La legittimazione a costituirsi parte civile in materia di reati ambientali dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 152/2006 (commento a Tribunale di Taranto – Sez. G.U.P., Ingenito – ord. 7 aprile 2009)

1. La vicenda processuale. – L’ordinanza commentata (riportata in calce) trae origine dalla richiesta di rinvio a giudizio per abuso d’ufficio, abuso edilizio ed illecita realizzazione di una discarica formulata dal P.M., all’esito di una lunga e laboriosa attività d’indagine conseguente a più esposti presentati da cittadini ed associazioni operanti sul territorio, contro il legale rappresentante della società di gestione del sito ed il funzionario della Provincia che aveva approvato con determina il progetto di ampliamento della discarica ivi insistente, nonché l’esercizio di un ulteriore lotto della stessa.
Nel corso della conseguente e successiva udienza preliminare 15 cittadini chiedevano di costituirsi parte civile “in luogo del Comune e della Provincia” interessati dall’intervento.
Analoga istanza risarcitoria veniva inoltre proposta da associazioni – riconosciute e non – statutariamente preposte alla tutela ed alla valorizzazione dell’ambiente e della natura.
La difesa degli imputati eccepiva l’inammissibilità di tali costituzioni di parte civile, contestando, fra l’altro, che la mancata diretta costituzione della Provincia e del Comune, lungi dall’integrare una situazione di inerzia legittimante l’esercizio dell’azione popolare ex art. 9 D. Lgs. 267/2000, rappresentava invece l’implicita manifestazione di una precisa opzione negativa perseguita dagli stessi Enti; nonché il difetto di legittimazione a chiedere – ed ottenere all’esito del processo – il risarcimento del cosiddetto “danno ambientale” da parte delle associazioni, specie ove non riconosciute ai sensi dell’art. 13 L. 8 luglio 1986 n.349, istitutiva del Ministero dell’Ambiente.
Tutte queste eccezioni venivano, tuttavia, motivatamente rigettate dal G.U.P. presso il Tribunale di Taranto con la commentata ordinanza, la quale, per l’importanza giuridica e la rilevanza sociale delle questioni trattate, ben si presta ad essere oggetto di una serie di osservazioni e di puntualizzazioni in ordine alle finalità perseguite dall’ordinamento attraverso l’istituto dell’azione popolare ed alle forme di tutela attivabili nel processo penale per il risarcimento dei danni conseguenti alla lesione, ancorché variamente qualificata sotto il profilo giuridico, dell’ambiente.
 
