La posizione della Corte di Giustizia CE sulla c.d. clausola di non regresso, clausola 8, n.3 accordo quadro, applicabilità a ogni tipo di contratto a temine:modalità e condizioni.
La “ratio” della Direttiva
Più che di ratio potremmo parlare di molteplicità di ratio (o se si preferisce, al plurale, di rationes) della direttiva.
Possiamo individuare una ratio di carattere generale ed una ratio di natura particolare.
La ratio generale
La ratio di carattere generale riguarda l’intero ordinamento comunitario e il diverso rango dei valori ispiratori.
Pare essere condiviso che lo spirito che anima ancora questa nuova realtà europea, la UE-Unione europea o CE prima CEE, sia prevalentemente uno spirito liberal-economico (lo spirito di Maastricht, 1992), che poggia sulla visione di una economia di mercato.
Gli obiettivi primari della Comunità restano senz’altro quelli economici: “il disegno di integrazione economica complessivamente considerato si fonda ormai su tre elementi tra loro strettamente collegati: il mercato unico ed una più forte politica di concorrenza, il coordinamento delle politiche macro-economiche, regole di bilancio comune”1.
In questo quadro generale la politica sociale ha trovato spazio nel protocollo sulla politica sociale allegato al trattato di Amsterdam (1997), trasfuso poi negli articoli da 136 a 139 del trattato istitutivo della Comunità europea.
Possiamo quindi ravvisare due direttrici fondamentali nella realizzazione della Comunità europea: la direttrice dello sviluppo economico e la direttrice (subalterna) della tutela sociale2. Chiaramente la presente direttiva appartiene, assieme a quella che riguarda il lavoro part- time e l’orario di lavoro, a questa seconda direttrice. La recente grave crisi che ha colpito l’Europa e la sua moneta hanno indotto e indurranno ancor più le azioni comunitarie a indirizzarsi nel senso di privilegiare gli aspetti economici dello sviluppo della produzione e del contenimento dei costi.
La ratio particolare
La ratio particolare della direttiva la troviamo scritta nello stesso preambolo della direttiva, punto11: “il Consiglio, nella sua risoluzione del 6 dicembre 1994 relativa ad alcune prospettive di una politica sociale dell’Unione europea: contributo alla convergenza economica e sociale dell’Unione, ha invitato le parti sociali a sfruttare le possibilità di concludere accordi, in quanto sono di norma più vicine alla realtà sociale e ai problemi sociali”; punto 3: “il punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori stabilisce tra l’altro che la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale” ed infine, punto 6: “la risoluzione del Consiglio del 9 febbraio 1999 relativa agli orientamenti in materia di occupazione per il 1999 invita le parti sociali a tutti i livelli appropriati a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza.”
L’ambito di applicazione della direttiva
La direttiva in oggetto, come noto, è stata recepita nell’ordinamento nazionale del nostro paese con Decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368 (G.U. 9 ottobre 2001, n. 235) “Attuazione della direttiva1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,dal CEEP e dal CES.”.
Sui contenuti della direttiva si sono formati due orientamenti interpretativi:
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di chi ritiene che i contenuti della direttiva siano limitati alla prevenzione degli abusi di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato e pochi altri aspetti connessi3
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di chi, invece, ritiene che il decreto applicativo della direttiva contenga una regolamentazione più generale dell’istituto del contratto a tempo determinato sulla considerazione tra l’altro, che “per quanto attiene alla generale applicazione della disciplina nel diritto interno, questa non può non rispettare i principi generali della direttiva e rispondere a finalità di miglioramento continuo delle condizioni di lavoro alla luce del più generale “principio di non regresso”contenuto nelle disposizioni del trattato.”.4
L’interpretazione della Corte di giustizia CE
Ora, la Corte di Giustizia CE, con sentenza 23 aprile 2009 nei procedimenti riuniti da C-378/07 a C-380/07, Kiriaki Angelidaki e altri (in G.U. CE del 20/6/2009), è intervenuta facendo chiarezza, nel senso di più ampia perimetrazione dell’ambito della direttiva.
