Il possessore alla stregua del proprietario può esperire varie azioni a tutela del suo potere di fatto, a prescindere dalle prove circa la sua legittimazione. Le azioni a tutela del possesso vengono designate possessorie, in contrapposizione a quelle petitorie, esperibili a tutela di diritti reali (rivendicazione, azione negatoria, azione confessoria) che presuppongono la prova della titolarità del diritto.
Oggetto della tutela di detti rimedi processuali è pertanto quella particolare relazione di fatto con la cosa “che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale”(art. 1140 c.c.). Perché possa aversi tutela possessoria non è necessario che vi sia corrispondenza tra possesso e titolarità del diritto: ciò che viene tutelato è il possesso in quanto tale a prescindere da qualsiasi riferimento al rapporto sottostante. In questo modo si assicura rilevanza giuridica alla relazione che si crea tra soggetto e bene oggetto del possesso.
Le azioni possessorie (come le azioni nunciatorie) sono disciplinate sia dal codice civile, in quanto determinano il contenuto della posizione giuridica del possessore apprestando tutela sia dal punto di vista processuale (disciplina del procedimento, competenza, poteri del giudice).
Le azioni possessorie previste dal codice civile sono l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.) e l’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.) e la loro disciplina presenta caratteristiche comuni (oltre a quelle relativa all’aspetto procedimentale si pensi alla disciplina della decadenza, alla ripartizione dell’onere della prova), ma tali azioni si differenziano sotto significativi aspetti. Frequente è la proposizione di tali azioni nei confronti della P.A., e quindi occorre individuare i limiti di intervento del giudice ordinario in questo settore. La giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto al riguardo una notevole evoluzione. Essa infatti ha per lungo tempo ripetutamente negato l’esperibilità di tali azioni nei confronti della P.A., sul rilievo che il provvedimento dell’autorità giudiziaria avrebbe inevitabilmente comportato una revoca sia pure temporanea dell’atto amministrativo, ovvero l’imposizione di un “facere” o di un “pati”alla stessa P.A., così violando il divieto posto ex art. 4 legge 20/3/1865 n. 2248 all. E. Il nuovo orientamento, invece, ha ritenuto che il divieto de quo, essendo posto a garanzia della funzione amministrativa, non opera rispetto a meri comportamenti materiali della P.A. bensì soltanto rispetto ad atti della stessa costituenti esercizio di potestà amministrativa, ovvero ad atti che di questi costituiscano esecuzione.
A titolo esemplificativo, senza pretesa di esaurire con tali pochi accenni la problematica che ha registrato innumerevoli pronunce da parte della giurisprudenza, applicando tali principi sono state ritenute ammissibili tali rimedi davanti al giudice ordinario e nei confronti della P.A. (e di chi agisca per conto di essa) quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti (di fronte ai quali le posizioni soggettive del privato hanno natura non di diritto soggettivo, bensì di interessi legittimi tutelabili davanti al giudice amministrativo) ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali; ne consegue che, ove risulti, invece, sulla base del criterio del petitum sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell’esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudico ordinario, competente essendo il giudice amministrativo, poiché integra una questione di merito – che spetta al giudice provvisto di giurisdizione decidere – se l’azione sia proponibile e la pretesa dell’attore possa essere soddisfatta (Cass. S. U. 17-4-2003, n. 6189 e Cass. S. U. 8-5-2007, n. 10375).
La domanda di reintegrazione nel possesso proposta da un privato nei confronti di un Comune, prospettando di avere subito uno spossessamento in mancanza dell’adozione di un provvedimento amministrativo adottato per fini di pubblica utilità, quindi facendo valere una posizione di diritto soggettivo (ius possessionis) e deducendo un mero comportamento materiale della P.A., non connesso neppure implicitamente all’esercizio di poteri d’imperio, deve ritenersi riservata alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 2 ss., legge n. 2248 del 1865, all. E (Cass. S. U. 4-11-2004, n. 21099). Parimenti, il principio dell’improponibilità delle azioni possessorie nei confronti della P.A., che fa divieto all’autorità giudiziaria ordinaria di revocare o modificare l’atto amministrativo, ossia di eliderne gli effetti mediante l’imposizione di un facere o di un non facere in contrasto con la volontà espressa in tale atto, non opera con riguardo ai meri atti materiali della P.A., in quanto essi non sono in alcun modo ricollegabili con l’esercizio di un potere amministrativo (Cass. S. U. 13-7 2001, n. 9544). Tanto ciò vero che, l’esperibilità dell’azione possessoria nei confronti della P.A. va riconosciuta solo quando questa abbia agito iure privatorum, ovvero in base a provvedimenti adottati in difetto del relativo potere o per scopi diversi dalle sue finalità istituzionali (Cass. S. U. 29-6-83, n. 4424 e Cass. S. U. 22-5-86, n. 3413). In queste ipotesi, allorché il comportamento perseguito dalla P.A. non si ricollega ad atti o provvedimenti amministrativi, emessi nell’ambito e nell’esercizio dei poteri discrezionali ad essa spettanti di contenuto ablativo, ma si concreti in una mera attività materiale, che invada la sfera giuridica e patrimoniale del privato, non esiste una azione idonea ad affievolire la posizione di diritto soggettivo del privato, che resta tutelabile davanti al giudice ordinario con le tradizionali azioni di enunciazione, cautelari ex art. 700 c.p.c., petitorie e, quindi, anche in via possessoria. Stesse regole si applicano nei confronti del privato quando costui abbia agito in esecuzione di un provvedimento della P.A. (concessionario, privato autorizzato dalla P.A. ed esproprianti) quale longa manus di questa e nell’ambito dei poteri della stessa P.A. conferitigli. (Cass. S. U. 29-7-66, n. 2093 e Cass. S. U. 8-4-86, n. 2433).
Nell’ipotesi spesso frequente di occupazione di urgenza, il proprietario conserva “solo animo” il possesso giuridico del fondo fino a quando non è condotto a termine il procedimento di espropriazione, mentre l’ente occupante ne acquista la detenzione qualificata, sicché qualora questi mantenga il suo comportamento nei limiti previsti dal provvedimento autorizzativo non compie alcun atto lesivo del possesso e di conseguenza non sono esperibili nei suoi confronti le azioni di manutenzione o di reintegrazione (Cass. 6-2-92, n. 1323). L’apprensione del fondo del privato, posta in essere dalla P.A. o dai suoi concessionari o delegati, senza la preventiva comunicazione o notifica del decreto di occupazione d’urgenza, che sia stato regolarmente emanato, non rappresenta una mera attività materiale, essendo ricollegabile ad un provvedimento amministrativo esistente e perfetto, avente natura ablatoria ed emanato nell’ambito dei poteri spettanti all’amministrazione. Pertanto, sussiste il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di tutela possessoria e a quella connessa di risarcimento del danno, proposte dal proprietario e possessore del fondo occupato, deducendo che l’esecuzione dell’atto ablatorio non sia stata preceduta dalla comunicazione dello stesso, in quanto trattasi di doglianza relativa all’esistenza di semplici vizi o irregolarità dell’esecuzione dell’indicato atto, non all’esistenza di esso né del potere della P.A. di emanarlo (Cass. S. U. 6-6-94, n. 5493). Invece, l’annullamento, da parte del giudice amministrativo, del provvedimento di occupazione d’urgenza di un bene, in vista di futura espropriazione, è sufficiente a restituire alla posizione del privato proprietario consistenza di diritto soggettivo, a nulla rilevando la persistente dichiarazione di pubblica utilità, e consente, pertanto, la proposizione al giudice ordinario della domanda di reintegra nel possesso del bene stesso (Cass. S. U. 31/10/2006)
dott. Domenico Annunziato Modaffari
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