2. L’azione popolare per il risarcimento del danno ambientale derivante da reato. – La responsabilità per il cosiddetto “danno ambientale” è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 18 della citata Legge 349 del 1986, contenente “norme in materia di danno ambientale”, per cui: “1. Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.
2. Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
3. L‘azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo.
4. Le associazioni di cui al precedente articolo 13 e i cittadini, al fine di sollecitare l’esercizio dell’azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza.
5. Le associazioni individuate in base all’articolo 13 della presente legge possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
6. Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali.
7. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale.
8. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile.
9. Per la riscossione dei crediti in favore dello Stato risultanti dalle sentenze di condanna si applicano le norme di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639.
9-bis . Le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno di cui al comma 1, ivi comprese quelle derivanti dall’escussione di fidejussioni a favore dello Stato, assunte a garanzia del risarcimento medesimo, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate, con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ad un fondo di rotazione da istituire nell’ambito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente, al fine di finanziare, anche in via di anticipazione:
a) interventi urgenti di perimetrazione, caratterizzazione e messa in sicurezza dei siti inquinati, con priorità per le aree per le quali ha avuto luogo il risarcimento del danno ambientale;
b) interventi di disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale delle aree per le quali abbia avuto luogo il risarcimento del danno ambientale;
c) interventi di bonifica e ripristino ambientale previsti nel programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 9 dicembre 1998, n. 426.
9-ter. Con decreto del Ministro dell’ambiente, adottato di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sono disciplinate le modalità di funzionamento e di accesso al predetto fondo di rotazione, ivi comprese le procedure per il recupero delle somme concesse a titolo di anticipazione”.
Tale disposizione, oggi abrogata con l’eccezione del quinto comma, prevedeva, nonostante la parafrasi dell’art. 2043 cod. civ. contenuta nella sua parte iniziale (“Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.”), una responsabilità diversa da quella extracontrattuale.
Risultava evidente, infatti, l’intento del Legislatore – probabilmente preoccupato dalla possibilità di un eccessivo ricorso all’azione di risarcimento del danno ambientale – di contenere quest’ultimo entro gli stringenti limiti della tipicità, differenziandosi dalle scelte operate dal codice del 1942 in materia di responsabilità aquiliana[1] .
Anche il carattere subordinato del risarcimento in forma specifica rispetto a quello per equivalente, previsto dall’art. 2058 cod. civ., risultava, inoltre, ribaltato dalla disposizione in commento, che attribuiva carattere primario al ripristino dell’ambiente deturpato: l’organo giudicante, infatti, “lo dispone, ove possibile”, procedendo alla quantificazione secondo equità unicamente qualora non sia possibile il ripristino dei luoghi e sempre che non si possa procedere ad una esatta quantificazione del danno[2].
Ne conseguiva la funzione prevalentemente punitiva (piuttosto che riparatoria) della responsabilità in questione[3], confortata anche dalla rigorosa selezione compiuta dal Legislatore in ordine alla legittimazione attiva ad agire.
Quest’ultima, infatti, durante la vigenza dell’art. 18 cit. L. 349/1986, era attribuita esclusivamente allo Stato ed agli enti pubblici locali, mentre le associazioni di protezione ambientale individuate con decreto del Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 13 della stessa Legge, potevano intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere al giudice amministrativo per l’annullamento di atti illegittimi.
In tale contesto, fermo il difetto di legittimazione ad agire da parte di singoli cittadini, in forma individuale o associata, non si dubitava della possibilità da parte degli stessi di ricorrere all’azione popolare ex art. 9 T.U.E.L. (D. Lgs. 18.8.2000, n. 267, già art. 7 L. 8.9.1990, n. 142) per ovviare all’inerzia degli enti pubblici locali esponenziali degli interessi tutelati.
L’azione popolare, infatti, “ha natura "sostitutiva " o "procuratoria" ed è volta a far valere le posizioni giuridiche soggettive aventi consistenza di interessi legittimi spettanti all’amministrazione comunale che risultino incise e pregiudicate da provvedimenti di altre autorità amministrative. L’istituto costituisce nell’attuale configurazione espressione del passaggio da una amministrazione di tipo autoritario, le cui determinazioni calano dall’alto e sono "subite" dagli amministratori che se ne interessano solo se individualmente lesi da quelle, ad una – viceversa – fondata sull’attiva partecipazione degli amministrati medesimi in senso collaborativo. Detta partecipazione si esplica, e non necessariamente "de damno vitando", in ordine alle opzioni di natura pubblicistica che si intendono realizzare, e si spinge fino ad esprimere un indirizzo nell’inerzia dell’amministrazione medesima ed in luogo di questa, quale ente esponenziale sintesi degli interessi per i quali essa amministrazione è istituita in favore dei cittadini, rappresentandoli, promuovendone lo sviluppo, e, appunto, curandone gli interessi, purché non parziali, ma presuntivamente comuni a tutti. In questa ottica l’azione popolare può essere proposta in sostituzione dell’amministrazione e sul presupposto di agire in luogo della stessa per un interesse ovviamente a questa imputabile” (T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 28.6.2002, n. 3192[4]).
Essa, inoltre, “può anche riguardare la difesa degli interessi generali della collettività, quali quelli ambientali e di tutela della salute, di cui il Comune risulta l’ente esponenziale” (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, 27.5.2004, n. 1728[5]).
L’art. 9, comma 3, cit. T.U.E.L., in più, riconosce espressamente alle “associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 della Legge 8 luglio 1986, n. 349” il diritto a “proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al Comune e alla Provinciaconseguenti al danno ambientale”.
Tale disposizione è ancora formalmente in vigore ma deve ritenersi superata dall’art. 311, comma 1, D. Lgs. 3.4.2006 n. 152 (Norme in materia ambientale), per cui: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto”; con la conseguenza che oggi soltanto il Ministero dell’ambiente può azionare in sede penale il diritto al risarcimento del danno ambientale (Trib. Napoli, sez. VI, 12.1.2007[6]; conforme: Cass. Pen., sez. I, 13.6.2006, n. 29855[7]).
Il codice dell’ambiente, in altri termini, ha accentrato le competenze ambientali in capo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, che direttamente o indirettamente, per il tramite della Direzione generale per il danno ambientale, esercita le funzioni statali di tutela, prevenzione e riparazione dei danni ambientali, di fatto sottraendole a Regioni ed enti locali[8].
Se, dunque, nella redazione dell’art. 18 L. 349/1986 il Legislatore si era dimostrato incerto sulla natura – pubblica o privata – del rimedio, l’art. 311 del codice dell’ambiente consente di superare tali dubbi: il danno ambientale che scaturisce dal D. Lgs. 152/2006 è a tutti gli effetti un danno pubblico; perciò, legittimato attivo è solo il Ministero dell’ambiente e l’azione può essere promossa in sede amministrativa attraverso l’adozione di un’ingiunzione di pagamento.
Questa scelta è stata criticata in dottrina perché in contrasto con il principio di sussidiarietà, secondo il quale lo Stato dovrebbe intervenire soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dalle Regioni e dagli enti locali.
Essa, inoltre, ha incontrato l’unanime dissenso delle associazioni ambientaliste e delle Regioni italiane giacché determinerebbe un arretramento rispetto alla tutela garantita dalla precedente L. 349/1986 ed il rischio di pronunce di illegittimità di alcune disposizioni del decreto ad opera della Corte Costituzionale, oltre all’attivazione di una procedura di infrazione delle disposizioni comunitarie ad opera della Commissione europea.
Il codice dell’ambiente, in effetti, concede alle persone fisiche o giuridiche unicamente la facoltà di presentare al Ministero dell’ambiente denunce ed osservazioni, corredate da documenti e informazioni (art. 309, comma 1), nonché il diritto ad agire in sede amministrativa contro i provvedimenti adottati in violazione della parte VI o avverso il silenzio del Ministero (art. 310); tali strumenti, tuttavia, sebbene leggermente più ampi di quelli fin qui concessi al cittadino, con difficoltà possono essere visti come mezzi di salvaguardia dei diritti del singolo, a maggior ragione ove si abbia riguardo al fatto che l’azione dell’ente pubblico rimane discrezionale e, qualora si decida di agire, l’eventuale risarcimento del danno comunque non spetterebbe al danneggiato, ma allo Stato[9].
De iure condendo si ritiene pertanto necessaria l’estensione della legittimazione attiva a tutti i soggetti che subiscono un danno all’ambiente − inteso come danno del singolo alla relazione che questo vive quotidianamente con l’ambiente che lo circonda −  e non solo un danno a singoli beni o posizioni soggettive patrimoniali, tutelabili secondo le disposizioni civilistiche.
De iure condito, invece, occorre evidenziare come l’espressa disposizione di cui all’art. 311 D. Lgs. 152/2006 “non esclude in astratto ulteriori connotazioni di danno riconducibili ad altri titolari per i quali, pertanto, non può elidersi in via pregiudiziale la legittimazione attiva degli enti territoriali, di associazioni, singoli e privati” (Trib. Napoli, sez. VI, 12.1.2007[10]).
Esente da censure appare, dunque, nonostante il disposto dell’art. 311 D. Lgs. 152/2006, l’ordinanza in commento, con cui si è correttamente rigettata l’ulteriore eccezione difensiva d’inammissibilità della proposta azione popolare poiché “non sussistono elementi per poter affermare che l’omessa costituzione dei suddetti Enti sia frutto di una precisa opzione, di talché sarebbe preclusa l’azione sostitutiva”.
L’ipotesi in cui risulta inammissibile l’azione popolare non è, in effetti, quella di “inerzia” dell’Ente, ma “di una volontà espressa contraria alla stessa proposizione del ricorso” (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, 27.5.2004, n. 1728, cit.), volontà che, per consolidata giurisprudenza, “non può desumersi da comportamenti concludenti, ma deve essere espressa in forma scritta a pena di nullità” (cfr., ex pluribus, Cass. Civ., sez. III, 23.1.2006, n. 1223[11]).
  
3. L’azione da parte delle associazioni di protezione dell’ambiente. – L’individuazione del soggetto danneggiato dal pregiudizio ambientale e, conseguentemente, legittimato a proporre la relativa azione giudiziaria, provoca un inevitabile rilievo: se da un lato il diritto al risarcimento del danno è attribuito allo Stato, non può negarsi la diretta incidenza del danno all’ambiente nella sfera esistenziale della collettività di riferimento, con la conseguente propensione della giurisprudenza a superare, in base alle più generali categorie del diritto, lo stretto dato normativo di cui all’art. 311 D. Lgs. 152/2006.
Interessante, sotto questo punto di vista, è l’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale relativa al ruolo attribuito alle associazioni di protezione ambientale.
Inizialmente si negava la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale alle associazioni “riconosciute” ex art. 13 L. 349/1986 ed abilitate ad intervenire nei giudizi di danno ambientale.
La costituzione di parte civile, come modalità di esercizio dell’azione azione civile nel processo penale, si riteneva infatti riservata allo Stato, mentre alle associazioni era riconosciuto soltanto “un potere di stimolo e di supporto, con esclusione di qualsiasi funzione surrogatoria o di supplenza” (Cass., sez. IV, 17.12.1988, n. 12659[12]).
Successivamente si è invece affermato il diritto delle associazioni a costituirsi parte civile per far valere il diritto alla salute, inteso nella più ampia prospettiva di diritto all’ambiente salubre.
Significativa di questa apertura è la pronuncia della Suprema Corte, sezione III, del 23.10.1989[13], per cui: “In tema di smaltimento di rifiuti, è astrattamente configurabile un danno ambientale diffuso, per la cui prevenzione e repressione enti ed associazioni di protezione dell’ambiente sono legittimati ad agire ed a costituirsi parte civile, in considerazione del pregiudizio ai singoli associati che vedono frustrare le proprie esigenze di sviluppo della personalità. Dal diritto alla salubrità dell’ambiente ed all’ambiente, come attributo fondamentale della persona umana, scaturisce la posizione di interesse giuridico differenziato di enti ed associazioni di un determinato insediamento abitativo a far valere il danno stesso”.
Da ultimo, si è affermata la possibilità di far valere in giudizio il diritto al risarcimento del danno anche da parte di associazioni di protezione ambientale non riconosciute ex art. 13 L. 349/1986.
Si precisa, tuttavia, che tali enti sono legittimati a proporre azione civile nel processo penale per lamentare concreti danni, di carattere morale o materiale, che influiscono sulle finalità loro proprie, pur non potendo dolersi, in via autonoma rispetto al soggetto pubblico, del pregiudizio ambientale.
Tale orientamento, capace di superare gli inconvenienti sottesi alla mancata previsione – da parte dell’art. 311 D. Lgs. 152/2006 – della legittimazione ad agire per la tutela dell’ambiente da parte delle associazioni, è stato significativamente “inaugurato” proprio dalla Pretura di Taranto con sentenza n. 1683 del 21.1.1989, dove si legge che: “si deve logicamente riconoscere che le azioni criminose rientranti in tale categoria di illeciti, oltre a provocare un “danno ambientale”, per il cui risarcimento potrà agire in via diretta l’organo pubblico con eventuale adesione delle associazioni ambientalistiche, possono anche comportare un danno ad altre persone, diverse dalle parti lese specifiche, che pure potranno agire secondo le normali metodologie processuali per ottenere il riconoscimento, da un punto di vista risarcitorio, dei loro interessi violati. Una diversa e più restrittiva interpretazione … non sarebbe ammissibile anche da un punto di vista costituzionale, poiché priverebbe immotivatamente soggetti portatori di un diritto o interesse leso del potere di far valere questo nella sede giudiziale. … La manomissione in senso peggiorativo dell’ambiente (più in particolare, colpisce direttamente le associazioni ambientaliste in quanto) vanificando i loro sforzi, le squalifica o, quanto meno, scredita verso gli iscritti e verso quanti guardano ad esse come presidio di beni culturali e naturali (vds. Pretore Napoli, ord. 15.11.1982, proc. c/PURI ed altri”.
Anche la giurisprudenza di legittimità ha confermato simile indirizzo, statuendo che: “Le associazioni ambientaliste sono legittimate alla costituzione di parte civile iure proprio nel processo penale per reati ambientali, dal momento che l’espressa previsione legislativa della possibilità di costituzione di parte civile per lo Stato e per gli enti pubblici territoriali non esclude l’applicabilità delle regole generali in materia di risarcimento del danno e di costituzione di parte civile” (da ultimo, Cass. Pen., sez. IV, 9.3 – 6.5.2009, n. 18974[14]; conformi: Cass. Pen., sez. III, 26.9.1996, n. 8699[15]; Cass. Pen., sez. III,13.11.1992, n. 10956).
Tanto, però, “a condizione che trattisi di associazioni le quali abbiano come fine statutario essenziale la tutela dell’ambiente, siano radicate nel territorio anche attraverso sedi locali, siano rappresentative di un gruppo significativo di consociati ed abbiano dato prova della continuità e della rilevanza delle loro azioni a difesa del territorio” (Cass. Pen., sez. III, 21.10.2004, n. 46746[16]; conformi: Cass., 1.10.1996, n. 9837, *********[17]; Cass., sez. III, 26.9.1996, n. 8699, ******* ed altro[18]; Cass., sez. III, 2.2 – 6.4.1996, n. 3503, Russo[19]; Cass., 10.3.1993, *********; Cass., sez. III, 29.9 – 13.11.1992, n. 10956, ********).
L’ordinanza commentata è, dunque, anche sotto tale profilo, in linea con la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità.
Essa stessa, anzi, ricorda “come è noto (che) gli enti esponenziali di interessi collettivi possono essere danneggiati (in senso proprio) da attività lesive degli interessi di cui sono portatori; le associazioni ambientaliste sono, dunque, per orientamento giurisprudenziale dominante, legittimate in via autonoma e principale all’azione di risarcimento per danno ambientale, quando siano statutariamente portatrici di interessi ambientali territorialmente determinati, concretamente lesi da un’attività illecita”.
 
 
 
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Foro di Taranto
 
 
 
Tribunale di Taranto – Sez. G.U.P., ******** – ord. 7 aprile 2009.
 
Costituzione di parte civile nel processo per reati ambientali – Legittimazione dei cittadini mediante azione popolare in luogo del Comune e della Provincia – Legittimazione di associazioni non riconosciute – Sussistono.
   (****** art. 74; L. 349/1986, artt. 13 e 18; D. Lgs. 152/2006, art. 311; D. Lgs. 267/2000, art 9).
 
   L’azione popolare ex art. 7 L. 8 giugno 1990 n. 142 (ora art. 9 d. lg. N. 267 del 2000 il quale prevede che ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni ed i ricorsi che spettano al Comune), è di tipo sostitutivo o suppletivo: ne consegue che presupposto necessario è che il Comune abbia omesso di esercitare le azioni ed i ricorsi che gli competevano, posto che la sostituzione dell’attore popolare al Comune costituisce una grave limitazione dell’autonomia dell’ente, non configurabile in mancanza di un serio e fondato motivo.
 
Gli enti esponenziali di interessi collettivi possono essere danneggiati (in senso proprio) da attività lesive degli interessi di cui sono portatori; le associazioni ambientaliste sono, dunque, per orientamento giurisprudenziale dominante, legittimate in via autonoma e principale all’azione di risarcimento per danno ambientale, quando siano statutariamente portatrici di interessi ambientali territorialmente determinati, concretamente lesi da un’attività illecita.
Nel caso di specie è pacifico che le associazioni sopra indicate sono portatrici per loro statuto degli interessi collettivi alla tutela ambientale del luogo, e come tali sono legittimati a costituirsi parte civile per il danno ambientale, in base all’assunto accusatorio, provocato dalla illecita realizzazione della discarica.
 
