Il rispetto dei fondamentali principi della par condicio e della segretezza delle offerte, posti a garanzia della regolarità della procedura concorsuale, nell’interesse sia della pubblica amministrazione che dei partecipanti, postula necessariamente che fra i concorrenti ad una gara non venga in rilievo una relazione idonea a consentire un flusso formativo (delle offerte), e informativo in merito alla fissazione dell’offerta, ovvero agli elementi valutativi ad essa sottostanti; in presenza di significativi indizi sintomatici, il rischio di una intesa preventiva si traduce in una seria e ragionevole presunzione che le offerte dei diversi concorrenti siano riconducibili al medesimo centro decisionale
Le finalità pubblicistiche a cui è preordinata l’ esigenza di individuazione del “giusto” contraente, implica che al loro rispetto non è vincolata soltanto la pubblica amministrazione, bensì anche coloro che intendono partecipare alla gara: su questi ultimi incombe, infatti, l’obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profilo tecnico – economico (specifico oggetto della valutazione di merito da parte della stazione appaltante), devono avere le caratteristiche della compiutezza, della completezza, della serietà, della indipendenza e della segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui giungere all’individuazione del miglior contraente possibile
Merita di essere segnalato il seguente principio generale in ordine alle procedure ad evidenza pubblicato contenuto nella decisione numero 6212 del 19 ottobre 2006 emessa dal Consiglio di Stato, che peraltro ci offre anche un importante aiuto in tema di collegamento e controllo tra imprese:
< la scelta da parte della pubblica amministrazione del soggetto con cui concludere un contratto di appalto di lavori pubblici si realizzi attraverso una serie procedimentale
interamente regolata da norme pubblicistiche, preordinate all’individuazione del miglior contraente possibile,
sia dal punto di vista soggettivo
(con riferimento ai requisiti soggettivi, alle capacità tecniche, organizzative e finanziarie),
sia dal punto di vista oggettivo,
con riferimento all’economicità dell’offerta formulata e quindi al buon uso del denaro pubblico.
Nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, enunciati dall’art. 97 della Costituzione,
la predetta serie procedimentale si impernia sui postulati di trasparenza ed imparzialità che
, a loro volta, si concretizzano
nel principio di par condicio tra tutti i concorrenti, realizzata attraverso
la previa predisposizione del bando di gara,
e nel principio di concorsualità, segretezza, completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni ed alle previsioni della lex specialis,
nonché nella previa predisposizione, da parte dell’amministrazione appaltante, dei criteri di valutazione delle offerte>
in particolare, in tema di collegamento fra imprese, il supremo giudice amministrativo sottolinea che:
<La Sezione ha quindi ritenuto che, anche a prescindere dall’inserimento di una apposita clausola nel bando di gara, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti attestanti la provenienza delle offerte da un unico centro decisionale, è consentita l’esclusione delle imprese, benché non si trovino in situazione di controllo ex art.2359 c.c. (altrimenti sarebbe facile eludere la descritta norma imperativa posta a tutela della concorrenza e della regolarità delle procedure di gara).
Tale orientamento è stato poi motivatamente confermato dalla V Sezione del Consiglio di Stato, che ha precisato che la stessa circostanza che il bando di gara faccia esplicito riferimento solo all’art. 2359 c.c. non può precludere all’Amministrazione di disporre l’esclusione di imprese che vengano reputate in una situazione di collegamento sostanziale, se gli elementi che connotano il caso concreto facciano ritenere violati i principi generali in materia di pubbliche gare posti a garanzia della correttezza delle procedure. In tale evenienza, infatti, prevale l’esigenza di assicurare l’effettiva ed efficace tutela della regolarità della gara ed in particolare la par condicio fra tutti i concorrenti nonché la serietà, compiutezza, completezza ed indipendenza delle offerte, in modo da evitare che, attraverso meccanismi di influenza societari, pur non integranti collegamenti o controlli di cui all’art. 2359 c.c., possa essere alterata la competizione, mettendo in pericolo l’interesse pubblico alla scelta del “giusto” contraente>
Ma rispetto alla citata giurisprudenza, questa volta il giudice di Palazzo Spada va più in là ed infatti afferma che:
<Sulla asserita penetrante limitazione della legittimazione negoziale delle imprese e della stessa libertà di iniziativa economica derivante dalla esclusione delle “collegate”, va osservato che l’affermazione appare fondata su un equivoco di fondo: la liceità della situazione di collegamento tra imprese sul piano societario, delle logiche di mercato, della concorrenza, non preclude una differente valutazione normativa sul piano degli indicati principi pubblicistici di partecipazione alle pubbliche gare laddove siano ravvisabili elementi di fatto idonei a far presumere una non consentita condivisione della fase di formazione dell’offerta e, quindi, l’alterazione della regolarità della procedura.
Ciò non senza ribadire che lo stesso divieto di collegamento sostanziale si risolve, in definitiva, anche nella tutela della libertà di iniziativa economica e della concorrenza, avuto riguardo agli effetti distorsivi sul libero mercato derivanti dalla alterazione delle procedure di gara>
A cura di *************
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 8024/2005, proposto da Presidenza del Consiglio dei Ministri, ******** s.p.a., Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
***. s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti *****************, ************ e **************, elettivamente domiciliata in Roma, V.le Parioli, n. 180 presso lo studio dell’avv. ******;
e nei confronti di
COSTRUZIONI FRATELLI *** s.r.l., non costituitasi;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III, n. 5183/2005, resa inter partes;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di ***. s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto il Dispositivo di sentenza n. 367 del 9 giugno 2006;
Data per letta, alla pubblica udienza del 6 giugno 2006, la relazione del Consigliere *************;
Uditi l’Avvocato dello Stato ******* per gli appellanti e l’avv. ****** per l’appellata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con distinti ricorsi proposti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ***. s.r.l. ha impugnato i provvedimenti con i quali A.N.A.S. s.p.a., da un lato, ha escluso la ricorrente dalla gara relativa alla fornitura e posa in opera di difesa spondale in ordine a lavori sull’asse viario cispadano, secondo lotto – primo stralcio, dal km. 13 al km. 16.700 – Provincia di Ferrara – località ************* e, dall’altro, ha comunicato all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, ai fini dell’annotazione, successivamente avvenuta, l’esclusione dell’impresa dalla detta gara e la mancata veridicità delle dichiarazioni rilasciate per la partecipazione alla stessa.
