Testimonianza indiretta e utilizzabilita’ nel processo penale – Cass.pen. – sez.III – 15 gennaio 2008, n.2001-

Le problematiche afferenti l’utilizzabilità processuale e il valore probatorio della c.d. testimonianza indiretta ex art.195 C.p.p., costituiscono senza dubbio uno dei punti di maggiore frizione nell’ambito della letteratura giuridica processuale.
Come stabilisce invero il primo comma dell’art.195 Cpp in via generale, “quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre”.
Si tratta di una disposizione particolare per questa tipologia di testimone, che si trova a dover riferire in merito a fatti appresi da altri e dei quali pertanto non ha avuto percezione e conoscenza diretta.
Proprio per tale motivo si è prevista la necessità di alcune cautele normative (indicate dalla legislazione costituzionale – art.111 Cost.- nonchè internazionale) affinché, nel rispetto del principio del giusto processo, tali fonti filtrate di cognizione possano legittimamente trovare accesso nell’ambito processuale.
La S.C., con la sentenza in commento, si è trovata a dover affrontare tali problematiche in rapporto ad un caso di atti sessuali nei confronti di persona minore di età, ed ha ulteriormente chiarito a tal proposito che: “in tema di testimonianza indiretta, le dichiarazioni de relato sono utilizzabili anche al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dall’art.195, comma terzo, c.p.p., ove le parti rinuncino espressamente all’assunzione del teste di riferimento”.
Secondo la Corte infatti, nel caso sottoposto alla sua attenzione vi erano alcune testimonianze de relato (da parte dell’educatrice e della zia della persona minore), costituenti senza dubbio le principali fonti d’accusa a carico dell’imputato, riferendo di confidenze loro riportate direttamente dalla persona minore di età in merito ad atti sessuali pietosamente vissuti in seno all’ambito familiare.
Tutte le parti processuali avevano ovviamente ed espressamente rinunciato ad ascoltare in giudizio il racconto direttamente promanante dalla teste di riferimento (la persona minorenne), onde evitare alla stessa ulteriori traumi psicologici, e pertanto la Corte aveva deciso di ritenere indubitabilmente ammissibile d’ufficio, in siffatta evenienza, l’utilizzabilità delle testimonianze indirette ex art.195 C.p.p., a dispetto da quanto indicato da quella, seppur autorevole, dottrina minoritaria secondo cui, salvi i casi eccezionalmente previsti, la testimonianza indiretta in difetto di assunzione del teste di riferimento, non può mai ritenersi utilizzabile.
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Nel caso di specie infatti, vengono in gioco a suffragio del giudizio fornito dai giudici supremi argomenti logico-sistematici e, in particolare, l’analisi dei commi 3 e 7 dell’art.195 del Cpp, secondo i quali deve ritenersi vietata l’utilizzazione delle testimonianze indirette solamente nel caso in cui non sia stata rispettata la disposizione di cui al primo comma (comma 3), ovvero qualora il teste c.d. “indiretto”, non abbia voluto o potuto indicare la persona o la fonte dalla quale abbia acquisito la notizia dei fatti oggetto di esame (comma 7).
Secondo la S.C. pertanto, si deve ritenere che il legislatore non abbia voluto ampliare i casi di inutilizzabilità della testimonianza indiretta ad ipotesi differenti da quelle tassativamente previste [1], rappresentando i predetti commi 3 e 7 dell’art.195 norme di carattere eccezionale rispetto ai principi di libertà della prova ex art.189 Cpp, nonché di generale ammissibilità della prova testimoniale desumibile dall’art.194 stesso codice.
Questa visione dei principi applicabili alla testimonianza indiretta trova inoltre conferma, sempre secondo il ragionamento della Corte, nella stessa Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, laddove si sarebbe appunto ribadito che “resta salva…la legittimità della testimonianza indiretta quando manchi la richiesta di parte e il giudice ritenga di non attingere alla fonte diretta delle informazioni”.
Analoga conferma la si trova poi nella stessa carta costituzionale, dove con il nuovo art.111, comma 5, si è appunto voluto stabilire che “la formazione della prova può avere luogo senza il contraddittorio delle parti, quando vi sia il consenso dell’imputato”.
La mancanza di una esplicita richiesta dell’imputato in ordine all’espressa deposizione del testimone di riferimento, o ancor più la sua esplicita rinuncia in tal senso, non potranno che essere intese pertanto come consenso all’utilizzabilità dibattimentale delle risultanze promanate dalle testimonianze indirette.
Altra problematica affrontata dalla sentenza che qui si descrive attiene poi al valore solamente indiziario, ovvero anche probatorio, della testimonianza indiretta.
Ancora conclude la Corte disponendo che la dichiarazione de relato non può essere vista come mero indizio il quale, a mente dell’art.192, comma 2, c.p.p., abbisogna del concorso di altri elementi probatori a riscontro [2], trattandosi in realtà di una vera e propria rappresentazione dei fatti da provare, seppur mediata e derivata (quindi non immediata e originaria), ma comunque sempre rappresentazione del racconto del terzo e non semplice inferenza logica.
Da ciò discende che alla testimonianza indiretta non potrà applicarsi analogicamente la regola probatoria prevista dal comma 3 dell’art.192 c.p.p., per la c.d. chiamata di correo [3], essendo nelle due ipotesi ben differente l’intento del legislatore.
Questi infatti, nella chiamata di correo ha motivo di dubitare in ordine all’attendibilità e al disinteresse soprattutto di coloro che si trovino coinvolti nelle medesime vicende che interessano l’imputato, mentre nella testimonianza indiretta di cui ai commi 3 e 7 dell’art.195 c.p.p. l’attendibilità del teste de relato non è affatto messa in dubbio, non essendo egli coinvolto nei fatti oggetto di giudizio e trovandosi a riferire in maniera indiretta di fatti appresi da terzi. Trattandosi peraltro di una rappresentazione appunto indiretta (o mediata) e non immediata, dei fatti da provare, occorrerà speciale cautela da parte del giudice nella valutazione delle risultanze probatorie.
Nel caso di specie, secondo la S.C., entrambi i giudici del merito avevano osservato questo rigore di valutazione (in maniera più estesa: Dir.pen.proc. n.9/08) e pertanto la testimonianza indiretta ben poteva assumere valore di prova.
 
Avv. Buzzoni Alessandro
 


[1] Esiste peraltro recente partizione giurisprudenziale che ha precisato come anche il divieto di testimonianza indiretta di cui al comma 4 dell’art.195 del Cpp debba estendersi a qualsiasi modalità di acquisizione di dichiarazioni testimoniali da parte di ufficiali e agenti di P.G., e non solo pertanto a quelle acquisite con le modalità di cui agli artt.351 e 357, comma 2 lettere a) e b) del Cpp.
[2] “L’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”.
[3] “Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’art.12, sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”.

Avv. Buzzoni Alessandro

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