Abstract: L’Autrice, attraverso una lettura anche attenta all’etimo delle parole usate dal legislatore, mette in luce le radici personalistiche che ispirano la legge 24 giugno 2010 n. 107 sulla sordocecità.
Nell’alveo di un percorso di maturazione legislativa cominciato con la legge 104/1992 “Legge -quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, dopo lunghi lavori preparatori e a tre mesi dall’emanazione di un’altra legge rilevante in materia sanitaria, la legge 15 marzo 2010 n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, è stata promulgata la legge 24 giugno 2010 n. 107 “Misure per il riconoscimento dei diritti alle persone sordocieche”, che ha colmato un altro gap della legislazione italiana rispetto a quella degli altri Stati europei.
I principali progressi della legge n. 107 in commento, rispetto al quadro normativo previgente, sono: il riconoscimento della sordocecità come disabilità specifica unica, l’unificazione delle indennità percepite dai sordociechi e l’unica visita medica con entrambi gli specialisti competenti per l’accertamento della sordocecità.
La suddetta legge rinvia agli indirizzi della Dichiarazione scritta sui diritti delle persone sordo-cieche del Parlamento Europeo del 12 aprile 2004. Sarebbe stato opportuno riprodurne il contenuto visto che da molti è passata inosservata. Innanzitutto la Dichiarazione fa riferimento al principio di dignità umana per sottolineare che quanto riconosciuto ai sordo-ciechi non è un impegno degli Stati, ma attiene alla dignità umana. Talvolta, come in questo contesto, il riferimento alla dignità è abusato o pleonastico giacché alcuni diritti o situazioni appartengono alla persona in quanto tale e non ci sarebbe bisogno di ricorrere al concetto di dignità già insito in quello di persona.
Nella lettera A della Dichiarazione si menzionano “difficoltà nell’accesso all’informazione, alla comunicazione e alla mobilità” che sono contingenze che ostano alla formazione, alla relazione interpersonale e alla libertà della persona. Successivamente nella lettera D si parla di “sostegno specifico” e non specializzato, pertanto si bandisce quell’estrema parcellizzazione che oggi si è avuta nella medicina e in altre scienze umane e che fa perdere di vista la dimensione olistica della persona. Poi si leggono locuzioni come “incentrata sulla persona” e “sostegno personalizzato”, quindi l’attenzione della Dichiarazione è per la “persona” e non per l’“individuo” (termine che, significando singolo, si addice ad ogni essere animale o vegetale), si richiede cioè la personalizzazione e non l’individualizzazione (come invece previsto, per esempio, nella legislazione scolastica passata in cui si parlava di interventi individualizzati). Etimologicamente, psicologicamente e filosoficamente la persona è un essere che si rapporta con altri. La socialità, ed in particolare la relazionalità, è struttura fondante della persona (per tutti, il filosofo Emmanuel Lévinas). Quella relazionalità che è dimostrato avere una forte valenza diagnostica, catartica e terapeutica; basti pensare ai risvegli dal coma o all’individuazione di casi di “sindrome del chiavistello” in quelli che sono impropriamente chiamati stati vegetativi, proprio grazie a persone che continuano ad interagire con coloro che si trovano in queste condizioni estreme. A conferma che l’obiettivo della Dichiarazione è la centralità della persona sordo-cieca e la sua relazionalità, tra i diritti menzionati espressamente, è richiamato il diritto di partecipare alla vita democratica e per due volte quello alla formazione.
Purtroppo nella nostra legge n. 107, pur ispirandosi all’esaminata Dichiarazione, non mancano contraddizioni e lacune. Dopo aver individuato quali destinatari le persone sordocieche si torna a parlare in maniera asettica di “soggetti” negli articoli successivi (per es. art. 2 comma 3). Compare l’ipocrita clausola “nei limiti delle risorse disponibili” (art. 4). Nell’art. 4 si ricordano i “progetti individuali” previsti nell’art. 14 della legge 328/2000 e non si è pensato di denominarli “personalizzati” in maniera conforme al lessico e alla ratio della Dichiarazione, come pure si legge “integrazione sociale” che ha un’accezione limitativa a fronte del diritto alla partecipazione di cui all’art. 3 comma 2 della nostra Costituzione e rimarcato nella Dichiarazione europea. Ai sensi dell’art. 117 Cost. nell’art. 5 si fissano le competenze delle Regioni; si dice “possono individuare” anziché “individuano” e non si è nemmeno tenuto conto dei tagli ai fondi delle Regioni e ai già esistenti divari tra le Regioni in materia socio-sanitaria. La formazione è intesa solo in senso professionale e non permanente (art. 5). Pur riportando le locuzioni della Dichiarazione “sostegno specifico” e “sostegno personalizzato” si continua a parlare di “assistenza individuale” (art. 5), trascurando che assistenza e sostegno sono diversi sia dal punto di vista concettuale sia da quello etimologico; in ogni caso sarebbe più adeguato parlare di sostegno perché riecheggia il modo di dire “prendere in carico”, paradigmatico nel gergo socio-sanitario.
Inoltre sarebbe stato preferibile prevedere, come in altre leggi, una campagna di sensibilizzazione visto che nei confronti delle persone con disabilità persiste un clima di indifferenza o di insofferenza tanto che, talvolta, può sembrare strano anche che abbiano una vita sentimentale e sessuale. Indifferenza, insofferenza o peggio ignoranza che persistono e non sono ancora sufficienti a contribuire a superarle le numerose manifestazioni di divulgazione dei diritti delle persone disabili e del loro “mondo”, come l’Handicap Day che si tiene a Roma e che quest’anno ha raggiunto la terza edizione. La persona è tale anche quando è priva di uno dei cinque sensi, perché ciò che la caratterizza, tra l’altro, sono le sensazioni e i sentimenti che prova e fa provare. Emblematico il caso di una bambina che, pur non “sentendo” e pur “rispondendo” scarsamente a stimoli, sorride quando “ascolta” il motivetto del cartone animato Heidi.
Perlomeno, ribadendo il principio di solidarietà e il diritto alla salute, con questa legge si dimostra che, nonostante gli attacchi, la nostra Costituzione è ancora vitale e fondamentale.
La legge sulla sordocecità ripropone, altresì, ai cosiddetti abili o normali i quesiti sull’essere persona, sul suo inizio e sulle scelte di fine vita. Occorre sempre più rendersi conto che tutti siamo caratterizzati da fragilità, che possiamo essere colti da un’infermità, bisogna acquisire quello che qualcuno ha chiamato “sguardo analogico o visionario” per non usare la formula trita di capacità empatica.
Non è sufficiente rivedere la terminologia o la legislazione, ma è necessario riconquistare le capacità di relazione e di attenzione che ci fa essere persone. Bisognerebbe fare in modo che efficaci iniziative – come quella del Policlinico Gemelli di Roma che, nel settembre 2010, è stato il primo ad aver installato un percorso, per chi entra nella struttura, che “parla” ai non vedenti, o quella a Matera di guide turistiche che hanno accompagnato i non vedenti in una sorta di percorso tattile per sperimentare che il gusto estetico non passa solo attraverso la vista – non restino isolate e che non facciano più notizia ma appartengano alla quotidianità.
In ultima analisi quest’intervento legislativo è un “sostegno” per farci riconoscere la nostra sordocecità e recuperare la cultura della persona e del sodalizio tra le persone.
Dott.ssa Marzario Margherita
Docente, laureata in giurisprudenza e perfezionata in legislazione minorile, cultrice di scienze umane
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