L’approvazione del disegno di legge-delega sul federalismo fiscale (legge-delega n. 42/2009) si configura come attuazione vera ed autentica della responsabilità delle Regioni e degli enti locali territoriali. Il nostro paese, per anni, ha vissuto un’anomalia: si è orientato verso il federalismo, prima amministrativo con la riforma Bassanini del 1997 (l. n. 59/1997) e poi legislativo con la l. costituzionale n. 3/2001 di riforma del Titolo V della Costituzione la quale, agendo sulle funzioni legislative dello Stato e delle Regioni, ha cercato una sincronizzazione tra quest’ultime e quelle amministrative già decentrate con le Bassanini (c.d. global local), ma non ha mai realizzato il federalismo fiscale, con la conseguenza di un impianto finanziario e tributario di Regioni ed enti locali caratterizzato da una finanza prevalentemente derivata ove le risorse venivano trasferite dal bilancio dello Stato che aveva, inoltre, il compito di dettare una disciplina uniforme dei diversi tributi. In altri termini, era lo Stato, in ultima istanza, a pagare, creando così una dissociazione tra potere di spesa, da un lato, e potere impositivo, dall’altro. Le premesse per una mancata “cultura dell’autogoverno responsabile” erano evidenti. Il merito del disegno di legge-delega, bipartisan (ed in attesa dei Decreti attuativi), è stato quello di dare una risposta concreta a quell’urgenza di federalismo fiscale di cui ha parlato, fin dal 2003, la Corte Costituzionale (si veda sent. n. 370/2003 Corte Cost.) per la realizzazione di una reale “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” come afferma l’art. 119, 1º comma, Cost. In particolare, sono 4 i punti principali di questa grande rivoluzione copernicana attuata con il disegno di legge-delega sul federalismo fiscale: 1) passaggio dalla spesa storica al costo standard; 2) eliminazione dei trasferimenti statali; 3) compartecipazioni intelligenti in base al gettito riscosso sul territorio e non più in base al consumo Istat (la Regione sarà quindi coinvolta nella lotta all’evasione); 4) maggiore responsabilizzazione politica (se un Sindaco manda in dissesto un Comune, diventa ineleggibile). Se si vuole, però, conservare in capo alle Regioni quel ruolo di protagoniste nella ideazione e gestione delle politiche pubbliche che, con tutti i suoi difetti, il Titolo V uscito dalla riforma costituzionale del 2001 sembra indicare, accanto alla “via del federalismo fiscale inteso come partecipazione alla capacità fiscale del proprio territorio, deve essere percorsa anche la strada del coinvolgimento nelle decisioni che devono essere assunte a livello statale” (Cfr., G. FALCON, Che cosa attendersi e che cosa non attendersi dal federalismo fiscale, in Le Regioni, nn. 4-5/2008, p. 770), andando così ad incidere sulla forma di Governo del nostro ordinamento costituzionale.
Daniele Trabucco
Università degli Studi di Padova
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