Dopo la distruzione e capitolazione, la Germania fu divisa in quattro zone di occupazione: una francese, una britannica, una statunitense ed una sovietica; solo nel 1949 la riunificazione delle tre zone occidentali diede origine alla Repubblica Federale
[1], mentre la zona sovietica diventava la Repubblica Democratica
[2]. Il blocco di Berlino non fu l’unica crisi del periodo della guerra fredda che ebbe luogo nel Paese, ma la città fu di nuovo un focolaio di tensione e nel 1961, il governo della RDT ordinò la costruzione del muro per evitare la fuga costante di cittadini verso il settore occidentale della capitale. Il muro di Berlino divenne uno dei simboli più rappresentativi di quel periodo e sarà la causa di sostanziali mutamenti degli equilibri mondiali dopo la sua caduta.
I grandi movimenti di popolazione incominciarono alla fine della Seconda Guerra Mondiale; la prima di queste grandi ondate interessò la popolazione tedesca che abitava i territori ceduti alla Polonia, all’URSS e alla Cecoslovacchia e che, una volta espulsa da questi Paesi, si riversò nella Repubblica Federale Tedesca.
La seconda grande ondata avvenne dalla fine degli anni ’40 al 1961, quando fu costruito il muro di Berlino; era composta da abitanti della Repubblica Democratica Tedesca, soprattutto giovani.
Vi fu un terzo flusso migratorio derivante dall’espansione del settore industriale, che attirò numerosi lavoratori di paesi mediterranei come l’Italia, la Spagna, la Grecia e la Turchia. I
gastarbeiter[3] che arrivarono in Germania in cerca di lavoro, si distribuirono uniformemente su tutto il territorio; invece gli immigrati arrivati dalla RDT e dalle regioni cedute dopo la guerra, si erano concentrati nelle regioni prossime alle frontiere orientali del paese
[4].
Per quanto riguarda l’Italia, nel 1955 fu firmato un accordo bilaterale tra i governi italiano e tedesco per il reclutamento di manodopera italiana da inviarsi oltralpe. Quell’accordo, l’Anwerbevertrag
[5], viene tuttora considerato l’atto ufficiale di nascita del fenomeno migratorio verso la Germania.
A partire dagli anni ‘50 molti italiani, provenienti soprattutto dal Sud, erano emigrati nella Germania del boom economico che aveva urgente bisogno della manodopera degli stranieri nelle nuove grandi industrie della Renania settentrionale, Vestfalia, del Baden-Württemberg e della Baviera.
Seicentomila italiani tuttora vivono in Germania, di questi novantamila in Baviera e quasi un terzo di questi ultimi a Monaco. Lavorano nell’edilizia, nell’industria, nella gastronomia e nel commercio. Molti hanno un lavoro autonomo, gestiscono locali, attività commerciali ed artigianali ed hanno raggiunto un certo benessere economico.
Tra il 1955 ed il 1968 vennero firmati altri accordi sul reclutamento di lavoratori stranieri, anche con la Spagna, la Grecia, la Turchia, il Marocco, la Tunisia e la Jugoslavia; il numero dei lavoratori stranieri passò da 80.000 delle metà del 1955 ai 2,6 milioni dell’autunno 1973
[6].
Gli accordi furono raggiunti senza deliberazioni parlamentari e con le uniche garanzie offerte dai sindacati tedeschi di privilegiare la manodopera nazionale e di assicurare parità di salari per tutta la forza-lavoro; questi accordi miravano ad assicurare una manodopera flessibile ma di tipo congiunturale.
Il modello della “rotazione” (Rotationsmodel), secondo il quale il primo flusso migratorio dai paesi stranieri sarebbe stato riassorbito nei paesi di provenienza dopo il tempo necessario, dando luogo ad una rotazione della forza lavoro, strutturava sia la legislazione che la concezione diffusa dell’opinione pubblica. In tal modo si rinforzava l’idea dell’immigrato come commodity, e cioè un acquisto di forza lavoro per un determinato periodo, per poi “restituirla”, dopo averne beneficiato.
