presidente del Consiglio per tutta la legislatura, e che ha visto la stabilizzazione di un bipolarismo, per quanto anomalo e frammentato, il contenuto dei poteri presidenziali si è modificato profondamente: ridotti nella sostanza quelli più legati alla sfera politica – formazione del governo e scioglimento delle Camere – il Capo dello Stato si è sicuramente rafforzato come istituzione di garanzia [13]
Così durante la presidenza Ciampi i poteri di garanzia sono stati esercitati con fermezza pur utilizzando la cautela necessaria a non aprire conflitti con le istituzioni governanti : in questo senso la sostanziale non interferenza con le decisioni espresse dai partiti nei processi di formazione dei governi (rimpasto del governo D’Alema nel dicembre 1999; nomina del secondo governo Amato nell’aprile 2000; quella del secondo e terzo governo Berlusconi nel giugno 2001 e settembre 2004) e la subalternità alle decisioni del governo nello scioglimento (anticipato nel 2001, posticipato nel 2006) hanno suggerito una certa prossimità con i comportamenti tenuti a suo tempo da Einaudi – in particolare nella prima legislatura – e quelli seguiti nell’ultimo biennio dal suo mandato da Scalfaro [14].
Le scelte di Ciampi risultano conformi a quelle dei suoi predecessori anche riguardo all’esercizio del potere di rinvio, che ha utilizzato in casi seppure non numerosi, ma di grandissimo rilievo in termini di garanzia delle istituzioni e rispetto della Costituzione (basti pensare alla legge Gasparri sul sistema radiotelevisivo, alla legge sull’ordinamento giudiziario e a quella sull’inappellabilità delle sentenze).
In una temperie storico-istituzionale nella quale il Parlamento ha abbandonato i moduli decisionali dell’agire consociativo per porsi in una relazione più stretta e conseguente con l’indirizzo politico governativo, in una fase nella quale la capacità di integrazione (e dunque di legittimazione) della rappresentanza politica è declinata per lasciare spazio ad una maggiore efficienza decisionale, il richiamo di Ciampi al rispetto dei valori e dello spirito della Costituzione – paragonata ad una «Bibbia civile» – che avrebbe dovuto essere preservata dall’applicazione del principio di maggioranza, rientra nella definizione del ruolo del Capo dello Stato come struttura garantistica [15] volta ad assicurare il conformarsi dell’alterno gioco delle forze politiche agenti nel sistema, e perciò anche della stessa maggioranza di governo, ai principi fondamentali ed indefettibili, che presiedono al sistema medesimo perseguendo quindi anche un recupero della funzione neutralizzatrice della Costituzione [16].
2. La Presidenza della Repubblica tra politica e giustizia.
Momenti di tensione tra giurisdizione e maggioranze di governo non sono una specificità italiana, ma si verificano in quasi tutte le democrazie contemporanee laddove la giurisdizione assume il carattere di istituzione tendenzialmente antimaggioritaria in quanto custode dei diritti che deve preservare anche dall’invadenza dalle maggioranze di governo.
I nodi istituzionali che ruotano attorno alla conciliabilità, in una democrazia rappresentativa, di valori confliggenti quali l’indipendenza dei giudici, posta a garanzia dei diritti individuali, e i poteri di governo, espressione della maggioranza, per lo più si manifestano (e si risolvono) con un livello di tensione fisiologico in sistemi democratici che hanno interiorizzato davvero il principio della divisione dei poteri. [17]
La particolarità del caso italiano è data non solo dalla acutezza dello scontro, ma anche dal fatto che – soprattutto nel corso della XIV legislatura – si è verificata una deriva verso una concezione «bipolare della giustizia», rappresentata dalla radicalizzazione di una logica di schieramento e di contrapposizione tra ordine giudiziario da un lato e parte della classe politica dall’altro. [18]
Infatti, l’attacco reiterato all’indipendenza della magistratura da parte della maggioranza di centrodestra, volto a screditare il valore di ogni limite, posto dal diritto e dai principi costituzionali, considerato come tranquillamente bypassabile da un ceto di governo autoproclamatosi unico interprete della sovranità popolare (come dimostra peraltro la produzione di leggi provvedimento ritagliate su esigenze processuali personali che ha determinato una vera e propria «crisi della legge» [19]), si esprimeva tanto attraverso la delegittimazione dell’ordine giudiziario quanto attraverso l’appello al popolo come strumento atto a spostare sul terreno della politica il confronto con un’istituzione come la magistratura.
A questa offensiva – a fronte di un’ opposizione inesistente [20] – si è venuta a contrapporre, a livello di società civile, la mobilitazione dei c.d. «girotondi», che hanno svolto un ruolo di supplenza della politica, incentrando la propria azione sul tema del rispetto della legalità e della difesa degli istituti democratici. A questa protesta popolare si è affiancata poi, sul piano istituzionale, la non meno vigorosa manifestazione di dissenso della magistratura associata, di cui sono state espressione culminante l’appello a «resistere» di Francesco Saverio Borelli [21] e ben quattro scioperi indetti dall’A.N.M. [22]
Ed è proprio la descritta condizione di conflitto permanente tra le istituzioni rappresentative e la magistratura che ha reso nuovamente centrale nel panorama politico e istituzionale il ruolo svolto dal CSM e, in particolare, del Presidente della Repubblica quale Presidente dell’organo di autogoverno della magistratura : infatti anche nell’esercizio di questa «altra Presidenza», Carlo Azeglio Ciampi ha dimostrato lo stesso rigore ed equilibrio, contribuendo ad una «civilizzazione» del nostro strano bipolarismo, restituendo al contempo legittimità al sistema politico e al Parlamento, senza deflettere dalla tutela dell’autonomia e indipendenza del corpo giudiziario.
