Nei prossimi mesi la Corte Costituzionale sarà chiamata ad accertare la costituzionalità o meno della norma (art. 1, comma 19, della legge n° 247 del 2007) che ha disposto per il 2008, limitatamente ai trattamenti pensionistici di importo superiore ad otto volte il trattamento minimo INPS, il blocco totale della perequazione automatica.
La perequazione è lo strumento, previsto nel nostro ordinamento, che consente, con cadenza annuale ed in favore della generalità dei pensionati, l’adeguamento dei trattamenti pensionistici, sia del settore privato che di quello pubblico, alle variazioni del costo della vita. Il fine è quello di tutelare, nel tempo e per quanto possibile, il potere d’acquisto corroso da processi inflazionistici comportanti continui aumenti del livello dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie.
Il mancato adeguamento delle pensioni in godimento al 1° gennaio 2008 alle variazioni del costo della vita accertate dall’ISTAT (+ 1,7 per cento rispetto all’anno precedente) per i pensionati interessati (oltre 600 mila) ha comportato un danno economico di rilevante portata.
Dal momento, poi, che la mancata rivalutazione del 2008 non viene restituita negli anni successivi, la stessa dà luogo ad una perdita annua che si mantiene costante per tutto il periodo in cui il pensionato continuerà a percepire il trattamento pensionistico con ripercussioni anche sulla misura della pensione di reversibilità.
Sin dal momento in cui il provvedimento è stato adottato lo stesso è apparso subito privo di ragionevolezza nonché fortemente lesivo dei principi di “adeguatezza” nel tempo dei trattamenti pensionistici e di “proporzionalità” fra pensione e retribuzione percepita nel corso dell’attività lavorativa, principi che notoriamente godono di tutela costituzionale dal momento che la pensione, lungi dall’essere una semplice prestazione previdenziale, è anche “retribuzione differita” e, come tale, meritevole di tutela particolare atteso che la stessa, a differenza dei salari, non è oggetto di alcuna contrattazione con possibilità di ridefinire periodicamente il relativo ammontare.
Da qui l’avvio di un contenzioso che ha portato in breve tempo a sottoporre all’attenzione della Corte Costituzionale la discutibilità del provvedimento in questione.
Nel corso di un procedimento civile promosso da taluni pensionati avverso la decisione dell’I.N.P.S. di non corrispondere agli interessati l’adeguamento richiesto a fronte delle variazioni registratesi nel costo della vita, il Tribunale di Vicenza – sezione lavoro – accogliendo l’eccezione di “rilevanza e non manifesta infondatezza” della questione di legittimità costituzionale della norma in questione per contrasto con gli artt. 38, secondo comma, 36 e 3 della Costituzione proposta dai ricorrenti, con ordinanza del 17 aprile 2009 ha sospeso il procedimento in corso e disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Con riferimento alla “non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 19, della legge n° 247 del 2007” il Tribunale, dopo aver sottolineato che la perequazione automatica delle pensioni erogate da tutti i regimi, compresi quelli integrativi e delle forme di previdenza complementare, è stata approntata dal legislatore in attuazione anche dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione e che le varie leggi finanziarie hanno provveduto, nel tempo, a razionalizzare la relativa disciplina prevedendo meccanismi di perequazione automatica integrale per le pensioni economicamente più contenute e parziale per quelle più elevate, rileva che, per effetto dell’art. 1, comma 19, della legge n° 247/2007, la pensione non perequata non può assolutamente considerarsi corrispondente al canone della adeguatezza sancito, per tale prestazione, dal secondo comma, dell’art. 38 della Costituzione.
“La perequazione automatica – rilegge nell’ordinanza – è, infatti lo strumento scelto dal legislatore per mantenere nel tempo l’adeguatezza delle prestazioni previdenziali imposta dall’art. 38, comma secondo, della Costituzione e la negazione dell’applicazione dell’unico istituto posto a tutela del predetto valore costituzionalmente garantito confligge evidentemente con il predetto principio costituzionale.”
“Inoltre la mancata rivalutazione dei trattamenti superiori ad un certo importo concorre ad impedire la realizzazione della proporzionalità tra pensione e retribuzione goduta nel corso dell’attività lavorativa, tutelata dal disposto degli artt. 38 e 36 della Costituzione”.
Nell’ordinanza si sottolinea anche che la totale non perequazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo più elevato viene a determinare, anche, una irragionevole disparità di trattamento tra pensioni medio-alte (totalmente esposte al rischio inflattivo) e pensioni meno elevate ( integralmente protette e garantite da tale rischio).
“Le esigenze di contenimento della spesa pubblica, della salvaguardia del bilancio dello Stato, di tenuta finanziaria del sistema previdenziale, quali manifestazioni del principio di solidarietà – si legge ancora nell’ordinanza – possono essere salvaguardate da un meccanismo normativo di perequazione parziale senza la necessità di escludere in toto il principio della perequazione per certe tipologie pensionistiche, ossia senza ricorrere ad un istituto che crea disparità di trattamento tra pensionati e che non sembra ispirato a criteri di ragionevolezza”.
Da quì le ragioni della “non manifesta infondatezza” della questione di legittimità costituzionale della norma in interesse per contrasto con gli artt. 38, secondo comma, 36 e 3 della Costituzione e la conseguente trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale previa sospensione del procedimento in corso.
Sacco Fernando
Esperto in gestione risorse umane negli enti pubblici
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