1. Il diritto di accesso.
Il diritto di accesso, in quanto predicato del valore della trasparenza dell’azione amministrativa, è esercitabile nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico e di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.
L’esercizio del diritto di accesso è strumentale alla tutela di una situazione giuridicamente protetta[1] volta al conseguimento di un determinato bene della vita e può essere effettuato da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso[2]. Il richiedente deve esplicitare le ragioni sottese alla richiesta di ostensione e non deve avere un interesse ovviamente emulativo, cioè volto ad arrecare molestie e turbative, ma serio ossia meritevole di tutela.
Proprio per tale ragione la disciplina normativa consente l’accesso anche ai portatori di interessi diffusi e collettivi: estendendo così l’ambito di applicazione anche a questi ultimi, appare chiaro l’intento del legislatore, attesa la natura strumentale del diritto di accesso, definito unanimemente, fondamentale precipitato applicativo del principio di trasparenza.
In dottrina[3] non è mancato chi ha paragonato il diritto di accesso ad una “casa di vetro” al fine di rendere direttamente conoscibile l’attività della p.a. agli occhi dei cittadini, senza che questo tuttavia si traduca in un controllo generalizzato sull’attività della P.A[4], come espressamente precisato dal legislatore.
Il d.lgs. n. 195/2005 in materia di accesso alle informazioni ambientali, diversamente da quanto previsto dalla normativa generale sull’accesso di cui alla legge n. 241/1990 e s.m.i., prevede che lo stesso possa essere effettuato da chiunque ne faccia richiesta, salvo i casi di esclusione previsti e senza che vi sia una dichiarazione in merito alla sussistenza di un proprio interesse a giustificazione dell’istanza di accesso.
2. Natura giuridica dell’accesso e illegittimo diniego opposto dalla P.A.
Accennando brevemente alla diatriba fonte di contrasti dottrinali e giurisprudenziali sulla natura del diritto di accesso, in passato lo stesso è stato definito da una parte della dottrina[5] come interesse legittimo a causa dei limiti ad esso imposti, mentre secondo un altro orientamento dottrinario [6] lo stesso avrebbe natura di diritto sulla scia di quanto espressamente previsto dal legislatore del 2005.
Interessante è una recente sentenza del Consiglio di Stato[7] in ordine alla natura giuridica del diritto di accesso che richiama i due contrapposti indirizzi giurisprudenziali: secondo una prima tesi, l’accesso avrebbe consistenza di interesse legittimo, posizione giuridica ravvisabile allorquando il provvedimento amministrativo è impugnabile entro un termine perentorio, pure se incidente su posizioni che nel linguaggio comune sono definite come di “diritto”, dovendo considerare tecnicamente tale termine; secondo l’orientamento opposto l’accesso sarebbe ricostruibile come situazione si diritto soggettivo e ciò sia in base alla sua formale definizione di cui all’articolo 22, comma 2 della l.n. 241/1990, sia per i caratteri della disciplina che lo caratterizza ed in particolare, la mancanza di discrezionalità per la p.a. nell’adempiere alla pretesa del soggetto privato di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, l’attribuzione delle controversie in materia, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la correlata previsione della possibilità che tale giudizio si concluda con l’ordine di un facere per l’amministrazione.
Con la novella del 2009[8], il legislatore ha definito l’accesso “diritto” ponendo fine alla suindicata diatriba ed elevando lo stesso a rango di principio generale dell’ordinamento nonché principio cardine della attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione al procedimento e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza.
Il problema della natura giuridica, tuttavia, appare non rilevante ai fini della valutazione del pregiudizio patrimoniale subito dal richiedente in caso di illegittimo diniego opposto dalla P.A. all’ostensione dei documenti amministrativi.
Invero, accertata l’illegittimità del comportamento della P.A., il danno ingiusto consiste non nella lesione di un diritto in sé, ma piuttosto nel senso di valutare le conseguenze negative che si sono verificate a seguito del diniego. In tal caso la prova del danno consiste nell’essersi organizzato coltivando affidamenti disattesi in quanto non conosciuti tempestivamente[9].
A riguardo il diritto di accesso è collocato tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e che riguardano obblighi cui la P.A. è tenuta ad attendere.
3. Il diniego all’accesso: giurisdizione e poteri del g.a.
In caso di diniego di accesso illegittimo agli atti vi è stato chi ha mutuato quanto sancito in tema di silenzio, stabilendo invero che il giudice amministrativo (g.a.) possa accertare esclusivamente l’illegittimità del comportamento della P.A. Sulla base di tale orientamento il giudice può solo verificare che l’illegittimità del diniego derivi esclusivamente dalla violazione, da parte della P.A., di norme di legge e quindi deve accertare l’esistenza di un obbligo di provvedere in capo alla P.A. ed in caso affermativo rinviare alla stessa affinchè dia seguito all’istanza di accesso.
La giurisprudenza successiva del Consiglio di Stato ha ascritto al g.a. la possibilità di pronunciarsi anche sulla fondatezza della domanda di accesso del ricorrente; orientamento poi recepito dal legislatore del 2005 che con la legge n. 80 ha sancito la possibilità del g.a di conoscere il merito dell’istanza.
Il Tribunale amministrativo regionale, ai sensi di quanto previsto dall’art. 35 d.lgs. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della l. 205/2000, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce altresì di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.
Non v’è dubbio che il g.a. sia competente, in sede di giurisdizione esclusiva, a conoscere del danno ingiusto patito da chi ha subito un diniego illegittimo all’accesso: invero, ove il giudice non ritenga necessario procedere all’immediata ed esatta quantificazione del danno può pronunciare sentenza di condanna contenente criteri ai quali l’amministrazione deve ispirarsi per il pagamento di una somma a favore dell’avente diritto. In mancanza di un accordo sull’entità del risarcimento del danno può essere chiesta la determinazione giudiziale della somma dovuta.
Non è escluso che la domanda risarcitoria, per motivi di economicità, possa essere proposta nello stesso ricorso avverso il diniego illegittimo di accesso agli atti.
Per le suesposte motivazioni non è condivisibile l’opinione di chi ritiene competente a giudicare sul risarcimento il giudice ordinario.
4. Illegittimo diniego e responsabilità: natura giuridica e posizioni della dottrina.
Secondo una parte della dottrina[10] atteso l’obbligo normativamente sancito di evadere le richieste di accesso da parte della P.A. si instaurerebbe tra il richiedente e l’amministrazione un rapporto fondato sulla disciplina delle obbligazioni in generale (contrattuale). Tale tesi fonda le sue radici negli obblighi di correttezza e buona fede cui sarebbe tenuta la P.A. la quale potrebbe dimostrare l’esclusione della propria responsabilità in quanto dovuta a causa non imputabile alla stessa. Sulla scia di tale orientamento una recente ed attenta dottrina[11] confortata dall’orientamento giurisprudenziale, considera la responsabilità da illegittimo diniego di accesso agli atti quale responsabilità da contatto sociale.
Altri hanno delineato la responsabilità della P.A. nel caso di specie, come extracontrattuale[12] ovvero derivante da un danno ingiusto e da un dovere di non recare danno a terzi o di non ledere l’altrui sfera giuridica in seguito ad un comportamento doloso o colposo. Pertanto, importante è verificare se la lesione o l’alterazione di un bene debba considerarsi ingiusta in virtù dei principi e criteri risultanti dal diritto positivo[13]; a questo, secondo tale orientamento, soccorre l’art. 2043, clausola generale della responsabilità civile e fattispecie aperta ove poter far confluire una serie di casi concreti.
Tuttavia, con riferimento alla responsabilità extracontrattuale si è criticato che il cittadino venga posto in difficoltà richiedendo quasi una prova diabolica attesa la complessità di provare la condotta, il danno ed il nesso tra la condotta e il danno stesso.
Ai fini probatori per la configurazione del danno potrà considerarsi sufficiente la prova di aver confidato su situazioni giuridiche poi disattese perché non conosciute a seguito di un diniego illegittimo di accesso agli atti amministrativi, ovvero la prova della maggiore difficoltà od onerosità dell’esercizio di una attività lecita derivante da diniego illegittimo.
[1] Indipendentemente dalla natura di diritto soggettivo o interesse legittimo.
[2] D.P.R 12.04.2006 n. 184 Regolamento Regolamento recante disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi.
[3] Caringella F., Manuale di diritto amministrativo, Milano 2008.
[4] CdS, sez. IV, n. 2293 del 29.04.2002.
[5]Quello definito dalla l. 241/90 nonchè dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16/99 che ha qualificato l’accesso come interesse legittimo. Cfr. Cons. Stato, (Ad. Plen.), 24/06/1999, n.16, in Dir. Proc. Ammin., 2000, 148, nota di Cacciavillani e in Giur. It., 2000, 191. Va da sé che in materia di accesso ai documenti amministrativi regolato dagli art. 22 – 25 l. 7 agosto 1990 n. 241, il termine “diritto” va considerato atecnico, essendo ravvisabile la posizione di interesse legittimo quando il provvedimento amministrativo è impugnabile, come nel caso del “diritto” di accesso, entro un termine perentorio, in Cons. Stato, (Ad. Plen.), 24/06/1999, n.16, Cons. Stato, 1999, I, 784, in Giornale Dir. Amm., 2000, 71.
[6] Tale dottrina precedente alla riforma del 2005 rissi basava sostanzialmente sulle pronunce del CdS 4092/2002; id. 2542/2002; id., 2938/2003
[7] Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 11/01/2010, n. 24.
[8] L. 18.06.2009 n 29
[9] Costantino M. Rischi temuti. Danni attesi. Tutela Privata, Milano 2002
[10] Per un autorevole ricostruzione delle diverse posizioni in dottrina sul tema cfr. Costantino M. op cit
[11] Caringella F. op cit
[12] Taluni hanno ritenuto che questo tipo di responsabilità determinasse un onere probatorio eccessivamente gravoso
[13] Costantino M. op cit.
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