Il T.A.R. adìto, riuniti i ricorsi, li ha accolti, con sentenza n. 5183 pubblicata il 21.6.2005, ritenendo fondata la censura afferente alla illegittimità del bando di gara – oltre che degli atti conseguenzialmente adottati – nella parte in cui hanno dato rilevanza a situazioni di collegamento sostanziale diverse dalla situazione di controllo di cui all’art. 2359 Cod. civ., stabilendo l’esclusione automatica per tali situazioni.
La pronuncia del primo giudice viene in questa sede impugnata, con atto di appello notificato il 29-30 settembre 2005, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nonchè dalla detta Autorità di vigilanza e dall’A.N.A.S., che ne deducono l’erroneità sulla base di articolate censure e ne chiedono l’annullamento, anche in memoria difensiva.
Resiste l’appellata ***. s.r.l. con memoria di costituzione e difesa e ripropone nel contempo, sotto i profili specificati nella stessa memoria, i motivi assorbiti in primo grado, come di seguito indicati:
Motivi specifici relativi alla pubblicazione sul sito dell’Autorità della segnalazione ANAS (motivi da A ad H).
violazione del principio di legalità / violazione della legge n. 109/94 (in particolare art. 4 e segg. e art. 10) / violazione del D.P.R. n. 554/1999 (in particolare art. 3 e segg. e art. 75) /violazione del D.P.R. n. 34/2000 (in particolare art. 14 e segg. e art. 27) / falso supposto di fatto / violazione della direttiva lavori CEE n. 37/1993 (in particolare art. 24) /sviamento / eccesso di potere per ingiustizia manifesta e per illogicità – violazione art. 5, D.P.R. n. 554/1999.
A1) Segue: violazione degli artt. 41, 24 (accesso alla giustizia) e 27 della Costituzione.
Segue: eccesso di potere per falso supposto di fatto, per illogicità e per travisamento.
violazione del principio di legalità, violazione dell’art. 2 della Costituzione / sviamento / violazione del principio del giusto procedimento / violazione delle norme sulla privacy (Legge n. 127//2001, Legge 31 dicembre 1996, n. 675, Legge 31 dicembre 1996, n. 676 e Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196).
incompetenza / carenza assoluta di potere / nullità / inesistenza / violazione della legge n. 109/1994, del D.P.R. n. 554/1999 / del D.P.R. n. 34/2000 / dei regolamenti concernenti il funzionamento dell’Autorità sui lavori pubblici (atti pure oggetto di impugnativa) / violazione della legge n. 241/1990.
Segue: violazione del principio di legalità / incompetenza / carenza assoluta di potere / nullità / inesistenza / violazione della legge n. 109/1994, del D.P.R. n. 554/1999 / del D.P.R. n. 34/2000 / dei regolamenti concernenti il funzionamento dell’Autorità sui lavori pubblici / violazione della Legge n. 241/1990.
violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990. Difetto di motivazione.
violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 – violazione del principio del giusto procedimento – violazione dell’art. 5 del D.P.R. n. 554/1999.
violazione delle norme e dei principi sul diritto alla riservatezza (Legge n. 127/2001, Legge 31 dicembre 1996, n. 675, Legge 31 dicembre 1996, n. 676 e Decreto Legislativo 30 giugno2003, n. 196 – violazione degli artt. 2 e 41 della Costituzione.
Motivi relativi agli atti impugnati con il primo ricorso e agli atti presupposti:
violazione del bando di gara (clausola sul controllo/collegamento delle ditte) / violazione dell’art. 2359 del codice civile / eccesso di potere per falso supposto di fatto / violazione dell’art. 10 legge n. 109/1994.
violazione del bando di gara (clausola sul controllo / collegamento delle ditte) / violazione dell’art. 2359 del codice civile / eccesso di potere per falso supposto di fatto / violazione dell’art. 10 Legge n. 109/1994 e dell’art. 41 Cost. / Eccesso di potere per illogicità / sviamento / violazione dei principi generali in materia di gare pubbliche / contraddittorietà.
violazione dell’art. 41 della Costituzione e dell’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994 / violazione dell’atto di regolazione dell’Autorità sui lavori pubblici n. 27/2000 del 9 giugno 2000 / violazione dell’art. 2359 del codice civile / eccesso di potere per falso supposto di fatto / violazione dell’art. 10 legge 109/1994 / eccesso di potere per illogicità / sviamento / violazione dei principi generali in materia di gare pubbliche / contraddittorietà.
violazione dell’art. 27 del D.P.R. n. 34/2000 / violazione dell’art. 10, comma 1 quater, legge n. 109/1994 e violazione dell’art. 75, lettera H del D.P.R. n. 554/1999 / violazione dell’art. 41 della Costituzione e dell’art. 10, comma 1 bis della legge n. 109/1994 / violazione dell’atto di regolazione dell’Autorità sui lavori pubblici n. 27/2000 del 9 giugno 2000 / violazione dell’art. 2359 del codice civile / eccesso di potere per falso supposto di fatto / violazione dell’art. 10 legge n. 109/1994 / eccesso di potere per illogicità / sviamento / violazione dei principi generali in materia di gare pubbliche / violazione dei verbali di gara / violazione del bando di gara (clausola sul controllo/collegamento delle ditte) / violazione dell’art. 2 della Costituzione e dei principi generali in materia di riservatezza (legge n. 127/2001, legge 31 dicembre 1996, n. 675, legge 31 dicembre 1996 n. 676 e Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196).
Segue: ulteriore contraddittorietà con i verbali di gara.
Segue: ulteriore violazione dell’art. 27, comma 1 del D.P.R. n. 34/2000 e del D.P.R. n. 554/1999.
Segue: violazione del principio di legalità e dell’art. 41 della Costituzione – violazione del diritto alla riservatezza.
Segue: violazione della legge n. 445/2000 e dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/1999 / eccesso di potere per falso supposto di fatto / violazione dell’art. 2359 del codice civile.
