Le riflessioni che seguono nascono dalla opportunità, vissuta drammaticamente negli ultimi tempi, di ripensare e ridefinire una professionalità che si è giocata nella contrapposizione pratica fra autonomia negoziale dei soggetti passivi e norme di contrasto alla pianificazione fiscale.
In altre parole ho sempre sostenuto, così come tuttora sostengo, la completa autonomia negoziale e la libertà di scelta di tipologie contrattuali a disposizione dei soggetti passivi di imposta, definendo in altri miei scritti il processo di internazionalizzazione che qualsiasi realtà aziendale può intraprendere.
Ho sostenuto l’esistenza di tre forme di internazionalizzazione: produttiva, commerciale e finanziaria.
Mi sento di affermare che, mentre le prime due sono conseguenza di una motivata scelta imprenditoriale dettata da criticità di mercato o gestionali, rientranti nella categoria logica della “necessità”, la terza forma di internazionalizzazione, quella finanziaria, può dipendere anche esclusivamente da “opportunità”.
Infatti la delocalizzazione produttiva, ad esempio, nasce dalla necessità di abbassare il costo della manodopera o dalla necessità di localizzare la produzione rispetto al suo mercato di sbocco , così come la penetrazione commerciale di nuovi mercati nasce dalla necessità di diminuire la concorrenza sul mercato interno o dalla necessità di aumentare la potenziale domanda del prodotto.
Nessuna realtà aziendale delocalizzerebbe i propri impianti produttivi o progetterebbe la penetrazione di un mercato estero per sostenere un minor carico fiscale transnazionale.
In queste due forme di internazionalizzazione c’è la presenza di una autentica spinta motivazionale economica.
Nella internazionalizzazione finanziaria, viceversa, anche a causa dei bassi costi di realizzazione nell’odierno scenario globalizzato, può mancare del tutto una necessitata motivazione economica, mentre quasi sempre è presente un’elevata propensione al tax saving.
Soprattutto realtà che sopportano a malincuore l’onere tributario sono sempre più portate a progettare o aderire a progetti di internazionalizzazione finanziaria, concepiti e realizzati con lo scopo preciso dell’abbassamento del carico fiscale e addobbati poi con motivazioni complementari che diano la parvenza di economicità al progetto.
Grandi istituti finanziari o autentiche banche d’affari, anche nostrani, hanno in portafoglio prodotti finanziari costruiti appositamente per offrire alla potenziale clientela operazioni dalla ridotta economicità, condita da un elevato risparmio fiscale.
Ho altrove descritto la pianificazione fiscale riferita alle prime due forme di internazionalizzazione come “pianificazione a monte” e “pianificazione a valle” della gestione caratteristica di impresa.
La pianificazione fiscale riferita alla internazionalizzazione finanziaria è stata chiamata “Pianificazione a livello della gestione caratteristica”.
La pianificazione a monte ed a valle della gestione caratteristica sono realizzate mirando alla ottimizzazione dei flussi di dividendi, interessi e royalties, tentando quindi di evitare il fenomeno della doppia imposizione sui flussi transnazionali di reddito, anche se talvolta, a causa della scoordinata politica convenzionale italiana rispetto alle riforme della imposizione dei redditi di impresa, possono generarsi fenomeni e situazioni di sottotassazione transnazionale, all’insaputa di un colpevole legislatore delle riforme che dimentica quasi sempre l’impatto internazionale delle rivoluzionarie idee dell’ultim’ora.
La pianificazione al livello della gestione caratteristica viene realizzata esclusivamente con la tecnica dello scambio dei redditi, tentando cioè di sostituire un reddito tassato normalmente, perché derivante dalla contrapposizione di costi e ricavi della gestione caratteristica, con un reddito derivante da una gestione extracaratteristica e principalmente finanziaria, tassato nelle sue componenti positive con una base imponibile sensibilmente inferiore all’ammontare dei corrispondenti componenti attivi civilistici, ferma la deducibilità fiscale dei componenti negativi a pareggio.
Negli ultimi anni abbiamo assistito alla proliferazione di norme antielusive puntuali, tese al contrasto del fenomeno sopra descritto, sia tramite una estensione degli istituti di cui al terzo comma dell’art.37 bis del D.P.R. 600/1973, sia attraverso, ad esempio, l’introduzione dei commi 8 e 9 dell’art.109 TUIR.