In questo senso il Presidente della Repubblica, da supremo garante delle istituzioni e nella sua veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ha avvertito il dovere fisiologico di interloquire a più riprese sul tema della giustizia con interventi sia protocollari che informali, per impedire che la magistratura venisse posta sotto lo scacco governativo. Nello stesso tempo, però ponendosi al di sopra della convulsa dialettica politica e imponendosi uno stile austero e misurato, Ciampi è riuscito a ritagliarsi un’immagine di superiorità e di distanza dallo scontro tra politica e magistratura che ha reso ancora più autorevole la sua azione di mediazione.
Sarebbe quindi sbagliato e riduttivo leggere le parole del Presidente solo all’insegna della tutela della giurisdizione contro l’arroganza della corporazione dei politici, in quanto Ciampi, proprio per la sua esperienza di governo negli anni di «Mani Pulite», aveva acquisito coscienza del fatto che l’ impropria interferenza della magistratura costituisce parte del problema «giustizia», e non un modo per risolverlo. [23]
Per questo, mentre li difendeva, il Presidente non ha perso occasione per richiamare i magistrati a comportamenti più responsabili e più consoni a quel ruolo di «ordine sovrano» dello Stato : così nella seduta plenaria del CSM [24] ammoniva che «…Il magistrato non solo deve essere autonomo e indipendente, ma deve anche apparire tale, con il suo comportamento, in ogni situazione, anche al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni. Il pubblico ministero deve restare nell’ambito della giurisdizione, distinto da quello dell’investigazione. L’autonomia di una istituzione si pratica, non solo si predica…».
Attraverso queste parole, «il Presidente della Repubblica, quale rappresentante dell’unità nazionale, quale organo neutro, tutore tipico dell’imparzialità, dotato di poteri ampi ed effettivi, fra cui quello di indirizzo politico costituzionale, da un lato [ha] opera[to] quale strumento di difesa dell’indipendenza dell’ordine giudiziario contro le eventuali interferenze degli organi titolari dell’indirizzo politico di maggioranza (Parlamento, Governo ed in particolare il Guardasigilli), e dall’altro… quale strumento di collegamento dell’ordine giudiziario con la sfera dei poteri politici, avvalendosi dell’impulso che a lui compete circa l’attuazione e il rispetto della Costituzione, tanto nei confronti degli organi titolari dell’indirizzo politico di maggioranza, che possono essere opportunamente stimolati agli adempimenti costituzionali, quanto nei confronti dello stesso CSM, in seno al quale il Presidente della Repubblica può prospettare esigenze di imparzialità e di attuazione dell’indirizzo politico costituzionale». [25]
3. Il Presidente della Repubblica come Presidente del C.S.M.
Prima di affrontare la tematica della posizione del Presidente della Repubblica nei confronti del CSM alla luce della prassi sviluppatasi nel settennato di Ciampi, appare necessario un breve accenno alle due tesi dottrinali che su tale questione si sono confrontate. Da un lato, la tesi dell’ «assorbimento» sostiene che il Presidente del CSM sieda in esso «non già quale Presidente della Repubblica, quale potere a sé, ma quale membro dell’organo collegiale, sia pure, ovviamente, come primus inter pares (…). Il Presidente fa corpo col collegio, è un tutt’uno in esso e con esso». [26] La sua figura è quindi giuridicamente distinta da quella di Presidente della Repubblica, che costituisce soltanto il titolo di legittimazione dell’assunzione delle funzioni che vi sono connesse, ne consegue che, rispetto ad ogni singolo componente del collegio e all’insieme di essi, il Presidente del CSM ha in più solo quei poteri che norme espresse e principi inespressi conferiscono ai presidenti di organi collegiali. [27]
Al contrario l’opposta interpretazione dottrinale vede il Capo dello Stato rispetto al Consiglio Superiore della Magistratura come l’organo monocratico Presidente della Repubblica «innestato» sul – prima che nel – CSM, tramite la presidenza, organo di autogoverno della magistratura, prevista in Costituzione (insomma si potrebbe dire che non sia « il presidente del CSM ad essere il Capo dello Stato», ma piuttosto, che sia «il Presidente della Repubblica ad essere anche presidente del CSM»). [28]
Il carattere garantista dell’eteropresidenza [29] si manifesta attraverso la funzione di sintesi assegnata al Presidente della Repubblica che si pone «come momento nel quale si esprime un’unità che tutto ricomprende e coordina, assicurando spazi e contemporaneamente limiti», tenendo legato il Consiglio «alla “visione integrata” dell’interesse supremo a cui risponde l’istituzione» dell’organo, al fine di garantire l’autonomia e indipendenza della magistratura da comportamenti impropri di singoli magistrati ma anche da indebite interferenze dell’esecutivo.
Aderendo a questo secondo indirizzo, riteniamo che non sia il ruolo complessivo del Presidente della Repubblica che possa essere modificato dalla sua collocazione nel CSM, ma piuttosto il contrario, e cioè che la posizione del Presidente della Repubblica in quanto presidente del CSM debba essere ricostruita e interpretata alla luce della funzione di controllo e di garanzia che gli è assegnata nel sistema costituzionale. [30]
In questo senso, nel corso dell’ultimo settennato, la notissima distinzione tra «poteri interni» e «poteri esterni» [31] è tornata ad assumere un carattere di inquadramento sistematico degli atti del Capo dello Stato rispetto al CSM, essendo ormai venuta meno quella drammatica divaricazione di ruoli indotta dalla prassi invalsa nel corso del mandato di Cossiga. [32]
Con Ciampi, infatti, la fisarmonica dei poteri presidenziali è ritornata a suonare di concerto – e non in dissonanza – con l’ordine giudiziario, rendendo nuovamente attuale il giudizio espresso nel 1967 da Paolo Barile per cui «…conflitti tra il Presidente della Repubblica e ordine giudiziario sembrano difficilmente ipotizzabili…». [33]
Ci si potrebbe chiedere, come sia stato possibile – in un clima di scontro quotidiano tra magistratura e politica – per la Presidenza della Repubblica riuscire a garantire l’indipendenza dell’ordine giudiziario, senza perdere autorevolezza verso la politica, in particolare nei confronti della maggioranza di centrodestra.
