Il primo segnale del collegamento tra il Parlamento e l’Unione europea è contenuto nel Protocollo allegato al Trattato di Amsterdam del 1997, laddove sancisce l’obbligo per il Governo di informare l’Assemblea parlamentare delle varie iniziative legislative della Commissione europea e per il Consiglio europeo di esprimersi su tali proposte dopo che siano trascorse almeno sei settimane, con il preciso fine di permettere ai Parlamenti nazionali di pronunciarsi in tal senso.
D’altra parte, con l’adesione dell’Italia ai Trattati comunitari il nostro Paese è entrato a pieno titolo in una dimensione giuridica che va al di là del semplice diritto interno dovendo rinunciare (così come anche gli altri Stati membri) alla propria sovranità nelle materie oggetto dei trattati con la conseguenza della non applicazione, da parte del giudice comune, del diritto interno qualora questo risulti in contrasto con il diritto comunitario.
Il collegamento che viene, così, ad instaurarsi tra le istituzioni nazionali ed europee vale, pertanto, per i singoli progetti di atti normativi, per il programma legislativo annuale e per gli altri strumenti di produzione legislativa della Commissione.
Ma è bene precisare subito che il Parlamento non è chiamato a svolgere un ruolo che si potrebbe definire passivo in quella che comunemente è denominata la fase discendente del procedimento, ossia recependo ed attuando la normativa comunitaria sic et simpliciter, ma si innesta a pieno titolo nel momento della formazione degli atti normativi, ossia nella fase ascendente.
In tale assetto un ruolo centrale rivestono i Regolamenti parlamentari di Camera e Senato: a partire dalla riforma del 1971 si introdussero speciali procedure di raccordo con le istituzioni europee ma, come è noto, tale riforma restò praticamente inattuata avendo essa una valenza solo sul piano teorico.
Bisognerà, pertanto, attendere la legge n. 86 del 1989, grazie ai sempre più consistenti progressi dell’integrazione europea, perché si abbia una vera e concreta riforma delle procedure parlamentari: attraverso l’istituzione della legge comunitaria, infatti, si è realizzato un più profondo ed incisivo coinvolgimento del Parlamento nelle vicende europee che ancora oggi continua ad essere in evoluzione.
I regolamenti indicano le procedure parlamentari volte alla realizzazione di questo collegamento prevedendo le Commissioni politiche dell’Unione europea di Camera e Senato (14^ Commissione).
Tali organismi, che in alcuni Paesi europei sono misti ossia composti da rappresentanti del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo, vanno analizzati sotto un duplice aspetto: da un lato essi hanno, infatti, una competenza generale su tutti gli atti e i provvedimenti dell’Unione europea, ma, dall’altro, devono raccordarsi con le altre Commissioni competenti che, pertanto, conservano la loro competenza per materia. Questa posizione trasversale della 14^ Commissione si nota in particolare nel Senato, dove l’art. 21 comma 4 – bis dei regolamenti dispone che i senatori designati debbano essere «in ogni caso componenti anche di altre Commissioni permanenti».
Tre sono le funzioni peculiari riconducibili alla 14^ Commissione: anzitutto, essa svolge una funzione legislativa che riguarda essenzialmente l’esame, in sede referente, del disegno di legge comunitaria che dispone, annualmente, in merito all’adattamento dell’ordinamento italiano al diritto comunitario.
La seconda funzione è quella consultiva: le due Commissioni sono chiamate a rendere il proprio parere, obbligatorio e non vincolante, sui progetti di legge che riguardano l’applicazione dei Trattati istitutivi della Comunità europea, l’attuazione di norme comunitarie, tutti i progetti di legge inerenti i profili di compatibilità con la normativa comunitaria, nonché sul disegno di legge di bilancio, sul disegno di legge finanziaria oltre che sul Dpef. Rientrano in quest’ambito l’esercizio di funzioni conoscitive, di controllo e di indirizzo, l’audizioni di ministri e funzionari pubblici, nonché la possibilità di effettuare interrogazioni e votare risoluzioni.