La crisi economica che si andava delineando e la crisi petrolifera del 1973 impattarono negativamente sulla situazione occupazionale. A ciò si aggiunse una carenza delle infrastrutture sociali, saturate anche da quegli stranieri che si fermavano più a lungo di quanto avevano originariamente programmato, si realizzò una concentrazione di stranieri in certe zone dando origine a non pochi problemi. Questi furono tutti fattori che forzarono il governo federale a imporre un’interdizione al reclutamento nel novembre del 1973.
Il governo federale tedesco si avviò così verso una politica di restrizioni che decollò con l’approvazione di alcuni provvedimenti: priorità da parte degli uffici di collocamento nei confronti dei lavoratori tedeschi e comunitari; blocco dei nuovi permessi di lavoro per i coniugi (per quattro anni) e per i figli (due anni) entrati in Germania dopo il 30 novembre 1974, nell’ambito del ricongiungimento familiare; blocco , a partire dal 1975, dei flussi interni per quei Länder in cui la presenza degli stranieri superasse il 12 % (il provvedimento verrà rivisto nel 1977). Nel 1981 vennero divulgate alcune raccomandazioni volte a limitare il ricongiungimento familiare degli stranieri, ad eccezione di quelli provenienti dai Paesi industriali che non presentavano particolari problemi di integrazione. Vennero esclusi dal ricongiungimento familiare i figli di oltre sei anni, i figli con un solo genitore residente nella RFT, i familiari che soggiornassero in Germania per motivi di studio o che fossero in possesso di contratti di lavoro temporanei, i coniugi degli stranieri di seconda generazione, a meno che non avessero risieduto in Germania per otto anni, avessero compiuto diciotto anni e fossero sposati da almeno un anno.
Nel 1983 entrò in vigore la legge che prevedeva incentivi per coloro che desideravano rientrare nel Paese di origine; ma nonostante il decremento del numero degli stranieri provocato dalle politiche restrittive, a fine anni ottanta erano 4.600.000 gli immigrati, pari al 7% della popolazione
[7].
Nella RFT una particolare attenzione è stata dedicata alla lotta contro il lavoro illegale, il cui principale obiettivo era, ovviamente, quello di contenere l’ immigrazione clandestina. Il 5 dicembre 1981 venne approvato un provvedimento legislativo che assegnava all’’ufficio federale del lavoro di Norimberga il compito di combattere l’ occupazione illegale; questa norma, oltre a prevedere sanzioni nei confronti degli stessi lavoratori, prevedeva sanzioni detentive e pecuniarie nei confronti dei datori di lavoro che illegalmente impiegavano lavoratori clandestini. Il datore di lavoro doveva sostenere il costo di rimpatrio dello straniero obbligato a lasciare la Repubblica federale perché sprovvisto del necessario permesso di soggiorno. Anche per le organizzazioni di contrabbando degli stranieri erano previste pene pecuniarie e carcerazione, così come per coloro che reclutavano lavoratori stranieri senza il consenso dell’Ufficio federale del lavoro.
Anche in Germania, come in Francia e in altri Paesi europei ci sono i figli della prima generazione di immigrati che sono nati in questo Paese e che frequentano le scuole tedesche; ogni anno sono circa 75.000
[8] i giovani stranieri che raggiungono l’età lavorativa. Nel Paese è stata dedicata particolare attenzione alla politica formativa per agevolare l’integrazione dei giovani; campagne di sensibilizzazione sono state attivate per invitare gli immigrati a iscrivere negli asili nido e nelle scuole materne i loro figli. Con tali iniziative si cerca di ridurre la tensione che l’incontro tra due culture comporta, favorendo il rispetto delle specifiche identità culturali. In Germania i figli dei migranti possono frequentare classi di accoglienza, classi culturali bilingui, corsi intensivi di tedesco o corsi di recupero. E’ la cosa più importante, per sentirsi parte attiva nel lavoro e nello studio, saper parlare discretamente la lingua locale.
Nel 1984 è stato incrementato il numero degli assistenti sociali stranieri nelle scuole, sono stati predisposti momenti di formazione e di specializzazione per gli insegnanti tedeschi e stranieri nell’ambito dell’università e delle scuole di vari ordini e gradi.