L’approccio che caratterizza il contrasto alla pianificazione fiscale del tipo sopra descritto non è stato finalizzato alla estensione di una clausola generale antielusiva, attraverso una seria ridefinizione del primo comma dell’art. 37 bis del D.P.R. 600/1973, ma ha inseguito le tipologie contrattuali ivi utilizzate, tentando di farne fuori gli effetti fiscali, non con la tecnica del disconoscimento dei relativi effetti, giacché lo stesso sarebbe stato possibile solo dimostrando o l’aggiramento di una norma, troppo spesso tale da non dover essere minimamente aggirata, o l’ingenua e colpevole assenza di una qualsivoglia motivazione economica a corredo della operazione di pianificazione fiscale, bensì attraverso la sanzione della indeducibilità dei componenti negativi derivati e paralleli a componenti positivi parzialmente o totalmente esclusi dalla base imponibile.
Solo ultimamente si assiste al tentativo di dar vita ad una teoria dell’abuso del diritto, di derivazione comunitaria, nel campo delle imposte dirette oltre che in quello delle imposte indirette.
Ma è noto come nel settore che trattiamo sia difficile il coordinamento fra un legislatore che predilige una normativa antielusiva puntuale ed una magistratura che, per rimedio, deve introdurre nel sistema giuridico, nozioni positivamente indefinite come l’abuso del diritto, di dubbia coesistenza con le precedenti, anche se spesso, in un’ottica di salvaguardia, inevitabili a tutela dell’interesse pubblico.
Ecco allora che le norme antielusive risultano spesso spuntate davanti alla fantasia che caratterizza l’autonomia negoziale dei soggetti passivi di imposta interessati a processi di internazionalizzazione finanziaria, al punto che risulta necessario, perché indispensabile a mò di esempio sociale e esigenze di cassa, il ricorso giudiziario alla nozione, tutta giurisprudenziale, di abuso del diritto o di frode alla legge e allo Stato.
Se l’esercizio della prudenza fosse virtù non solo del giudice, ma anche del potere legislativo, la situazione sarebbe radicalmente diversa.
Dopo tanti anni passati, professionalmente, alla appassionata difesa della autonomia negoziale dei soggetti passivi impegnati in processi di internazionalizzazione finanziaria, comprendo la necessità anche per costoro di regole certe che permettano l’intrapresa scevra da conseguenze spesso imprevedibili.
Proprio a servizio della certezza del diritto e della certezza delle regole del rapporto fra i soggetti del fenomeno tributario, mi accingo a segnalare quelle che ancor oggi sono lacune del sistema tributario che, da una parte, permetteranno ancora progetti di pianificazione fiscale a livello della gestione caratteristica, ma dall’altra, alimenteranno l’eterno conflitto fra norme incomplete e giustizia sostanziale.
Meglio sanare, se possibili, tali lacune, che tralasciarle, alimentando contenziosi difficili, faticosi, questi sì, sicuramente, ingiusti.
Da parte mia, questo scritto sia visto come la denuncia pubblica dell’esistenza delle lacune di cui sopra e quindi come definitiva rinuncia all’esercizio della professione che mi ha visto occupato per oltre venticinque anni; oggi ritengo prioritario sottolineare, come sia opportuno, anche umanamente, evitare contenziosi basati su un concetto di autonomia negoziale teso allo sfruttamento di lacune legislative; ciò impone in primo luogo l’opportunità di pensare anche in Italia a legislazioni similari alla “Tax shelter legislation” americana o inglese ed in secondo luogo ad una rivisitazione dell’istituto dell’interpello, prendendo spunto dalla notevole e gratificante esperienza francese al riguardo.
L’introduzione della “tax shelter legislation” potrebbe aiutare a rendere trasparenti i rapporti fra tax planners ed Amministrazione Fiscale, mentre una rivisitazione dell’interpello gioverebbe alla diffusione dello stesso istituto e lo renderebbe veramente funzionale ad uno sviluppo armonico dei progetti di internazionalizzazione aziendale, anche comportanti un lecito risparmio di imposta, senza il timore che il ricorso all’interpello stesso si esaurisca nella probabile frustrazione delle aspettative imprenditoriali da una parte, e dall’altra senza arrogarsi il potere di essere controparte pubblica dei soggetti privati e contemporaneamente giudice di un accertamento preventivo.
Nella seconda parte di questo mio intervento, tratterò del primo tema, la “Tax shelter legislation”, e spontaneamente mi renderò parte diligente, attraverso la pubblicazione, nel comunicare alla Amministrazione Finanziaria i tax shelter ancora possibili, grazie alla lacune ed alle contraddizioni della normativa che ci interessa, infine nella terza parte esporrò alcune considerazioni sull’istituto dell’interpello e sulla sua giustizialità, al fine di stimolare un dibattito, teso ad una reale prevenzione di esperienze contenziose, tributarie e penali, che non debbono ripetersi.
Mi auguro che questi miei interventi raggiungano almeno quest’ultimo scopo.
Giampaolo Corabi
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento