La giunta regionale pugliese ha adottato con delibera n. 280 del 4 marzo 2008 il “Codice di condotta per la prevenzione di molestie sessuali, discriminazioni e mobbing” che verrà esposto negli uffici di circa 3.000 dipendenti dell’amministrazione regionale.
Con tale Codice la Regione Puglia e le altre regioni che hanno già deliberato su questi temi vogliono rispondere a quanto richiesto dal Dipartimento della Funzione Pubblica che con una direttiva ministeriale del 24 marzo 2004 sollecitava le pubbliche amministrazioni ad attivarsi per realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico delle persone, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità della vita e delle prestazioni.
Il documento segue inoltre, l’istituzione, nel 2006, di due comitati, il Comitato per le Pari Opportunità ed il Comitato sul Fenomeno del Mobbing, creati con il precipuo intento di formulare una proposta di codice di condotta.
Il “Codice di condotta per la prevenzione di molestie sessuali, discriminazioni e mobbing” riporta alcune definizioni importanti. Ad esempio tra le discriminazioni viene annoverata la discriminazione indiretta: una disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento apparentemente neutri che “possono mettere le persone appartenenti a un determinato genere, le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di diversa razza o origine etnica, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale, in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
La molestia viene, poi, distinta in:
– molestia morale nel caso di “comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse a sesso, religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale, razza, origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”;
– molestia sessuale nel caso di “comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.
Il Codice di Condotta riporta, a riguardo, diversi esempi di comportamenti discriminatori.
Tra le molestie morali vengono indicate le “offese, intimidazioni, calunnie, insulti, rimproveri, diffusione di notizie riservate, insinuazioni su problemi psicologici o fisici della persona che inducono la stessa ad assentarsi ripetutamente o ogni altra azione di svalutazione della persona che comporti effetti tali da rendere il soggetto bersaglio di critiche infondate, minando la sua autostima e rendendolo debole e vulnerabile”. Ma anche “danni alla professionalità dell’individuo” (minacce di licenziamento, dimissioni forzate, trasferimenti immotivati, discriminazioni salariali,…) o i “tentativi di emarginazione e isolamento quali cambiamento indesiderato delle mansioni o dei colleghi di lavoro con intento persecutorio, limitazione della facoltà di espressione o eccessi di controllo”.
Tra le molestie sessuali sono indicati atti o comportamenti che, esplicitamente o implicitamente, utilizzino a scopo ricattatorio i “poteri e le facoltà derivanti dalla posizione lavorativa per ottenere prestazioni sessuali, promettendo (o vantando di poter influenzare) decisioni vantaggiose ovvero minacciando (o vantando di poter influenzare) decisioni svantaggiose”.
Sono indicati, altresì, “comportamenti e osservazioni verbali sessiste mirate a trasmettere atteggiamenti di ostilità, offensivi, che implicano una concezione inferiore dell’altro sesso” o “richieste, insinuazioni, pressioni, inappropriati e offensivi tesi ad ottenere e a proporre prestazioni sessuali”.
Tuttavia la parte, che sembra preoccupare alcuni operatori del diritto, in merito alle reali applicazioni che ne scaturiranno, é quella relativa alla citazione, tra le molestie sessuali, di “contatti fisici a sfondo sessuale non desiderati, provocati intenzionalmente, non graditi e imbarazzanti” o “attenzioni a sfondo sessuale reiterate verso chi non le accetti”.
Si intendono tra questi anche “apprezzamenti verbali sul corpo, sguardi insistenti e gesti alludenti al rapporto sessuale, discorsi a doppio senso a sfondo sessuale, esposizione di materiale pornografico, allusioni alla vita privata sessuale” e “contatti corporei fastidiosi (pizzicotti, pacche, carezze, ecc.)”.
Il Codice si occupa anche di mobbing, intendendo esso “una forma di violenza morale o psichica nei confronti di uno o più lavoratrici o lavoratori posta in essere nell’ambito del contesto lavorativo dal datore di lavoro, dai dirigenti o da altri dipendenti”.
Un violenza caratterizzata da “una serie di atti, atteggiamenti o comportamenti diversi e ripetuti nel tempo in modo sistematico e abituale, aventi connotazioni aggressive, denigratorie o vessatorie tali da comportare un’afflizione lavorativa idonea a ledere la dignità o l’equilibrio psico-fisico dei soggetti danneggiati”.
Riguardo all’interpretazione dei comportamenti “a rischio” il comma 6 dell’articolo 3, relativo alle molestie sessuali, dice che “spetta a chi agisce stabilire se il comportamento possa essere tollerato ovvero considerato offensivo o sconveniente dal lavoratore o dalla lavoratrice verso cui l’azione è diretta”.
Nell’articolo 6 il principale organo di vigilanza indicato è invece quello dei responsabili (o delle responsabili) delle strutture e degli uffici e nel caso fossero proprio questi responsabili ad essere i molestatori, entrano in gioco i Comitati, già citati, che “ognuno per le proprie competenze, nelle ipotizzate violazioni del Codice di Condotta, fanno proposte finalizzate alla soluzione del caso e, qualora individuino responsabilità da parte di singoli o di gruppi, segnalano il caso al preposto Ufficio Disciplinare”.
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