La legge 4 novembre 2010 n.183, c.d. Collegato Lavoro, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 243 della G.U. del 9 novembre 2010 n. 262, all’art. 4 modifica, ancora una volta, la disciplina della c.d. “maxi sanzione” sul lavoro nero, contenuta nell’art. 3 del D.L. 12/2002 convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2002 n.73 e successive modificazioni.
Le novità, rispetto alla disciplina previgente sono tante, proviamo di seguito ad illustrarle.
La nuova fattispecie dell’illecito amministrativo
In primo luogo viene meglio specificata la fattispecie dell’illecito, costituita prima della modifica in esame “dall’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria…” Secondo la nuova formulazione della norma, la c.d. “maxi sanzione” sarà invece applicata in caso di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro.
A seguito dell’abolizione del Libro matricola e dalle registrazioni giornaliere sul Libro di Paga, sostituito con il Libro Unico del Lavoro (la cui formazione è differita al 16° giorno del mese successivo a quello in cui si svolge il lavoro), il nuovo criterio scelto dal legislatore per stabilire se un lavoratore è “in nero” è quello di verificare se è stata effettuata o meno la comunicazione di assunzione preventiva al Centro per l’impiego tramite il sistema informatico competente.
Pertanto poichè lo scopo della norma è quello di sanzionare i rapporti di lavoro totalmente sconosciuti alla Pubblica Amministrazione, il legislatore ha preferito collegare la c.d. maxi sanzione al mancato adempimento della comunicazione di assunzione obbligatoria che, dal 1 gennaio 2007, deve effettuarsi entro il giorno antecedente all’assunzione ai sensi dell’ art. 9 bis, commi 1 e 2 del D.L. 510/96 convertito con modificazioni nella legge 28.11.1996, n. 608, come sostituito dall’art. 1, comma 1180, legge 27.12.2006 n. 296.
Ad attenuare la rigidità del criterio scelto per riconoscere “il nero”, il nuovo comma 4 dell’art. 4, prevede che la sanzione non è applicabile “qualora dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione” .
Pentanto anche in assenza della comunicazione di assunzione il datore di lavoro potrà provare la “regolarità” del rapporto attraverso gli adempimenti contributivi, come le dichiarazioni delle retribuzioni erogate mensilmente con invio dei modelli Uniemens INPS, ovviamente effettuate prima dell’inizio degli accertamenti ispettivi.
Si noti che gli unici adempimenti idonei ad escludere il lavoro nero sono quelli contributivi. Eventuali adempimenti fiscali (ad esempio il versamento delle ritenute d’acconto per prestazioni occasionali ex art. 2222 c.c.) pur aventi data certa anteriore all’ispezione, per la lettera della legge, non escluderebbero l’applicazione della maxisanzione. Così come divengono irrelevanti, a differenza che nel passato, persino le registrazioni sul Libro unico del Lavoro anteriori ai controlli, se non seguite dagli adempimenti contributivi.
Per escludere l’applicazione della sanzione sono idonei anche gli adempimenti contributivi riferiti a tipologie lavorative differenti dal lavoro subordinato (si pensi ai versamenti contributivi alla gestione speciale INPS per co.co.pro. o associati in partecipazione) anche se poi il rapporto dovesse essere qualificato come dipendente.
A differenza della precedente formulazione, la sanzione riguarda soltanto l’impiego irregolare di lavoratori subordinati. Non si potrà più applicare la “maxisanzione” quando i lavoratori risultino occupati con contratti di lavoro parsubordinato come mini co.co.co., collaboratori a progetto o associati in partecipazione con apporto di lavoro, anche se per tali tipologie rimane l’obbligo della comunicazione preventiva dell’inizio del rapporto.
Ovviamente non potrà in nessun caso applicarsi la “maxisanzione” a quelle tipologie lavorative per le quali la legge non prevede l’obbligo di comunicazione, essendo questa elemento costitutivo della nuova fattispecie dell’illecito, come nel caso delle prestazioni occasionali accessorie ex art. 70 del D.lgs. 276/03 o le prestazioni occasionali ex art. 2222, purchè genuine.
Rapporto tra Maxisanzione per “lavoro nero” e omessa comunicazione di assunzione.
L’applicazione della maxisanzione non esclude l’applicazione di altre sanzioni relative al medesimo rapporto di lavoro irregolare, cosi come indicato dalla stessa norma (Ferma restando l’applicazione delle sanzioni già previste dalla normativa in vigore..) Ma il nuovo testo costruisce la fattispecie di illecito sulla mancata comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro, ovvero su un elemento che è comune con altro illecito amministrativo sanzionato da una altra norma, l’art. 19 del D.Lgs. 276/2003. Dunque il medesimo fatto illecito (l’occupazione di lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione di assunzione) sarebbe astrattamente punibile con due sanzioni amministrative diverse.
Si tratterebbe, a parere di chi scrive, di un concorso apparente di norme risolvibile secondo il principio di specialità di cui all’art. 9 della legge 689/81, non essendo possibile che il medesimo fatto illecito possa essere sanzionato due volte (ne bis in idem).
Tale ultima norma, che introduce l’applicazione del criterio di specialità agli illeciti depenalizzati, stabilisce che quando lo stesso fatto è punito da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.
Seguendo questo orientamento, occorrerà dunque stabilire quale tra le due norme, quella dell’art. 4 della legge 183/2010 (c.d. Maxisanzione) e quella della omessa comunicazione di assunzione, punita dall’art.19 Dlgs. 276/03, sia speciale rispetto all’altra.
E poichè l’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego ha evidentemente carattere generale, riguardando anche i rapporti di lavoro parasubordinato ed autonomo, a differenza della maxisanzione che è limitata ai rapporti di lavoro subordinato, deve ritenersi quest’ultima speciale rispetto alla prima.
In ogni caso appare evidente come la fattispecie più grave, punita con la maxisanzione, assorba l’intero disvalore sociale dell’altra (la semplice omissione della comunicazione di assunzione).
Pertanto l’applicazione della maxisanzione dovrebbe escludere la sanzione per la omessa comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, secondo il disposto dell’art. 9 della legge 689/81.
Sul punto sarebbe auspicabile un chiarimento da parte del Ministero del Lavoro.
Il soggetto attivo dell’illecito
Prima della legge in esame gli autori dell’illecito potevano essere tutti i datori di lavoro, ora la sanzione è riservata ai soli datori di lavoro privati con espressa esclusione dei datori di lavoro domestico. Dunque non potrà applicarsi la “maxisanzione” a tutti i datori di lavoro pubblici, la cui qualifiacazione però non è sempre agevole (si pensi agli enti ex IPAB) e dovrà verificarsi caso per caso , anche alla luce del D.Lgs. 165/2001 e della giurisprudenza. Stessa cosa per i datori di lavoro domestici ai quali potranno applicarsi soltanto sanzioni minori, previste per omissioni di singoli adempimenti amministrativi, nonstante quello delle COLF e badanti sia un settore lavorativo dove il ricorso la “lavoro nero” è molto diffuso.
I nuovi importi delle sanzioni
La nuova disciplina prevede una sanzione amministrativa del medesimo importo della precedente da euro 1.500 aeuro 12.000 per ciscun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo, ma ne aggiunge una “attenuata” nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo. In quest’ultimo caso la sanzione varia da euro 1.000 a 8.000 per ciscun lavoratore irregolare, maggiorata di euro 30 per ciascuna giornata di lavoro irregolare.
Con la sanzione meno alta il legislatore ha voluto punire meno severamente quei periodi c.d. “di prova” in nero che comunemente i datori di lavoro fanno fare ai dipendenti prima di assumerli. Pertanto la norma andrebbe interpretata nel senso che è sanzionabile in forma attenuata solamente il periodo in nero seguito da un periodo di lavoro regolare senza soluzione di continuità, altrimenti qualsiasi assunzione successiva, anche a distanza di molti giorni, giustificherebbero l’applicazione della minor sanzione.
Oltre alla sanzione amministativa, per il medesimo fatto, la precedente formulazione della norma prevedeva che l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi applicate dagli Istituti previdenziali, non potesse essere inferiore a euro 3000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata.
L’art. 4 della legge in esame invece dispone che l‘importo delle sanzioni civili, previste dall’art. 116
comma 8, lett. b) della legge n. 388/2000, connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciscun lavoratore è aumentato del 50 per cento, senza più alcun limite minimo. Si tratta di un importante “alleggerimento” delle sanzioni civili se si pensa che, anche per pochi giorni di “lavoro nero”, queste non potevano essere di importo inferiore ai 3000 euro.
Diffidabilità della maxisanzione
Mentre la disciplina previgente espressamente non ammetteva l’illecito punito con la “maxisanzione” alla procedura della diffida di cui all’art. 13 del decreto legislativo 23.04.2004 n.124, il testo modificato non dispone più questa preclusione.
Pertanto, anche alla luce del nuovo art. 13 del D.lgs.124/04, come sostituito dall’art. 33 della stessa legge n. 183/2010, il personale ispettivo che accerti la nuova fattispecie di illecito dovrà provvedere a diffidare il trasgressore, e l’eventuale obbligato in solido, alla regolarizzazione della violazione (constituita dalla mancata comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro) in quanto materialmente sanabile, con conseguente ammissione alla sanzione minima.
Infatti in caso di ottemperanza alla diffida la legge prescrive che il trasgressore sia ammesso al pagamento della sanzione al minimo edittale ovvero in misura di un quarto della sanzione stabilita in misura fissa. Nel caso della “maxi sanzione” dunque il trasgressore che abbia regolarizzato deve considerarsi ammesso al pagamento di una sanzione pari a 1.500 o 1.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, aumentata di € 37,50 (150:4) o di € 7,50 (30:4) per ciscuna giornata di lavoro “in nero”, a seconda che il lavoratore risulti o meno regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo.
Si noti che tale intepretazione, conforme con il carattere premiale dell’istituto della diffida, finalizzata alla regolarizzazione, sarebbe in contrasto con l’interpretazione data sino ad ora dal Ministero del Lavoro circa la natura della maggiorazione dei 150 euro.
Infatti nella circolare nr. 29 del 28.09.2006 della Direzione Generale per l’attività Ispettiva si sottolineava, con riguardo alla maxisanzione: ” trattasi di una sanzione proporzionale che prevede un importo minimo e massimo (€ 1.500 – € 12.000) ed un importo in misura fissa di €150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo. Tale ultimo importo (€ 150 giornaliere) costituisce una mera maggiorazione della sanzione edittale e perciò per essa non trova applicazione l’art. 16 della legge 689/81.”
La norma contenuta nell’art. 16 citato, ammette il trasgressore di un illecito amministrativo, entro 60 giorni dalla contestazione, al pagamento della sanzione in misura ridotta pari alla terza parte del massimo della sanzione prevista o, se più favorevole, al doppio del minimo della sanzione edittale.
Dunque seguendo la logica della circolare n. 29/2010, l’importo dei 150 € della maxisanzione non sarebbe riducibile di un quarto, così come non lo sarebbe di un terzo ai sensi del’art. 16 della L. 689/81, in quanto costituirebbe una mera maggiorazione della sanzione edittale.
Applicabilità alla “maxisanzione” dell’art. 16 della legge 689/81
A parere dello scivente tale interpretazione non può essere condivisa in quanto basata sul presupposto che l’importo dei 150 euro sia “qualcosa di diverso” dalla sanzione amministrativa. In realtà esso costituisce il fattore per la determinazione di una sanzione pecuniaria calcolata in modo proporzionale (in base ai giorni di lavoro) e dunque sanzione amministrativa anch’essa, e come tale soggetta alla relativa disciplina generale del Capo I della legge 689/81. Tanto è vero che tale importo potrà ora venire ridotto di un quarto a seguito di ottemperanza alla diffida ai sensi dell’art. 13, 3° comma, del D.lgs. n.124/04. Non sarebbe infatti coerente con lo scopo stesso della diffida prevedere la riduzione al minimo di una sola parte della sanzione lasciando invarito l’importo di gran lunga più rilevante (si pensi al caso di rapporti di lavoro in nero durati mesi o anni … )
Se quanto detto è vero, ne segue logicamente che anche per la maxisanzione, in caso di non ottemperanza alla diffida, dovrà trovare applicazione il citato art. 16 della legge 689/81 con la conseguenza che nel verbale unico di accertamento e notificazione, redatto dal personale ispettivo, anche per l’illecito in esame dovrà essere indicata la possibilità di estinguere l’infrazione attraverso il pagamento della sanzione in misura ridotta.
Di fatto, secondo chi scrive, il trasgressore che non ottemperi alla diffida nel termine di legge (e che dunque non possa essere ammesso al pagamento minimo), potrà comunque pagare, entro i succesivi 60 giorni, la maxisanzione nella misura ridotta di € 3.000 (o € 2.000 per la fattispecia “attenuata”) – pari al doppio del minimo della sanzione edittale – maggiorata di € 50,00 (o € 10,00) – pari ad un terzo della sanzione – per ogni giorno di lavoro irregolare.
Anche su questo punto si attende un chiarimento da parte del Ministero del Lavoro.
L’Autorità competente ad emettere l’Ordinanza ingiunzione
Il nuovo testo stabilisce che “all’irrogazione delle sanzioni amministrative provvedono gli organi di vigilanza che effettuano accertamenti in materia di lavoro, fisco e previdenza” specificando però, nel periodo successivo, che “autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’art.17 della legge 24.11.81 n. 689, è la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.”
Il testo normativo è sostanzialmente analogo al precedente dove si stabiliva che “alla irrogazione della sanzione amministrativa provvede la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente”. Ma mentre nella vecchia formulazione il termine irrogazione era usato correttamente con riferimemnto alla DPL, non altrettanto si può dire per il nuovo testo, che sembra attibuire ad organi diversi il potere di infliggere la sanzione amministrativa.
In realtà le sanzioni amministrative sono determinate ed ingiunte (irrogate) con Ordinanza Ingiunzione emessa dall’autorità competente a ricevere il rapporto ai sensi dell’art. 18 della legge 689/81. Tale autorità è individuata, dallo stesso art. 4 della legge 183/10 in esame, nella Direzione Provinciale del Ministero del Lavoro.
Pertanto la norma si deve interpretare nel senso che gli atti di accertamento e di contestazione di cui agli artt. 13 e 14 della l. 689/81, potranno essere compiuti, per l’illecito in esame, oltre che dagli ispettori del lavoro e carabinieri del Ministero, anche dagli ispettori di vigilanza degli enti previdenziali (INPS, INAIL, ENPALS), dai militari della Guardia di Finanza e dagli Ispettori dell’Agenzia dell’Entrate in quanto preposti ai controlli in materia di lavoro, fisco e previdenza.
Questi, una volta accertato e contestato l’illecito ai trasgressori, dovranno provvedere a presentare il rapporto di cui all’art. 17 della l. 689/81 alla DPL competente per territorio.
Pala Massimiliano
Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’amministrazione pubblica di appartenenza.
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