Segue: ulteriore violazione dei principi generali in materia di gare pubbliche / sviamento.
Segue: violazione degli artt. 19 bis, 46, 47 e 77 bis del D.P.R. n. 445/2000 / violazione dell’art. 75, lettera H, del D.P.R. n. 554/1999 / violazione dell’art. 10, comma 1 quater, legge n. 109/1994.
Segue: violazione della legge Merloni / violazione del diritto alla riservatezza / violazione della legge n. 127/2001 / violazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675 / violazione della legge 31 dicembre 1996 n. 676/ violazione del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 / violazione del principio di legalità / violazione della legge n. 241/1990 con particolare riferimento alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
La intimata Costruzioni Fratelli *** s.r.l. non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 6 giugno 2006, sentiti i difensori, la causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
Come enunciato in narrativa, viene in questa sede impugnata dall’Amministrazione la sentenza del T.A.R. del Lazio indicata in epigrafe con la quale sono stati accolti i ricorsi (riuniti) proposti da ***. s.r.l. – esclusa da gara d’appalto per la fornitura e posa in opera di difesa spondale e segnalata all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici ai fini dell’annotazione nel casellario informatico, successivamente avvenuta, in ragione dell’esclusione e della mancata veridicità delle dichiarazioni rilasciate – nell’assunto della fondatezza della censura afferente alla illegittimità del bando di gara, oltre che degli atti conseguenzialmente adottati, nella parte in cui hanno dato rilevanza a situazioni di collegamento sostanziale diverse dalla situazione di controllo di cui all’art. 2359 Cod. civ., stabilendo l’esclusione automatica per tali situazioni.
Va ricordato, in punto da fatto, che il bando di gara impugnato in prime cure prescriveva, a pena di esclusione, che nella domanda di partecipazione le imprese dichiarassero, fra l’altro, l’inesistenza di forme di controllo con altre imprese concorrenti ai sensi del precitato art. 2359 nonchè l’inesistenza di situazioni di collegamento formale e/o sostanziale con altre imprese partecipanti alla gara.
La Commissione giudicatrice disponeva l’esclusione della ***. per collegamento sostanziale con le società *** e ***, partecipanti alla gara medesima, desumibile da affinità nella redazione degli atti di gara, sia per veste grafica sia per quanto attiene alla generale composizione dei plichi, da identità o somiglianze delle modalità di rilascio delle polizze fideiussorie, delle residenze anagrafiche dei legali rappresentanti, nonchè da intrecci tra soci, amministratori e direttori tecnici.
Non è quindi controverso che le società in questione non si trovano nella situazione di controllo di cui all’art. 2359 Cod. civ., cui rinvia il comma 1 bis dell’art. 10 della legge n. 109/1994, introdotto dall’art. 3, comma 1 della legge n. 415/1998, secondo cui «non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino tra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile».
Nell’assunto del primo giudice, il riferimento, contenuto in tale disposizione, alla sola situazione di controllo, e non a quella di collegamento, va inteso in senso tecnico, come volontà di includere l’una e di escludere l’altra; nè la norma, in quanto introduttiva di un’eccezione ai principi costituzionali della libertà di iniziativa economica e di eguaglianza, sarebbe suscettibile di applicazione estensiva o analogica; fra l’altro, essa avrebbe inteso dare una risposta restrittiva al contrario orientamento del Consiglio di Stato sul punto (formatosi fin dalla decisione della IV Sezione n. 344 del 18.4.1994).
La posizione di questo Consesso sulla questione all’esame deve ritenersi ben nota perchè ormai consolidata (cfr. IV Sez., 27 dicembre 2001, n. 6424 e la giurisprudenza successiva, richiamata dalla stessa sentenza appellata, cui si rinvia).
Secondo l’arresto giurisprudenziale della Sezione, "poichè il divieto normativo contenuto nell’art. 10, 1 comma bis, L. 11 febbraio 1994, n. 109 si basa, attraverso il richiamo dell’art. 2359 c.c., su di una presunzione, non può escludersi che possano esistere altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare una gara di appalto, il che rende legittimo che l’amministrazione appaltante possa introdurre clausole di esclusione dalla gara in presenza di tali ulteriori ipotesi di fatto, con il limite della loro ragionevolezza e logicità rispetto alla tutela che intende perseguire, e cioè la corretta individuazione del «giusto» contraente".
Il percorso argomentativo alla base di tale assunto viene sottoposto a serrata critica nella sentenza oggetto di odierno esame.
Esso sarebbe fondato, ad avviso del primo giudice, su un presupposto interpretativo opinabile, e cioè che la norma di cui trattasi sarebbe basata su una presunzione legale assoluta, ma l’art. 2359, comma 1 cit. non avrebbe la struttura delle fattispecie fondate su una prescrizione siffatta, limitandosi a fornire non altro che la definizione normativa della nozione qualificatoria di "società controllate" definizione tassativa e di stretta interpretazione.
Tale rilievo troverebbe conferma nella differente strutturazione del terzo comma, concernente le "società collegate", che, a differenza del primo comma – richiamato nella normativa sulle gare d’appalto – designerebbe una nozione definitoria, stabilendo che sono considerate "collegate" le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole, desumibile dalla disponibilità di una determinata percentuale di voti in assemblea: la struttura della norma sarebbe quindi, solo in questo caso, quella della presunzione legale assoluta.
Ulteriori elementi di critica investono il criterio soggettivo individuato dall’indirizzo di questo Consesso come alternativo a quello del controllo (c.d. collegamento sostanziale) che, determinando una penetrante limitazione della legittimazione negoziale delle imprese, non si inserirebbe coerentemente nel sistema.
