Carenza dei requisiti di regolarità contributiva della mandante, accertata dalla stessa amministrazione in un’altra contestuale gara:è corretta l’esclusione, in autotutela, dell’Ati anche se non sorteggiata?la stazione appaltante ha il potere di verificar

Lazzini Sonia 22/05/08
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La questione va affrontata ponendo attenzione alla ragione e alla natura della dichiarazione sostitutiva circa la regolarità contributiva, nella specie domandata da bando e presentata dalla ditta risultatane esclusa nell’altra gara._Una concezione formalistica ed esclusiva dell’autocertificazione, per cui la conoscenza della sua non veridicità acquisita dall’Amministrazione in una gara non spiegherebbe effetti di sorta anche in un’altra gara, parallela e di simile oggetto, violerebbe sia elementari canoni di logica (un medesimo soggetto non può non sapere ciò che ufficialmente sa in una sede contestuale), sia il principio costituzionale di buon andamento della attività amministrativa, che esige che l’Amministrazione si avvalga dei mezzi di conoscenza di cui già dispone e non ne neghi senza ragione la capacità dimostrativa._ l’autocertificazione costituisce non un mezzo di garanzia del dichiarante (tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti), ma un semplice mezzo di speditezza dell’attività amministrativa, cioè di semplificazione procedimentale inerente alle formalità del rapporto, per cui il suo contenuto resta sempre e comunque esposto alla verifica ad opera della destinataria amministrazione: verifica che avviene indifferentemente o con i metodi previsti del sorteggio, o per altra causa, come la presente, senza che sia coperta, seppure solo in parte, da una qualche riserva metodologica di acclaramento. La modesta aliquota di sorteggiati da verificare (di cui all’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109) indica solo il dovere dell’Amministrazione di procedere al vaglio su un campione minimo causale, ma non una limitazione al potere di vaglio stesso._ Questi principi ben collocavano l’Amministrazione nella condizione di, in rispetto alla buona amministrazione e alla parità di condizioni tra i concorrenti, dover dichiarare d’ufficio, anche in autotutela, l’assenza del requisito della regolarità contributiva della mandante_La circostanza, dunque, che l’autocertificazione presentata in questa gara dalla stessa ATI non fosse stata smentita dai controlli a campione dell’Amministrazione, era irrilevante di fronte a siffatta conoscenza altrimenti acquisita
 
Importantissima risulta essere la decisione numero 1608 del 14 aprile 2008, inviata per la pubblicazione in data 17 aprile 2008, emessa dal Consiglio di Stato
 
 
Così nel giudizio di primo grado
 
Superate le eccezioni di tardività e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, la sentenza ritenne che le norme sulla regolarità contributiva esprimono un principio di ordine pubblico, tanto che l’omesso versamento di contributi è colpito da sanzione amministrativa o penale, senza che abbia rilievo la differenza tra irregolarità formale e non formale. La violazione di quelle norme comporta l’esclusione dalla gara, sia per specifica previsione di legge, sia per idoneità a incidere sul possesso dei requisiti di capacità economico-fìnanziaria e tecnico-organizzativa. Un’impresa efficiente economicamente e fìnanziariamente e che operi in modo non illecito fa fronte regolarmente agli obblighi economici, specie a quelli contributivi per i dipendenti. L’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109 [a norma del quale quel sorteggiato 10% di offerenti chiamato a comprovare i propri requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, che non sia in grado di provarla, è escluso dalla gara] si applica anche al caso di omesso assolvimento degli obblighi di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a favore della mano d’opera occupata, perché è un indicatore d’incapacità o, quanto meno, di difficoltà economico-finanziaria
 
l’autocertificazione costituisce solo uno degli strumenti per garantire la rapidità dell’azione amministrativa e il contenimento degli oneri del privato che partecipa al procedimento, conforme al principio di buon andamento dell’art. 97 Cost. e ai derivati criteri di proporzionalità e sussidiarietà dell’intervento pubblico, mediante l’attivazione del principio di responsabilità personale dell’imprenditore. L’autocertificazione è strumentale all’esigenza di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa e di inutili aggravi per i privati.
            Perciò, da un lato, il privato non può esimersi dall’autocertificazione quando la norma gliela imponga, d’altro lato, l’Amministrazione non può acquietarsi con la mera presa d’atto dell’autocertificazione: essa mantiene il potere-dovere di perseguire l’interesse pubblico. Il privato, a sua volta, non può vantare pretese di consolidamento di posizioni non conformi al diritto, perché fondate su autocertificazioni mendaci o fallaci.
 
In conclusione, l’Amministrazione era, o doveva essere, a conoscenza della mancanza di requisiti di una delle partecipanti, e doveva in autotutela escluderla dalla gara, anche se non si trattava della aggiudicataria, per garantire la corretta e non distorta applicazione della disciplina di aggiudicazione automatica dell’appalto a seguito del calcolo dell’anomalia e per garantire la parità fra i concorrenti in rispetto ai principi di legalità ed imparzialità e di buon andamento, alla cui stregua l’aggiudicazione può intervenire solo in favore della migliore offerta.
            L’Amministrazione non aveva ostacoli né nell’urgenza dell’opera (non essendo necessaria la ripetizione della gara, in quanto si sarebbe automaticamente conclusa in favore della ricorrente), né nella posizione dell’impresa esclusa (essendo essa stessa causa della propria esclusione a causa di un’errata autocertificazione), né nella posizione della seconda controinteressata, data la natura provvisoria dell’aggiudicazione intervenuta in suo favore; anzi, ogni eventuale ulteriore ritardo dell’Amministrazione incideva sulla responsabilità della Amministrazione (con onere del risarcimento del danno per lesione dell’affidamento), ma non sull’obbligo di ripristino della legittimità: diversamente infatti si renderebbe la medesima Amministrazione arbitra di rispettare i parametri costituzionali della sua azione.
 
