SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
25 novembre 2010 (*)
«Ravvicinamento delle legislazioni – Prodotti di cacao e di cioccolato – Etichettatura – Aggiunta della parola “puro” o della dicitura “cioccolato puro” all’etichettatura di taluni prodotti»
Nella causa C 47/09,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 30 gennaio 2009,
Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra F. Clotuche-Duvieusart e dal sig. D. *****, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra ***********, in qualità di agente, assistita dal sig. **********, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Prima Sezione),
composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. J.-J. Kasel, ******ši?, E. Levits e dalla sig.ra ********* (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. ******
cancelliere: sig.ra **********, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 giugno 2010,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, prevedendo la possibilità di completare con l’aggettivo «puro» o con la dicitura «cioccolato puro» l’etichettatura dei prodotti di cioccolato che non contengano grassi vegetali diversi dal burro di cacao, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, da un lato, dell’art. 3, n. 5, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 giugno 2000, 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana (GU L 197, pag. 19), e, dall’altro, del combinato disposto degli artt. 3 della direttiva 2000/36 e 2, n. 1, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29).
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
2 L’etichettatura dei prodotti di cacao e di cioccolato è disciplinata da una direttiva «orizzontale», ossia la direttiva 2000/13, e da una direttiva «verticale» o «settoriale», vale a dire la direttiva 2000/36, che costituisce una lex specialis rispetto alla direttiva 2000/13.
La direttiva 2000/36
3 La direttiva 2000/36 mira, da una parte, a stabilire regole comuni per l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao nei prodotti di cacao e di cioccolato e, dall’altra, a realizzare un’armonizzazione delle denominazioni di vendita.
4 Ai fini dell’uso dei grassi vegetali diversi dal burro di cacao, i ‘considerando’ quinto, sesto, nono e decimo della direttiva 2000/36 sono redatti nei seguenti termini:
«5) L’aggiunta nei prodotti di cioccolato di grassi vegetali diversi dal burro di cacao è ammessa in alcuni Stati membri fino a un massimo del 5%.
6) L’aggiunta nei prodotti di cioccolato di taluni grassi vegetali diversi dal burro di cacao dovrebbe essere ammessa in tutti gli Stati membri fino a un massimo del 5%. Questi grassi vegetali dovrebbero essere equivalenti al burro di cacao e dovrebbero essere quindi definiti secondo criteri tecnici e scientifici.
(…)
9) Nel caso dei prodotti di cioccolato cui sono stati aggiunti grassi vegetali diversi dal burro di cacao è opportuno garantire ai consumatori una informazione corretta, imparziale e obiettiva in aggiunta all’elenco degli ingredienti.
10) D’altro canto, la direttiva 79/112/CEE non osta a che l’etichettatura dei prodotti di cioccolato indichi che non sono stati aggiunti grassi vegetali diversi dal burro di cacao, purché l’informazione sia corretta, imparziale, obiettiva e tale da non indurre in errore il consumatore».
5 Quanto alle denominazioni di vendita, il settimo ‘considerando’ della direttiva 2000/36 recita quanto segue:
«Al fine di garantire l’unicità del mercato interno, tutti i prodotti di cioccolato oggetto della presente direttiva devono poter circolare all’interno della Comunità con le denominazioni di vendita di cui all’allegato I della presente direttiva».
6 L’art. 2, nn. 1 e 2, di detta direttiva così dispone:
«1. I grassi vegetali diversi dal burro di cacao definiti ed elencati nell’allegato II possono essere aggiunti ai prodotti di cioccolato di cui al punto A, paragrafi 3, 4, 5, 6, 8 e 9 dell’allegato ******* aggiunta non può superare il 5% del prodotto finito dopo la sottrazione del peso totale delle altre eventuali sostanze commestibili impiegate in base al punto B dell’allegato I, senza che sia ridotto il tenore minimo di burro di cacao o di sostanza secca totale di cacao.
2. I prodotti di cioccolato che, a norma del paragrafo 1, contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, possono essere immessi in commercio in tutti gli Stati membri, a condizione che la loro etichettatura, a norma dell’articolo 3, rechi la menzione ben visibile e chiaramente leggibile: “contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”. Tale menzione appare nello stesso campo visivo dell’elenco degli ingredienti, ben distinta da questo, con caratteri di corpo almeno pari all’elenco e in grassetto accanto alla denominazione di vendita; indipendentemente da questa disposizione, la denominazione di vendita del prodotto può apparire anche altrove».
7 L’art. 3 della direttiva 2000/36 prevede quanto segue:
«La direttiva 79/112/CEE si applica ai prodotti definiti nell’allegato I, fatte salve le seguenti condizioni:
1) Le denominazioni di vendita di cui all’allegato I sono riservate ai prodotti in esso definiti e devono essere utilizzate nel commercio per designarli.
