La sentenza 635/08 emessa dalla Corte d’appello di Catanzaro in data 18/09/2008 rappresenta una novità significativa nel panorama giurisprudenziale relativo all’interpretazione dell’art. 1 RD 267/1942, dal momento che propone una lettura sistematica della norma che, pone ad esclusivo carico del debitore la dimostrazione del mancato possesso dei requisiti soggettivi necessari per essere assoggettato al fallimento, valorizzando l’aggancio con altre norme della legge fallimentare che, diversamente, sottolineano l’importanza dei poteri istruttori d’ufficio.
E’ il caso di riflettere brevemente sulla questione.
Riscontrando le critiche mosse dagli operatori del diritto, il legislatore è intervenuto con la novella 169/2007 a modificare taluni punti oscuri lasciati dalla miniriforma della legge fallimentare operata con il Dlgs 5/2006.
In particolare, passando all’esame di quello che in questa sede ci interessa, per effetto della novella 169/2007, ai sensi del nuovo art. 1 LF sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
• aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
• aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
• avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
In tal modo l’ art. 1 LF per come novellato to dal DLgs. 12.9.2007 n. 169 elimina ogni riferimento testuale alla nozione di piccolo imprenditore commerciale, utilizzando esclusivamente requisiti dimensionali per delimitare l’area dei soggetti esonerati dalle procedure concorsuali (da cui vengono esclusi gli enti pubblici e l’imprenditore agricolo, nonché le imprese di grandi e grandissime dimensioni che, se esistono possibilità di risanamento, sono soggette alle procedure di amministrazione straordinaria previste dal DLgs. 8.7.1999 n. 270 e dal DL 23.12.2003 n. 347 convertito nella L. 18.2.2004 n. 39.), tentando di eliminare le incertezze connesse alla nozione di “piccolo imprenditore”
E’ evidente nell’intervento chiarificatore del legislatore l’intento deflattivo del numero dei procedimenti fallimentari e dunque del numero dei fallimenti.
In senso contrario allo spirito deflattivo della riforma, nel senso di ampliare nuovamente l’area di fallibilità, procede invece l’esplicita statuizione, stabilita nella stessa norma, che l’onere della prova della sussistenza di tutti i predetti requisiti di esenzione dal fallimento incombe al debitore.
In altri termini la qualifica di imprenditore commerciale e l’insolvenza devono ritenersi fatti costitutivi della dichiarazione di fallimento, la cui prova incombe al creditore istante; invece il mancato superamento dei predetti parametri costituisce un fatto impeditivo la cui prova incombe al debitore fallendo.
In proposito l’ art. 15 LF attribuisce genericamente poteri istruttori d’ ufficio al Tribunale in sede di istruttoria prefallimentare senza specificarne la natura e l’ambito di operatività.
Fino ad oggi la giurisprudenza non ha mostrato una univocità di interpretazioni volta a concretizzare l’indicazione legislativa in modo coerente al principio dispositivo che connota la riforma, desumibile dall’abolizione del fallimento d’ufficio.
Se in esito all’istruttoria prefallimentare – caratterizzata da una certa sommarietà in conseguenza dell’urgenza di provvedere – non viene raggiunta la prova del mancato superamento dei requisiti dimensionali di fallibilità, anche in caso di inerzia del debitore debitamente notificato, deve essere dichiarato il fallimento.
Nella relazione illustrativa si legge che “si evita così di premiare con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria prefallimentare o che non depositano la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali”.
“Sembra quasi che il legislatore sia tornato alla concezione del fallimento sanzionatorio ante riforma, senza considerare che l’imprenditore può avere interesse a fallire per beneficiare dell’esdebitazione o per proporre un concordato fallimentare, specie con la nuova disciplina che consente il pagamento parziale dei creditori privilegiati. Pertanto il debitore troppo “piccolo” per fallire potrebbe comunque ottenere di essere dichiarato fallito semplicemente restando inerte.” (il rilievo è di ******************************** presso il Tribunale di Bergamo Presupposto soggettivo della dichiarazione di fallimento Le novità del DLgs. 169/2007 in www.ilcaso.it)
In un ottica differente, volta a contemperare l’onere della prova del deitore fallendo con i poteri d’ufficio del giudice, si muove la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro.
La Corte Calabrese argutamente osserva: “la disciplina in questione, che onera il debitore della prova del non superamento dei limiti previsti per la fallibilità, deve essere, tuttavia, coordinata con le disposizioni che consentono l’acquisizione d’ufficio di elementi di valutazione.