Secondo l’appello del Comune di Roma, questione dirimente è se l’Amministrazione abbia il potere-dovere di intervenire per far valere la carenza del requisito, nonostante fosse stato dichiarato con autocertificazione non smentita dai controlli a campione.
            Se è vero che l’Amministrazione "non può acquietarsi di fronte alla mera presa d’atto dell’autocertificazione", è sufficiente ad assicurare l’interesse pubblico il tema dei controlli a campione sul 10 % dei concorrenti e quello nei confronti dell’aggiudicatario e secondo classificato;il che fa escludere che l’impresa aggiudicataria possa stipulare il contratto d’appalto senza avere i requisiti.
            Il controllo a campione sui requisiti economico finanziari e tecnico-organizzativi contempera la semplificazione amministrativa e il principio di buona amministrazione, l’obiettivo dell’efficienza-efficacia-economicità delle procedure e lo scoraggiamento delle dichiarazioni mendaci che esplichino rilevanti influenze sul calcolo della soglia dell’offerta anomala e quindi sull’individuazione della aggiudicataria: La verifica è quella ai sensi dell’art. 10, comma 1-quater cit., ultimo periodo, e questo basta a escludere la possibilità che imprese senza requisiti contrattino con la p.a
 
 
Questo quindi il quesito che viene sottoposto al Supremo Giudice Amministrativo:
 
Il tema su cui la sentenza di primo grado si è incentrata e sul quale poggia l’appello del Comune di Roma, è se l’amministrazione appaltante avesse o meno il potere-dovere di disattendere l’autocertificazione, rivelatasi non veritiera nell’altra gara, anche nella gara qui in esame, malgrado in questa sede – a differenza di quella – l’autocertificazione non fosse stata sottoposta (per sorteggio) al vaglio critico e dunque non fosse risultata immediatamente non veritiera
 
 
I giudici di appello non hanno dubbi: la ditta doveva essere esclusa
 
 
<Una concezione formalistica ed esclusiva dell’autocertificazione, per cui la conoscenza della sua non veridicità acquisita dall’Amministrazione in una gara non spiegherebbe effetti di sorta anche in un’altra gara, parallela e di simile oggetto, violerebbe sia elementari canoni di logica (un medesimo soggetto non può non sapere ciò che ufficialmente sa in una sede contestuale), sia il principio costituzionale di buon andamento della attività amministrativa, che esige che l’Amministrazione si avvalga dei mezzi di conoscenza di cui già dispone e non ne neghi senza ragione la capacità dimostrativa.
            Al tempo stesso, una siffatta concezione trasformerebbe indebitamente l’”autocertificazione” (cioè la dichiarazione sostitutiva di certificazioni, come meglio si esprime l’art. 46 (L-R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) da mezzo di speditezza ed alleggerimento dell’attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità del rapporto (per cui è il dichiarante ad attestare direttamente ciò che in principio dovrebbe attestare tramite onerose produzioni documentali), a mezzo di prova legale a garanzia del solo dichiarante, tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti, con corrispondente irragionevole assunzione doverosa di rischio circa la mendacia della dichiarazione a carico della pubblica amministrazione per ciò che non attiene la modesta aliquota di sorteggiati da verificare; e con corrispondente esenzione del dichiarante dalla responsabilità, vale a dire dalla causa medesima su cui poggia l’istituto dell’autocertificazione. Vale a tal fine rammentare che, nell’impianto delle norme che la hanno introdotta, la possibilità di procedere sulla base di dichiarazioni sostitutive esalta e non attenua la responsabilità del dichiarante quando gli consente di attenuare le incombenze istruttorie pubbliche>
 
Ma non solo
 
< In realtà, la dichiarazione sostitutiva di certificazioni ha una funzione non certificatoria, ma solo di allegazione infraprocedimentale di affermazioni circa fatti o stati di cui si domanda la dimostrazione. L’amministrazione, al di là dei controlli a campione, è tenuta a verificarla ogniqualvolta sorgono fondati dubbi sulla veridicità del dichiarato (art. 71 (L-R) d.P.R. n. 445 del 2000) e una volta che sia comunque, anche aliunde, entrata nella certezza della non veridicità, ha il dovere di trarne senz’altro le conseguenze. L’autocertificazione infatti non costituisce certezze pubbliche, ma solo attenua, e precariamente, all’interno del singolo procedimento, l’onere delle dimostrazioni che il privato sarebbe tenuto ad offrire tramite documenti pubblici. In ragione di questa stretta finalità semplificatoria, il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria.>
 
Anche le norme della 241/90 smi sono di conforto a questa tesi:
 
