Regime giuridico delle eccezioni e delle azioni esperibili dal debitore ceduto nella cessione dei crediti ordinaria, nella cessione dei titoli di credito, nel factoring, nella cessione dei crediti d’impresa di cui alla legge 52/1991

Blasco Barbara 01/07/10

Attraverso l’istituto della cessione del credito, che rientra tra le modifiche soggettive dell’obbligazione dal lato attivo, l’ordinamento permette di traslare il credito in funzione di scambio, di liberalità o di garanzia. 

Il regime giuridico delle eccezioni e delle azioni che ha a disposizione il debitore ceduto contro il creditore cessionario, ovvero contro chi è subentrato in un rapporto obbligatorio precostituitosi tra due soggetti, s’ispira a due diversi principi. Il principio successorio, in particolare, si ricollega al subingresso di un nuovo creditore dal lato attivo di un rapporto obbligatorio preesistente; mentre quello di non aggravamento della posizione giuridica del debitore fa da corollario al primo principio ed è relativo, piuttosto, alla possibilità data al debitore ceduto, di attivare tutti gli strumenti giuridici che aveva a disposizione precedentemente, senza alcun pregiudizio per la sua posizione.

Tutto ciò, pertanto, va letto in chiave di difesa di chi (debitore ceduto) resta estraneo ad un accordo contrattuale traslativo tra il creditore cedente e colui che sarà creditore cessionario.

In altri termini, si sottolinea come la posizione giuridica del debitore è di mero “pati” e che, pertanto, non si debba aggravarla o modificarla in alcun modo.

Tuttavia, la posizione giuridica del debitore cambia sostanzialmente qualora egli abbia accettato la cessione, perché in tal caso non potrà più esperire alcuna eccezione (qual è, ad esempio, quella di compensazione). Il fatto che possa eventualmente intervenire il consenso del debitore non trasforma, però, il contratto da bilaterale a trilaterale, in quanto tale atto di assenso non equivale a riconoscimento, ma è espressione del principio di buona fede per il quale, in tal caso, il debitore non può in un primo momento intervenire nel rapporto obbligatorio accettando la cessione, per poi metterla in discussione successivamente, eccependo l’eccezione di compensazione.

Intervengono, dunque, nella cessione dei crediti, tanto i principi tutelanti il debitore ceduto, quanto le regole relative alla loro circolazione, tra le quali spicca, oltre ai principi di letteralità, autonomia ed astrattezza, anche la regola della non necessaria coincidenza tra chi è portatore del titolo e chi, invece, ne è il titolare.

Il legislatore, dunque, sembra oscillare tra due opposte esigenze di contemperamento di diversi interessi in gioco, con un occhio di riguardo alla posizione dei terzi coinvolti nel rapporto, ai quali è riconosciuta una legittimazione di carattere formale che deriva, in realtà, dal possedere il titolo di credito stesso, chiaro sintomo questo, di prevalenza e di riconoscimento massimo del regime cartolare, a tutela della celerità e snellezza dei traffici giuridico-economici.

Un cenno a parte merita la differenza nella cessione di crediti ordinaria tra cessione pro solvendo e pro soluto. Nel primo caso, infatti, la cessione viene fatta a fini di garanzia, cioè il cedente sarà liberato dalla garanzia solo quando il debitore avrà pagato, onde per cui la cessione avrà efficacia solo quando l’adempimento sia stato posto in essere.

Qualora, invece, la cessione sia pro soluto, ovvero solvendi causa, per realizzare, cioè, una funzione solutoria, il cedente, per massima tutela del cessionario, gli cederà un suo personale credito. L’accordo solutorio, quindi, ha efficacia estintiva del rapporto obbligatorio precedente.

In particolare, inoltre, occorre dire che il regime delle azioni e delle eccezioni che può sperimentare il debitore ceduto nella cessione dei crediti ordinaria è regolata dal principio per cui il credito, per essere cedibile, dev’essere relativo ad obbligazioni pecuniarie o comunque che non siano connotate dall’intuitu personae. Non si possono, inoltre, cedere quei crediti in cui vi sia un divieto di cessione o legale (per esempio i crediti c.d. litigiosi) o convenzionale, in cui, perciò, sia intervenuto un patto d’incedibilità tra le parti del rapporto obbligatorio. Tale eventuale patto d’incedibilità ha comunque un’efficacia relativa limitata nel tempo tra le parti, ma assume efficacia reale e, perciò, erga omnes, nel momento in cui le parti coinvolte vengono a conoscenza dell’intervenuta cessione e dell’operazione economica violativa, dunque, del patto d’incedibilità. Il debitore ceduto, in sostanza, per far valere l’eccezione d’incedibilità convenzionale, dovrà dimostrare che il creditore cessionario al tempo della cessione conosceva il divieto di cessione pattizia.