Ed invero l’intervento normativo richiamato non ha modificato l’art. 15, comma IV L.F. che consente al tribunale di “richiedere eventuali informazioni urgenti”, né il comma VI del medesimo articolo che prevede “l’ammissione e l’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio”, né, infine, ha inciso sul successivo art. 18, relativo al reclamo presso la corte di appello, secondo cui “il collegio, sentite le parti, assume, anche d’ufficio, nel rispetto del contradditorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari…”.
L’art. 1, lett.b, L.F.,poi, nell’individuare i presupposti soggettivi di fallibilità, fa riferimento all’aver “realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi precedenti …ricavi lordi…” dove, a prescindere dalla formula adottata dal legislatore, l’acquisizione del dato (“in qualunque modo risulti”) non è correlata ad un’attività probatoria di esclusiva pertinenza della parte debitrice ma può ricavarsi da altra fonte di cognizione, quale, ad esempio, la relazione della G.d.F., consentita anche dalla sommarietà che caratterizza la fase dell’istruttoria pre-fallimentare.”
Ed ancora Al riguardo, osserva il collegio che l’apparente antinomia determinata dall’introduzione della disposizione che pone a carico del debitore la prova dell’insussistenza dei requisiti di fallibilità può essere superata contemperando il principio dalla distribuzione dell’onere del prova con il principio di acquisizione della prova medesima, secondo cui le risultanze istruttorie legittimamente acquisite concorrono alla formazione del convincimento del giudice, a prescindere dalla parte che ne ha assunto l’iniziativa.
La tesi, infatti, che subordina l’esercizio dei poteri officiosi alla proposizione dell’eccezione ed all’allegazione di parte degli elementi di valutazione si pone in contrasto con l’inequivoca formulazione delle disposizioni su richiamate che consentono, d’ufficio, l’acquisizione di informazioni urgenti e l’espletamento, d’ufficio, di mezzi di prova, sia in primo che in secondo grado.
D’altra parte il riconoscimento di tali poteri è correlato alla persistente natura pubblicistica degli interessi coinvolti che giustificano il ricorso ad un ampio ventaglio di mezzi istruttori officiosi, malgrado sia venuto meno il principio inquisitorio che governava la procedura fallimentare ante riforma.
Deve rilevarsi, inoltre, che la configurazione dell’istruttoria pre-fallimentare quale giudizio camerale di natura sommaria, (le cui risultanze probatorie sono unicamente utilizzabili ai fini della dichiarazione del fallimento e non anche nella fase dell’insinuazione) destrutturato rispetto al rito ordinario, l’introduzione di una specifica disciplina ( rispetto a quella camerale) che governa l’iter del procedimento e che faculta il Tribunale, sin dall’inizio della procedura, ad acquisire “informazioni urgenti” ed ammettere d’ufficio mezzi di prova, la possibilità di valutare il requisito di cui all’art. 1 comma 2 (ricavi lordi) sulla base di elementi comunque acquisiti (“in qualunque modo risulti”) e, quindi, anche sulla base di quanto emerge dalle informazioni urgenti di cui è stata disposta l’assunzione, costituiscono univoche indicazioni normative che escludono, a parere del collegio, che l’accertamento dei requisiti soggettivi di fallibilità possa essere, esclusivamente, demandato all’iniziativa della parte e subordinato, quindi, all’eccezione ed all’allegazione del debitore.
Infine la Corte Conclude: “ritiene, pertanto, il collegio, alla luce del quadro normativo innanzi delineato, di dover privilegiare un’ opzione ermeneutica che valorizzi il principio di acquisizione delle prove per cui la valutazione dei presupposti soggettivi di fallibilità deve essere condotta anche sulla scorta di elementi accertati all’esito di iniziative officiose, assunte nelle ipotesi legislativamente previste, e che consenta di ritenere che il Tribunale, qualora dall’istruttoria esperita emerga il mancato superamento dei parametri imposti dal legislatore, debba, comunque, rigettare l’istanza di fallimento, anche nel caso in cui la prova non sia stata fornita dal debitore.”