a) interpretazione restrittiva della clausola di non regresso:esclusione
La Corte di giustizia premette che per quanto riguarda l’ambito disciplinato dall’accordo quadro, occorre rilevare che il suo preambolo, al primo comma, specifica che tale accordo mira a contribuire ad “un equilibrio migliore tra la flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori”. A termini del quattordicesimo “considerando” della direttiva 1999/70, che sostanzialmente riprende il terzo comma di detto preambolo, l’accordo quadro stabilisce a tal fine “i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato”. Il quinto comma del medesimo preambolo specifica altresì che tale accordo “si riferisce alle condizioni di lavoro dei lavoratori a tempo determinato”. Continua la Corte le sue considerazioni osservando che l’accordo quadro, ed in particolare la sua clausola 8, n. 3, persegue quindi uno scopo che rientra negli obiettivi fondamentali iscritti all’art. 136, primo comma, come pure al terzo comma del preambolo del Trattato CE e ai punti 7 e 10, primo comma, della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, alla quale rinvia la suddetta disposizione del Trattato, e che sono connessi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alla parificazione nel progresso, nonché all’esistenza di una protezione sociale adeguata, nella fattispecie, dei lavoratori a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Impact, cit., punto 112). Trae quindi la Corte la prima importante conclusione nel senso che “alla luce di tali obiettivi, la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro non può essere interpretata in modo restrittivo.” (punti da 111 a 113 della Sentenza)
b) limitazione dell’accordo quadro ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi: esclusione
Ciò tanto più in quanto, continua ancora la Corte, stando alla stessa formulazione della clausola 2 dell’accordo quadro, esso si applica a ogni lavoratore a tempo determinato con un contratto o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore in ciascuno Stato membro ed inoltre ai sensi della clausola 3 dell’accordo quadro de quo, la nozione di “lavoratore a tempo determinato” indica “una persona con un contratto o un rapporto di lavoro [a tempo determinato] definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico”. A questo punto trae la conclusione definitiva per la quale “risulta dunque chiaramente sia dall’obiettivo perseguito dalla direttiva 1999/70, sia dall’accordo quadro e dalla formulazione delle pertinenti disposizioni di esso, che, contrariamente a quanto sostanzialmente sostenuto dal governo greco e dalla Commissione, l’ambito disciplinato da tale accordo non è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori di lavoro…, indipendentemente dal numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali lavoratori.” (punti da 114 a 116 della Sentenza).
c) limitazione dell’ambito della clausola di non regresso ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi: esclusione
Passa quindi la Corte di Giustizia CE, nel suo percorso logico giuridico, ad importanti considerazioni di carattere sistematico .
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Da un lato ,afferma la Corte, la clausola 4 dell’accordo quadro la quale prevede che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, senza limitare l’ambito applicativo di tale divieto ai soli contratti di lavoro a tempo determinato successivi. ( 117)
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Se è per altro verso vero che, dal canto suo, la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, che attua a tale riguardo la sua clausola 1, lett. b), ha per oggetto unicamente l’adozione da parte degli Stati membri di misure dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi.(118) “Tuttavia, le due clausole – precisa la Corte– da ultimo menzionate-cl.5,n.1 e cl.1,lett.b- non stabiliscono l’ambito di applicazione di detto accordo, e, pertanto, non possono avere l’effetto di limitare l’ambito applicativo della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro, la quale, collocata in una sezione distinta dell’accordo quadro relativa alla sua attuazione, non compie del resto alcun rinvio né alla clausola 1, lett. b), dell’accordo quadro, né alla clausola 5, n. 1, di esso.” (119)
d) come debba valutarsi la reformatio in pejus
E ancora la Corte precisa i criteri da seguire al fine di verificare al sussistenza della reformatio in pejus.
Ne risulta che la verifica dell’esistenza di una «reformatio in peius» ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve effettuarsi in rapporto all’insieme delle disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo determinato.(120)
In altri termini, l’interprete al fine di stabilire l’eventuale regresso della tutela dei lavoratori che hanno stipulato un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato dovrà prendere in considerazione ogni tipologia di tali contratti(singoli o molteplici) e valutarli con un giudizio complessivo che prenda in considerazione il quadro generale.Come meglio precisato dalla Corte al punto successivo: (126) Ne consegue che una riduzione della tutela offerta ai lavoratori nel settore dei contratti di lavoro a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall’accordo quadro, ma che, per rientrare nel divieto sancito dalla clausola 8, n. 3, di esso, tale riduzione deve, da un lato, essere collegata con l’«applicazione» dell’accordo quadro, e, dall’altro, avere ad oggetto il «livello generale di tutela» dei lavoratori a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza Mangold, cit., punto 52).
E conclude la Corte: di conseguenza, occorre rispondere al giudice del rinvio che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che occorre valutare la «reformatio in peius» contemplata da tale clausola in rapporto al livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato, sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un primo ed unico contratto a tempo determinato
(121) Di conseguenza, occorre rispondere al giudice del rinvio che la clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che occorre valutare la «reformatio in peius» contemplata da tale clausola in rapporto al livello generale di tutela che era applicabile, nello Stato membro interessato, sia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi, sia a quelli con un primo ed unico contratto a tempo determinato.
Viceconte Massimo
1 Vedi Tesauro, Diritto Comunitario, II ed., Padova 2001, 515.
2 V. Pessi Ordine giuridico ed economia di mercato, in Arg. dir. lav., 2009, 6: “la Corte di giustizia ha certamente valorizzato l’Europa sociale, elaborando nuove categorie di diritti di cittadinanza;ma non ha mai ritenuto di poter operare un bilanciamento tra libertà economiche e diritti individuali e collettivi del lavoratore, ritenendo i valori espressi dalle prime di rango superiore.”.
3 V. Vallebona, nota a C. cost. 4 marzo 2008, n. 44, in Mass. giur. lav., 2008, 5.
4 V Rosano, nota a Trib. Trani, 21 aprile 2008 (ord.) e Trib. Trani, 6 maggio 2008, in Riv. it. dir. lav., 2009,65.
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