Ci sono, inoltre, altri tipi di eccezioni che il debitore ceduto può esperire proprio per tutelarsi verso il cessionario, ovvero quelle derivanti proprio dal titolo costitutivo del credito (per esempio i vizi che ne determinano nullità, annullabilità e rescissione).

E’, inoltre, possibile anche la cessione del credito nei contratti a prestazioni corrispettive, perché si subentra nel rapporto obbligatorio derivante dal contratto e, dunque, tutte le questioni successive al contratto possono essere oggetto di eccezioni da parte del debitore ceduto, così come potevano esserlo per il cedente.

In merito alla possibilità del debitore ceduto di esperire l’eccezione relativa alla validità ed efficacia del contratto di cessione a cui egli è rimasto estraneo, la soluzione sembra, tuttavia, negativa in quanto, avendo tale cessione effetti relativi inter partes, per poter essere eccepita dal debitore ceduto occorrerebbe una notifica di essa anche a lui. Per evitare, tuttavia, il rischio di un possibile doppio adempimento a cui potrebbe essere esposto il debitore ceduto che in buona fede, basandosi cioè sull’apparente legittimazione a ricevere del creditore cedente, abbia pagato a quest’ultimo, essendo ignaro dell’avvenuta cessione, si ritiene che in tal caso l’adempimento sia esatto e non più ripetibile, proprio in quanto la successione dal lato attivo non è stata portata a conoscenza del debitore.

La soluzione compromissoria appena vista si basa, dunque, sull’assunto per cui, se il contratto di cessione è nullo (e ciò è verificabile e deducibile sulla base dei criteri dell’ordinaria diligenza), allora il debitore ceduto può rifiutare l’adempimento al cessionario che lo richiede, per il fatto che, per effetto della nullità, egli potrebbe essere nuovamente richiesto dal creditore cedente, qualora questi facesse valere la nullità della cessione, con un consistente e rilevante rischio di un doppio adempimento.

Come già anticipato, però, la disciplina giuridica è, tuttavia, diversa a seconda se la modifica o l’estinzione del rapporto obbligatorio avvenga prima o dopo l’accettazione del debitore ceduto. Se la sua accettazione, infatti, è pura e semplice, il ceduto non potrà più esperire, ad esempio, l’eccezione di compensazione del credito. E’ chiaro, quindi, che i fatti successivi all’accettazione investono solo le questioni relative ai rapporti tra il nuovo creditore cessionario ed il cedente. Il creditore originario cedente può solo modificare con un atto pattizio o unilaterale il rapporto obbligatorio finché ha la disponibilità del diritto di credito, in quanto dopo la notifica o l’accettazione del debitore ceduto, egli non ha più alcun potere ed alcuna legittimazione relativamente al credito e non si potrà, dunque, far valere alcuna eccezione o azione verso il cessionario.

Il discorso fin qui fatto è valido tanto per il regime delle eccezioni, quanto per quello delle azioni, quali quelle di nullità, annullabilità, rescindibilità o risoluzione del contratto da cui scaturisce il credito ceduto o il conseguente rapporto. In particolare, l’azione di risoluzione, che comporta il venir meno del rapporto contrattuale e del relativo diritto di credito, qualora sia consensuale, se intervenuta prima della cessione e della relativa notifica-accettazione del debitore ceduto, sarà opponibile al cessionario proprio in quanto si tratta di una vicenda estintiva del rapporto obbligatorio e del relativo diritto di credito, ma qualora sia fatta dopo la cessione, il cedente non potrà più in alcun modo disporre del suo diritto di credito e se lo facesse sarebbe in mala fede.

Dobbiamo, inoltre, riflettere sul rapporto tra le eccezioni e le azioni derivanti dalla comune vicenda di cessione del credito e le eccezioni derivanti dal contratto di factoring, che è quel contratto ad effetti reali, considerato socialmente tipico per la sua rilevante diffusione nella pratica commerciale, ma che non ha ancora trovato, però, una sua disciplina specifica che lo contempli nella sua totalità, tanto che si applica, per quanto possibile, la disciplina giuridica dettata dalla legge 52/91, relativa alla cessione dei crediti d’impresa.