LE MASSIME E LA SENTENZA
Corte d’Appello di Catanzaro, ***************, Sentenza n° 635/08 depositata il 18/09/2008
COSENTINO Presidente; LENTO Estensore – “P.” ****************, CURATELA FALLIMENTO “P” ****** Appellata, “C. R.” ****************
Dichiarazione di fallimento – onere della prova sulla dimostrazione del mancato possesso congiunto dei requisiti soggettivi necessari per la fallibilità – incombente sul debitore – contemperamento con i poteri d’ufficio del giudice – sussiste – necessaria valutazione complessiva di tutti gli elementi istruttori a disposizione del giudice – ammissibilità.
La disposizione di cui all’art. 1 R.D. n° 267/1942 così come modificato, da ultimo, dall’art. 1 D.lvo 169/2007, nella parte in cui impone al debitore di dimostrare il possesso congiunto dei requisiti soggettivi per non essere assoggettato al fallimento, deve essere, coordinata con le disposizioni che consentono l’acquisizione d’ufficio di elementi di valutazione. In particolare l’intervento normativo richiamato non ha modificato l’art. 15, comma IV L.F. che consente al tribunale di “richiedere eventuali informazioni urgenti”, né il comma VI del medesimo articolo che prevede “l’ammissione e l’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio”, né, infine, ha inciso sul successivo art. 18, relativo al reclamo presso la corte di appello, secondo cui “il collegio, sentite le parti, assume, anche d’ufficio, nel rispetto del contradditorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari […]”
L’esame complessivo di tutti gli elementi a disposizione giudice, concorrerà alla formazione del convincimento del Giudice sulla fallibilità dell’imprenditore
L’apparente antinomia determinata dall’introduzione della disposizione che pone a carico del debitore la prova dell’insussistenza dei requisiti di fallibilità può essere superata contemperando il principio dalla distribuzione dell’onere del prova con il principio di acquisizione della prova medesima, secondo cui le risultanze istruttorie legittimamente acquisite concorrono alla formazione del convincimento del giudice, a prescindere dalla parte che ne ha assunto l’iniziativa. La tesi, infatti, che subordina l’esercizio dei poteri officiosi alla proposizione dell’eccezione ed all’allegazione di parte degli elementi di valutazione si pone in contrasto con l’inequivoca formulazione delle disposizioni che consentono, d’ufficio, l’acquisizione di informazioni urgenti e l’espletamento, d’ufficio, di mezzi di prova, sia in primo che in secondo grado.
Il riconoscimento dei poteri istruttori d’ufficio è correlato alla persistente natura pubblicistica degli interessi coinvolti che giustificano il ricorso ad un ampio ventaglio di mezzi istruttori officiosi, malgrado sia venuto meno il principio inquisitorio che governava la procedura fallimentare ante riforma. Diversamente opinando si perverrebbe all’assurda ipotesi per cui, pur in presenza di elementi che escludono la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (si pensi alla formula adottata dall’art.1 lette. B) (aver realizzato, in qualunque modo risulti ricavi lordi non superiori ad € 200.000) il Tribunale sarebbe obbligato all’adozione della dichiarazione di fallimento per effetto della mancata allegazione da parte del debitore non costituitosi in giudizio, raggiungendo l’effetto opposto a quello deflattivo auspicato dalla riforma.
il Giudice, qualora dall’istruttoria esperita emerga il mancato superamento dei parametri imposti dal legislatore, deve, comunque, rigettare l’istanza di fallimento, anche nel caso in cui la prova non sia stata fornita dal debitore.
RGAC 858/2008
S. 635/2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI CATANZARO
SEZIONE FERIALE
La Corte di Appello, riunita in camera di consiglio, con l’intervento dei magistrati:
– dott. ****************** Presidente
– dott. ************* Consigliere -relatore
– dott.ssa ***************** Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 858 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2008, trattenuta in decisione all’udienza celebrata il 3 settembre 2008, e vertente
TRA
“*********”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. ************** in virtù di mandato conferito a margine del ricorso in appello, elettivamente domiciliata in Falerna Scalo, Via Mazzini, presso lo studio del difensore di fiducia;
APPELLANTE
E
CURATELA FALLIMENTO “********* ”, in persona del curatore pro tempore;
APPELLATA-CONTUMACE
E
“************” , in persona del legale rappresentante pro tempore;
APPELLATA-CONTUMACE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I fatti di causa venivano così esposti nella pronuncia impugnata: “ Con ricorso n° 10/08 la società “************ “ adiva questo tribunale onde sentire dichiarare il fallimento della “*********”, deducendo l’evidente stato di insolvenza in cui quest’ultima versava.