<In questo quadro, il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, anche altrove formato, non soffre restrizioni o preclusioni nell’utilizzazione per effetto dell’autonomia dei procedimenti amministrativi: la sua utilizzazione anche in procedimenti doversi è resa anzi doverosa dal principio generale di buona amministrazione. Del fatto che questo patrimonio, comunque formato, resti dominante sulle allegazioni private è indice, prima ancora del dovere di controllo, la regola espressa nell’art. 18, comma 2, l. n. 241 del 1990, secondo cui, quando l’amministrazione già è in possesso di documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, li acquisisce d’ufficio al procedimento che sta trattando, senza che ciò debba esserle domandato dall’interessato (v. anche art. 43 (L-R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445). Quel principio di autonomia del singolo procedimento, in effetti, non può non essere rapportato alla considerazione dell’identità del soggetto procedente, e dunque dalla non frazionabilità delle sue conoscenze comunque acquisite e documentate, specie quando, come in questo caso, vi sia identità di oggetto e palese connessione tra i due procedimenti di gara>
 
In conclusione quindi
 
 
<Questi principi ben collocavano l’Amministrazione nella condizione di, in rispetto alla buona amministrazione e alla parità di condizioni tra i concorrenti, dover dichiarare d’ufficio, anche in autotutela, l’assenza del requisito della regolarità contributiva della mandante Costruzioni GAMMABIS dell’ATI GAMMA., che era stato accertato per la gara riguardante i Municipi da I a X (in smentita dell’autocertificazione) anche nella gara riguardante i Municipi da XI a XX; dal che vi derivava senz’altro l’esclusione della stessa ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS dalla gara (posto che il bando prevedeva che "i concorrenti dovranno essere in regola con i versamenti contributivi e previdenziali a favore del personale dipendente, da dimostrarsi, a pena di esclusione con le modalità del disciplinare di gara", ovvero mediante "autocertificazione attestante il possesso del requisito di regolarità contributiva che dovrà essere effettuata utilizzando esclusivamente il fac simile (modello definito dagli enti previdenziali) allegato al disciplinare di gara") e, per conseguenza ulteriore, il diverso calcolo della anomalia, con ogni automatica conseguenza circa la diversa individuazione della ditta aggiudicataria, così come sostenuto dall’appellata>
 
Ma non solo
 
<Corretta è dunque la considerazione, specifica in relazione alla vicenda oggetto della controversia, che l’Amministrazione non trovava ostacoli al corretto esplicarsi della sua azione, anche in autotutela, né nell’urgenza dell’opera, né nella posizione dell’impresa esclusa, che aveva dato luogo alla non corretta autocertificazione, né nella posizione della seconda controinteressata, posta la natura provvisoria dell’aggiudicazione a suo favore. E che anzi la prospettiva del debito risarcitorio le imponeva un siffatto comportamento.
            Non solo l’aggiudicazione è dunque invalida, ma anche gli altri atti impugnati: e correttamente ha deciso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio cin la sentenza qui gravata>
 
Si legga anche:
 
L’inadempimento del pagamento degli oneri contributi è causa di escussione della garanzia provvisoria
 
Spetta all’assuntore della garanzia provvisoria verificare, gara per gara, il reale possesso di tutti i requisiti da parte della ditta partecipante: la norma sul sorteggio per la dimostrazione di tutte le capacità non distingue fra requisiti di ordine speciale e requisiti di ordine generale.
 
 
L’art. 10, comma 1 quater, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, operando allorchè non sia comprovato “il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa” trova applicazione anche nel caso di omesso assolvimento degli obblighi di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a favore della mano d’opera occupata, trattandosi di elemento indicativo d’incapacità o, quanto meno, di difficoltà economico-finanziaria.
 
La decisione numero 341 dell’ 8 febbraio 2005 del Consiglio di Stato (conferma il giudizio di prime cure: (***) T.A.R. Veneto, Sez. I^, n. 1730 del giorno 8 marzo 2003 ) merita di essere segnalata per i seguenti importanti principi in essa sanciti:
 
 
         L’art, 10, comma 1 quater, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, prescrive, infatti, l’escussione della cauzione e l’applicazione delle misure sanzionatorie nel caso di mancata comprovazione “dei requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa eventualmente richiesti nel bando di gara “senza distinguere tra requisiti di ordine speciale e requisiti di ordine generale.
 
         anche il regolare assolvimento degli obblighi contributivi, ancorchè rientrante tra i requisiti di carattere generale indicati nell’art. 75 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, prescritti ai fini dell’ammissione alle pubbliche gare, costituisce, pur sempre, una significativa componente del requisito di capacità economico-finanziaria.
 
         E’, infatti, evidente che un’impresa efficiente sotto l’aspetto economico-finanziario fa regolarmente fronte a tutti i suoi obblighi di natura economica, ivi compresi quelli contributivi.
 
 
A cura di *************
 
 
Riportiamo qui di seguito la decisione numero 1608 del 14 aprile 2008, inviata per la pubblicazione in data 17 aprile 2008 emessa dal Consiglio di Stato
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 8988/2006, proposto dal
COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. **************** dell’Avvocatura comunale ed elettivamente domiciliato presso quest’ultima in Roma Via Del Tempio, 21;
contro
– SOC. ALFA APPALTI s.r.l., in persona del rappresentate legale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. ******************* ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Sebino, 11 presso il suo studio;
e nei confronti
– della SOC. BETA REMO & FIGLIO s.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituitasi in giudizio;
– dell’A.T.I. GAMMA COSTRUZIONI EDILI STRADALI IDRAULICHE DI C. FERDINANDO & *********, e della mandante, anche in proprio, SOC. COSTRUZIONI GAMMABIS r.l. in persona dei rappresentati legali pro tempore, non costituitesi in giudizio (verificare se corretto l’indicazione dell’A.T.I.);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione II – n. 9194/06 del 22 settembre 2006;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della ******à ALFA Appalti r.l. ;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 19 febbraio 2008, il presidente consigliere ***************** ed uditi, altresì, gli avvocati ********* e ****** come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
            Il presente appello riguarda la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, II, 22 settembre 2006, n. 9194, con cui è stato accolto il ricorso della ALFA Appalti s.r.l. avverso il verbale di aggiudicazione provvisoria e il verbale di aggiudicazione definitiva della gara di appalto (col criterio del massimo ribasso) per i lavori di manutenzione straordinaria della Grande Viabilità nei Municipi da XI a XX del Comune di Roma, aggiudicata alla Soc. BETA **** & Figlio.    Secondo quel ricorso, la concorrente ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per carenza dei requisiti di regolarità contributiva della mandante Costruzioni GAMMABIS (codsì come era stata esclusa da analoga gara riguardante la Grande Viabilità del Municipi da I a X, dove era risultata aggiudicataria: esclusione peraltro sospesa in sede di ricorso giurisdizionale). Questa esclusione avrebbe causato un conseguente diverso calcolo della soglia di anomalia, che così avrebbe dato un risultato diverso, in conseguenza del quale la ricorrente ALFA Appalti s.r.l. sarebbe risultata aggiudicataria dell’appalto.
            La sentenza rilevò che la vicenda complessiva riguardava due distinte gare, bandite con deliberazioni di simile oggetto della Giunta Comunale di Roma 6 aprile 2005 nn. 168 e 169 (la seconda quella in esame). Il criterio era del massimo ribasso sull’elenco prezzi e, visto l’importo sotto soglia comunitaria, con esclusione automatica delle offerte anomale. I due bandi prevedevano che "i concorrenti dovranno essere in regola con i versamenti contributivi e previdenziali a favore del personale dipendente, da dimostrarsi, a pena di esclusione con le modalità del disciplinare di gara", ovvero mediante "autocertificazione attestante il possesso del requisito di regolarità contributiva che dovrà essere effettuata utilizzando esclusivamente il fac simile (modello definito dagli enti previdenziali) allegato al disciplinare di gara".
            La A.T.I. BETA **** & Figlio risultò aggiudicataria provvisoria della gara per i Municipi I – X, mentre per i Municipi XI – XX, cioè per la gara qui in questione, fu calcolata la soglia dell’anomalia (media dei ribassi, incrementata del 20%, escluso il 10% di ribassi maggiori e minori) e fu dichiarata aggiudicataria provvisoria la ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS perché aveva offerto il maggior ribasso (non anomalo) del 42,154%, mediante un’offerta più bassa di quella della seconda classificata, cioè la ricorrente ALFA Appalti s.r.l., di soli € 176 (su un valore complessivo del contratto di oltre € 3.000.000).
            Secondo il ricorso, la ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS avrebbe dovuto essere esclusa per la dichiarazione non veritiera, invalidante l’intera procedura, alterata – per la mancata esclusione – da errato calcolo della soglia di esclusione automatica per anomalia dell’offerta della ALFA Appalti s.r.l..
            Superate le eccezioni di tardività e di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, la sentenza ritenne che le norme sulla regolarità contributiva esprimono un principio di ordine pubblico, tanto che l’omesso versamento di contributi è colpito da sanzione amministrativa o penale, senza che abbia rilievo la differenza tra irregolarità formale e non formale. La violazione di quelle norme comporta l’esclusione dalla gara, sia per specifica previsione di legge, sia per idoneità a incidere sul possesso dei requisiti di capacità economico-fìnanziaria e tecnico-organizzativa. Un’impresa efficiente economicamente e fìnanziariamente e che operi in modo non illecito fa fronte regolarmente agli obblighi economici, specie a quelli contributivi per i dipendenti. L’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109 [a norma del quale quel sorteggiato 10% di offerenti chiamato a comprovare i propri requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, che non sia in grado di provarla, è escluso dalla gara] si applica anche al caso di omesso assolvimento degli obblighi di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a favore della mano d’opera occupata, perché è un indicatore d’incapacità o, quanto meno, di difficoltà economico-finanziaria.
            Rilevò la sentenza che, per effetto degli accertamenti in relazione all’altra gara (quella per i Municipi I – X), non era dubbia la carenza del requisito da parte dell’ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS. Si poneva questione se l’Amministrazione avesse il potere-dovere di far valere la carenza del requisito, nonostante fosse stato dichiarato mediante autocertificazione non smentita dai controlli a campione effettuati dall’Amministrazione.
            Osservò il primo giudice che l’autocertificazione costituisce solo uno degli strumenti per garantire la rapidità dell’azione amministrativa e il contenimento degli oneri del privato che partecipa al procedimento, conforme al principio di buon andamento dell’art. 97 Cost. e ai derivati criteri di proporzionalità e sussidiarietà dell’intervento pubblico, mediante l’attivazione del principio di responsabilità personale dell’imprenditore. L’autocertificazione è strumentale all’esigenza di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa e di inutili aggravi per i privati.
            Perciò, da un lato, il privato non può esimersi dall’autocertificazione quando la norma gliela imponga, d’altro lato, l’Amministrazione non può acquietarsi con la mera presa d’atto dell’autocertificazione: essa mantiene il potere-dovere di perseguire l’interesse pubblico. Il privato, a sua volta, non può vantare pretese di consolidamento di posizioni non conformi al diritto, perché fondate su autocertificazioni mendaci o fallaci.
            Nella fattispecie, l’Amministrazione era, o poteva essere a conoscenza della non rispondenza al vero dell’autocertificazione della dell’ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS: questa, risultata aggiudicataria provvisoria nell’altra gara, doveva essere sottoposta a verifica amministrativa sulla sussistenza dei requisiti dichiarati. La conoscenza acquisita in quella gara non poteva essere sottaciuta circa questa gara, anche perché le due gare erano contestuali.
            Il Comune aveva frazionato due appalti altrimenti unitari, con l’effetto di sottrarre la disciplina alle regole sopra soglia di derivazione comunitaria, e la conseguente applicazione della risalente normativa nazionale applicabile agli appalti sotto soglia comunitaria. La disciplina che ne risultava era caratterizzata dall’automaticità dei criteri di esclusione delle offerte anomale e di scelta dell’aggiudicataria. L’aggiudicazione, secondo la giurisprudenza, poteva avvenire solo in favore dell’impresa risultata vincitrice, perché una solo delle offerte ammesse risultava essere la migliore: la gara era retta da criteri meramente automatici, al contrario di quanto accade con la più recente ed elaborata disciplina sopra soglia comunitaria.
            In conclusione, l’Amministrazione era, o doveva essere, a conoscenza della mancanza di requisiti di una delle partecipanti, e doveva in autotutela escluderla dalla gara, anche se non si trattava della aggiudicataria, per garantire la corretta e non distorta applicazione della disciplina di aggiudicazione automatica dell’appalto a seguito del calcolo dell’anomalia e per garantire la parità fra i concorrenti in rispetto ai principi di legalità ed imparzialità e di buon andamento, alla cui stregua l’aggiudicazione può intervenire solo in favore della migliore offerta.
            L’Amministrazione non aveva ostacoli né nell’urgenza dell’opera (non essendo necessaria la ripetizione della gara, in quanto si sarebbe automaticamente conclusa in favore della ricorrente), né nella posizione dell’impresa esclusa (essendo essa stessa causa della propria esclusione a causa di un’errata autocertificazione), né nella posizione della seconda controinteressata, data la natura provvisoria dell’aggiudicazione intervenuta in suo favore; anzi, ogni eventuale ulteriore ritardo dell’Amministrazione incideva sulla responsabilità della Amministrazione (con onere del risarcimento del danno per lesione dell’affidamento), ma non sull’obbligo di ripristino della legittimità: diversamente infatti si renderebbe la medesima Amministrazione arbitra di rispettare i parametri costituzionali della sua azione.
            Secondo l’appello del Comune di Roma, questione dirimente è se l’Amministrazione abbia il potere-dovere di intervenire per far valere la carenza del requisito, nonostante fosse stato dichiarato con autocertificazione non smentita dai controlli a campione.
            Se è vero che l’Amministrazione "non può acquietarsi di fronte alla mera presa d’atto dell’autocertificazione", è sufficiente ad assicurare l’interesse pubblico il tema dei controlli a campione sul 10 % dei concorrenti e quello nei confronti dell’aggiudicatario e secondo classificato;il che fa escludere che l’impresa aggiudicataria possa stipulare il contratto d’appalto senza avere i requisiti.
            Il controllo a campione sui requisiti economico finanziari e tecnico-organizzativi contempera la semplificazione amministrativa e il principio di buona amministrazione, l’obiettivo dell’efficienza-efficacia-economicità delle procedure e lo scoraggiamento delle dichiarazioni mendaci che esplichino rilevanti influenze sul calcolo della soglia dell’offerta anomala e quindi sull’individuazione della aggiudicataria: La verifica è quella ai sensi dell’art. 10, comma 1-quater cit., ultimo periodo, e questo basta a escludere la possibilità che imprese senza requisiti contrattino con la p.a..
            Nelle gare sotto soglia, che escludono automaticamente i più elevati ribassi (presunti anomali), la preoccupazione è che non vi siano offerte presentate con l’intento di distorcere – con ribassi artificiosi – il prezzo congruo. Quando partecipano decine di imprese (nel caso: 136), per alterare le regole della concorrenza si dovrebbe formare un cartello tra un molti partecipanti: contro questa possibilità è adeguato il metodo dei controlli a campione.
            Nel caso di una gara già esaurita, l’interesse pubblico al suo annullamento con l’autotutela sussiste solo qualora abbia comportato lo stravolgimento sostanziale delle regole del confronto concorrenziale: ad es., per l’aggiudicazione a un prezzo che si discosta significativamente da quello di mercato.
            L’autotutela dopo la conclusione del procedimento richiede motivazione, concrete ragioni di pubblico interesse e non solo alla esigenza del ripristino della legalità; la valutazione dell’affidamento dei destinatari dell’aggiudicazione, la tenuta in conto del tempo trascorso e il contraddittorio procedimentale in una adeguata istruttoria.
            Nella gara 31 maggio 2005 con aggiudicazione alla ditta BETA Remo, l’Amministrazione ha verificato il possesso dei requisiti ed autorizzato (con effetto equivalente all’aggiudicazione definitiva) la stipula del contratto; l’irregolarità contributiva della Costruzioni GAMMABIS in A.T.I. con la GAMMA. di ********** & C. dopo alcune prime attestazioni positive (del 15 e 27 giugno e 1 luglio), è stata certificata negativamente dalla Cassa Edile di Roma solo due mesi più tardi, il 4 agosto 2005.
La contestualità si è arrestata al 31 maggio 2005 per subito divaricarsi. Qui si è avuta l’aggiudicazione definitiva e la consegna dei lavori ad urgenza all’impresa BETA; mentre per l’altro appalto la procedura si è dilungata a causa del ricorso della ZETA e dell’incertezza sulla posizione contributiva dell’ATI GAMMA..
            Per l’appellante manca perciò il presupposto acché il Comune di Roma potesse-dovesse essere "tempestivamente" a conoscenza dell’illegittima partecipazione dell’ATI GAMMA e dell’indebita inclusione della sua offerta nel calcolo della soglia d’anomalia.
            Va poi considerato che il provvedimento che si vorrebbe preteso configura una revoca, stante che nessun addebito (per l’art. 73 d.P.R. n. 445 del 2000) può muoversi alla Commissione di gara del 31 maggio 2005 per l’ammissione dell’A.T.I. GAMMA., la cui carenza dei requisiti contributivi è emersa solo dopo due mesi e per circostanza fortuita (quando l’Amministrazione convalidava l’aggiudicazione nell’altra gara). Non era pertanto adeguata l’osservazione che il privato non può vantare pretesa al consolidamento di posizioni giuridiche non conformi a diritto.
            La "autocertificazione rivelatasi mendace o comunque fallace", dalla quale dovrebbe derivare l’estromissione dall’appalto già assunto dall’impresa BETA è quella di un terzo (ATI GAMMA.), e detta "rivelazione" è intervenuta quando la posizione della BETA (che era in possesso di tutti i requisiti) si era già consolidata con l’aggiudicazione definitiva e l’esecuzione di congrua parte dei lavori.
            Neppure, il mancato "ripristino della legittimità della procedura amministrativa in esame" rende il Comune "arbitro della scelta di rispettare o meno i parametri costituzionali che devono invece guidare la propria azione"
            Non voi erano le condizioni per l’annullamento o la riforma dell’art. 1, comma 136 l. n. 311 del 2004 e il più recente art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 15 del 2005 per rinnovare la procedura di gara in autotutela ovvero in via giudiziaria. Il ripristino della legalità non basta ad al pubblico interesse attuale. L’interesse del partecipante si limita al suo regolare svolgimento, con la verifica del d.P.R. n. 445 del 2000 e dell’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109; ma non si estende ad altre verifiche. L’interesse pubblico era di non creare discontinuità coi lavori in corso da parte della BETA e il subentro della ALFA non poteva che ritardarli. E l’affidamento generato nella BETA, aggiudicataria all’esito dell’esperimento di gara del 31 maggio 2005, ha provato i requisiti rendendo definitiva l’aggiudicazione, con consegna dei lavori ed allestimento del cantiere.
            La ALFA Appalti s.r.l., costituitasi, contesta l’appello e chiede la conferma della sentenza di primo grado.
DIRITTO
            L’appello è infondato e va respinto e la sentenza di primo grado va confermata.
            La gara in questione afferiva ai lavori di manutenzione straordinaria della Grande Viabilità nei Municipi da XI a XX del Comune di Roma.
Questa gara era parallela ad un’altra riguardante i Municipi da I a X, in un quadro complessivo di appalto frazionato con evidenti riguardi ai fini della soglia comunitaria. Entrambe erano state bandite per un medesimo oggetto con due contestuali delibere della Giunta Comunale di Roma (le delibere 6 aprile 2005 nn. 168 e 169). In quell’altra sede di gara era stata accertata la carenza dei requisiti di regolarità contributiva della mandante Costruzioni GAMMABIS e perciò l’esclusione dell’ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS. L’omessa parallela esclusione di quest’ultima anche dalla gara in oggetto – per quanto non ne fosse aggiudicataria (tale infatti era risultata la alla Soc. BETA **** & Figlio) – ha cagionato un diverso calcolo della soglia di anomalia e dunque dell’aggiudicazione: tale per cui, se invece si fosse diversamente proceduto, automaticamente la gara sarebbe stata aggiudicata alla ALFA Appalti s.r.l..
            Il tema su cui la sentenza di primo grado si è incentrata e sul quale poggia l’appello del Comune di Roma, è se l’amministrazione appaltante avesse o meno il potere-dovere di disattendere l’autocertificazione, rivelatasi non veritiera nell’altra gara, anche nella gara qui in esame, malgrado in questa sede – a differenza di quella – l’autocertificazione non fosse stata sottoposta (per sorteggio) al vaglio critico e dunque non fosse risultata immediatamente non veritiera.