Infine, le Commissioni politiche dell’Unione europea sono chiamate ad esaminare la relazione annuale del Governo sulla partecipazione dell’Italia all’Unione secondo il disposto dell’art. 7 della legge n. 86 del 1989. Entro il 31 gennaio di ogni anno, infatti, il Governo presenta al Parlamento gli sviluppi del processo di integrazione europea e gli indirizzi politici inerenti la partecipazione dell’Italia al procedimento normativo comunitario.
Ma le procedure di collegamento con le istituzioni europee, previste dai regolamenti, non riguardano solo la 14^ Commissione, ma anche le singole Commissioni che mantengono la loro competenza per materia: il regolamento della Camera, in tal senso, prevede espressamente che le Commissioni, di intesa con il Presidente della Camera, possano invitare membri del Parlamento europeo e componenti della Commissione europea anche non italiani con lo scopo di avere informazioni e chiarimenti sulle attività delle istituzioni stesse. Analoga norma è prevista nei regolamenti del Senato, anche se mai viene usato il termine tecnico di audizione per evidenziare la necessaria e dovuta collaborazione dei Paesi nell’ambito comunitario (Art. 127 – ter r. C., 144 – quater r. S).
Inoltre i regolamenti prevedono la possibilità di dibattiti a tema con la presenza del Ministro competente su proposte della Commissione europea pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione (art. 126 – bis r. C. – 142 r. S.).
Procedimento per l’esame degli atti normativi comunitari
L’art. 1 – bis della legge n. 86 del 1989 dispone un preciso obbligo per il Governo consistente nell’invio alle Camere di atti comunitari già emanati o dei progetti di tali atti (in quest’ultimo caso deve essere anche indicata la data presunta per la loro discussione o adozione da parte degli organi Ue); per converso, si prevede che le Camere possano inviare al Governo osservazioni e formulare atti di indirizzo.
La riserva di esame parlamentare è lo strumento di cui si avvale il Governo per informare il Consiglio dei ministri dell’Unione europea di volere chiedere al Parlamento indirizzi in ordine alla posizione da assumere a livello nazionale su un atto normativo all’esame del Consiglio.
Gli atti normativi comunitari e i progetti di tali atti passano dunque dalle Commissioni competenti per materia con il successivo parere obbligatorio della 14^ Commissione politiche dell’Ue.
Nello specifico il Regolamento del Senato dispone espressamente che le risoluzioni che accompagnano e chiudono l’esame degli atti comunitari e dei loro progetti debbano indicare i fini caratterizzanti la politica italiana riguardo l’attività preparatoria antecedente l’emanazione degli atti comunitari.
Il regolamento della Camera prevede che gli atti normativi o progetti di tali atti siano affidati – una volta pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue – alle Commissioni permanenti competenti per materia con il parere della 14^ Commissione, eccezion fatta per il caso in cui l’atto o il progetto sia assegnato direttamente a quest’ultima.
Infine, mentre al Senato l’esame si chiude con la votazione di risoluzioni da parte delle Commissioni, alla Camera, invece, le Commissioni possono esprimere in un documento finale il proprio avviso sulla opportunità di possibili iniziative (art. 144 r. S – art. 127 r. C).
In ogni caso manca una previsione regolamentare alla Camera per cui le Commissioni possono votare anch’esse risoluzioni al termine dell’esame non essendo espressamente vietato.
Procedimento per l’esame legislativo annuale della Commissione europea
Il programma legislativo annuale della Commissione europea, sottoposto di recente all’analisi del Parlamento nazionale, ha il preciso scopo di permettere la formulazione di indirizzi al Governo perché quest’ultimo individui, in sede europea, le linee guida della politica italiana che, nello spirito di collaborazione comunitaria, dovranno essere tenute in considerazione dalla Commissione europea.
Il procedimento descritto nei regolamenti della Camera prevede l’analisi del programma annuale tramite tutte le Commissioni permanenti competenti per materia le quali sono chiamate ad esprimere alla Commissione politiche dell’Ue il proprio parere; quest’ultima presenterà all’Assemblea una relazione con allegati i pareri di tutte le altre Commissioni. E’ ammessa la presentazione di emendamenti che si ritengono accolti dalla 14^ Commissione, e inseriti pertanto nella relazione, a meno che non vengano respinti «per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria o per esigenze di coordinamento generale».
Il Senato sostanzialmente segue la stessa procedura con la sola differenza che la 14^ Commissione può concludere l’esame anche con la votazione di una risoluzione, salva la successiva possibilità di investirne l’Assemblea (art. 144 – bis comma 6).
L’approvazione della legge comunitaria
La legge n. 86 del 1989 istituisce la legge comunitaria grazie alla quale si consente l’adeguamento dell’ordinamento nazionale italiano a quello comunitario. Con tale legge si provvede dunque al recepimento della normativa comunitaria per la quale è necessario un adeguamento del nostro ordinamento giuridico. In base all’art. 3 la legge può disporre direttamente oppure mediante deleghe legislative o autorizzare il Governo ad intervenire in via regolamentare.
L’iter che vede l’esame della legge comunitaria è un procedimento speciale. Il ddl è affidato, in sede referente, alle Commissioni permanenti competenti per materia. Entro 15 giorni queste provvedono all’esame, concludendo con l’approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore che ha il compito di riferire dinanzi la 14^ Commissione. Si prevede l’ammissione di relazioni di minoranza e degli emendamenti che ciascuna Commissione approva per la propria parte di competenza e che «si ritengono accolti dalla Commissione politiche dell’Ue salvo che questa non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria o per esigenze di coordinamento generale» (art. 126 – ter comma 5).
Al Senato, invece, sono inammissibili gli emendamenti che risultassero estranei all’oggetto della legge comunitaria tanto che il Presidente del Senato può dichiararli in tal caso inammissibili, pur restando la possibilità di ripresentare in Aula gli emendamenti respinti dalla 14^ Commissione (art 144 – bis r S.). Non è sufficiente, comunque, al fine della presentazione di un emendamento, che la materia sia genericamente oggetto di normativa comunitaria.
Trascorsi i 15 giorni, la 14^ Commissione può procedere all’esame del disegno di legge anche se non siano state nel frattempo presentate le relazioni delle altre Commissioni. Da questo momento in poi la Commissione politiche dell’Unione europea ha 30 giorni di tempo per concludere i lavori approvando una relazione generale per l’Assemblea.
La procedura indicata nell’articolo 126 – ter r. C. è stata interessata da una sorta di perfezionamento della prassi: si ammette , infatti, la possibilità di presentare emendamenti direttamente dinanzi la 14^ Commissione; ma, per ognuno di essi, è richiesto l’esame e l’approvazione delle rispettive Commissioni competenti per materia che vincolano, in questo modo, la 14^ Commissione il cui potere referente risulta, in questo modo, piegato alle Commissioni di merito.
La recente prassi della Camera, inoltre, ha ridotto la possibilità di modificare il testo del ddl comunitaria: sono inammissibili per estraneità all’oggetto della legge comunitaria gli emendamenti che recano modifiche di vigenti normative di attuazione o di direttive comunitarie tranne nel caso in cui sia stata intrapresa in sede comunitaria una procedura di infrazione a carico dell’Italia.
Il disegno di legge comunitaria viene esaminato contestualmente alla relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea con il preciso scopo di consentirne anche l’attuazione delle normative nell’ambito dell’ordinamento nazionale. Così dopo il parere preventivo delle altre commissioni permanenti, la 14^ Commissione riferisce in Aula e, dopo la discussione, segue la votazione della relazione.
E’ bene precisare che i regolamenti parlamentari non dispongono in merito ad una vera e propria sessione comunitaria così come è previsto, invece, per i documenti finanziari con cui hanno in comune la cadenza annuale, limitandosi a stabilire tempi certi e rapidi per l’esame in Commissione ed adottando poi le norme generali sull’organizzazione dei lavori per la fase in Assemblea. Non solo manca, infatti, un inserimento perentorio nel calendario dell’Aula terminata la fase referente, ma spesso le diverse leggi comunitarie sono addirittura approvate dopo l’anno di riferimento.
La legge comunitaria n. 88 del 7 luglio 2009
Il 29 luglio è entrata in vigore la legge n. 88 del 7 luglio del 2009 recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2008».
