Non e’ piu‘ scusabile il testimone che depone il falso qualora sia stato avvertito della facolta’ di astenersi- Corte di Cassazione – Sezioni Unite penali – Sentenza 29 novembre 2007-14 febbraio 2008, n.7208

            Seppur sull’argomento si sia formata nel tempo una giurisprudenza tutt’altro che univoca, già nel passato (con sentenza n.42722 del 4 ottobre-25 novembre 2005), la quarta sezione penale della Corte di Cassazione aveva pacificamente ammesso l’operatività dell’esimente di cui all’art.384 del Cp rispetto al caso attinente ad un soggetto tossicodipendente che, per salvare sé stesso da un grave e inevitabile nocumento nella libertà, rappresentato dalla sottoposizione alle conseguenze sanzionatorie di cui all’art.75 del Dpr 309/90 in materia di stupefacenti, aveva mentito agli inquirenti in ordine all’acquisto di droga da altra persona, commettendo per ciò il reato di favoreggiamento personale del pusher.
            In tale occasione, contrariamente a quella parte della giurisprudenza sino ad allora seguita in maniera pressoché costante, la Corte aveva puntualizzato che la causa di esclusione della punibilità di cui all’art.384 del Cp – la quale prevede al primo comma che nel caso (tra gli altri) di falsa testimonianza, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore – può essere invocata dal tossicodipendente che abbia agito al fine di sottrarsi all’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 75 del Dpr 30 ottobre 1990 n.309, in quanto la prospettiva dell’applicazione di tali sanzioni ben può validamente configurare quel grave ed inevitabile nocumento nella libertà richiesto dalla norma in parola, conseguendo a ciò la non punibilità di colui che, sentito a sommarie informazioni testimoniali, proprio per evitare tale nocumento neghi falsamente di aver acquistato lo stupefacente destinato al proprio consumo personale.
            Ad onor del vero, deve rammentarsi che le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ribadito, con sentenza del 22 febbraio 2007, Morea, che in ordine al reato di favoreggiamento personale commesso dall’acquirente di modiche quantità di stupefacente per uso personale, il quale, sentito a sommarie informazioni, si era rifiutato di fornire alla polizia giudiziaria le informazioni sulle persone da cui aveva ricevuto la droga, deve comunque ritenersi applicabile l’esimente di cui all’art.384, co.1 del Cp, atteso che le informazioni richieste avevano determinato nei confronti del teste un grave ed inevitabile nocumento nella sua libertà o nell’onore, anche se determinato nella fattispecie dall’applicazione della misure sanzionatorie di cui all’art.75 del Dpr n.309/90.
Ed ancora prima, con sentenza n.44761 del 4 ottobre-13 dicembre 2001, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione aveva riconosciuto l’efficacia esimente di cui all’art.384 Cp in favore del testimone prossimo congiunto dell’imputato, che aveva testimoniato il falso dopo aver rinunciato alla facoltà di astenersi dal deporre.
            Nonostante tali illuminanti pronunce, gli orientamenti dei supremi giudici stratificatisi nel tempo risultano nondimeno tutt’altro che lineari.
            Come riportato nella sentenza estesa dai giudici delle Sezioni Unite che qui si commenta, esiste infatti parte della giurisprudenza che per lungo tempo, senza significative variazioni, ha negato l’applicabilità dell’esimente in parola nei confronti di coloro che, avvertiti della facoltà di astenersi dal testimoniare, abbiano comunque deposto esponendo il falso (cfr.Cass.sez.III, 30/6/51, Donghi; Cass.sez.I, 18/2/1972, Marinero; Cass.sez.VI, 5/4/1979, Caruso; Cass.sez.VI, 25/10/1989, Milito; Cass.sez.VI, 24/10/2000, Re; Cass.sez.VI, 20/6/2006, Martinelli).
            Altra e più recente partizione giurisprudenziale invece, nel riprendere l’argomento aveva poi radicalmente negato quanto sostenuto dalle precedenti pronunce, ammettendo l’applicabilità dell’esimente in via generale e senza limitazioni di sorta, qualora si fosse verificato il solo e necessario presupposto del grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore del teste (cfr.Cass.sez.VI, 4/10/2001, Mariotti; Cass.sez.VI, 8/10/2002, Miazza; Cass.sez.VI, 8/1/2003, Accardo; Cass.sez.VI, 15/1/2003, Masciari).
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            Con la sentenza in commento (n.7208/08), le Sezioni Unite della Corte si sono riallacciate all’esegesi più tradizionale, negando nuovamente l’operatività della causa di esclusione della punibilità per il reato di falsa testimonianza, prevista dall’art.384 c.p. per chi abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, nelle ipotesi in cui il testimone deponga il falso pur essendo stato avvertito ai sensi dell’art.199, co.2 Cpp, della facoltà di astenersi.
            La vicenda sottoposta all’attenzione dei supremi giudici delle sezioni unite, riguardava una sentenza di assoluzione dal reato di cui all’art.372 Cp, emessa dal G.U.P. del Tribunale di Rieti in data 18.4.2005 in favore di un imputato che, al fine di sottrarre il fratello da una “altrimenti inevitabile” condanna, aveva deposto il falso come teste in altro giudizio.
            L’inevitabilità della condanna era stata reputata dal G.U.P. quale ragione esimente pienamente rientrante nel concetto di cui all’art.384 Cp e, seppur la testimonianza fosse stata ritenuta palesemente falsa, ciò nondimeno il giudice aveva assolto l’imputato richiamando quel filone giurisprudenziale favorevole all’applicabilità della scriminante di cui all’art.384 c.p. anche nei confronti dei testimoni che non si erano avvalsi della facoltà di astensione.
            Avverso tale sentenza aveva peraltro interposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, appellandosi a quella differente e contraria partizione giurisprudenziale -oltre che alla corretta ratio della norma in parola- la quale prevedeva come presupposto indefettibile per l’operatività dell’esimente in discorso, l’insussistenza di un preciso dovere di testimoniare.
            Stante l’evidente segnalato contrasto giurisprudenziale in atto, il ricorso veniva così assegnato alle Sezioni Unite per la conseguente trattazione del caso.
            I giudici delle Sezioni Unite hanno dapprima inteso evidenziare nella propria decisione l’esistenza del ricordato contrasto giurisprudenziale, avallando in particolare il primo dei due segnalati indirizzi interpretativi, precisando che l’art.384 del Cp “trova la sua giustificazione nell’istinto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell’esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà familiare”.
            Allo stesso tempo tuttavia, si è ricordato che anche la disposizione di cui all’art.199, comma 2 del c.p.p., inerente la facoltà di astensione dal rendere testimonianza sussistente in capo ai prossimi congiunti, incarna le medesime motivazioni.
            Sussiste infatti un collegamento stringente, secondo la Corte, tra l’istituto di carattere sostanziale previsto dall’art.384 c.p. e quello processuale di cui all’art.199 c.p.p.
            Ciò che viene fatto oggetto di tutela infatti, è il sentimento familiare e di converso il probabile conflitto che può insorgere in coloro che, invitati a riportare testimonianza, si trovino di fronte alla difficile alternativa tra il dovere di dichiarare il vero nel corso della propria deposizione e il desiderio di non recare danno in tal guisa al prossimo congiunto.
            Ed è proprio in tale ottica che il legislatore, apprestando apposita garanzia a quei motivi di carattere affettivo, non ha voluto stabilire un criterio perentorio e definitivo come il divieto di testimonianza, ma ha preferito riconoscere la possibilità di astensione dal testimonio qualora l’interessato ritenga, o non sia in grado, di poter in alcun modo oltrepassare l’accennato conflitto.
            Risulta altrettanto chiaro peraltro, sempre secondo la S.C., che qualora il prossimo congiunto intenda comunque deporre, allora egli si graverà della qualità di teste a mente dell’art.198 c.p.p. con tutti gli obblighi relativi, primo fra tutti quello di rispondere secondo verità.
Ecco allora che in tal caso non potranno più ritenersi sussistenti, per atto volontario dello stesso dichiarante prossimo congiunto, le logiche capaci di legittimare la tutela accordata dalla legge alla sua particolare figura.
            In tali evenienze infatti, non si comprenderebbe secondo l’opinione dei giudici supremi il motivo per cui il teste che depone il falso debba andare esente da punibilità, dovendosi in contrario ritenere altrimenti esistente “una figura di testimone con facoltà di mentire, incompatibile con il sistema processuale”.
            Non può pertanto ritenersi ammissibile secondo la Corte, “perché non ha basi testuali e diverge dai supporti sistematici testè ricordati…”, l’affermazione secondo la quale l’obbligo di prestare testimonianza, o anche la libera valutazione di deporre nel caso in cui si ritenga di non avvalersi, se prevista, della facoltà di astensione, non andrebbe comunque a ricadere sull’esimente di cui all’art.384 c.p.
            Quanto alle problematiche connesse al possibile conflitto di coscienza in cui dovesse trovarsi il testimone, ha invece osservato la S.C. che in realtà una risoluzione a tale conflitto è già stata provvista dal legislatore con la previsione del diritto al silenzio di cui all’art.198 c.p.p., individuando così in capo all’interessato una precisa facoltà di astensione.
            Qualora egli non sfrutti tali facoltà e accetti comunque di deporre – nonostante la persistenza di quel conflitto interiore – non potrà successivamente invocare l’esimente di cui all’art.384 c.p.
            Si dirà di più: secondo i giudici supremi quel conflitto potrebbe anche essere sormontato individualmente dallo stesso dichiarante interessato. “Ciò accade quando questo si costituisca come fonte attiva di denuncia (o querela) a carico del familiare (è il caso del prossimo congiunto accusatore). Se depone successivamente il falso per salvare il familiare dal pericolo derivante dalla condanna, nell’ambito del processo scaturito dalla sua denuncia non può contare sull’applicazione della scriminante in questione, proprio perché con il comportamento dato dalla proposizione della denuncia ha dimostrato di avere già risolto quel conflitto di coscienza che la facoltà di astensione intende tutelare e che fonda l’esimente”.
            Per tali motivi, l’attuale orientamento della S.C. a sez.unite rifiuta l’assunto secondo il quale la causa di esclusione della punibilità per il delitto di falsa testimonianza, prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, possa invocarsi in tutti quei casi in cui il testimone deponga il falso, pur essendo stato espressamente avvertito dal giudice della facoltà di astenersi (si veda sull’argomento anche Guida al diritto n.10/08).
            Teste avvisato, mezzo salvato.
 
 Avv.Alessandro Buzzoni

Avv. Buzzoni Alessandro

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