   Il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Taranto;
ascoltate le eccezioni d’inammissibilità di alcune delle costituzioni di parte civile, sollevate dai difensori degli imputati e verbalizzate all’udienza del 24.3.2009;
rilevato quanto segue:
l’art. 9 del D.lgs. 267/2000 prevede che ciascun elettore possa far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al Comune e alla Provincia.
Nel presente procedimento, N.A., T.A., M.G., R.A.C. e **** si sono costituiti nella loro qualità di cittadini elettori del Comune di Grottaglie, allegando i relativi certificati elettorali; T.A., D.F.P. e **** si sono costituiti nella loro qualità di cittadini elettori della Provincia di Taranto, allegando i relativi certificati elettorali; ****, ****, M.S., D.G.E., ****, D.S.C. e S.C. si sono costituiti nella loro qualità di cittadini elettori della Provincia di Taranto, allegando i relativi certificati.
L’azione popolare, in luogo del Comune e della Provincia è stata dunque correttamente esercitata dai suddetti elettori, in sostituzione del Comune di Grottaglie e della Provincia di Taranto, che non si sono costituiti nel presente giudizio; come sostenuto dalla Giurisprudenza, “L’azione popolare ex art. 7 L. 8 giugno 1990 n. 142 (ora art. 9 d. lg. N. 267 del 2000 il quale prevede che ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni ed i ricorsi che spettano al Comune), è di tipo sostitutivo o suppletivo: ne consegue che presupposto necessario è che il Comune abbia omesso di esercitare le azioni ed i ricorsi che gli competevano, posto che la sostituzione dell’attore popolare al Comune costituisce una grave limitazione dell’autonomia dell’ente, non configurabile in mancanza di un serio e fondato motivo” (Consiglio Stato, sez. V, 28 maggio 2001, n. 2889);
non sussistono, peraltro, elementi per poter affermare che l’omessa costituzione dei suddetti Enti sia frutto di una precisa opzione, di talché sarebbe preclusa l’azione sostitutiva; nulla, agli atti, autorizza a siffatta conclusione, neanche l’addotto intervenuto “giudicato amministrativo”.
Si sono altresì costituiti:
– il Comitato “Vigiliamo per la Discarica” in persona del legale rappresentante, associazione che, per quanto emerge dall’atto di costituzione e dalla documentazione ad esso allegata, ha quale finalità la tutela e la valorizzazione dell’ambiente e della natura, delle risorse naturali, della salute collettiva, del patrimonio artistico, storico e culturale, del territorio e paesaggio;
– l’associazione “Sud in Movimento” in persona del legale rappresentante, associazione che, per quanto emerge dall’atto di costituzione e dalla documentazione ad esso allegata, ha quale finalità, tra le altre, rappresentare i bisogni della popolazione nonché riconoscere una speciale tutela dell’ambiente e preservare la fauna tipica del territorio;
– l’associazione Pro Loco “Marciana” in persona del legale rappresentante, associazione che, per quanto emerge dall’atto di costituzione e dalla documentazione ad esso allegata, ha quale finalità, tra le altre, quella di tutela e miglioramento delle risorse ambientali, turistiche e culturali del luogo ed ha competenza nel Comune di San Marzano di San Giuseppe.
Le suddette associazioni, sebbene non riconosciute ai sensi dell’art. 13 della legge nr. 349/1986, sono radicate nel territorio in cui sono avvenuti i fatti in contestazione ed hanno offerto prova della continuità e rilevanza dell’azione svolta a difesa del territorio;
Come è noto gli enti esponenziali di interessi collettivi possono essere danneggiati (in senso proprio) da attività lesive degli interessi di cui sono portatori; le associazioni ambientaliste sono, dunque, per orientamento giurisprudenziale dominante, legittimate in via autonoma e principale all’azione di risarcimento per danno ambientale, quando siano statutariamente portatrici di interessi ambientali territorialmente determinati, concretamente lesi da un’attività illecita.
Nel caso di specie è pacifico che le associazioni sopra indicate sono portatrici per loro statuto degli interessi collettivi alla tutela ambientale del luogo, e come tali sono legittimati a costituirsi parte civile per il danno ambientale, in base all’assunto accusatorio, provocato dalla illecita realizzazione della discarica.
Si sono altresì costituite:
l’ “ANPANA” e la “****”, associazioni riconosciute che, per quanto risulta dalla lettura degli statuti e dei decreti di riconoscimento perseguono scopi di tutela dell’ambiente con conseguente diritto di intervenire nel presente giudizio in cui sono contestate condotte che possono aver arrecato danno all’ambiente.
Quanto alla costituzione di parte civile del Comune di San Marzano di San Giuseppe, territorialmente limitrofo a quello di Grottaglie, su cui insiste la discarica di cui alle imputazioni, ed alla eccepita carenza di legittimazione dello stesso ente, dev’essere rilevato che persona offesa dal reato è il soggetto titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale, mentre il danneggiato è chiunque dalla condotta di reato abbia subito un danno; la legittimazione del danneggiato dal reato può eventualmente essere riconosciuta quando siano stati rispettati i principi di diritto processuale che regolano “l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda” secondo il paradigma proposto dall’art. 78, 1° comma, lett. D), c.p.p., costruito sulla falsariga dell’art. 163, 3° co., nr. 4, c.p.c..
Nel caso di specie, nell’atto di costituzione sono diffusamente esposte le ragioni che giustificano la domanda di intervento del suddetto ente civico in qualità di danneggiato dai reati in contestazione.
P.Q.M.
Respinge le eccezioni ed ammette tutte le costituzioni di parte civile.
 


[1] Cfr. **************, La tutela civile dell’ambiente alla luce del testo unico ambientale, in resp. civ. e prev., 2007, 3, 656B;  *********, La tutela ambientale nell’interpretazione giurisprudenziale, in Giust. civ., 2001, 486. In tema, L. Prati, Responsabilità per danno ambientale, in ************ (a cura di), Le nuove aree di applicazione della responsabilità civile: guida alla lettura della giurisprudenza, Milano, 2003, 172.
[2] Cfr. *************, Il danno ambientale nell’art. 18 L. 349/86. Considerazioni introduttive, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 599 ss.; S. Mazzamuto, Osservazioni sulla tutela reintegratoria di cui all’art. 18 legge 349/86, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 699; *************, Il danno ambientale nel sistema della responsabilità civile, cit., 517; ***********, Tutela dell’ambiente e tutela della salute, in Riv. giur. amb., 1990, 207; ********, Danno ambientale, in Riv. dir. civ., 1997, 775 ss.
[3] Cfr. *****************, A proposito di danno ambientale ex art. 18, L. 8 luglio 1986, n. 349 e di responsabilità civile, cit., 256. Sui connotati (anche) punitivi della responsabilità per danno all’ambiente, v. P. Cendon, Il profilo della sanzione nella responsabilità civile, in Contr. impr., 1989, 886; ************, La tutela ambientale nell’interpretazione giurisprudenziale, cit., 490; ***********, La riparazione del danno all’ambiente: risarcimento o pena?, in Riv. dir. civ., 1992, II, 460 ss.; **********, Il danno ambientale tra risarcimento e pena privata, cit., 170. Sullo scopo deterrente che la funzione punitiva della quantificazione del danno può avere, v. L. Francario, Danni ambientali e tutela civile, cit., 302; *********, I modelli di tutela dell’ambiente, in Tutela inibitoria e tutela risarcitoria: contributo alla teoria dei diritti sui beni, Milano, 1987, 398.
[4] In Foro amm. TAR, 2002, 2168.
[5] In Foro Amm. TAR, 2004, 1323.
[6] In Giur. Merito, 2007, 3, 802.
[7] In Guida al dir., 2007, 10, 63.
[8] M. ALBERTON, Dalla definizione di danno ambientale alla costruzione di un sistema di responsabilità: riflessioni sui recenti sviluppi del diritto europeo, in Riv. giur. Ambiente, 2006, 5, 605.
[9] ********, La tutela civile dell’ambiente alla luce del testo unico ambientale, in Resp. civ. e prev., 2007, 3, 656B.
[10] In Giur. Merito, 2007, 3, 802.
[11] In giust. Civ. mass., 2006, I.
[12] In Riv. Pen., 1989, II, 993.
[13] In Riv. Pen., 1990, 637.
[14] In Guida al dir., 2009, 25, 82.
[15] In Arch. Nuova proc. pen., 1996, 871.
[16] In Arch. Nuova proc. pen., 2005, 181.
[17] In Arch. Nuova proc. pen., 1996, 871.
[18] In Arch. Nuova proc. pen., 1996, 871; in Riv. Pen., 1996, 210.
[19] In Dir. Pen. e processo, 1996, 1366.

Avv. Garzone Francesco Paolo

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