Il 22 luglio 1986 vennero presentate nuove proposte formative relativamente agli asili nido, al tempo libero, alla preparazione professionale, alla lingua e al lavoro sociale; furono inoltre aumentati, da parte dell’Istituto federale del lavoro, i fondi destinati ad attività di integrazione; tale politica aveva come obiettivo quello di far acquisire agli studenti stranieri i diplomi scolastici e i certificati educativi. Nonostante queste iniziative, il livello di scolarizzazione dei bambini stranieri era ed è più basso di quello dei bambini tedeschi, poiché i primi hanno difficoltà e carenze nell’iter formativo
[9].
Corsi di lingua tedesca per lavoratori stranieri sono stati organizzati dalle varie associazioni per la diffusione della cultura e della lingua tedesca, mentre il ministero federale dell’Educazione e della Scienza ha promosso un programma per l’addestramento professionale dei giovani svantaggiati, ovvero coloro che hanno abbandonato la scuola prima della conclusione del ciclo formativo.
Nel 1983 sono stati patrocinati dall’Istituto federale corsi speciali per donne straniere, prevedendo la possibilità di cura dei bambini più piccoli durante lo svolgimento dei corsi.
I lavoratori stranieri che vivono nella Repubblica federale tedesca sono assimilati ai lavoratori tedeschi per quanto riguarda la pensione e l’assicurazione in caso di infortunio; se hanno perso il lavoro possono usufruire del sussidio di disoccupazione se la normativa specifica è applicabile, ovvero in presenza di determinati requisiti.
Alcune associazioni private, come la Caritas e la Diakonische Werk, intervengono con prestazioni di servizi pubblici a favore dei lavoratori stranieri che hanno figli a carico.
Nel febbraio 1989 la regione di Amburgo ha approvato una legge che concede il voto amministrativo agli immigrati, voto attivo e passivo ai consigli circoscrizionali; tale diritto-dovere, esercitato per la prima volta alle elezioni del 1991, è riservato agli stranieri con residenza legale e che siano in Germania da almeno otto anni.
Nell’estate del 1989, la rigidità del regime nella DDR provocò una grave crisi sociale, dovuta al flusso costante di cittadini verso la RFT, grazie anche all’apertura delle frontiere dell’Ungheria con l’Occidente; la crisi precipitò con le dimissioni di Honecker.
La protesta popolare accelerò la caduta del regime dittoriale della Germania Est, che alla fine aprì le frontiere tra le due Germanie; il muro di Berlino fu abbattuto da migliaia di cittadini la notte tra il 9 ed il 10 novembre 1989, una data che cambierà gli assetti politici, economici e sociali del mondo.
Il 3 ottobre dell’anno successivo, fu firmato il Trattato di riunificazione, che sanciva la fine della RDT.
Il nuovo Stato, la Germania, affrontò, come ben sappiamo, le serie difficoltà di gestire sotto il profilo politico, culturale, sociale, economico e finanziario, l’osmosi che si veniva realizzando tra milioni di persone. La transizione dei
länder[10]orientali verso un’economia sociale di mercato ha comportato una serie di problemi, soprattutto occupazionali e di ordine pubblico, che sicuramente solo una grande nazione era in grado di affrontare, non senza difficoltà, ma con successo.
Dopo decenni di mutamenti e sviluppi avvenuti in ambito europeo, si può parlare di cittadini italiani che vivono in Germania, un percorso che va da lavoratori ospiti a cittadini nei luoghi di residenza. Precedentemente i segnali di provvisorietà che le istituzioni davano, hanno condizionato in maniera determinante per decenni il modo di programmare la propria esistenza per gli italiani in Germania. D’altra parte anche lo Stato e le forze politiche italiane contribuivano a tener vivo l’obiettivo del rientro in patria.
Inoltre, gli insuccessi scolastici dei giovani italiani in Germania e le scarse qualifiche professionali di una parte di essi, che creano loro difficoltà sul mercato del lavoro, sono causa di una provvisorietà con la quale una buona parte della comunità italiana ha vissuto e per molti aspetti ancora vive la propria permanenza in questo Paese
[11].
Anche se la situazione degli emigrati italiani in questi ultimi anni è cambiata, per molti anziani, che per vari motivi restano in Germania, è rimasta la sensazione di precarietà dovuta ad un’integrazione non avvenuta completamente, anche per la costante e determinante difficoltà linguistica; molti di loro non hanno più legami parentali in Italia e sono la prima generazione che affronta l’esperienza della terza età in un paese straniero.