Ciò è possibile in quanto oggetto del factoring è quell’operazione finanziaria in base alla quale un’impresa produttrice di beni o servizi cede i suoi crediti commerciali, tanto presenti, quanto futuri, ad una società, factor, che provvede a riscuoterli ed anticiparli. Inoltre, con tale contratto il factor può anche fornire eventualmente informazioni commerciali o recuperare crediti.

Oggi il factoring rientra nei contratti socialmente tipici, in cui la disciplina è dettata dalle regole relative alla trasparenza bancaria e da quei moduli rilasciati da associazioni bancarie o da intermediari finanziari. Il contratto di factoring si ricostruisce diversamente a seconda dei compiti assegnati al factor, compiti che spesso portano a considerare tale contratto come collaborativo e gestorio, alla stregua, in sostanza, del mandato o, viceversa, come contratto avente una funzione tipica di finanziamento. Ciò induce parte della dottrina a ritenere che si tratti di un contratto misto o complesso in cui viene in rilievo il ruolo strumentale della cessione rispetto ad un più vasto programma di “organizzazione” che fa ascrivere tale contratto al genus dei contratti di collaborazione tra imprese. Resta, però, fermo il fatto che, relativamente al profilo traslativo del credito, trovano applicazione, in quanto compatibili, le regole sulla cessione del credito.

Dubbia è, dunque, l’identificazione tra il contratto di factoring e la cessione dei crediti d’impresa, tanto che ci si è chiesti se sia possibile identificare il regime giuridico delle eccezioni e delle azioni a disposizione del debitore ceduto verso l’impresa di factoring e quelle che per legge spettano al debitore ceduto nella cessione dei crediti d’impresa.

In merito al trasferimento dei titoli di credito dall’impresa cedente a quella di factoring, occorre dire come si sono fronteggiate sul punto due opposte tesi, dato il fatto che è piuttosto complesso il meccanismo con cui si realizza lo schema traslativo in questione.

Secondo la prima tesi, esso si verifica secondo lo schema della cessione dei crediti di massa presenti e futuri, il cui effetto traslativo è, però, sottoposto alla condizione sospensiva dell’accettazione o gradimento del factor (che verifica la solvibilità del ceduto), onde per cui nessun atto di trasferimento è, in realtà, richiesto; secondo altro orientamento, invece, essendo il factoring un contratto di gestione globale di affari d’impresa, le cessioni dei singoli crediti sono singoli atti esecutivi di un contratto preliminare concluso tra le parti o di un contratto quadro di natura normativa che non ha, come il primo, effetto vincolante ovvero di un contratto di programma che ha ad un tempo valenza normativa e preliminare.

Le due tesi, in sostanza, ruotano attorno alla diversa funzione assolta dal contratto di factoring, a seconda, dunque, se si considera questo avente come scopo precipuo la cessione o il trasferimento attuale o differito dei crediti, oppure se, al contrario, si attribuisce al factoring una principale funzione organizzativa e di cooperazione, in cui il trasferimento del credito ha solo funzione strumentale ai più ampi compiti di collaborazione tra cedente e factor.

Un contemperamento a tali opposte tesi si è avuto con la legge 52 del 1991, normativa in parte integrativa, in parte derogatoria della cessione dei crediti d’impresa, con la quale il legislatore non ha inteso disciplinare il contratto di factoring, ma solo disciplinare certi aspetti oscuri, chiarendo che per la cessione dei crediti d’impresa occorre che i soggetti siano obbligatoriamente forniti di determinati requisiti soggettivi che li rendano soggetti qualificati (si pensi, ad esempio, all’iscrizione in appositi albi ed all’obbligatorio controllo esercitato dalla Banca d’Italia). Dal punto di vista oggettivo, invece, i crediti devono essere stati acquistati nello svolgimento dell’attività imprenditoriale dell’impresa del cedente. In particolare, inoltre, il contratto di cessione dei crediti d’impresa dovrà obbligatoriamente assumere forma scritta ad substantiam actus ed il factor essere un’impresa con compiti istituzionali creditizi e d’intermediazione finanziaria, avente per scopo prevalente la gestione dei crediti d’impresa.

Qualora, invece, i requisiti oggettivi e soggettivi, atti a permettere l’applicazione della legge 52 del 1991 sui crediti d’impresa, non siano rispettati, saranno applicate le regole generali descritte dal codice civile relativamente alla cessione ordinaria del credito (pro solvendo), con tutto il conseguente regime di azioni ed eccezioni esperibili dal debitore ceduto.