L’istante, in particolare rappresentava di vantare, nei confronti della società intimata, un credito di Euro 95.484,49, in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Castrovillari il 21 settembre 2007, n°293, e di pedissequo atto di precetto rimasto inevaso, cui seguiva l’infruttuosa instaurazione di un procedimento esecutivo presso terzi, stante la dichiarazione negativa resa dall’istituto di credito “Monte dei Paschi di Siena S.p.a.”
Il mancato adempimento del dovuto, l’impossibilità di recuperare coattivamente il proprio credito, la cessione dell’azienda, intervenuta con atto scritto in data 5 luglio 2005, e l’attuale stato di inattività imprenditoriale rendevano ad avviso della ricorrente inevitabile la declaratoria di fallimento della “******”, anche in ragione della sussistenza dei presupposti soggettivi previsti dall’art.1 R.D. n 267/1942.
Acquisita ex officio, in via istruttoria, la nota informativa della Guardia di Finanza, all’udienza del 19 maggio 2008, attesa la regolare instaurazione del contradditorio, perfezionatosi mediante la notifica alla società debitrice ed al suo legale rappresentante del ricorso introduttivo, in uno al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione, ex art. 15 R.D. n°267/1942, la causa veniva direttamente trasmessa al collegio per la decisione.”
Con la sentenza impugnata, depositata il 29 maggio 2008, il Tribunale di Lamezia Terme accoglieva il ricorso dichiarando il fallimento della Pasmet srl.
Il Tribunale adito rilevava, in primo luogo, che la fattispecie esaminata era regolata dalla disciplina normativa di cui al D.L.gs. n°5/2006 così come modificata dal D.Lgs. n°169/2007, le cui disposizioni trovavano applicazione per i procedimenti pendenti al 1° gennaio 2008 ed, in secondo luogo, in relazione alla sussistenza dei presupposti soggettivi, che la società debitrice non aveva dimostrato, come era suo preciso onere, di avere avuto nei tre esercizi antecedenti alla data di deposito dell’istanza di fallimento, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad € 300.000,00, di aver realizzato, nel medesimo arco temporale, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad € 200.000 e di avere un ammontare di debiti ancora non scaduti non superiore ad € cinquecentomila, non comprovando, di conseguenza, il verificarsi congiunto delle condizioni normative atte a precluderne l’assoggettamento alla disciplina delle procedure concorsuali.
Avverso la predetta sentenza, la P. s.r.l. proponeva reclamo con ricorso depositato il 10 luglio 2007 che veniva notificato alle controparti, unitamente al decreto di fissazione di udienza, rispettivamente il 17 ed il 21 luglio 2008.
A sostegno dell’impugnazione l’appellante rappresentava che i dati acquisiti e risultanti dai documenti e dagli accertamenti della Guardia di Finanza contrastavano con la declaratoria di fallimento poiché l’accertata cessazione dell’attività commerciale da parte della P. srl, che aveva ceduto l’attività a ****************, escludeva che la società appellante potesse essere dichiarata fallita.
La società debitrice, inoltre, evidenziava di aver redatto un solo bilancio, quello relativo al 2003, con attivo patrimoniale di € 103.838,13 e passivo patrimoniale di egual misura e che, quindi, i dati accertati dalla Guardia di Finanza, non contestati, erano inferiori a quelli indicati dalla nuova normativa.
La reclamante concludeva, pertanto, chiedendo la revoca della sentenza dichiarativa del fallimento con condanna della “************”, in persona del l.r.p.t., alla rifusione delle spese e competenze della procedura.
La curatela del Fallimento “******” e la “C. R. s.a.s” non si costituivano in giudizio e la causa, quindi, all’udienza del 3 settembre 2008, veniva trattenuta dal collegio in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre dichiarare la contumacia della Curatela del fallimento “******” e della “************” che risultano ritualmente evocate in giudizio, a seguito delle notifiche eseguite, rispettivamente, il 21 luglio ed il 17 luglio 2008, nel rispetto del termine (non libero) intercorrente tra la data di notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione di udienza e la data di udienza (20 agosto 2008).
Il reclamo è fondato e merita di essere accolto.
Con l’unico motivo di censura la “******” lamenta l’erronea applicazione della disposizione di cui all’art. 1 R.D. n°267/1942 così come modificato, da ultimo, dall’art. 1 D.lvo169/2007, nella parte in cui impone al debitore di dimostrare il possesso congiunto dei requisiti soggettivi per non essere assoggettato al fallimento.