Oltre ai problemi assistenziali, spesso queste persone sono afflitte da problemi economici e sono costretti a chiedere un’integrazione sociale.
Nonostante tutto, gli italiani vengono considerati dall’opinione pubblica tedesca il gruppo etnico con il maggior indice di integrazione, diversamente da quanto accadde con le prime ondate migratorie italiane verso gli Stati Uniti tra il 1800 e primi 1900
[12]. Questa preferenza è dovuta ad aspetti socioculturali molto simili rispetto a quelli di altri gruppi; infatti gli italiani lavorano in settori dove sono in contatto quotidiano con i tedeschi, non vivono concentrati in quartieri particolari, ma sparsi su tutto il territorio urbano delle città. Il loro stile di vita e la moltitudine di prodotti divenuti comuni nella quotidianità tedesca, contribuiscono all’idea di un’avvenuta integrazione, anche se talvolta non corrisponde in pieno alla realtà dei fatti; si è creata una familiarità con ciò che è italiano che illude oltremisura sul reale grado di integrazione, si direbbe meglio di “interazione” tra le persone
[13].
Per quanto riguarda l’integrazione e l’equiparazione degli italiani ai cittadini tedeschi, in questi ultimi anni ci sono stati sviluppi molto positivi: tra questi, dal 2002, la possibilità della doppia cittadinanza e l’abolizione dei permessi di soggiorno. Il legislatore ha voluto così facilitare, con questo strumento, l’integrazione dei cittadini di quei paesi dell’Unione Europea che fossero disposti a fare altrettanto, quindi sulla base di un principio di reciprocità.
Precedentemente, le norme approvate nel 1993
[14], escludevano ampie categorie di immigrati dall’erogazione dell’assistenza da parte dello Stato: ai richiedenti asilo veniva addotta la giustificazione della loro permanenza transitoria in Germania, per cui il sostegno per i figli veniva negato.
L’abolizione dei permessi di soggiorno riguardava invece tutti i cittadini dei paesi dell’Unione; per i nuovi entrati erano previste norme scaglionate nel tempo. Gli italiani che vivono in Germania o coloro che arriveranno in futuro dovranno iscriversi solo all’anagrafe, anche se resta l’obbligo dell’autosufficienza economica per un minimo di cinque anni.
Nel Paese esiste anche un gran numero di tedeschi etnici immigrati dall’ex Unione Sovietica, dalla Polonia e dalla Romania, cui viene automaticamente concessa la cittadinanza, e che quindi non compaiono nelle statistiche dei residenti stranieri; contrariamente agli stranieri questi sono stati insediati dal governo in modo uniforme su tutto il territorio tedesco; molti di loro in famiglia parlano la lingua della loro ex nazione di appartenenza.
Altre comunità, oltre a quella italiana, sono distribuite sul territorio tedesco: quella dei serbi, dei greci, dei polacchi e croati, ma la più diffusa è quella turca. Si stimano circa 1,9 milioni di curdi e turchi verso i quali sono più forti ancora e nonostante tutto i sentimenti xenofobi; soprattutto i turchi di religione islamica vengono percepiti come il gruppo meno integrato nella società tedesca rispetto ad altre minoranze.
Gli stranieri che non possiedono la cittadinanza tedesca e sono temporaneamente nel territorio federale sono definiti con il termine Ausländer e secondo l’art. 116 della Costituzione, devono essere considerati stranieri coloro che non sono tedeschi e che non hanno cittadinanza tedesca, per cui la definizione si applica alle persone con cittadinanza straniera o gli apolidi, mentre coloro che possiedono un’altra cittadinanza, oltre a quella tedesca, non appartengono al gruppo Ausländer.
Tale etichetta copre anche il contingente di manodopera non tutelato, perché illegale: i clandestini, i profughi clandestini e gli zingari; questi ultimi non hanno alcuna possibilità di essere riconosciuti come richiedenti asilo, come i profughi minorenni, inviati dai genitori o immigrati per loro iniziativa.