Essa raccoglie cinquanta direttive europee da recepire e, confermando sia l’impalcatura delle precedenti leggi comunitarie che le ultime novità normative, dispone che il termine per il Governo per l’esercizio della delega legislativa e il recepimento delle direttive debba, in linea di principio, coincidere con la scadenza che le stesse direttive prevedono per il recepimento negli Stati membri, di modo tale che, in questo modo, l’ordinamento italiano possa adeguarsi più facilmente all’ordinamento comunitario e possa essere rispettata la tempistica indicata dalle Istituzioni europee.
Per le direttive, invece, il cui termine di recepimento sia già scaduto o scada entro i tre mesi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria, si prevede che il Governo abbia novanta giorni di tempo decorrenti dall’entrata in vigore della legge per emanare i decreti legislativi di attuazione, ossia entro il 29 ottobre 2009. Dodici mesi il tempo concesso, invece, per le direttive che non indicano un termine di recepimento e per l’attuazione delle decisioni quadro nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
La legge risulta divisa in quattro capi: il primo raccoglie le norme che assegnano all’Esecutivo la delega legislativa per il recepimento, nell’ordinamento giuridico italiano, di cinquanta direttive europee che vengono elencate negli allegati A e B.
Il Capo II contiene disposizioni volte a modificare o abrogare la normativa vigente che sia in contrasto con l’ordinamento comunitario come per esempio – se ne segnalano alcune – il recepimento della direttiva 2004/41/CE in materia di alimenti e mangimi, la 2007/47/CE in materia di dispositivi medici, la 98/8/CE in materia di immissione sul mercato di biocidi, la 2006/54/CE circa l’attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego, e la direttiva 2007/36/CE circa l’obbligo di far elaborare ad un esperto indipendente una relazione in occasione di una fusione o di una scissione di società per azioni.
Il Capo III riguarda l’attuazione del regolamento CE n. 1082/2006 relativo al GECT (Gruppo europeo di cooperazione territoriale) il cui compito precipuo è quello di favorire la cooperazione tra i vari Stati membri. Il regolamento ha stabilito la realizzazione, con la collaborazione degli enti pubblici dei vari Stati, di associazioni a cui, nelle norme attuative, si è scelto di dare natura di ente di diritto pubblico.
Il capo IV, infine, comprende le disposizioni riguardanti l’attuazione di decisioni quadro nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. In particolare la decisione 2008/909/Gai in base alla quale le sentenze di condanna adottate da uno Stato membro nei confronti di un cittadino di un altro Stato membro potranno essere eseguite nel Paese di origine.
Tra le novità della legge, in particolare, è da segnalare il principio di semplificazione amministrativa: nello specifico la legge comunitaria prevede la ricezione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi del mercato interno che dispone la creazione di uno Sportello unico attraverso il quale – anche a distanza e per via telematica – i prestatori di servizi potranno adempiere a tutte le procedure e formalità richieste per l’accesso e l’inizio dell’attività; e la direttiva 207/65/CE sull’esercizio delle attività televisive che comporta ampie modifiche al Testo Unico della radio-televisione.
Altra importante questione è quella dettata dalla direttiva 2007/66/CE (che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio) riguardante il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici rendendo un quadro processuale il più omogeneo snello e celere possibile.
Gli interventi normativi successivi all’entrata in vigore della legge comunitaria, infine, dovrebbero portare dal 1 gennaio 2010 a nuove disposizioni sull’Iva: il nuovo criterio di territorialità dell’imposta per le prestazioni di intermediazione prevede che le operazioni si riterranno realizzate in Italia se il committente è soggetto passivo Iva, mentre tale criterio di territorialità non varrà per quelle effettuate fuori dai confini Ue anche se i committenti sono intermediari italiani.
Giuseppe Massimo Abate
Bibliografia
Regolamenti di Camera e Senato
Legge n. 88 del 7 luglio 2009
Corte Costituzionale, Sentenza n. 170 del 1984
Barbera A., Parlamenti. Un’analisi comparativa, Laterza, Bari-Roma, 2008
Gianniti L. – N. Lupo, Corso di Diritto parlamentare, il Mulino 2008
Manzella A., Il parlamento, il Mulino 2003
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