Cessione di ramo d’azienda-Insussistenza –Conseguente invalidità della cessione del contratto di lavoro per mancanza del consenso del lavoratore -Conseguenza –Situazione qualificabile come sospensione di fatto del lavoratore-.
Ove alla dichiarazione di invalidità della cessione di un ramo di azienda consegua la dichiarazione d’ invalidità della cessione del rapporto di lavoro da una Società ad altra ******à collegata,per mancanza del consenso del lavoratore interessato, si determina una situazione qualificabile in termini di sospensione di fatto del lavoratore e ove si verifichi il rifiuto unilaterale,ingiustificato, del datore di lavoro, costituito in mora, di ricevere la prestazione,ne consegue in base ai principi generali dei contratti sinallagmatici[costituendo l’obbligazione retributiva corrispettivo della prestazione di lavoro] che il lavoratore può ottenere soltanto il risarcimento del danno[in linea generale nella misura corrispondente alla retribuzione].
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
rilevato:
– che l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso proposto dall’Azienda “TI” per intervenuto pagamento di quanto portato nel precetto notificato dal Sig. Punz in forza del decreto ingiuntivo 973/2008 oggetto della presente opposizione è infondata.
E’ pacifico che il pagamento, anche senza riserva, di quanto liquidato in condanna non comporta acquiescenza al relativo provvedimento, trattandosi di fatto equivoco che può essere determinato dal fine di evitare l’esecuzione forzata, e ciò anche se non sia stata minacciata l’esecuzione o intimato il precetto (come nella fattispecie è invece addirittura avvenuto): cfr., da ultimo, Cass., 11 giugno 2009, n. 13630; id.: Cass. 1 dicembre 2000 n. 1242, Cass. 7 marzo 1995 n. 2618 e altre;
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che a base della pretesa azionata in sede monitoria il Sig. Punz. ha dedotto le seguenti circostanze: “3) In esito a tale vertenza codesto Tribunale di Genova, Sez. Lavoro, emetteva la sentenza n. 42/08 dell’11 gennaio 2008 con la quale in accoglimento delle istanze dell’esponente: `PQM il Giudice definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così decide: dichiara la nullità della cessione del contratto di lavoro intercorrente tra il ricorrente e TI alla TNT, comunicata al ricorrente con lettera del febbraio 2003, con conseguente permanenza del rapporto di lavoro con TI ; 4) successivamente a tale pronuncia, mediante raccomandata 25 gennaio 2008 (ricevuta da TI il 1 ° febbraio 2008), il Sig. Punz.provvedeva a formalmente porre le proprie energie lavorative a disposizione della datrice di lavoro, espressamente precisando che tale comunicazione aveva valore di costituzione in mora; 5) sulla scorta di tale mora accipiendi ex art. 1206 c. civ. il ricorrente ha in oggi maturato uh credito …. omissis…..;
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che TI ha ricorso in opposizione contro il decreto ingiuntivo deducendo, oltre ad altro, che il Sig. Punz. nel periodo per cui è causa lavorava alle dipendenze dell’azienda (pur invalidamente) cessionaria del ramo di azienda facente capo a TI, per cui egli ha ricevuto l’importo richiesto con l’ingiunzione quale retribuzione della prestazione lavorativa resa a favore di TNT, “sicché il pregiudizio economico che a questi deriva dal mancato svolgimento della prestazione a favore di TI semplicemente non esiste, poiché viene regolarmente retribuito dall’Azienda cessionaria” (cfr. ricorso in opposizione, p. 13);
che il Sig.Punz. , costituendosi in giudizio ha contestato nell’an la citata pretesa di TI (cfr. pp. 7-8 della memoria di costituzione), ma non ha sollevato rilevi relativamente all’esattezza e alla veridicità del quantum, per cui il fatto dell’esatta corrispondenza tra quanto oggetto dell’ingiunzione e quanto percepito dal Sig. Punz. da TNT nel periodo rilevante può darsi per acquisito;
che l’opposizione è fondata e deve essere accolta;
che nella fattispecie a seguito della dichiarazione di invalidità della cessione del contratto di lavoro individuale intercorrente tra il *********** TI a beneficio di TNT si è verificata, da parte di TI, una situazione qualificabile in termini di sospensione di fatto del lavoratore, con rifiuto unilaterale del datore di lavoro di riceverne le prestazioni. Tale sospensione lascia immutati gli obblighi nascenti dal rapporto, ed in particolare quello di corrispondere la retribuzione. Tuttavia, in linea con i principi generali dei contratti sinallagmatici, costituendo necessariamente l’obbligazione retributiva il corrispettivo della prestazione di lavoro, quando la prestazione manchi per causa imputabile al datore di lavoro, il lavoratore può ottenere soltanto il risarcimento del danno (in linea generale, nella misura corrispondente alla retribuzione), subito a causa dell’impossibilità della prestazione cagionata dal rifiuto ingiustificato del datore di lavoro, concretante inadempimento contrattuale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1223 c.c.. Donde la necessità, per ottenere il risarcimento, che il lavoratore si attivi per offrire l’esecuzione delle prestazioni, costituendo in mora il datore di lavoro nelle forme di cui all’art. 1217 c.c..Ciò che ha puntualmente fatto il Sig. Punz, come già sopra ricordato.
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I principi sopra riferiti sono comunemente affermati dalla giurisprudenza consolidata in materia di conseguenze della conversione di contratti a termine (si menzionano tra le numerose decisioni, Cass. n. 5932/1998, 5821/2000; 14882/2000; 10782/2000; 12697/2001; 9962/2002: 17524/2002), e non vi è motivo di discostarsene nella fattispecie per cui è causa, anch’essa connotata dalla continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’originario datore;
che lo stesso ricorrente è ben consapevole dell’operatività dei suddetti principi anche con riferimento al proprio caso, avendo invocato (cfr. p. 9 della memoria costitutiva) Cass. S.U., 14381/2002, nella cui motivazione – parte non trascritta in memoria- si legge peraltro “deve essere qui riaffermato il principio secondo cui nel caso di illegittima apposizione del termine a un contratto di lavoro, al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa, determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro; in base allo stesso principio si deve escludere anche il diritto del lavoratore ad un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute per il periodo successivo a detta scadenza (Cass. 27 giugno 1996 n. 5930, 27 febbraio 1998 n. 2192, 26 maggio 2001 n. 7186, 17 ottobre 2001 n. 12697 cit.). Questo enunciato si collega alla regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, da cui deriva che al di fuori di espresse deroghe legali o contrattuali la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora credendi nei confronti del dipendente (cfr. in questo senso, con riferimento a diversa fattispecie, Cass. Sez. Un. 27 luglio 1999 n. 508)”, nel qual caso egli avrà diritto al risarcimento del danno (e non alla retribuzione) da parametrarsi alla retribuzione che sarebbe stata goduta;
che gli effetti della mora del creditore sono quelli descritti dall’art. 1207 e. civ.: per quanto qui rileva, la liberazione del debitore nel caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a lui non imputabile; e, appunto, l’obbligo del risarcimento dei danni derivati al debitore della prestazione per l’inadempimento del creditore-datore di lavoro;
che per quanto riguarda il risarcimento dei danni sofferti dal lavoratore per l’illegittimo rifiuto della prestazione da parte del datore non può non tenersi conto dell’aliunde perceptum dedotto da IT, derivando esso
unicamente dall’impiego della medesima capacità lavorativa che il Sig. Punz., pur offrendola alla stessa IT, ha, di fatto, messo a disposizione di TNT, per cui ricorrono pacificamente (cfr., tra le altre, Cass., 20 febbraio 2003, n. 2529) i presupposti della compensatio lucri cum damno; applicazione del principio indennitario, cardine del nostro sistema di responsabilità (tanto per violazione di contratto, quanto ex art. 2043 c. civ.), per cui il risarcimento non può eccedere il danno effettivamente patito;
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che dandosi rilievo all’aliunde perceptum non si produce affatto l’effetto di rendere senza sanzione, nella fattispecie della cessione invalida di ramo di azienda, la condotta del datore di lavoro cedente, che si assume essere indifferente agli effetti della declaratoria di invalidità fin tanto che il cessionario del contratto continui a mantenere il lavoratore alle proprie dipendenze. Infatti, a parte il diritto del lavoratore al differenziale rispetto all’aliunde perceptum e ad ottenere il ripristino integrale di ogni altro effetto del rapporto (mai validamente) ceduto, è nella piena disponibilità del lavoratore stessa cessare le prestazioni lavorative in favore del datore (invalidamente) cessionario, fermo in tal caso l’obbligo del datore originario -in virtù della costituzione in mora- di corrispondere tutto quanto in suo obbligo in forza del contratto di lavoro con lui sempre intercorrente;
che pertanto il decreto ingiuntivo va revocato;
che la sussistenza di precedenti di segno opposto giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando,
disattesa ogni diversa domanda ed eccezione,
revoca il decreto ingiuntivo opposto e compensa integralmente tra le parti le spese.
Genova, 4/5/2010
NOTA
La sentenza in oggetto affronta un tema abbastanza ricorrente in questi tempi di ristrutturazioni aziendali..
Un’ Azienda stipula un contratto di cessione di ramo di azienda e conseguentemente procede alla cessione dei contratti di lavoro ,che fanno a capo ad essa ,alla Azienda cessionaria.
Il Giudice dichiara l’invalidità della cessione del ramo di azienda per mancanza dei requisiti alla luce delle norme del nostro ordinamento e di quelle dell’ordinamento comunitario come interpretate dalla Corte di giustizia.
Nel frattempo il lavoratore ha svolto la propria attività presso un società del gruppo ricevendone la retribuzione relativa.
A seguito della dichiarazione di invalidità della cessione del ramo di azienda ne consegue l’invalidità della cessione del rapporto di lavoro per mancanza del consenso del lavoratore interessato.
In sede di opposizione a decreto ingiuntivo,attivato dal lavoratore per ottenere dalla Capo Gruppo il risarcimento del danno (pari alle retribuzioni non corrisposte), viene affrontato del merito della questione.
La ,a parere nostro, si segnala per una posizione originale rispetto ai percorsi consueti.
Normalmente in tali casi la Magistratura giudicante , dichiarata invalida la cessione del ramo di azienda,considera conseguentemente invalida anche la cessione del contratto di lavoro ravvisando in essa un licenziamento senza giusta causa e senza giustificato motivo con possibilità per il lavoratore di ottenere una sentenza di reintegro ex art.18 dello Statuto dei lavoratori con condanna al risarcimento del danno<stabilendo una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello delle effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento della effettiva reintegrazionen ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto>. ; in caso di non ottemperanza del datore di lavoro potrebbe seguire la messa a disposizione delle energie del lavoratore con conseguente costituzione in mora del datore di lavoro.
Nel caso il Giudice segue un altro percorso ritenendo che, a seguito della dichiarazione di invalidità della cessione del rapporto di lavoro, si determini una situazione qualificabile in termini di sospensione di fatto del lavoratore da parte del datore di lavoro
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