Il primo gennaio 2000 entra in vigore la legge sull’immigrazione “Ausländergesetz”, presentata dal ministro socialdemocratico Schily, che porta sostanziali cambiamenti: tra le novità sancisce il passaggio dal diritto di sangue a quello di suolo, ponendo fine alla norma Guglielmina che dal 1913 impediva ai figli di residenti stranieri nati in Germania di acquisire automaticamente la cittadinanza tedesca. Vengono anche ridotti da 15 ad 8 gli anni di residenza necessari agli adulti per ottenere il passaporto tedesco, ed è concessa la possibilità della doppia cittadinanza ai figli stranieri nati in Germania, con l’obbligo di scegliere, compiuti i 23 anni, tra quella tedesca e quella d’origine, e solo se almeno un genitore fosse nato su territorio tedesco o vi risiedesse da almeno otto anni. Le decisioni di Schily hanno avuto il grande merito di incontrare il favore della stragrande maggioranza della società tedesca.
Nel 2001 il governo tedesco incarica La Commissione “Rita Süssmuth”, per studiare il fenomeno dell’immigrazione, che si conclude con il constatare che la Germania ha bisogno urgente di immigrati di tre tipi: provvisori, con un visto di durata non superiore ai 5 anni, definitivi e soprattutto giovani qualificati, ovvero studenti che completino la propria formazione nelle università tedesche (conoscenza linguistica come elemento prioritario) e che vengano incentivati poi a rimanere in Germania. Si distingue un doppio regime. Da un lato gli immigrati ad alta qualificazione, come informatici, manager, ricercatori e scienziati, cui deve esser concesso un permesso di soggiorno e di lavoro illimitato; dall’altro gli immigrati comuni, ai quali sulla base di un sistema di punti di tipo canadese, viene rilasciato un permesso a termine, rinnovabile in base all’andamento economico-finanziario contingente. La Commissione, che era composta da personalità indipendenti e da rappresentanti dell’imprenditoria e delle Chiese, non si fermava al solo dato economico, ma indicava anche come favorire l’integrazione degli immigrati: lo Stato e i Länder avrebbero dovuto offrire agli adulti corsi di lingua, di educazione civica, di storia, usi e tradizioni, mentre per i figli di immigrati avrebbero dovuto inserire ore straordinarie di tedesco sin dalle scuole elementari, assumere nuovi educatori d’origine straniera e garantire regolari lezioni di religione islamica. Anche se le proposte della Commissione Süssmuth vennero considerate troppo aperte dalla Cdu, furono accolte positivamente dagli industriali, dalle Chiese, dall’opposizione liberale e soprattutto dal governo, che emana un disegno di legge, approvato con legge dal Parlamento tedesco il 22 marzo 2002, ma che viene successivamente dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale a causa di violazioni di alcuni principi costituzionali.
Negli anni a venire seguono progetti di legge sull’immigrazione che vengono costantemente bocciati poiché si reggono su elementi di dubbia costituzionalità; progetti che legano l’immigrazione della forza-lavoro alle esigenze di mercato, restringendo il diritto al ricongiungimento familiare, prevedendo un sistema a punti basato su criteri come il livello di qualificazione, l’età e la conoscenza della lingua tedesca.
I massicci flussi che si riversarono dall’Est verso la Germania occidentale, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e una prima apertura economica che portò all’introduzione di una “carta verde”di quattro anni per i lavoratori della nuova economia ed il progetto dell’introduzione di quote per lavoratori poco qualificati, spinse la Germania nel 2004 a far uso del primo biennio di restrizioni transitorie, in quanto era stato previsto un massimo di sette anni di limitazioni, suddivise in tre periodi di due, tre e due anni ciascuno; lo Stato limitava gli ingressi ai lavoratori temporanei e stagionali salvo per gli informatici
[15].
Nel medesimo anno le politiche dell’immigrazione, identificate dal trattato di Amsterdam, sono divenute comunitarie, cosa che comporta il voto a maggioranza, piuttosto che all’unanimità, e la codecisione da parte del Parlamento europeo
[16].
Il 3 gennaio 2005 vede l’entrata in vigore della nuova legge sull’immigrazione
[17] (
Ausländersegetz), un provvedimento che prevede un afflusso regolato e rispondente ai bisogni dell’economia tedesca, oltre a misure di maggiore pressione e incisività dirette a favorire una migliore integrazione degli stranieri e a garantire al tempo stesso maggiore sicurezza alla luce della sempre latente minaccia terroristica.