E’ bene sottolineare a tal proposito come il contratto di factoring sia caratterizzato da tre tipi di eccezioni relative al cedente che il ceduto può opporre al factor, ovvero quelle che ineriscono alla validità del contratto, quelle che ineriscono all’esistenza del credito, quelle inerenti all’estinzione del credito stesso.

Per quanto attiene alle prime, poiché l’oggetto del trasferimento è sempre il credito e non la fonte di esso, se esse sono fondate su un vizio genetico, proprio in quanto generato dal contratto stesso, sono sempre opponibili al cessionario.

Le eccezioni relative all’estinzione o modificazione del credito, derivanti da risoluzione, adempimento o compensazione, non sono opponibili al cessionario tutte le volte in cui il fatto estintivo o modificativo si è verificato dopo che il debitore è venuto a conoscenza della cessione.

Sulla circolazione dei titoli di credito e sul regime delle azioni e delle eccezioni a disposizione di chi ne è titolare, occorre, a parere di chi scrive, sottolineare come il trasferimento dei titoli di credito sia connotato dai principi di letteralità, autonomia ed astrattezza e come per la cessione del diritto di credito derivante dal titolo sia necessario distinguere i titoli al portatore (che legittimano chi ne ha il semplice possesso, in quanto richiedono solo la consegna, affinché possa operare la cessione del credito in esso incorporato) dai titoli all’ordine o nominativi (accomunati entrambi da un regime circolatorio che consente d’individuare ai fini della legittimazione chi ha il possesso qualificato).

I titoli all’ordine s’incentrano sul meccanismo della girata che permette al giratario di essere immune da azioni di rivendica da parte dell’effettivo titolare del diritto derivante dal titolo, finchè si dimostri la buona fede nell’acquisto di esso.

Nei titoli nominativi, invece, l’esigenza è quella di garantire sia la celerità nella circolazione dei crediti, sia la certezza giuridica di colui che è ultimo giratario e ciò avviene con la contemporanea annotazione del trasferimento del titolo sia su questo che sul registro dell’emittente. Il tutto, ovviamente, si coniuga con l’esigenza di garanzia dei terzi anche a fronte di possibili scissioni tra titolarità dei titoli di credito e legittimazione a disporne.

Occorre, in ogni caso, distinguere a seconda che venga in rilievo il rapporto diretto tra cedente e cessionario, ovvero il rapporto con i terzi (debitore originario, successivi cessionari).

Nei rapporti tra le parti, nonostante i connotati dell’autonomia, astrattezza e letteralità del titolo che incorpora il diritto di credito e, benchè specie nei titoli all’ordine e nominativi la cessione venga evidenziata dalla girata o dalla doppia annotazione accompagnata dal possesso del titolo, rileva anche il rapporto sottostante intercorso tra cedente e cessionario ai fini dell’opponibilità delle eccezioni e dell’esperimento delle cd. azioni causali (così come avviene nei rapporti tra emittente del titolo e primo prenditore), oltre che di quelle cartolari fondate sul contesto letterale del titolo.

Nei confronti del debitore ceduto (emittente del titolo o successivi giratari), invece, operano i principi dell’autonomia e dell’astrattezza che governano la circolazione dei titoli di credito sicché, per ragioni di rapidità della circolazione e per la tutela dei terzi, nei loro confronti le eccezioni attinenti ai rapporti sottostanti tra cedente e cessionario (girante e giratario) non possono essere opposte ai successivi cessionari (così come il debitore ceduto non può opporre al cessionario, secondo prenditore giratario, le eccezioni attinenti al rapporto fondamentale). Ciò dipende dal fatto che ogni vicenda circolatoria ha una sua autonomia e gode di un’astrazione dai rapporti sottostanti (ossia dalla propria causa di giustificazione), sicché ogni successivo acquisto del titolo da parte di un terzo si ritiene avvenuto in via originaria in ragione della sua inattaccabilità da parte di terzi, quando fondato sul possesso di buona fede accompagnato dal rispetto delle regole formali attinenti alla sua circolazione (serie continua di girate, annotazioni etc.) non dissimilmente da quanto previsto dall’art.1153 c.c, in quanto può verificarsi una divaricazione tra titolarità e legittimazione.

Le uniche eccezioni opponibili ai terzi, da parte del debitore ceduto o dal cedente nei confronti degli altri cessionari, sono quelle fondate sul contesto letterale del titolo o sulla falsità della firma, ferma restando l’exceptio doli nel caso in cui il trasferimento sia stato operato al solo scopo di danneggiare il debitore.

Blasco Barbara

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