A questa domanda, che rivela la centralità del ruolo svolto dalla «doppia presidenza» nel contesto politico bipolare, si potrebbero dare molteplici risposte, che verrebbero a illuminare singoli frammenti di un mosaico più complesso : si potrebbe sottolineare la straordinaria popolarità (testimoniata da tutti i sondaggi demoscopici [34]) goduta da Ciampi nel corso del suo mandato presso tutte le fasce della popolazione, che l’ha reso più autorevole dello stesso Berlusconi, permettendogli di esercitare non solo un’attività di condizionamento preventivo o di moral suasion, ma anche di provvedere al rinvio al Parlamento dei provvedimenti più controversi assunti dalla maggioranza.
Si potrebbe ricordare come, nonostante la frequenza con cui esponenti del mondo politico e della c.d. società civile ne hanno invocato l’intervento al fine di arginare scelte legislative della maggioranza ritenute di dubbia compatibilità con la Costituzione, Ciampi abbia deciso, a differenza di Scalfaro, di non schierarsi in una metà del campo : così dalla dialettica parlamentare al confronto sulla giustizia, il Presidente si è collocato in un ruolo di cerniera, quasi mai di cesura, ritenendo in tal modo di poter meglio tutelare le istituzioni.
Tale prassi viene ad essere inscritta in una più generale «pedagogia civile» che si vorrebbe improntasse i rapporti tra le istituzioni : così, nel corso della seduta plenaria del CSM del 28 ottobre 2003, il Presidente constata «…è accaduto di frequente in questi ultimi tempi che il panorama complessivo sia stato complicato da preoccupanti tensioni. Le tensioni non si addicono ai temi della giustizia, che devono poter essere affrontati secondo quel metodo del dialogo costruttivo che da sempre sostengo e al quale in più di una occasione questo Consiglio ha voluto dare attuazione con importanti documenti approvati all’unanimità. In questo spirito si deve operare. La stabilità delle istituzioni si fonda sul rispetto pieno e reciproco delle funzioni. Proprio in questo momento in cui il Paese più avverte la rilevanza del problema giustizia, occorre che tutti – operatori e mondo politico – non travalichino i confini istituzionali e le funzioni di ciascuno. In tanto un sistema può operare armonicamente nei pesi e contrappesi, in quanto i diversi e separati poteri, rigorosi nel difendere il campo proprio, siano altrettanto rispettosi del campo altrui. Le questioni vanno affrontate e risolte all’interno dei percorsi dialettici che sono la fisiologia di ogni democrazia: nel rispetto reciproco, senza mai lasciarsi andare a toni che delegittimino o compromettano l’equilibrio istituzionale…».
A rafforzare questo equilibrio vi è poi il rapporto particolare instaurato con il CSM e con il corpo della magistratura : Ciampi, contrariamente ai suoi predecessori, limita all’essenziale i suoi interventi nelle attività del CSM, delegando spesso al Vicepresidente la mediazione tra le posizioni delle varie componenti sulle questioni più delicate [35], attivandosi, in prima persona, solo nei momenti in cui il conflitto diviene insostenibile per le istituzioni.
In questa direzione, la maggior parte degli interventi di Ciampi di fronte al CSM, oltre a sottolineare l’esistenza di un rapporto sinergico tra autonomia e indipendenza della magistratura ed efficienza del servizio giudiziario, svelano l’approccio pragmatico e popolare del Presidente nell’affrontare la questione giustizia : in tutti i suoi discorsi vengono infatti considerati, seppure con accenti diversi, i problemi della riforma e della modernizzazione, anche tecnologica, del sistema giudiziario [36], la definizioni di standard di professionalità, formazione e deontologia per i futuri magistrati [37] ed infine il tema dell’ integrazione nello spazio giuridico europeo.
Infine, sul piano propriamente istituzionale, sin dall’inizio, Ciampi ha inteso definire chiaramente la sua funzione e il ruolo del CSM in relazione agli altri poteri dello Stato, da un lato sottolineando il suo ruolo di «… garante – come Capo dello Stato prima ancora che come Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura – dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario da ogni altro potere, nonché della dignità dei singoli magistrati e della loro funzione. E sarò garante del ruolo e delle prerogative del Consiglio Superiore della Magistratura, [al quale] spetta …vigilare sulla tutela dei principi fondamentali e irrinunciabili [di autonomia e indipendenza]. Sono convinto infatti che l’attività di ogni magistrato può essere svolta con serenità, nella fiducia dei cittadini e a presidio della loro libertà, solo quando egli sa di poter contare sulla determinazione di chi deve difendere la sua indipendenza, con la consapevolezza che tale difesa non ha finalità corporative, in quanto volta soltanto ad assicurare una reale garanzia di giustizia…» [38], dall’altro rilegittimando l’attività consultiva e di pungolo istituzionale che la legge istitutiva aveva assegnato all’organo di autogoverno in materia di giustizia. In questo senso nel discorso pronunciato il 26 maggio 1999 ribadiva che l’approntamento dei necessari strumenti legislativi è «…compito che spetta principalmente al Parlamento ed al Governo, non al nostro Consiglio superiore. Il Consiglio, però, può rappresentare un importante interlocutore, recando al dibattito su questi temi un contributo tecnicamente qualificato e politicamente neutrale. Aggiungo che, nella corretta scelta dell’interlocutore istituzionale, chiaramente indicato dalla legge del 1958 nel Ministro di grazia e giustizia, il Consiglio superiore, oltre che dare pareri, può anche utilmente avanzare proposte. Credo, così, di aver dato a voi, ed al Vice Presidente che me la chiedeva poc’anzi, un’indicazione chiara su questo punto… ». [39]
Per cui quando la maggioranza ha cercato di far valere la natura meramente amministrativa del Consiglio Superiore, contestandone i poteri di iniziativa in ordine a questioni di rilevante interesse politico, il Capo dello Stato ha difeso l’autonomia del Consiglio, senza rinunciare peraltro ad attenuarne con la moral suasion le manifestazioni più esasperate. [40]
A settembre 2002 la sesta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura aveva affrontato il disegno di legge «Cirami» che, tra l’altro, (re)introduceva il legittimo sospetto nella procedura penale, redigendo un parere abbastanza severo: in sette paragrafi, il testo rilevava i profili di incostituzionalità del disegno di legge, l’ambiguità di una formula che non avrebbe protetto il dibattimento dagli abusi e l’inevitabile irragionevole durata a cui sarebbero stati condannati i processi. Da ultimo, alla voce G, osservava come la nuova legge «potrebbe avere effetti negativi sulla stessa credibilità della giurisdizione, minando quella fiducia che ne costituisce il presupposto indefettibile e la funzionalità del processo, che è una delle condizioni della stessa legittimazione del giudice». Tale parere, corretto e limato dal Quirinale, era giunto quindi all’attenzione del plenum del Consiglio, ove i «laici» della Casa delle libertà hanno giocato la carta dell’ostruzionismo facendo mancare il numero legale e di fatto paralizzando l’attività del CSM.