Ritiene in sostanza il Tribunale amministrativo che:
in mancanza di una base di legge, tale collegamento si configura "in senso economico e direttivo ma non in senso giuridico": una limitazione "da collegamento" alla legittimazione negoziale di società commerciali costituisce una deroga ai principi privatistici della personalità giuridica e dell’autonomia patrimoniale delle società medesime;
la configurazione di un’attività di "holding individuale", cioè di un gruppo di società caratterizzato dalla presenza di un socio dominante di tutte le società del gruppo, non annulla l’autonomia patrimoniale di cui ciascuna società è munita;
anche l’estensione dell’imputazione formale del rapporto di lavoro a società dello stesso gruppo diversa da quella che appare come datrice di lavoro richiede pur sempre l’accertamento della simulazione o della preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività tra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale;
l’accertamento del c.d. collegamento sostanziale viene affidato ad una serie indeterminata di indizi eterogenei, per natura ed efficacia probatoria, nessuno dei quali è considerato indefettibile, attinenti alcuni all’organizzazione societaria ed operativa, altri alla singola offerta; ne consegue che, pur essendo l’indagine indiziaria strumentale ad un evento di pericolo alla genuinità del confronto concorrenziale, vengono attratti nella fattispecie di pericolo, strutturata su forme di collegamento soggettivo economico funzionale, elementi attinenti alla singola offerta piuttosto che all’organizzazione e all’attività delle imprese;
l’inesistenza del collegamento sostanziale deve essere dichiarata dalle imprese concorrenti nonostante la riconducibilità dell’onere dichiarativo ad un concetto (quello del collegamento sostanziale) indeterminato, la cui ritenuta falsità determina addirittura – una volta annotata nel casellario informatico – la grave sanzione dell’esclusione dell’impresa dalle gare d’appalto per la durata di un anno; il che comporta problemi di compatibilità con il principio di stretta legalità.
In assenza di una base di legge, ritiene ancora il primo giudice, le stazioni appaltanti non possono introdurre nei bandi di gara clausole di esclusione delle imprese in situazione di collegamento sostanziale, essendo esse titolari di un potere discrezionale che inerisce esclusivamente ai requisiti di capacità economico finanziaria – quanto alla scelta tra le referenze comunitarie e l’indicazione di altre referenze diverse dalle precedenti – e di capacità tecnica, quanto alla sola scelta tra le referenze comunitarie; nel diritto comunitario nessun potere discrezionale è attribuito alle amministrazioni aggiudicatrici in ordine alla determinazione dei requisiti generali di affidabilità (o di onorabilità); neppure nel diritto interno è rinvenibile un potere discrezionale delle stazioni appaltanti in ordine alla determinazione dei requisiti generali.
3.- Sembra al Collegio che la pur approfondita ricostruzione argomentativa del giudice di primo grado non tenga in considerazione adeguata il necessario inquadramento della questione giuridica oggetto di causa nell’alveo pubblicistico che caratterizza la scelta da parte della pubblica amministrazione del soggetto con cui concludere un contratto di appalto di lavori pubblici.
Appare allora opportuno richiamare preliminarmente i principi affermati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 10, comma 1 bis, della legge n. 109/1994.
Nelle numerose decisioni in cui è stata affrontata la questione, è stato posto in rilievo come la scelta da parte della pubblica amministrazione del soggetto con cui concludere un contratto di appalto di lavori pubblici si realizzi attraverso una serie procedimentale interamente regolata da norme pubblicistiche, preordinate all’individuazione del miglior contraente possibile, sia dal punto di vista soggettivo (con riferimento ai requisiti soggettivi, alle capacità tecniche, organizzative e finanziarie), sia dal punto di vista oggettivo, con riferimento all’economicità dell’offerta formulata e quindi al buon uso del denaro pubblico. Nel rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, enunciati dall’art. 97 della Costituzione, la predetta serie procedimentale si impernia sui postulati di trasparenza ed imparzialità che, a loro volta, si concretizzano nel principio di par condicio tra tutti i concorrenti, realizzata attraverso la previa predisposizione del bando di gara, e nel principio di concorsualità, segretezza, completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni ed alle previsioni della lex specialis, nonché nella previa predisposizione, da parte dell’amministrazione appaltante, dei criteri di valutazione delle offerte (cfr, fra tutte, Cons. Stato, IV, n. 6367/2004).
Le finalità pubblicistiche cui sono preordinati tali principi (che possono sintetizzarsi nella esigenza di individuazione del “giusto” contraente) implicano che al loro rispetto non è vincolata soltanto la pubblica amministrazione, bensì anche coloro che intendono partecipare alla gara: su questi ultimi incombe, infatti, l’obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profilo tecnico – economico (specifico oggetto della valutazione di merito da parte della stazione appaltante), devono avere le caratteristiche della compiutezza, della completezza, della serietà, della indipendenza e della segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui giungere all’individuazione del miglior contraente possibile.
In tale prospettiva, la norma contenuta nell’articolo 10, comma 1 bis, della legge 11 febbraio 1994 n. 109, secondo cui “non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo previste dall’articolo 2359 del codice civile” si inquadra nell’ambito dei divieti normativi di ammissione alla gara di offerte provenienti da soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti dal legislatore capaci di formulare offerte contraddistinte dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità.
E’ ormai pacifico che si tratti di una norma di ordine pubblico che trova applicazione indipendentemente da una specifica previsione in tal senso da parte dell’amministrazione appaltante: l’oggetto giuridico tutelato è quello del corretto e trasparente svolgimento delle gare per l’appalto dei lavori pubblici nelle quali il libero gioco della concorrenza e del libero confronto, finalizzati – come delineato – alla scelta del “giusto” contraente, risulterebbero irrimediabilmente alterati dalla eventuale presentazione di offerte che, pur provenendo formalmente da due o più imprese giuridicamente diverse, siano sostanzialmente riconducibili ad un medesimo centro di interessi, tale essendo quello che – secondo la previsione del legislatore – si realizza concretamente nelle ipotesi controllo o collegamento societario indicato dall’articolo 2359 del codice civile (ved. sempre, Cons. Stato, IV, n. 6367/2004, cui adde, fra le tante, VI, n. 3089/2005).
Con la suddetta disposizione il legislatore ha inteso assicurare all’amministrazione appaltante una specifica (e preventiva) tutela dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente possibile, introducendo nella serie procedimentale la normativa sul collegamento e controllo societario elaborata ai fini civilistici e basata esclusivamente su di una presunzione assoluta (“…sono considerate…”, così recita testualmente la norma), iuris et de iure, non suscettibile di prova contraria.
La giurisprudenza ha poi precisato che ciò non esclude che possano esistere altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare una gara di appalto, il che rende legittimo che l’amministrazione appaltante possa introdurre clausole di esclusione dalla gara in presenza di tali ulteriori ipotesi di fatto, con il limite della loro ragionevolezza e logicità rispetto alla tutela che intende perseguire, e cioè la corretta individuazione del “giusto” contraente (v., fra tutte, Cons. Stato, IV, n. 6424/2001; n. 923/2002; V, n. 2317/2004; VI, n. 5464/2004).
La stessa giurisprudenza ha precisato che, proprio in considerazione della peculiarità della materia e degli interessi pubblici tutelati, sarebbe irragionevole e contraddittorio richiedere nel bando la tipizzazione del fatto del collegamento o del controllo societario diverso da quello di cui all’articolo 2359 del codice civile, dal momento che una tale previsione farebbe refluire il perseguimento dell’interesse pubblico alla scelta del “giusto” contraente nel mero controllo della regolarità formale del procedimento, esponendo quindi l’interesse protetto al pericolo di situazioni concrete di fenomeni di effettivo controllo o di altre situazioni societarie capaci di alterare la gara, non facilmente prevedibili o ipotizzabili.
In particolare, con la sentenza n. 5196/2004 la Sezione, premessa l’equivalenza tra la nozione interna di imprese controllate e quella di fonte comunitaria di imprese collegate, ha ribadito che la ratio della legge in materia di lavori pubblici consiste nell’evitare il turbamento nello svolgimento della gara, derivante da situazioni di influenza dominante tra più imprese, che possano incidere sulle offerte delle concorrenti, sulla loro media, e sulla conseguente soglia di anomalia, con connessa violazione dei principi di segretezza dell’offerta, della par condicio e della trasparenza.
In altri termini, il rispetto dei fondamentali principi della par condicio e della segretezza delle offerte, posti a garanzia della regolarità della procedura concorsuale, nell’interesse sia della pubblica amministrazione che dei partecipanti, postula necessariamente che fra i concorrenti ad una gara non venga in rilievo una relazione idonea a consentire un flusso formativo (delle offerte), e informativo in merito alla fissazione dell’offerta, ovvero agli elementi valutativi ad essa sottostanti; in presenza di significativi indizi sintomatici, il rischio di una intesa preventiva si traduce in una seria e ragionevole presunzione che le offerte dei diversi concorrenti siano riconducibili al medesimo centro decisionale.
La Sezione ha quindi ritenuto che, anche a prescindere dall’inserimento di una apposita clausola nel bando di gara, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti attestanti la provenienza delle offerte da un unico centro decisionale, è consentita l’esclusione delle imprese, benché non si trovino in situazione di controllo ex art.2359 c.c. (altrimenti sarebbe facile eludere la descritta norma imperativa posta a tutela della concorrenza e della regolarità delle procedure di gara).
Tale orientamento è stato poi motivatamente confermato dalla V Sezione del Consiglio di Stato, che ha precisato che la stessa circostanza che il bando di gara faccia esplicito riferimento solo all’art. 2359 c.c. non può precludere all’Amministrazione di disporre l’esclusione di imprese che vengano reputate in una situazione di collegamento sostanziale, se gli elementi che connotano il caso concreto facciano ritenere violati i principi generali in materia di pubbliche gare posti a garanzia della correttezza delle procedure. In tale evenienza, infatti, prevale l’esigenza di assicurare l’effettiva ed efficace tutela della regolarità della gara ed in particolare la par condicio fra tutti i concorrenti nonché la serietà, compiutezza, completezza ed indipendenza delle offerte, in modo da evitare che, attraverso meccanismi di influenza societari, pur non integranti collegamenti o controlli di cui all’art. 2359 c.c., possa essere alterata la competizione, mettendo in pericolo l’interesse pubblico alla scelta del “giusto” contraente.
L’esclusione dalla gara deriva invero dall’applicazione diretta dei già richiamati principi posti a tutela della libera concorrenza, della segretezza delle offerte e della par condicio dei concorrenti.
4.- Di tali principi, che costituiscono, come ricordato, ius receptum nella giurisprudenza di questo Consiglio, deve farsi applicazione anche nel caso che ne occupa, in quanto non incisi dalle argomentazioni contenute nella sentenza di prime cure.
Individuata nei termini esposti la base normativa della rilevanza del collegamento sostanziale ai fini per cui è causa, appaiono ininfluenti, in primo luogo, le considerazioni relative alla configurabilità o meno di una ipotesi di presunzione legale assoluta ovvero alla tassatività della relativa disciplina.
Sulla asserita penetrante limitazione della legittimazione negoziale delle imprese e della stessa libertà di iniziativa economica derivante dalla esclusione delle “collegate”, va osservato che l’affermazione appare fondata su un equivoco di fondo: la liceità della situazione di collegamento tra imprese sul piano societario, delle logiche di mercato, della concorrenza, non preclude una differente valutazione normativa sul piano degli indicati principi pubblicistici di partecipazione alle pubbliche gare laddove siano ravvisabili elementi di fatto idonei a far presumere una non consentita condivisione della fase di formazione dell’offerta e, quindi, l’alterazione della regolarità della procedura.
Ciò non senza ribadire che lo stesso divieto di collegamento sostanziale si risolve, in definitiva, anche nella tutela della libertà di iniziativa economica e della concorrenza, avuto riguardo agli effetti distorsivi sul libero mercato derivanti dalla alterazione delle procedure di gara.
Analogamente viziate dal rilevato equivoco di fondo appaiono le considerazioni inerenti, da un lato, la non incidenza sull’autonomia patrimoniale societaria della configurazione di un’attività di holding individuale e, dall’altro, i profili di imputazione formale del rapporto di lavoro.
Quanto all’eterogeneità di una serie indeterminata di indizi ed alla considerazione di elementi attinenti alla singola offerta piuttosto che all’organizzazione e all’attività delle imprese, basti rilevare che l’accertamento di un collegamento sostanziale non può che essere riferito in primo luogo, a siffatti elementi indiziari (ma anche – come di norma avviene – ove occorra, all’organizzazione e all’attività delle imprese); altra questione è quella inerente la verifica, in concreto, della sufficienza degli elementi riscontrati ai fini della configurazione di un unico centro decisionale (su cui infra, punto 5).
Sul rilievo che l’inesistenza del collegamento sostanziale debba essere dichiarato dall’impresa nonostante la riconducibilità dell’onere dichiarativo ad un concetto indeterminato, va osservato che, se è vero che tale dichiarazione implica una valutazione del dichiarante, tuttavia essa è ancorata ad elementi di fatto che rientrano nella normale sfera di conoscenza del dichiarante medesimo e va condotta secondo canoni di comune esperienza; a ciò si aggiunga che l’osservanza di quei principi pubblicistici alla base dell’esigenza di individuazione del “giusto” contraente – ai quali, come si è già ricordato, sono vincolati anche i partecipanti alla gara – che impongono la presentazione di offerte caratterizzate dalla compiutezza, completezza, serietà, indipendenza e segretezza, richiederebbe che, laddove l’ipotesi di collegamento o di comunanza di centri di interesse tra imprese non possa essere scartata tout court, faccia carico al dichiarante l’onere di rappresentare quelle situazioni di fatto che, in astratto, possano incidere sui contenuti della dichiarazione, e ciò, anche in funzione della finalità della dichiarazione stessa, che resterebbe, in caso contrario, sostanzialmente vanificata (sugli effetti della non veridicità della dichiarazione, cfr., infra, punto 6).
Neppure può convenirsi sull’assunto della esistenza di un principio di tassatività delle cause di esclusione in assenza di copertura normativa (comunitaria o interna): basti richiamare i principi esposti in precedenza, secondo cui l’esclusione dalla gara discende comunque dall’applicazione diretta dei canoni pubblicistici posti a tutela della libera concorrenza, della segretezza delle offerte e della par condicio dei concorrenti.
5.- Sulla base di quanto esposto, può esaminarsi la concreta fattispecie all’esame della Sezione.
Va premesso che la Commissione di gara ha preventivamente definito il criterio di configurabilità del collegamento tra offerte, assumendo che esso sussiste, “oltre che nelle ipotesi tipizzate nell’art. 2359 c.c., in presenza di stretti legami di parentela (marito/moglie, genitore/figlio, fratello/sorella, ecc.) correlati alla coabitazione nell’ambito dello stesso nucleo familiare, così come in ipotesi di intrecci tra la proprietà o tra le composizioni societarie, ovvero tra gli organi amministrativi o societari, nonché in presenza di comunanza o promiscuità delle sedi legali e/o operative e delle risorse di gestione d’impresa”; ha ritenuto in sostanza la Commissione che in tali situazioni “si materializzi un continuo flusso di informazioni, in base al quale ciascuna impresa si trovi a concorrere non individualmente, ma in collegamento con altri soggetti e, pertanto, in posizione di non effettiva concorrenza”.
In applicazione di tale criterio, l’esclusione dalla gara dell’appellata ***. s.r.l. è stata disposta sulla base di una serie di elementi, ritenuti idonei a configurare l’esistenza di un rapporto di collegamento con le società *** e *** *** (di seguito, ***), partecipanti alla medesima gara (cfr. verbale 4 marzo 2004):
– l’amministratore unico della ***., *** Luigi, detiene anche il 60% del capitale sociale di *** e l’80% del capitale sociale di ***;
– l’amministratore unico di ***, *** Federico, detiene il 22,5% di ***. e il 20% di ***;
– il direttore tecnico di ***., *** Matteo, detiene, oltre al 22,5% di ***., anche il 20% di *** ed il 10% di ***; riveste altresì la qualifica di procuratore speciale nell’impresa ***.
A ciò aggiungasi che:
le risposte ai chiarimenti richiesti presentano: una notevolissima identità di veste grafica; identiche modalità nella stesura delle dichiarazioni, fra l’altro inviate tutte nel medesimo giorno in un ristrettissimo arco temporale e dal medesimo ufficio postale; la dichiarazione *** riporta un palese errore di trascrizione, indicando un capitale sociale pari ad euro 51.480,00 (nonostante il proprio capitale sociale ammonti ad euro 26.000,00), capitale che invece risulta essere ascritto a ***.;
– ***. e *** hanno costituito la cauzione provvisoria a mezzo di fideiussioni rilasciate dalla stessa assicurazione, presso la medesima agenzia, e contrassegnate da stretta numerazione progressiva e da identità di data di emissione;
– risulta una “notevole e rilevante affinità” nella redazione degli atti di gara sia per veste grafica sia per quanto attiene alla generale composizione dei plichi;
– sussiste coincidenza fra le residenze anagrafiche dei legali rappresentanti delle imprese, site in via Commenda n. 13, Parma, che risulta essere anche la sede legale di ***.;
– sussistono intrecci parentali tra legali rappresentanti, direttori tecnici e titolari di partecipazioni nelle compagnie societarie;
– le sedi legali di *** e *** coincidono con la sede secondaria di ***., in via Anselmi, 8/2 – Parma.
Oppone ***., che ripropone i motivi dedotti in prime cure e dichiarati assorbiti dal T.A.R., l’inesistenza di una situazione di controllo o collegamento fra le ditte, a nulla rilevando che vi siano dei soggetti soci di entrambe le ditte; nè esisterebbe un intreccio degli organi amministrativi delle società. La resistente contesta inoltre che possano avere una qualche valenza le circostanze di “collegamento” evidenziate dalla Commissione, rilevando semmai, esclusivamente la coincidenza degli organi amministrativi delle società, nella specie non sussistente (motivi sub 1 e 2).
Per il caso che si ritenga possibile introdurre un’ipotesi di esclusione (quale il collegamento o il collegamento sostanziale) ulteriore rispetto a quella prevista dall’art. 1 bis della legge n.109/94, si configurerebbe una chiara violazione, oltre che della legge Merloni, anche dell’art. 41 Cost. (libertà di impresa); in tal senso, anche l’atto di regolazione n. 27/2000 del 9 giugno 2000: si impugnano, quindi, anche il bando e gli atti di regolazione – determinazioni dell’Autorità che tale interpretazione consentano (motivo sub 3).
Ritiene peraltro il Collegio, sulla scorta della lettura del precitato verbale 4 marzo 2004 e dei principi rilevanti nella specie, ampiamente esposti al punto 3 della presente decisione anche in tema di “copertura” normativa della disposta esclusione, che gli elementi di fatto accertati, considerati nel loro complesso e con riferimento alla specifica situazione concreta, rappresentano in realtà indizi gravi, precisi e concordanti, in presenza dei quali, secondo l’id quod plerumque accidit, è ragionevole presumere che si sia potuta verificare l’alterazione della par condicio dei concorrenti.
Ed invero, anche ove si reputi che i singoli elementi riscontrati dalla Commissione di gara, atomisticamente considerati, possano essere ritenuti privi di valenza probatoria per i fini che qui rilevano, certo è che, nella loro valenza complessiva – come devono essere necessariamente valutati – essi fanno ragionevolmente presumere, siccome esattamente ritenuto dall’Amministrazione appellante, che le offerte provenissero da un unico centro di interessi.
Vanno quindi disattese le controdeduzioni – censure di ***. intese a contestare la rilevata situazione di intreccio; non apportano utilità alle tesi di parte neppure le considerazioni in ordine alla “standardizzazione” degli adempimenti: gli elementi rilevati appaiono di tale valenza da non lasciare profili di dubbio in ordine alla configurabilità, nella specie, di un unico centro decisionale e di interesse comune.
6.- Vanno di conseguenza esaminati gli ulteriori motivi di gravame assorbiti in primo grado e riproposti in questa sede da ***..
Una serie di motivi investe la pubblicazione sul sito dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici della segnalazione ANAS (censure sub A, A1, B, ulteriormente ribadite nei motivi sub 4 e segg.).
Correttamente ***. rileva che l’Autorità può pubblicare solo quanto strettamente attinente al disposto di cui all’art. 27 D.P.R. n. 34/2000.
Di tale assunto la società resistente fa peraltro erronea applicazione, non considerando che l’art. 27 cit. prevede espressamente, alla lettera t), l’annotazione di “tutte le altre notizie riguardanti le imprese che……sono dall’Osservatorio ritenute utili ai fini della tenuta del casellario”.
Ed è questa l’ipotesi che ricorre nella specie: la segnalazione all’Autorità viene effettuata dalla stazione appaltante con espresso riferimento ai punti 5.8. e 5.12 del modulo allegato A (e cioè, relativamente alle irregolarità nei riguardi di condizioni rilevanti per la partecipazione alla gara – nella specie, previste dal bando – e relativamente alla mancata veridicità delle dichiarazioni sostitutive rilasciate dall’impresa per la partecipazione alla gara stessa, con specifico riguardo all’art. 27, comma 2, lettera t, del precitato D.P.R. n. 34/2000).
***. sostiene peraltro che la lettera t) è norma di chiusura delle lettere da a) ad r) del comma 2 dell’art. 27: di conseguenza, le “altre notizie” dovrebbero avere stretta attinenza con le situazioni di cui alle lettere da a) ad r); si censurano inoltre gli atti regolamentari (D.P.R. n. 34/00 e D.P.R. n. 554/94) e gli atti di regolazione dell’Autorità per l’ipotesi che siano da interpretare nel senso di consentire alle amministrazioni appaltanti di trasmettere ogni causa di esclusione contenente anche dati riservati attinenti alla vita dell’impresa, con violazione del diritto alla riservatezza ed alla libertà d’impresa in mancanza di copertura legislativa (motivi sub 4 e 6 e sub C).
Non si vede da quale elemento interpretativo ***. faccia discendere l’assunto secondo cui le “altre notizie” dovrebbero avere stretta attinenza con le situazioni di cui alle lettere da a) ad r); il Collegio è meditatamente dell’avviso che la struttura della norma quale ipotesi residuale e lo stesso tenore letterale debbano orientare per l’inserimento nel casellario di “tutte le altre notizie …. ritenute utili” dall’Osservatorio al fine di una configurazione globale della situazione dell’impresa siccome emergente da dati che ne hanno caratterizzato la attività imprenditoriale.
Altra questione è se la disciplina regolamentare che ciò consente violi il diritto alla riservatezza e alla libertà d’impresa.
Al quesito deve darsi risposta negativa.
Quanto al diritto alla riservatezza, va ricordato che il comma 6 dell’art. 27 stabilisce che tutte le notizie, le informazioni e i dati riguardanti le imprese contenute nel casellario “sono riservati e tutelati nel rispetto della normativa vigente”, col solo limite delle “segnalazioni cui devono provvedere le stazioni appaltanti”.
Ma le “notizie” cui si riferisce la lettera t) non hanno alcuna idoneità a ledere né il diritto alla riservatezza né la libertà d’impresa, in quanto il quadro complessivo che ne risulta attiene ad elementi di per sé non incidenti sulla immagine o sulle attività imprenditoriali, come di seguito precisato.
Erroneamente la resistente ***. si riferisce all’inserimento nella “casella” del sito Internet dell’Autorità citando esclusivamente “elenco delle imprese per le quali sono inserite notizie relative a fattispecie previste come cause di esclusione dalla partecipazione alle gare” dimenticando che l’intitolazione della casella stessa prosegue con l’espressione “o comunque utili per le stazioni appaltanti” (tipologia in cui all’evidenza rientra la fattispecie all’esame).
Può discutersi della opportunità della coesistenza nominale nella stessa “casella” di due tipologie di “notizie” aventi portata ed effetti assolutamente diversi (e di ciò dovrà comunque farsi carico l’Autorità): ma da tale evidente incongruenza non discendono le conseguenze esposte dalla parte, avuto riguardo alla complessiva intitolazione della casella stessa.
Ma ciò che va essenzialmente chiarito è che, relativamente al caso che ne occupa, non si verte in tema di dichiarazione mendace nel senso e per gli effetti indicati da ***. in memoria (ex art. 27, lettera s, D.P.R. 34/2000, e art. 75, lettera h, D.P.R. 554/99).
La prima di tali norme richiede invero espressamente l’accertamento della falsità in esito alla procedura di cui all’articolo 10, comma 1 quater della legge; per la seconda, la necessità di tale “accertamento” è desumibile, sul piano interpretativo, dalla collocazione della disposizione in un unico contesto normativo che, relativamente alle cause di esclusione dalle gare d’appalto, si riferisce a situazioni che presuppongono un accertamento incontrovertibile (stato di fallimento, liquidazione coatta; “pendenza” di procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione; sentenza di condanna passata in giudicato; gravi infrazioni “debitamente accertate”; irregolarità “definitivamente accertate”); sì che non può ragionevolmente ritenersi che la “falsa dichiarazione”, per determinare gli effetti stabiliti dall’art. 75 cit., non debba essere anch’essa debitamente “accertata”, pena la palese violazione della ratio della disposizione stessa, anche in ragione della notevole rilevanza sulle strategie imprenditoriali della correlata sanzione.
Per converso, la dichiarazione circa l’inesistenza di collegamento implica una valutazione soggettiva del dichiarante ed il convincimento dell’Amministrazione è fondato esclusivamente su un ragionamento presuntivo, seppure sulla base di significativi indizi sintomatici.
Esso non appare quindi idoneo, ex se, a costituire accertamento incontestabile della “falsità” delle asserzioni dell’impresa (circostanza, questa, riconosciuta in memoria anche dalla difesa delle Amministrazioni appellanti), seppure attinenti ad elementi di fatto noti alla stessa.
Peraltro, la seria e ragionevole presunzione in ordine ad una non corretta valutazione da parte dell’impresa, secondo canoni di comune esperienza, di tali elementi di fatto – pur in presenza di una fattispecie non escludibile tout court, come già rilevato, dall’ipotesi di comunanza di interessi – appare sufficiente, nell’ottica della necessaria osservanza, anche da parte dell’impresa, di quei principi pubblicistici di partecipazione alle gare sopra richiamati (cfr. punto 4), a connotare come non rispondente al vero la dichiarazione resa, seppure tale giudizio presuntivo non possa rilevare nei sensi ed agli effetti prescritti dalle norme richiamate in ragione della mancanza di un accertamento incontrovertibile della “falsità”.
E come dato di mero fatto ciò rileva ai fini della segnalazione all’Autorità.
Analogamente, per quanto concerne l’esclusione dalla gara, va ribadito che non si verte nell’ambito delle fattispecie espressamente disciplinate dall’art. 27, lettera r, ovvero dall’art. 75, 1° comma, lettera c); l’annotazione, come per la correlata dichiarazione di inesistenza del collegamento, rientra nella ipotesi residuale di cui alla precitata lettera t), in quanto inerente ad informazioni utili sulla vita delle imprese.
Trattasi, in definitiva, di ricognizione (ed annotazione) di fatti non avente peraltro portata sanzionatoria né valenza escludente dalle gare d’appalto.
Ed invero, la non riconducibilità delle annotazioni di cui sopra alle ipotesi tipizzate di esclusione dalle gare d’appalto previste dall’art. 75 D.P.R. n. 554/1999 ne esclude l’applicabilità nei confronti di ***..
7. – L’esame delle residue censure riproposte in questa sede, in parte reiterate, non comporta – attese le conclusioni cui è pervenuto il Collegio – particolari oneri di confutazione (motivi da D ad H, 5 e da 7 a 10).
7.1.- Va preliminarmente chiarito che l’attività posta in essere dall’Autorità in sede di inserimento dei dati nel casellario informatico sulla base delle segnalazioni pervenute è meramente esecutiva; in altri termini, nella struttura della norma dell’art. 27, non compete all’Autorità una verifica preliminare dei contenuti sostanziali delle segnalazioni, ad eccezione della verifica di riconducibilità delle stesse alle ipotesi tipiche elencate dalla norma medesima.
Manca quindi ogni discrezionalità; il che esclude l’esigenza di motivazione e l’applicazione di istituti partecipativi (comunicazione di avvio, contraddittorio).
7.2. – Sulla contraddittorietà della scheda allegato A – nella parte in cui addebita a ***. dichiarazioni non conformi al vero – rispetto al verbale di gara in cui l’esclusione è comminata per collegamento sostanziale, basti asserire che il rilievo relativo alla dichiarazione costituisce segnalazione “aggiuntiva” di elementi risultanti dagli atti di gara e rientrante nei poteri discrezionali dell’Amministrazione indipendentemente dai motivi alla base dell’esclusione.
7.3. – Si sostiene che la stazione appaltante non abbia titolo ad effettuare la segnalazione di cui trattasi (motivo sub 5).
In realtà – premesso che per le S.O.A. l’art. 27 richiama le sole attestazioni ai sensi dell’art. 12 – il riferimento alle “comunicazioni delle stazioni appaltanti previste dal regolamento generale” non ha “pretese” di completezza e di esclusività; anzi, proprio la stazione appaltante appare all’evidenza il soggetto avente maggiore idoneità alla comunicazione di “tutte le altre notizie riguardanti le imprese ……… utili ai fini della tenuta del casellario”.
7.4. – Sulla contestazione di cui al riproposto motivo n. 7, secondo cui la dichiarazione era “assolutamente veritiera”, si rinvia alle considerazioni in precedenza esposte sul punto.
7.5. – Col motivo n. 8 ***. afferma che i criteri relativi al collegamento sostanziale sono stati enucleati dopo l’apertura e l’ammissione della ditta.
L’assunto è erroneo.
Dal verbale di gara 4 marzo 2004 risulta invero che la Commissione ha enucleato i detti criteri “prima di procedere all’esame della documentazione acquisita” sulla base degli approfondimenti effettuati d’ufficio e dai chiarimenti forniti dai concorrenti.
7.6. – Nel motivo n. 9 ***. insiste sulla non configurabilità, nella specie, di una “dichiarazione non conforme al vero”.
Sul punto, si rinvia alle considerazioni esposte al precedente punto 6..
7.7. – Anche relativamente al motivo n. 10 deve rinviarsi a precedenti rilievi del Collegio.
8. – In conclusione, tutte le controdeduzioni nonché i motivi di ricorso riproposti da ***. appaiono privi di fondatezza e devono essere disattesi.
Per converso, risulta fondato il ricorso in appello proposto dalle Amministrazioni indicate in epigrafe, che va conseguentemente accolto.
9. – Le spese del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV), accoglie l’appello (8024/2005).
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 6 giugno 2006
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
19 ottobre 2006
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