La nuova legge, senza equivoci sul fronte degli ingressi e sugli obblighi di formazione culturale, è stata oggetto di negoziati e discussioni accese tra le varie forze politiche per oltre quattro anni, raggiungendo l’accordo definitivo nel luglio 2004, con un’intesa raggiunta in commissione di conciliazione dal governo allora in carica con l’opposizione conservatrice.
In Germania, dove vivono circa 7,3 milioni di stranieri, il 9 % della popolazione complessiva, l’afflusso di forza lavoro sarà regolato sulla base delle necessità mostrate dai vari settori economici e produttivi. Gli extracomunitari saranno ammessi nel Paese se per ricoprire un determinato posto di lavoro non sarà disponibile, né un tedesco, né un altro cittadino dell’Unione europea.
Per i tecnici e il personale altamente qualificato saranno a disposizione permessi di soggiorno facilitati e di lunga durata. Gli stranieri residenti dovranno mostrare più disponibilità all’integrazione nella società tedesca e dovranno seguire per questo, a spese dello Stato, corsi di lingua tedesca e cultura della Germania
[18].
Il diritto al lavoro viene fatto strettamente dipendere dal tipo di permesso di soggiorno
[19], come viene enunciato nel paragrafo 10 della legge sull’immigrazione; in tal modo si rinforza l’effetto di frammentazione della popolazione straniera e le conseguenze della riduzione delle possibilità di ottenere accesso al mercato del lavoro si cumulano con quelle della limitazione del sostegno sociale.
Il governo stanzierà fondi consistenti, circa 100 milioni di euro l’anno, per interventi che dovrebbero favorire l’integrazione degli stranieri.
Per ottenere il permesso permanente bisognerà superare anche un esame dell’Ufficio per la tutela della Costituzione (i servizi segreti interni), uno dei tanti aspetti della nuova legge influenzati dall’allarme terrorismo, che potrà giustificare anche le espulsioni di soggetti ritenuti pericolosi.
Chi dovesse rifiutare o mostrare scarso impegno in questo senso andrà incontro a sanzioni, come la decurtazione del 10% dei sussidi sociali e di disoccupazione e a un peggioramento del suo status in termini di permesso di soggiorno.
Alla luce della minaccia terroristica e del periodo rappresentato dall’estremismo islamico, le autorità dei Länder avranno da parte loro la facoltà di espellere con relativa facilità gli stranieri ritenuti pericolosi per la sicurezza del Paese; ciò tuttavia in presenza di elementi di prova concreti.
La nuova legge prevede inoltre un miglioramento delle condizioni di accoglienza e di soggiorno per i rifugiati e le vittime di persecuzioni politiche. Il limite di età per il ricongiungimento dei figli minorenni non verrà abbassata da 16 a 12 anni, come previsto in un primo momento, mentre in casi particolari ciò potrà avvenire anche fino al diciottesimo anno
[20].
Il 28 marzo 2007 il governo di Grösse Koalization, Cdu, Csu e Spd, ha varato un progetto di legge sullo status dei quasi 180 mila immigrati stranieri irregolari rimasti sul territorio tedesco dopo il rifiuto della loro domanda d’asilo. Il provvedimento, che dovrà essere approvato dalle due camere del parlamento (Bundestag e Bundesrat), chiude una lunga trattativa in seno alla maggioranza fra conservatori e socialdemocratici.
L’obiettivo della legge è di cercare di accordare un permesso di soggiorno ai circa 180 mila immigrati stranieri giunti in Germania da più di sei anni e rimasti nel Paese, nonostante il rifiuto da parte delle autorità della loro domanda d’asilo.
Per poter ottenere il permesso di soggiorno, gli interessati dovranno trovarsi un lavoro entro il 2009 e dovranno dimostrare di conoscere, anche se non in modo approfondito ma almeno scolastico, la lingua tedesca; il ricongiungimento dei famigliari sarà possibile se l’interessato a giungere in Germania abbia compiuto almeno 18 anni e conosca anch’egli il tedesco. Il provvedimento non riguarderà gli illegali, cioè gli immigrati residenti in Germania senza documenti e che non hanno neanche presentato domanda d’asilo; il numero di questi ultimi è stimato, ad oggi, circa in un milione
[21]. Le autorità di pubblica sicurezza hanno dovuto constatare che intolleranza e razzismo stanno raggiungendo un livello di guardia, che non solo in Germania viene ritenuto preoccupante
[22].
La percentuale di delinquenza minorile nella popolazione straniera è maggiore rispetto a quella della popolazione tedesca, anche se in questi ultimi anni vi sono segnali decrescenti in quella straniera e aumenti in quella tedesca.
E’ evidente che la presenza degli immigrati comporta l’emergere di nuove domande di tutela, che rientrano nella sfera dei diritti della persona in quanto tale e della sua condizione nella società.
Si può giungere ad una considerazione conclusiva di questo semplice ragionamento, sostenendo che il fenomeno “immigrazione” non è più considerabile, ormai da tempo, un’emergenza, ma un fenomeno strutturale irreversibile e come tale va affrontato anche in Germania, come in molti Paesi europei e geograficamente vicini all’Europa.
Franco Gaboardi
docente di diritto amministrativo e di contabilità dello Stato e degli enti pubblici nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino (www.de.unito.it).
[1] La RFT si costituì come risultato dell’unione dei dieci länder (regioni) della zona occidentale sotto il controllo delle potenze occidentali. La costituzione del paese non escludeva una futura riunificazione, e fu costituito uno stato federale con numerose competenze per i länder. Il potere legislativo era rappresentato da un Parlamento bicamerale: il Bundesrat, Camera di rappresentazione territoriale, ed il Bundestag, Camera nazionale eletta a suffragio universale. Il primo cancelliere della RFT fu Konrad Adenauer, membro della CDU, ovvero l’Unione Cristiano-Democratica, una delle formazioni politiche protagoniste della vita politica tedesca nella seconda metà del XX secolo, insieme al SPD, il Partito Socialdemocratico e al FDP, il Partito Liberale. La CDU governò la Germania sino al 1969. Durante quel periodo si crearono i presupposti per lo straordinario sviluppo economico del paese, basato su un’accelerata industrializzazione. La Germania era uno dei paesi fondatori del Mercato Comune Europeo, faceva parte di diversi organismi internazionali e diventava uno degli alleati più solidi degli Stati Uniti nel vecchio continente. In tal senso si veda, La Germania occidentale, in AA.VV., Atlante Universale, vol. III, ibidem, pag.17.
[2] La cosiddetta RDT nacque sotto il governo del SED, il Partito Socialista Unificato di Germania fondato nel 1946, che riuniva socialisti e comunisti e si evolse seguendo il modello del Partito Comunista Sovietico. La RDT avviò un programma di nazionalizzazioni e di sviluppo industriale e nel 1950 aderì al COMECOM, un organismo che favoriva le transizioni economiche tra l’URSS e le democrazie popolari dell’est. Nell’ambito politico, la fase di distensione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, iniziata nel 1963, permise il consolidamento del regime, molto discusso agli inizi degli anni Cinquanta. Negli anni ’70 le dimissioni di Walter Ulbricht e la sua sostituzione con Erich Honecker come segretario generale del SED, nel 1971, resero possibile l’avvicinamento delle due Germanie e migliorarono le loro relazioni internazionali. Alla fine degli anni ’80 l’URSS, governata da Mikhail Gorbaciov, abbandonò progressivamente la politica di controllo che aveva esercitato sulla RDT. La nuova politica sovietica e le riforme iniziate da altri paesi dell’est misero il governo della RDT in una posizione molto difficile sino ad arrivare al Trattato di Riunificazione il 3 ottobre 1990 che sancì la fine della RTD. In tal senso si veda, La RTD, in AA.VV., Atlante Universale, vol. III., ibidem, pagg. 17-18.
[3] Venivano chiamati così gli immigrati, ossia i lavoratori ospiti, in quanto le istituzioni, della Germania e dei Paesi d’emigrazione, non intendevano in primo luogo una migrazione permanente, che veniva associata a migrazioni extraeuropee, come quelle verso gli USA, l’ Australia, il Canada od altri paesi oltreoceano. Nei Paesi europei invece prevaleva la convinzione che gli spostamenti dei lavoratori, con contratti a termine rigidamente regolamentati, avrebbero avuto carattere temporaneo. In tal senso si veda AA.VV., Atlante Universale, I gastarbeiter, vol. III, ibidem, pag. 8.