In tal modo il centro-destra, che aveva fortissimamente voluto e rapidissimamente approvato la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, ha dimostrato di poter ridimensionare l’autonomia dell’organo, limitandone le funzioni a quelle di tipo burocratico-amministrative (assegnazioni, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari dei magistrati). [43]
Questo episodio di grave frattura istituzionale non ha impedito a Ciampi di sollecitato il parere del Csm sull’emendamento «Bobbio» alla riforma dell’ordinamento giudiziario, così come, sulla c.d. «ex-Cirielli», come modificata dalla Camera: ciò in palese dissenso dal Presidente del Senato, che qualche tempo prima aveva scritto al Vicepresidente del Consiglio Superiore per invitarlo ad evitare il ripetersi di simili pronunciamenti. [44]
Comunque pur abbracciando e difendendo una concezione aperta delle funzioni del CSM, il Presidente della Repubblica ha sempre mantenuto un atteggiamento di prudente arbitraggio, dimostrato dal fatto che i pareri in esame non hanno mai condotto al rinvio presidenziale delle leggi censurate dal Consiglio Superiore. Atteggiamento che però è stato abbandonato soltanto quando il Governo ha varato una riforma dell’ordinamento giudiziario inequivocabilmente riduttiva dell’indipendenza dei giudici e del ruolo del Consiglio Superiore. [45]
Concludendo, alla luce della – seppur parziale – analisi formulata, si può sostenere che la tesi ed antitesi formulata da Rescigno [46] sui due modi profondamente diversi di interpretare il ruolo di Presidente del CSM da parte del Capo dello Stato, abbia trovato nel pensiero e nell’opera di Carlo Azeglio Ciampi la sua sintesi : pur partecipe del ruolo costituzionale del CSM, il Presidente si è mostrato distaccato e superiore, sforzandosi di tradurre la sua posizione in una funzione di raccordo e di equilibrio tra le istituzioni rappresentative e il potere giuridiziario, esercitando attraverso i poteri di intermediazione, di controllo e di garanzia, ma anche attraverso poteri di influenza informale, un’azione volta ad accrescere l’autorevolezza e l’indipendenza del CSM, mitigandone gli eccessi e tutelandone la dignità.
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Stefano Rossi
Avvocato e cultore di diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo
[1] U.Allegretti, Il Presidente della Repubblica tra diritto e storia, in Passato e Presente, n. 5/2007.
[2] Intervento del Presidente della Repubblica(da ora P.d.R.), in visita alla città di Udine, in occasione dell’incontro istituzionale con le autorità, 3 maggio 2002, in www.quirinale.it.
[3] M.Giannini, Ciampi, Sette anni di un tecnico al Quirinale, Einaudi, 2006, 49; M.Breda, La guerra del Quirinale, Rizzoli, 2006; M.Olivetti, Ciampi al Quirinale : le prime elezioni presidenziali della democrazia maggioritaria, in Giur.cost., 1999, 3307 ss.
[4] E.Cheli, Tendenze evolutive nel ruolo e nei poteri del Capo dello stato, in Quaderni Costituzionali, 1985, 1, 29-45.
[5] E’ infatti evidente che il sistema delle garanzie studiato e applicato dai nostri costituenti su un impianto proporzionalistico, si sia dimostrato poco adatto, così com’è, a sostenere senza forzature e strappi traumatici le relazioni maggioranza-opposizione dentro un regime completamente mutato. Quel che sembra da rivedere, soprattutto, è il sistema di limiti e contrappesi capace di garantire l’opposizione dagli «eccessi di potere» della maggioranza parlamentare, in particolare quando essa ha i numeri per rendere inefficaci alcuni dei congegni costituzionali e legislativi posti a salvaguardia della competizione e del pluralismo democratico. In questo senso anche A. Manzella, Maggioritario e nuove regole la missione del Quirinale, in La Repubblica, 23 gennaio 2002. Si veda inoltre S. Labriola, Per una storia breve di un lungo decennio, in www.costituzionalismo.it, il quale mette in luce i problemi derivanti «dalla introduzione del principio maggioritario in un ordinamento che non costituzionalizza l’opposto principio proporzionalistico, ma lo presuppone»; fra questi problemi, uno dei principali è «l’alterazione della disciplina positiva del principio garantista (che è sicuramente principio di regime), in quanto è fondata in modo essenziale sulla presupposizione della composizione proporzionale delle camere parlamentari».
[6] C.Fusaro, Cosa è e cosa fa il Presidente della Repubblica. Originaria (e inesorabile?) ambiguità di un tutore dell’Italia che può tutto e niente, in Il Riformista, 8 maggio 2006 per cui : «Il secondo fenomeno, collegato a [quello delle esternazioni], consiste nel sistema delle relazioni che finiscono con lo stabilirsi fra presidenza della Repubblica e informazione. Non a caso il presidente dispone oggi di un consigliere "per le relazioni esterne" (nel caso di Ciampi, uno dei più stimati giornalisti italiani, Arrigo Levi). Ed ecco l’instaurarsi di una permanente e inesauribile partita a tre i cui attori sono (i) il presidente medesimo (rectius: il suo entourage), (ii) il sistema politico in senso lato (gli altri organi costituzionali, governo in testa, opposizione, partiti, ma anche categorie, interessi pubblici e privati organizzati ansiosi di appropriarsi del vero o presunto appoggio quirinalizio), (iii) i media, nelle doppie vesti di strumentalizzatori strumentalizzati. Accade così che mentre il presidente parla per esternazioni pubbliche (anche troppo frequenti) e atti formali (quelli che si son visti), si sviluppa in parallelo un circuito collaterale di informazioni e notizie in ordine a sue presunte intenzioni, volontà, auspici, richieste e condizioni concernenti l’esercizio dei poteri propri e altrui, fino al punto che sarebbe oggi difficile negare l’esistenza di un vero e proprio indirizzo politico presidenziale, altro ed autonomo rispetto all’ indirizzo politico di maggioranza».
[7] M.Tebaldi, I poteri del Presidente della Repubblica. Spiegazioni ed interpretazioni, paper presentato al convegno annuale della Società Italiana di Scienze politiche, Bologna, 2006 per cui «La tesi del presidente tutore è realistica ed affronta il tema della politicità del capo dello Stato senza infingimenti. Essa tuttavia compie un errore speculare alla posizione del presidente «garante», sostenendo l’incompatibilità fra la politicità che caratterizza la carica presidenziale e la possibilità di un suo funzionamento in senso garantista. Il fatto di svolgere un’azione politicamente rilevante e il fatto di attuare tale azione secondo una razionalità tipicamente partigiana non sono, a mio avviso, due fattori logicamente conseguenti. O meglio, non lo sono in termini meccanici. Si può dire che la politicità del capo dello Stato è condizione necessaria ma non sufficiente del comportamento partigiano del Presidente della Repubblica». In particolare sul potere di esternazione :T.Martines, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in«La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano», Atti di un convegno (Messina-Taormina 25, 26 e 27 ottobre 1984), Giuffrè, Milano, 1985, 144; A.Pace, Esternazioni presidenziali e forme di governo. Considerazioni critiche, in Quad. cost., 1992, 191 ss; G. Zagrebelsky, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in Corr. Giur., 1991, 709; M.Dogliani, Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica, in M.Volpi e M.Luciani (a cura di), Il Presidente della Repubblica, Bologna, 1997, 221 ss.; M.Tebaldi, Le esternazioni del Capo dello Stato tra prima e seconda Repubblica, in Quaderni dell’Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, n. 14/2004.
[8] M. Manetti, I due Presidenti. Il settennato di Ciampi alla prova del bipolarismo della Repubblica tra diritto e storia, in
www.associazionedeicostituzionalisti.it in cui nota come «Sembra che Ciampi abbia trovato una via di mezzo tra il riserbo di Einaudi e le esternazioni di Pertini, che nella manifestazione dei suoi dissensi rispetto al Governo si rivolgeva esplicitamente alla pubblica opinione. Del resto il Quirinale ha finalizzato alla
moral suasion espedienti del tutto inconsueti, come le ricorrenti indiscrezioni sui messaggi che avrebbe minacciato di inviare alle Camere per vincere la resistenze del Presidente del Consiglio o l’ anomalo “rapporto fiduciario” istituito con il Presidente del Senato per la gestione della c.d. legge Cirami; non ha esitato inoltre a servirsi del Consiglio superiore della magistratura, mettendo all’ordine del giorno contro la volontà della maggioranza la discussione dei più contestati progetti di legge governativi (ma provvedendo nel contempo a “correggere” i documenti preparati dal Consiglio Superiore)» .
[9] C.A.Ciampi, Discorso di insediamento avanti il Parlamento in seduta comune, 18 maggio 1998, in www.quirinale.it.
[10] C.A.Ciampi, Messaggio di fine anno del P.d.R. agli italiani, Palazzo del Quirinale, 31 dicembre 2001, in www.quirinale.it.
[11] C.Fusaro, Il Presidente della Repubblica, Il Mulino, Bologna, 2003, 125; Giannini, Ciampi. …cit., 42.
[12] C.Mainardis, Il ruolo del Capo dello Stato nelle crisi di governo: la prassi della Presidenza Scalfaro, in Giur.cost., 1997, 2822; Balboni, Scalfaro e la transizione: ha fatto quel che doveva, in Quaderni costituzionali n. 2/1999; C.Fusaro, Scalfaro e la transizione : non ha fatto quel che poteva, in Quad. cost., n. 2/1999.
[13] L.Carlassarre, Strutture di Governo e strutture di garanzia nell’attuazione della Costituzione, Relazione al convegno «La Costituzione della Repubblica italiana. Le radici, il cammino», Bergamo 28-29 ottobre 2005.
[14] M.Tebaldi, Il Presidente della Repubblica, Il Mulino, 2005.
[15] S.Galeotti, Il Presidente della Repubblica, Giuffrè, 1992; S.Galeotti e B.Pezzini, Presidente della Repubblica, Dig.disc.pubbl., 1995, par. 4,5 e 7.
[16] V.Crisafulli, Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia, in Jus, 1958, 151.
[17] G.Greco, Politica, Magistratura e diritti, Intervento al Congresso di Magistratura Democratica, 24-25 gennaio 2003, in www.magistraturademocratica.it.
[18] R.Guarnieri, Mani pulite: le radici e le conseguenze, in Il Mulino, n. 2/2002, 227 ss.; A.Pizzorusso, Giustizia e Giudici, intervento al convegno «Lo Stato della Costituzione italiana e l’avvio della Costituzione europea», 14-15 luglio 2003.
[19] F.Modugno, A.Celotto, M.Ruotolo, Considerazioni sulla crisi della legge, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 1999; sulle radici e sul clima istituzionale per tutti, C.De Fiores, Partiti politici e Costituzione. Riflessioni su un decennio, in www.costituzionalismo.it.
[20] C. Chimenti, Il declino delle Camere nel parlamentarismo maggioritario italiano, inQueste istituzioni2004, 55 (ove precisa che il declino non investe tanto il Parlamento, quanto l’opposizione) ; nonché i saggi raccolti a cura di F. TUCCARI, L’opposizione al governo Berlusconi, Laterza, 2004.
[21] «Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave». Terminava con queste parole la Relazione del Procuratore generale della Corte di Appello di Milano, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002. Sul dibattito che ne è scaturito cfr. : N.Zanon, Ma la magistratura può richiamare i cittadini a resistere? ; P.Balboni, Il procuratore richiama i cittadini alla virtù repubblicana; M.Volpi, Ma governo e maggioranza possono delegittimare la magistratura?; S.Sicardi, Politica e giurisdizione nello stato costituzionale: modelli buoni e modelli degenerati, in www.forumcostituzionale.it
[22] L.Geninatti Satè, L’annuncio dell’astensione dei magistrati e gli interrogativi per gli studiosi della costituzione; S.Prisco, Le conseguenze improprie (e forse coerenti) degli appelli alla «resistenza», in
www.forumcostituzionale.it.
[23] M.Giannini, Ciampi…cit., 136.
[24] C.A.Ciampi, Discorso del P.d.R. alla seduta del Consiglio Superiore della Magistratura, Palazzo dei Marescialli, Roma, 29 ottobre 2003, in www.csm.it.
[25] P.Barile, Magistratura e Capo dello Stato, in Studi in memoria di Esposito, I, Padova, 1972, 533; così anche la Corte Costituzionale (sent. 44/1968) per cui il CSM è presieduto dal P.d.R. «…in considerazione della qualità che questi riveste di potere “neutro” e di garante della Costituzione…», funzione di garanzia che ricomprende, secondo quanto sancito dalla stessa Corte (sent. 231/1975), anche la tutela dell’ «…indipendenza del potere politico ripetto ad ogni indebita ingerenza… », compresa quindi quella della magistratura.
[26] G. Ferrari, Consiglio Superiore Magistratura, in Enciclopedia giuridica Treccani, VII, Roma, 1988, 32 ss.; in questo senso A.Pizzorusso, Potere del CSM e poteri del presidente del CSM circa la formazione e la modificazione dell’ordine del giorno delle sedute, in Questione Giustizia, 1985, 727 ss.; V.Onida, Posizione costituzionale del CSM e rapporti con gli altri poteri, in B.Caravita (a cura di), Magistratura, CSM e principi costituzionali, Laterza, 1994, 17 ss; G.Silvestri, CSM e Presidente della Repubblica, Relazione al convegno dell’Ass. Bachelet, 27 ottobre 1992, in Giur. Cost. 3828 ss.
[27] G.Ferri, Il Consiglio Superiore della Magistratura e il suo Presidente. La determinazione dell’ordine del giorno delle sedute consiliari nella prassi costituzionale della Presidenza Cossiga, Cedam, 1995, 281; v. anche B.Pezzini, La ridefinizione delle relazioni tra Consiglio Superiore della Magistratura, Presidente della Repubblica e Ministro della Giustizia come conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato, in Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università Studi Bergamo, n.3/1996, 2 ss.
[28] S.Sicardi, Il Presidente della Repubblica come Presidente del CSM, in B.Caravita (a cura di), Magistratura, CSM e principi costituzionali, Laterza, 1994, 49 ss.; S.Bartole, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, Padova, 1964, 72; Ibidem, Consiglio Superiore della Magistratura : due modelli a confronto, in Quad.cost., 1989, 427 ss.; L.Arcidiacono, La Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, in Studi in memoria di Condorelli, II, Milano, 1988, 33 ss, in particolare 51-52; R.D’Orazio, La «doppia Presidenza» e le sue crisi (Il Capo dello Stato e il Consiglio Superiore della Magistratura), in Quad.cost., 1992, 247 ss.
[29] L.Arcidiacono, La Presidenza …cit, 33 ss.
[30] S.Galeotti e B.Pezzini, Presidente della Repubblica…cit, par. 44; in questo senso ha interpretato la sua funzione anche lo stesso Ciampi per cui: «…Spetta al Consiglio Superiore della Magistratura vigilare sulla tutela di questi principi fondamentali e irrinunciabili. Per quanto sta in me, sarò sempre garante – come Capo dello Stato prima ancora che come Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura – dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Ordine giudiziario da ogni altro potere, nonché della dignità dei singoli magistrati e della loro funzione…» in Intervento del Presidente della Repubblica al CSM per l’elezione del nuovo Vicepresidente, Roma, 1 agosto 2002.
[31] P.Barile, Magistratura e Capo dello Stato….cit, 554; in senso critico rispetto a tale distinzione Paladin, Presidente della Repubblica, in Enc. del dir., XXXV, Giuffrè, Milano, 1986, 226 ss; S.Senese, G.U.Rescigno, L.Carlassarre, V.Onida, Quattro note sul Presidente della Repubblica nel Consiglio Superiore della Magistratura, in Pol. Dir., 1986, 141 ss.
[32] G.Ferri, Il Consiglio Superiore …cit., 227 ss.; R.D’Orazio, La «doppia Presidenza»…cit, 260 ss; P.Ridola, La formazione dell’ordine del giorno fra poteri presidenziali e poteri dell’assemblea, in Caravita (a cura di), Magistratura, CSM…cit, 66 ss.
[33] P.Barile, Magistratura e …cit, 563; nel senso del perdurare di tale clima istituzionale depongono le considerazioni del Presidente Napolitano : cfr. U.Allegretti, Il Presidente della Repubblica…cit.
[34] «E’ difficile, in questa fase trovare figure i istituzioni in grado di ottenere il consenso dei cittadini – al di là delle distinzioni politiche, territoriali, religiose, di generazione – e capaci di essere soggetti unificanti in un Paese tanto diviso e scomposto. Ciampi è uno di questi. Forse il solo. Anzi: l’unico, nel mondo politico istituzionale». Così Ilvio diamanti commentava i risultati di un’ indagine dalla quale emergeva che il presidente della Repubblica gode della fiducia del 78,4 per cento degli italiani. Un patrimonio di fiducia, proseguiva Diamanti, «uscito intatto – anzi, rafforzato – da sei anni di aspri scontri politici e faticose mediazioni: sei anni di turbolenze sul piano interno e internazionale, alle prese con il difficile compito di rafforzare lo spirito nazionale e l’attaccamento alle istituzioni dei cittadini italiani». In questo senso si è espresso più volte anche Scalfari, L’uomo che difende la nostra libertà, La Repubblica, 17.08.2005 per cui «Il nostro comune punto di riferimento non può che essere il presidente della Repubblica. Da solo e con la sola forza che gli deriva dalla Costituzione egli sta adempiendo al suo compito. Ancora pochi giorni fa l´ho udito dire che i suoi doveri sono quelli che la Costituzione e la sua coscienza gli impongono e che ad essi non verrà meno in nessun caso.
Non è mai stato un uomo di parte, il nostro Presidente, e mai lo sarà. Per questo il consenso che lo circonda è così vasto ed è questa la sua forza e la forza della nostra Repubblica».
[35] Sia con il prof. Verde che con il prof. Rognoni, il Presidente Ciampi ha operato, creando una sorta di «tandem istituzionale», maliziosamente si sarebbe potuto pensare che, nei momenti di conflittualità più acuta, tra i due vi fosse una specie di gioco dei ruoli, con il Vicepresidente che manifestava opinioni e prendeva posizioni che il Presidente non poteva esprimere. In questo senso nell’intervento alla seduta del CSM per l’elezione del nuovo Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione in data 26 aprile 2006, il Presidente esprimeva «…al Vice Presidente, Prof. Virginio Rognoni – al quale mi legano da gran tempo sentimenti di stima sincera – il mio più vivo apprezzamento e la mia gratitudine, sia per l’attento e puntuale ausilio che mi ha fornito per la comprensione dei temi di volta in volta affrontati, sia per l’autorevolezza e l’equilibrio con i quali – in piena sintonia con me – ha presieduto il Consiglio anche nei momenti più delicati….».
[36] Intervento del P.d.R. al CSM all’indomani dell’elezione, 26 maggio 1999; Intervento introduttivo del P.d.R. alla seduta del CSM, 5 marzo 2001; Intervento del P.d.R. in occasione della seduta straordinaria del CSM, 2 ottobre 2001, in www.quirinale.it.
[37] Si noti, in questo senso, il rilancio da parte del Presidente Ciampi della consuetudine, abbandonata da vari decenni, di incontrare gli uditori giudiziari in occasione dell’assunzione in ruolo : Saluto del P.d.R. agli uditori giudiziari convenuti a Roma per la scelta delle sedi, 17 novembre 2000; Saluto del P.d.R., 17 marzo 2003; Intervento del P.d.R. in occasione della seduta straordinaria del CSM, 29 ottobre 2003, in www.quirinale.it.
[38] Intervento del P.d.R.…cit, 1 agosto 2002.
[39] Intervento del P.d.R.…cit, 26 maggio 1999; si veda tra le più controverse la risoluzione approvata in data 23 febbraio 2005 a maggioranza dal plenum del CSM sulla proposta di legge n. 2055/A (c.d. Legge Cirielli); i molteplici pareri resi dal CSM al disegno di legge delega governativo – atto Senato 1296 – e successivi emendamenti in tema di ordinamento giudiziario, in Quaderni del CSM n. 136/2003.
[40] A.Burgio, La Costituzione sospesa, Rivista de Il Manifesto, n. 45, dicembre 2003 che racconta come «Il caso – o la tempesta nel classico bicchiere d’acqua – scoppia il 4 novembre 2003, quando i componenti laici del centrodestra del Consiglio superiore della magistratura annunciano che dall’indomani diserteranno i lavori del Consiglio e si dimetteranno dalle rispettive commissioni. Il casus belli è la distribuzione, agli uditori giudiziari presso il Csm, di uno scritto del professor Alessandro Pizzorusso (una relazione presentata lo scorso luglio ad un convegno dei Lincei su Stato della Costituzione italiana e avvio della Costituzione europea) che contiene – tra l’altro – una serrata analisi dell’irresistibile ascesa del Signor B. ai vertici della politica. I consiglieri di piazza dei Marescialli si sono risentiti in particolare per un passaggio nel quale Pizzorusso commenta gli effetti, a suo giudizio perversi, di una modifica introdotta nel 2002 dalla riforma ordinamentale del Csm. In base al nuovo ordinamento, appena quattro consiglieri laici – uno meno dei cinque nominati dalla maggioranza parlamentare – possono decidere in qualsiasi momento di bloccare il funzionamento del Consiglio, disertandone le sedute. Commenta Pizzorusso: «Dato che […] in regime di partito-azienda tra il leader della maggioranza parlamentare e i `suoi’ membri del Consiglio sussiste un vincolo assai stretto, la minaccia è molto più reale di quanto fosse in passato, quando i partiti riconoscevano una certa autonomia agli eletti al Consiglio su loro designazione». Apriti cielo. Due consiglieri della Casa delle Libertà – Giuseppe Di Federico e Nicola Buccico – parlano di «vulnus» e di «grande offesa all’intero plenum», e si dimettono dalla nona commissione del Csm, in attesa che «chi ha l’autorevolezza e la responsabilità istituzionale» ponga riparo al malfatto. E difatti, poche ore dopo, il presidente Ciampi interviene, affidando a una lettera l’espressione della propria «ferma deplorazione per l’accaduto» e della «piena solidarietà» ai membri del Consiglio raggiunti da «grave offesa». L’«onorabilità» compromessa è prontamente ristabilita. Ottenuta soddisfazione, i consiglieri dimissionari riassumono le proprie funzioni. Il caso è chiuso. Messe a repentaglio da un incidente istituzionale dagli esiti imprevedibili, le sorti della Repubblica sono provvidenzialmente ristabilite. È il 5 novembre, una data che gli storici ricorderanno».
[41] A.Spataro, La guerra dei tre anni. La politica (di destra e di sinistra) contro la magistratura, in Rivista A.N.M., 3 dicembre 2002.
[42] C. Fusani e L. Milella, Csm, mediazione di Ciampi ma è scontro su Sme-Ariosto, in La Repubblica, 13 dicembre 2001, dove si riporta che Cossiga avrebbe chiesto a Ciampi di impedire la discussione in quanto estranea alle competenze del Consiglio. Nel messaggio di Capodanno 2002 il Presidente, riferendosi evidentemente a questo episodio, dichiarava « il Csm ha difeso la sua indipendenza».
[43] in questo senso si vedano il clima e le dichiarazioni riportate dalla stampa: G.Bianconi, E Ciampi non bloccò il documento contestato, in Il Corriere della Sera, 19 settembre 2002; L.Milella, Il Polo blocca il CSM: nessun parere sulla Cirami, in La Repubblica, 24 settembre 2002; G.D’avanzo, Schiaffo alla mediazione del capo dello Stato, in La Repubblica, 25 settembre 2002.
[44] M.Manetti, I due Presidenti…cit, infra nota 140 per cui in questi due ultimi casi v. G. Monteleone, Ciampi : “nuova” Cirielli, nuovo parere del Csm, in Europa, 16 novembre 2005; L. Milella, Csm, la CdL attacca Ciampi e blocca il parere sulla Cirielli, in La Repubblica, 18 novembre 2005, dove si riporta che il parere sulla Cirielli non è stato votato a causa dell’uscita dal plenum dei Consiglieri laici di maggioranza.
[45] E.Scalfari, L’uomo che difese la nostra libertà, in La Repubblica, 19.12.2004 per cui «È stato uno schiaffo o un carezzevole buffetto alle guance il rinvio alle Camere della legge sull´ordinamento giudiziario, deciso dal presidente Ciampi il 16 dicembre? Uno schiocco di frusta per bloccare un provvedimento eversivo emanato da un governo eversivo o una mano tesa per aiutarlo a formulare emendamenti tecnici che potrebbero evitargli la bocciatura da parte della Corte costituzionale? Infine, una sfida tra due coabitanti (Ciampi e Berlusconi) per vedere quali dei due rappresenti meglio e di più gli italiani, le loro speranze, i loro umori, i loro interessi e i loro ideali? Per quel tanto che so di lui, io non credo che Ciampi si sia posto il problema in questi termini. Non credo che gli sia neppure lontanamente passata per la testa l´idea di schiaffeggiare, intimidire, sfidare due istituzioni di massimo livello e centralità come quelle che rappresentano il potere esecutivo e il potere legislativo; ma neppure di facilitarle a passare un guado difficile, affrontato con somma imperizia, superficiale approfondimento e sostanziale disprezzo degli argomenti contrari formulati meditatamente dall´Associazione dei magistrati, dall´opposizione parlamentare e dalla dottrina quasi unanime dei costituzionalisti italiani. Credo che Ciampi, come è suo diritto e dovere, abbia accuratamente esaminato il testo della legge, l´abbia confrontato con il testo della Costituzione laddove si occupa dei medesimi problemi che sono oggetto della legge in questione e ne abbia tratto le conclusioni arrivando alla sofferta decisione del rinvio. Lo fa capire lui stesso nell´«incipit» della lettera-messaggio recapitata il 16 dicembre ai presidenti delle Camere, Pera e Casini, con una frase per lui insolita e proprio per questo tanto più significativa d´una tensione morale e intellettuale, d´un dolore dell´anima e del rigore di una mente che non ama la rissa, non indulge all´ipocrisia, privilegia il dialogo, ma aborre quanti utilizzano le istituzioni come cosa propria anziché come luoghi di servizio per i cittadini e per lo Stato…».
[46] S.Senese, G.U.Rescigno, L.Carlassarre, V.Onida, Quattro note …cit, 149 ss. per cui «…una prima interpretazione possibile è quella per cui il Capo dello Stato usa del prestigio e del ruolo di Capo dello Stato per rafforzare il suo compito di presidente del CSM e quindi per accrescere la indipendenza di questo collegio (e indirettamente della magistratura ordinaria) nei confronti degli altri poteri e per difenderlo verso eventuali attacchi…; la seconda interpretazione possibile è quella per cui il Capo dello Stato accentua la sua separatezza dal CSM e usa della presidenza di questo organo come strumento attraverso cui la carica di Presidente della Repubblica governa e dirige un organo dello Stato. Nel primo caso il Presidente della Repubblica tende a presentarsi prevalentemente come Presidente del CSM ogni qualvolta esercita i compiti di Presidente di tale collegio, e quindi tende a identificarsi con esso, quale espressione unitaria…; nel secondo caso l’uomo Presidente della Repubblica tende a presentarsi principalmente come Presidente della Repubblica, che in forza del suo compito di presiedere anche il CSM dall’esterno si rivolge a tale organo e svolge in tal modo essenzialmente le funzioni di suo controllo….».
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