In particolare la reclamante, non costituitasi nel primo grado del giudizio, lamenta l’omessa valutazione degli elementi di giudizio desumibili dalla relazione della G.d.F., acquisita d’ufficio dal primo giudice, da cui il Tribunale fallimentare di Lamezia Terme avrebbe potuto arguire il mancato superamento dei limiti imposti dall’art. 1 lett.a), b), c), D.lvo 169/2007.
In merito giova precisare, anzitutto, che la modifica normativa in esame è stata introdotta, così come indicato nella relazione illustrativa, per evitare “di premiare con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgono di non difendersi in sede di istruttoria pre-fallimentare o che non depositano la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali”.
La disciplina in questione, che onera il debitore della prova del non superamento dei limiti previsti per la fallibilità, deve essere, tuttavia, coordinata con le disposizioni che consentono l’acquisizione d’ufficio di elementi di valutazione.
Ed invero l’intervento normativo richiamato non ha modificato l’art. 15, comma IV L.F. che consente al tribunale di “richiedere eventuali informazioni urgenti”, né il comma VI del medesimo articolo che prevede “l’ammissione e l’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio”, né, infine, ha inciso sul successivo art. 18, relativo al reclamo presso la corte di appello, secondo cui “il collegio, sentite le parti, assume, anche d’ufficio, nel rispetto del contradditorio, tutti i mezzi di prova che ritiene necessari…”.
L’art. 1, lett.b, L.F.,poi, nell’individuare i presupposti soggettivi di fallibilità, fa riferimento all’aver “realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi precedenti …ricavi lordi…” dove, a prescindere dalla formula adottata dal legislatore, l’acquisizione del dato (“in qualunque modo risulti”) non è correlata ad un’attività probatoria di esclusiva pertinenza della parte debitrice ma può ricavarsi da altra fonte di cognizione, quale, ad esempio, la relazione della G.d.F., consentita anche dalla sommarietà che caratterizza la fase dell’istruttoria pre-fallimentare.
L’incidenza, sulla ripartizione dell’ onere probatorio imposto dall’art.1 L.F., delle disposizioni su richiamate, che attribuiscono poteri officiosi al tribunale ed alla corte di appello, risulta diversamente apprezzata.
Accanto all’orientamento che subordina l’attivazione dei poteri officiosi alla proposizione dell’eccezione di parte debitrice, ( l’eventuale superamento dei limiti fissati dall’art. 1 L.F. per la fallibilità dell’imprenditore opera solamente su eccezione di parte, salvo il potere del Tribunale di compiere anche d’ufficio gli opportuni accertamenti, nel caso del sollevamento della relativa eccezione – Tribunale di Udine 11.4.2008, in senso analogo, sotto la disciplina vigente fino al 31.12.2007 in ordine all’onere probatorio: Corte di appello di Milano decreto 29.6.2007), si pone l’orientamento che mantiene la possibilità di verificare, mediante l’attivazione dei poteri officiosi, la sussistenza dei presupposti soggettivi di fallibilità. ( “Il Tribunale mantiene il potere di verificare anche d’ufficio la sussistenza dei predetti requisiti sulla base delle prove e delle allegazioni del debitore o, comunque, delle risultanze degli atti della procedura, richiedendo eventuali informazioni urgenti alle pubbliche amministrazioni in possesso dei relativi datti…e comunque sulla base del principio generale fissato dall’art. 738 terzo comma c.p.c. certamente applicabile a tutti i procedimenti di camera di consiglio.” Tribunale di Udine 29.2.2008)
Al riguardo, osserva il collegio che l’apparente antinomia determinata dall’introduzione della disposizione che pone a carico del debitore la prova dell’insussistenza dei requisiti di fallibilità può essere superata contemperando il principio dalla distribuzione dell’onere del prova con il principio di acquisizione della prova medesima, secondo cui le risultanze istruttorie legittimamente acquisite concorrono alla formazione del convincimento del giudice, a prescindere dalla parte che ne ha assunto l’iniziativa.
La tesi, infatti, che subordina l’esercizio dei poteri officiosi alla proposizione dell’eccezione ed all’allegazione di parte degli elementi di valutazione si pone in contrasto con l’inequivoca formulazione delle disposizioni su richiamate che consentono, d’ufficio, l’acquisizione di informazioni urgenti e l’espletamento, d’ufficio, di mezzi di prova, sia in primo che in secondo grado.
D’altra parte il riconoscimento di tali poteri è correlato alla persistente natura pubblicistica degli interessi coinvolti che giustificano il ricorso ad un ampio ventaglio di mezzi istruttori officiosi, malgrado sia venuto meno il principio inquisitorio che governava la procedura fallimentare ante riforma.
Deve rilevarsi, inoltre, che la configurazione dell’istruttoria pre-fallimentare quale giudizio camerale di natura sommaria, (le cui risultanze probatorie sono unicamente utilizzabili ai fini della dichiarazione del fallimento e non anche nella fase dell’insinuazione) destrutturato rispetto al rito ordinario, l’introduzione di una specifica disciplina ( rispetto a quella camerale) che governa l’iter del procedimento e che faculta il Tribunale, sin dall’inizio della procedura, ad acquisire “informazioni urgenti” ed ammettere d’ufficio mezzi di prova, la possibilità di valutare il requisito di cui all’art. 1 comma 2 (ricavi lordi) sulla base di elementi comunque acquisiti (“in qualunque modo risulti”) e, quindi, anche sulla base di quanto emerge dalle informazioni urgenti di cui è stata disposta l’assunzione, costituiscono univoche indicazioni normative che escludono, a parere del collegio, che l’accertamento dei requisiti soggettivi di fallibilità possa essere, esclusivamente, demandato all’iniziativa della parte e subordinato, quindi, all’eccezione ed all’allegazione del debitore.
Ritiene, pertanto, il collegio, alla luce del quadro normativo innanzi delineato, di dover privilegiare un’ opzione ermeneutica che valorizzi il principio di acquisizione delle prove per cui la valutazione dei presupposti soggettivi di fallibilità deve essere condotta anche sulla scorta di elementi accertati all’esito di iniziative officiose, assunte nelle ipotesi legislativamente previste, e che consenta di ritenere che il Tribunale, qualora dall’istruttoria esperita emerga il mancato superamento dei parametri imposti dal legislatore, debba, comunque, rigettare l’istanza di fallimento, anche nel caso in cui la prova non sia stata fornita dal debitore.
Diversamente opinando si perverrebbe all’assurda ipotesi per cui, pur in presenza di elementi che escludono la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento (si pensi alla formula adottata dall’art.1 lette. B) (aver realizzato, in qualunque modo risulti ricavi lordi non superiori ad € 200.000) il Tribunale sarebbe obbligato all’adozione della dichiarazione di fallimento per effetto della mancata allegazione da parte del debitore non costituitosi in giudizio, raggiungendo l’effetto opposto a quello deflattivo auspicato dalla riforma.
Nel caso di specie, attivati, d’ufficio, i poteri di richiedere informazioni tramite la Guardia di Finanza, risulta acquisito agli atti e non contestato sia che la “P.” srl ha ceduto la propria attività già nel 2005 a ****************, (circostanza indicata dallo stesso creditore), sia che l’esposizione debitoria non supera i 500.000 euro, sia che i ricavi lordi in ciascuno dei tre anni antecedenti il deposito dell’istanza di fallimento non hanno superato il limite imposto dall’art. 1 L.F.
Ne consegue che il primo giudice, all’esito degli accertamenti disposti d’ufficio, avendo, comunque, acquisito la certezza che ricorrevano congiuntamente i requisiti di cui all’ art. 1 L.F., non poteva pervenire alla dichiarazione di fallimento, malgrado il debitore fosse rimasto processualmente inerte.
In accoglimento del reclamo, pertanto, la sentenza che ha dichiarato il fallimento della Pasmet srl deve essere revocata.
Avuto riguardo alla novità delle questioni affrontate, ricorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese e competenze del presente grado del procedimento.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Catanzaro, sezione feriale, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla P. s.r.l., con ricorso depositato il 10 luglio 2008 nei confronti della Curatela del fallimento “******” e della “************, avverso la sentenza del Tribunale ordinario di Lamezia Terme, depositata in data 29 maggio 2008, rigettata ogni altra istanza, eccezione, difesa, così provvede:
n dichiara la contumacia della Curatela del fallimento “******” e della “************
n In accoglimento del reclamo, revoca la sentenza di fallimento della “******”;.
n dichiara interamente compensate tra le parti le spese e competenze del presente grado del procedimento.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 3 settembre 2008
Il consigliere estensore Il Presidente
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Depositata in Cancelleria il 18/09/2008
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