[4] AA.VV., Atlante Universale, vol. III, ibidem, pagg. 8-9.
[5] Il 20 dicembre 1955 viene stipulato l’accordo per lo scambio di manodopera fra Italia e Germania, che cinquantanni fa aprì la strada all’emigrazione dei nostri connazionali verso le grandi fabbriche tedesche. I trattati garantivano alle aziende tedesche la manodopera necessaria, che queste pagavano allora 50,00 marchi per l’intermediazione di un italiano, e lo Stato italiano da parte sua alleggeriva la pressione sul mercato interno del lavoro, beneficiando anche delle rimesse in valuta.
[6] G. Favaro – M. Tognetti Bordogna, Politiche sociali ed immigrati stranieri, Roma, La nuova Italia Scientifica, 1989, pag.116.
[7] G. Favaro – M. Tognetti Bordogna, Politiche sociali…, ibidem, pag. 118.
[8] G. Favaro – M. Tognetti Bordogna, Politiche sociali…, ibidem, pag. 119.
[9] G. Favaro – M. Tognetti Bordogna, Politiche sociali …, ibidem, pag. 120.
[10] La Germania è divisa in sedici stati federali, in tedesco Bundesländer al singolare, ma solitamente chiamati Länder, al singolare Land. Essi sono attualmente denominati: Berlino, Brandeburgo, Sassonia, Sassonia Anhalt, Massiccio dello Harz, Turingia, Baviera, Baden-Wüttenberg, Renania-Palatinato e Saarland, Assia, Nord Reno-Westfalia, Bassa Sassonia, Brema, Amburgo, Schleswig-Holstein Meclenburgo-Pomerania Occidentale.
[11] In tal senso si veda su www.italianieuropei.de/ds/documenti, l’intervento al Goethe Institut in occasione del 50° anniversario dell’accordo Italia-Germania per il collocamento di lavoratori italiani, Da Gastarbeiter a cittadino, Roma 18 febbraio 2005.
[12] In tal senso si veda G. A. Stella, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002, “Forse nessun’altra comunità di emigrati è stata al centro di una massa di articoli, saggi e documenti ingenerosi, ostili, ridicoli o spietati come la nostra…”, pagg. 241-263.
[13] In tal senso si consulti il sito www.italianieuropei.de , Da Gastarbeiter a cittadino, 2007, ibidem.
[14] In tal senso si consulti l’ Ausylbewerberleistunggesetz del 1 novembre 1993.
[15] In tal senso si veda L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione…, ibidem, pagg. 292-293, 366-367.
[16] L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione…, ibidem.
[18] L’Ufficio federale per l’immigrazione ha il compito di definire il contenuto dell’esame finale dei corsi, che dovrebbero fornire una preparazione di base sulla storia, la cultura e i valori fondamentali dello Stato tedesco; il test potrà essere sia scritto che orale. Si è cercato di definire gli standard uniformi tra singoli Länder, per evitare ciò che è stato definito il “turismo della cittadinanza”. In tal senso si consulti il sito www.aduc.it, Nuove norme per ottenere la cittadinanza, 2007.
[19] Lo stato nazionale concede così agli stranieri diverse forme di soggiorno: i gradi vanno dall’Aufenthaltsberechtigung, un conferimento del diritto di soggiorno illimitato, al permesso di soggiorno, l’ Aufennthaltserlaubnis, rinnovabile a determinate condizioni e a cui è collegato il diritto al ricongiungimento familiare e al rientro, dall’indennità di soggiorno, l’Aufenthaltsbewilligung, concessa per un periodo limitato e per uno scopo preciso, all’autorizzazione concessa ai profughi di fatto: l’Aufenthaltsbefugnis. In tal senso si consulti il sito www.meltigpot.org, Immigrazione ed esclusione: le leggi tedesche sull’immigrazione e sull’asilo e alcuni dati sugli stranieri in Germania, 2007.
[21] In tal senso si consulti il sito www.aduc.it, Germania, governo chiede approvazione di legge per 180 mila immigrati senza asilo, 2007.
[22] P. E. Petrillo, Xenofobia in Germania, i neonazi tornano ad aggredire africani, in La Stampa, n. 233, del 26 agosto 2007.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento