La natura giuridica del contratto e del negozio giuridico

Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
E’ la figura più importante di negozio giuridico e il nostro ordinamento estende la sua disciplina anche agli atti unilaterali inter vivos aventi contenuto patrimoniale. Tale disciplina non si applica dunque al testamento (perché mortis causa) e al matrimonio (perché si tratta di negozio a contenuto non patrimoniale avente autonoma regolamentazione).
Sacco (più recentemente con la collaborazione di De Nova) si è fatto carico del tentativo di formulare una nuova definizione di contratto, con prospettiva anche comparatistica, del tutto svincolata dall’impostazione tradizionale. Secondo l’Autore si può individuare una definizione di primo livello (il contratto è dato dall’incontro di un costituente con altri costituenti e dalla segnalazione che si ha contratto vero e proprio quando quel costituente si accompagna ad altri costituenti completivi) ed una di secondo livello (momento in cui si tende ad isolare un numero di costituenti sufficienti per designare il contratto vero e proprio; a seconda del genotipo da cui si muove, si arriverà ad individuare uno o più costituenti, e ciascuno di loro sarà o meno presente nella definizione di contratto a seconda che essa sia riconosciuta come sufficiente nell’esperienza che si indaga). Cosı`, per l’esperienza italiana, il contratto è dato dall’accordo più altri costituenti (causa, oggetto, forma, ecc.); nell’esperienza francese il contratto sarà dato dal consenso, più altri costituenti, che sono allusi ma non esplicitati (ad es., la causa); e cosı` via. Non si può dunque individuare un solo genotipo di contratto, ma più genotipi; di più, in ogni esperienza codificata ovvero costruita sui precedenti, il contratto si rifrange in manifestazioni empiriche (fenotipi), che
di volta in volta trovano parziale espressione nelle regole di codice, nei precedenti, nelle prassi. La definizione di contratto dovrà dunque tener conto degli elementi comuni a tutti i genotipi ricavabili dal codice (nel diritto italiano avremo diverse definizioni desumibili rispettivamente agli artt. 1321 e 1325, 1326 e 1333 c.c.) e cioè: “dichiarazione, volontaria, autonoma, di chi assume su di sè un sacrificio giuridico, volta a creare un’obbligazione, giustificata da uno scambio”.
Gli Autori precisano però che tale dichiarazione può essere sostituita da un atto di esecuzione, l’affidamento può essere equipollente alla volontà, le conseguenze legali mettono in moto regole aggiunte, il sacrificio giuridico può richiedere una dichiarazione della controparte, l’obbligazione può essere sostituita da vicende giuridiche più ampie, lo scambio può inglobare l’atto liberale.
Si conclude quindi che: « la definizione cardinale latente nel sistema italiano ignora la bilateralità nella formazione del contratto, è basata sulla dichiarazione come strumento di autonomia […], sull’effetto anzitutto costitutivo obbligatorio e per estensione reale, estintivo e modificativo, sulla tendenziale presenza di una giustificazione».
Il negozio giuridico, mentre, viene definito dalla dottrina tradizionale come “dichiarazione di volontà con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti”. Esso nasce dallo sforzo fatto dalla dottrina pandettistica tedesca nel XIX secolo di accorpare in un’unica categoria tutte le manifestazioni di volontà dei privati. Ciò ha comportato il superamento della distinzione tra negozi di diritto commerciale e negozi di diritto civile che si basava sull’esistenza di due codici distinti. Il codice del 1942 accoglie dunque tale impostazione pur non facendo mai riferimento nelle norme al negozio giuridico. La disciplina del contratto tuttavia è di rilevante importanza in quanto per la sua forza espansiva viene a disciplinare tutti i principali atti a contenuto patrimoniale.
E’ proprio da tale considerazione che parte chi ritiene tale teoria ancora valida (Gazzoni) pur se non più applicabile a tutte le manifestazioni di autonomia privata ma solo a quelle tra loro omogenee. Essa non è più centrale nel nostro ordinamento soprattutto in virtù delle modifiche derivanti dall’applicazione della normativa comunitaria. Quest’ultima, rafforzando la tutela del contraente non professionista (consumatore), reintroduce quell’antico dualismo civile-commerciale di cui si parlava.
L’accordo è uno degli elementi del contratto insieme alla causa, all’oggetto e alla forma (quando richiesta dalla legge).
La convenzione: nel codice si fa riferimento alle convenzioni matrimoniali, si parla di convenzione ad es. nell’art. 458 (divieto di patti successori), ecc.. Il termine è utilizzato come sinonimo di accordo, ma non nel significato riportato sopra bensì nell’accezione comune del termine (più ampia).
Il patto: è utilizzato spesso nel codice anche in questo caso come sinonimo di accordo, con significato atecnico. Ad es. vendita con patto di riscatto (art. 1500 c.c.), patto di riversibilità (art. 792 c.c.), “salvo patto contrario” (ricorre molto spesso), ecc.
L’accordo tra le parti è l’incontro delle reciproche volontà in cui si sostanzia il significato sociale dell’intesa contrattuale (Cintioli). Esso è espressione della bilateralità del contratto intesa come incontro di due contrapposti centri di interesse. Tale impostazione viene però superata da alcune recenti opinioni dottrinali che riconoscono l’ammissibilità di un contratto a struttura unilaterale. Rientrerebbero in tale categoria:
art.1333 c.c. Contratto con obbligazioni a carico del solo proponente (in cui rileva il mancato rifiuto della proposta)
art. 1395 c.c. Contratto con se stesso (in cui intervenendo un solo soggetto manca un accordo in senso stretto)
art. 1735 c.c. Commissionario contraente in proprio (in cui il perfezionamento del contratto avviene mediante l’intervento di una sola persona)
In realtà anche in tali ipotesi non sembra possibile affermare che l’accordo sia totalmente assente. Nella prima ipotesi il fatto che il mancato rifiuto valga come accettazione non esclude la presenza di un interesse dell’accettante alla conclusione del contratto. Il legislatore semplicemente richiede una dichiarazione espressa (rifiuto) in caso si mancanza di tale interesse. Del resto tale onere è controbilanciato dalla irrevocabilità della proposta appena giunga a conoscenza della parte alla quale è destinata.
Nel secondo caso per aversi un contratto valido è necessario che il rappresentato abbia autorizzato il rappresentante alla stipula oppure che il contenuto del contratto escluda il conflitto di interessi oppure che il rappresentato abbia rinunciato all’impugnazione. All’inizio si è precisato che la bilateralità consiste nell’incontro di più centri di interesse ma ciò non significa che tali interessi possano fare capo alla stessa persona fisica. Posta così la questione anche in questo caso possiamo ravvisare un accordo.
Stesso discorso può essere fatto per il commissionario contraente in proprio con l’ulteriore riflessione che i meccanismi predisposti dal legislatore per evitare il conflitto di interessi del commissionario servono proprio a garantire l’esistenza di un interesse del committente nonostante il perfezionamento del contratto avvenga con l’intervento di una sola persona fisica.
 
 
Dott. Ruggiero Marzocca

Marzocca Ruggiero

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