            La Sezione ritiene che correttamente abbia deciso nel primo senso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio.
            La questione va affrontata ponendo attenzione alla ragione e alla natura della dichiarazione sostitutiva circa la regolarità contributiva, nella specie domandata da bando e presentata dalla ditta risultatane esclusa nell’altra gara.
Una concezione formalistica ed esclusiva dell’autocertificazione, per cui la conoscenza della sua non veridicità acquisita dall’Amministrazione in una gara non spiegherebbe effetti di sorta anche in un’altra gara, parallela e di simile oggetto, violerebbe sia elementari canoni di logica (un medesimo soggetto non può non sapere ciò che ufficialmente sa in una sede contestuale), sia il principio costituzionale di buon andamento della attività amministrativa, che esige che l’Amministrazione si avvalga dei mezzi di conoscenza di cui già dispone e non ne neghi senza ragione la capacità dimostrativa.
            Al tempo stesso, una siffatta concezione trasformerebbe indebitamente l’”autocertificazione” (cioè la dichiarazione sostitutiva di certificazioni, come meglio si esprime l’art. 46 (L-R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) da mezzo di speditezza ed alleggerimento dell’attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità del rapporto (per cui è il dichiarante ad attestare direttamente ciò che in principio dovrebbe attestare tramite onerose produzioni documentali), a mezzo di prova legale a garanzia del solo dichiarante, tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti, con corrispondente irragionevole assunzione doverosa di rischio circa la mendacia della dichiarazione a carico della pubblica amministrazione per ciò che non attiene la modesta aliquota di sorteggiati da verificare; e con corrispondente esenzione del dichiarante dalla responsabilità, vale a dire dalla causa medesima su cui poggia l’istituto dell’autocertificazione. Vale a tal fine rammentare che, nell’impianto delle norme che la hanno introdotta, la possibilità di procedere sulla base di dichiarazioni sostitutive esalta e non attenua la responsabilità del dichiarante quando gli consente di attenuare le incombenze istruttorie pubbliche.
            In realtà, la dichiarazione sostitutiva di certificazioni ha una funzione non certificatoria, ma solo di allegazione infraprocedimentale di affermazioni circa fatti o stati di cui si domanda la dimostrazione. L’amministrazione, al di là dei controlli a campione, è tenuta a verificarla ogniqualvolta sorgono fondati dubbi sulla veridicità del dichiarato (art. 71 (L-R) d.P.R. n. 445 del 2000) e una volta che sia comunque, anche aliunde, entrata nella certezza della non veridicità, ha il dovere di trarne senz’altro le conseguenze. L’autocertificazione infatti non costituisce certezze pubbliche, ma solo attenua, e precariamente, all’interno del singolo procedimento, l’onere delle dimostrazioni che il privato sarebbe tenuto ad offrire tramite documenti pubblici. In ragione di questa stretta finalità semplificatoria, il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria.
In questo quadro, il patrimonio conoscitivo dell’amministrazione, anche altrove formato, non soffre restrizioni o preclusioni nell’utilizzazione per effetto dell’autonomia dei procedimenti amministrativi: la sua utilizzazione anche in procedimenti doversi è resa anzi doverosa dal principio generale di buona amministrazione. Del fatto che questo patrimonio, comunque formato, resti dominante sulle allegazioni private è indice, prima ancora del dovere di controllo, la regola espressa nell’art. 18, comma 2, l. n. 241 del 1990, secondo cui, quando l’amministrazione già è in possesso di documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, li acquisisce d’ufficio al procedimento che sta trattando, senza che ciò debba esserle domandato dall’interessato (v. anche art. 43 (L-R) d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445). Quel principio di autonomia del singolo procedimento, in effetti, non può non essere rapportato alla considerazione dell’identità del soggetto procedente, e dunque dalla non frazionabilità delle sue conoscenze comunque acquisite e documentate, specie quando, come in questo caso, vi sia identità di oggetto e palese connessione tra i due procedimenti di gara.
            Correttamente, a questo riguardo, il giudice di prime cure rileva che l’autocertificazione costituisce non un mezzo di garanzia del dichiarante (tale per cui quanto egli attesa non può essere superato se non nei casi stabiliti), ma un semplice mezzo di speditezza dell’attività amministrativa, cioè di semplificazione procedimentale inerente alle formalità del rapporto, per cui il suo contenuto resta sempre e comunque esposto alla verifica ad opera della destinataria amministrazione: verifica che avviene indifferentemente o con i metodi previsti del sorteggio, o per altra causa, come la presente, senza che sia coperta, seppure solo in parte, da una qualche riserva metodologica di acclaramento. La modesta aliquota di sorteggiati da verificare (di cui all’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109) indica solo il dovere dell’Amministrazione di procedere al vaglio su un campione minimo causale, ma non una limitazione al potere di vaglio stesso.
            Il fondamento di questa permeabilità non lede alcuna forma posta a garanzia dell’interessato (mettendo qui in disparte ogni considerazione sull’interesse dell’appaltante Comune di Roma, piuttosto che dell’aggiudicataria, a sollevare un siffatto argomento). Rileva infatti il Collegio che la partecipazione dell’interessato nel procedimento amministrativo, a differenza di quanto è prescritto nei processi, non si esprime come parità dialettica di condizioni nella formazione della conoscenza ai fini della decisione, ma come semplice opportunità di contraddittorio informato e che non sussiste una limitazione all’utilizzabilità del dato in altri procedimenti amministrativi. A parte la struttura bilaterale e non trilaterale del procedimento amministrativo rispetto al processo, qui la finalità non è un accertamento di giustizia, ma la miglior cura concreta di interessi pubblici e questo implica, di principio, la libertà istruttoria, la quale non è ristretta né condizionata, ma semmai solo agevolata dall’apporto dimostrativo dell’interessato. Perciò, da un lato, nel singolo procedimento non può razionalmente sussistere alcuna limitazione legale alla verifica di questo apporto; da un altro lato, tra procedimenti, non vale il principio dell’incomunicabilità reciproca delle conoscenze acquisite nel contraddittorio delle diverse sequenze, ma all’opposto quello della circolazione e dello scambio dei dati e delle informazioni.
            Questi principi ben collocavano l’Amministrazione nella condizione di, in rispetto alla buona amministrazione e alla parità di condizioni tra i concorrenti, dover dichiarare d’ufficio, anche in autotutela, l’assenza del requisito della regolarità contributiva della mandante Costruzioni GAMMABIS dell’ATI GAMMA., che era stato accertato per la gara riguardante i Municipi da I a X (in smentita dell’autocertificazione) anche nella gara riguardante i Municipi da XI a XX; dal che vi derivava senz’altro l’esclusione della stessa ATI GAMMA. di ********** & C. con Costruzioni GAMMABIS dalla gara (posto che il bando prevedeva che "i concorrenti dovranno essere in regola con i versamenti contributivi e previdenziali a favore del personale dipendente, da dimostrarsi, a pena di esclusione con le modalità del disciplinare di gara", ovvero mediante "autocertificazione attestante il possesso del requisito di regolarità contributiva che dovrà essere effettuata utilizzando esclusivamente il fac simile (modello definito dagli enti previdenziali) allegato al disciplinare di gara") e, per conseguenza ulteriore, il diverso calcolo della anomalia, con ogni automatica conseguenza circa la diversa individuazione della ditta aggiudicataria, così come sostenuto dall’appellata.
            La circostanza, dunque, che l’autocertificazione presentata in questa gara dalla stessa ATI non fosse stata smentita dai controlli a campione dell’Amministrazione, era irrilevante di fronte a siffatta conoscenza altrimenti acquisita.
            A parte la sanzione formalmente prevista dalla lex specialis, è del resto acquisito che l’omesso assolvimento degli obblighi di versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a favore della mano d’opera occupata causa l’esclusione dalla gara perché indica l’incapacità o, quanto meno, la difficoltà economico-finanziaria dell’impresa concorrente (Cons. Stato, V, 8 febbraio 2005, n. 341).
            Questa situazione inabilitante alla partecipazione, anche se non si trattava dell’aggiudicataria, metteva l’Amministrazione – come bene ha valutato il primo giudice – nella condizione, una volta acquisita la conoscenza della non veridicità dell’autocertificazione, di doverosamente procedere alla rilevazione dell’assenza del requisito della regolarità contributiva della stessa ATI GAMMA,. anche nella gara qui al vaglio e dunque di superare in tal modo, eventualmente anche per la via dell’autotutela, il contenuto dell’autocertificazione dalla stessa prodotta: sia per detto effetto inabilitante, finalizzato alla corretta applicazione dell’aggiudicazione automatica a seguito del calcolo dell’anomalia e alla garanzia della parità fra i concorrenti sia in prevenzione del risarcimento dei danni dei controinteressati. Non vi era di ostacolo la posizione dell’impresa esclusa, avendo la stessa dato causa all’esclusione mediante l’autocertificazione non veritiera.
            Corretta è dunque la considerazione, specifica in relazione alla vicenda oggetto della controversia, che l’Amministrazione non trovava ostacoli al corretto esplicarsi della sua azione, anche in autotutela, né nell’urgenza dell’opera, né nella posizione dell’impresa esclusa, che aveva dato luogo alla non corretta autocertificazione, né nella posizione della seconda controinteressata, posta la natura provvisoria dell’aggiudicazione a suo favore. E che anzi la prospettiva del debito risarcitorio le imponeva un siffatto comportamento.
            Non solo l’aggiudicazione è dunque invalida, ma anche gli altri atti impugnati: e correttamente ha deciso il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio cin la sentenza qui gravata.
            Il ricorso va perciò respinto.
            Il soccombente Comune di Roma, appellante, va condannato alla rifusione delle spese processuali dell’appellata ALFA Appalti s.r.l., che si liquidano in € 5.000 (cinquemila).
P.Q.M.
            Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio. Condanna il Comune di Roma alla rifusione delle spese processuali della appellata ALFA Appalti s.r.l., che si liquidano in € 5.000 (cinquemila).
            Ordina che la presente sentenza sia decisa dall’autorità amministrativa.
            Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 19 febbraio 2008, con l’intervento dei Signori:
Cons. *****************, Presidente ed estensore
Cons. ************
Cons. Caro *******************
Cons. *************
Cons. ************
 
Il PRESIDENTE ESTENSORE     
 **** *****************                                                                                
IL SEGRETARIO
f.to *************
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14-04-2008
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
p.IL DIRIGENTE
f.to ********************

Lazzini Sonia

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