(…)
5) Le denominazioni di vendita “cioccolato”, “cioccolato al latte” e “cioccolato di copertura” previste nell’allegato I possono essere completate da diciture o aggettivi relativi a criteri di qualità, sempreché i prodotti in questione contengano
– nel caso del cioccolato, non meno del 43% di sostanza secca totale di cacao, di cui non meno del 26% di burro di cacao,
– nel caso del cioccolato al latte, non meno del 30% di sostanza secca totale di cacao e del 18% di sostanza del latte ottenuta dalla disidratazione parziale o totale di latte intero, parzialmente o totalmente scremato, panna, panna parzialmente o totalmente disidratata, burro o grassi del latte, di cui almeno il 4,5% di grassi del latte,
– nel caso del cioccolato di copertura, non meno del 16% di cacao secco sgrassato».
8 L’art. 4 della direttiva 2000/36 enuncia quanto segue:
«Per i prodotti di cui all’allegato I, gli Stati membri non adottano disposizioni nazionali che non sono previste dalla presente direttiva».
La direttiva 2000/13
9 La direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU 1979, L 33, pag. 1), è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2000/13. I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono effettuati alla direttiva 2000/13.
10 L’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13 così dispone:
«L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono
a) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:
i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento,
ii) attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
iii) suggerendogli che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche;
b) fatte salve le disposizioni comunitarie applicabili alle acque minerali naturali e ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare, attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana né accennare a tali proprietà».
Il diritto nazionale
11 L’art. 28, primo comma, della legge 1° marzo 2002, n. 39, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001 (Supplemento ordinario alla GURI del 26 marzo 2002, n. 72; in prosieguo: la «legge n. 39/2002»), prevede quanto segue:
«Attuazione della direttiva 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana
1. L’attuazione della direttiva 2000/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2000, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana, sarà informata ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) garantire che l’etichettatura dei prodotti di cacao e di cioccolato, oltre ad assicurare la trasparenza, rechi una distinta indicazione a seconda che il bene sia prodotto con aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao o che sia prodotto utilizzando esclusivamente burro di cacao; nel primo caso l’etichetta dovrà contenere la dizione “cioccolato” mentre nel secondo caso potrà essere utilizzata la dizione “cioccolato puro”;
b) individuare meccanismi di certificazione di qualità per i prodotti tipici che utilizzano esclusivamente burro di cacao per la produzione di cioccolato».
12 L’art. 6, primo comma, del decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 178, di attuazione della direttiva 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana (GURI n. 165 del 18 luglio 2003; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 178/2003»), è formulato come segue:
«Uso della dizione “cioccolato puro”
I prodotti di cioccolato di cui all’allegato I, punti 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10, che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, fatta eccezione per il ripieno diverso dai prodotti di cacao e cioccolato, possono riportare nell’etichettatura il termine “puro” abbinato al termine “cioccolato” in aggiunta o integrazione alle denominazioni di vendita di cui all’allegato I oppure la dizione “cioccolato puro” in altra parte dell’etichetta».
13 L’art. 7, ottavo comma, di detto decreto legislativo così prevede:
«Sanzioni
(…)
8. Chiunque utilizza il termine “puro” abbinato al termine “cioccolato” nell’etichettatura dei prodotti di cui all’allegato I, punti 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10, che contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, fatta eccezione per il ripieno diverso dai prodotti di cacao e di cioccolato, è punito con la sanzione pecuniaria amministrativa del pagamento di una somma non inferiore ad Euro 3 000,00 né superiore ad Euro 8 000,00».
Fase precontenziosa del procedimento
14 Con lettera del 22 marzo 2004, la Commissione attirava l’attenzione delle autorità italiane sull’incompatibilità della legge n. 39/2002 e del decreto legislativo n. 178/2003 con il regime delle direttive 2000/13 e 2000/36. Le autorità italiane rispondevano con una nota in data 23 aprile 2004 del Ministero delle Attività Produttive.
15 Non reputandosi soddisfatta di questa risposta, la Commissione avviava il procedimento di inadempimento previsto dall’art. 226 CE e, di conseguenza, in data 13 ottobre 2004, inviava alla Repubblica italiana una lettera di diffida.
16 In assenza di risposta da parte delle autorità italiane, in data 5 luglio 2005 la Commissione emetteva un parere motivato invitando tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per conformarsi a detto parere entro due mesi dalla ricezione dello stesso.
17 In risposta, le autorità italiane, con lettere del 21 ottobre e del 4 novembre 2005, esprimevano l’intenzione di modificare gli artt. 6 e 7 del decreto legislativo n. 178/2003 e, su tale base, chiedevano la chiusura del presente procedimento.
18 Constatando che, nonostante ulteriori scambi di corrispondenza, la situazione rimaneva immutata, la Commissione ha deciso di presentare il ricorso in esame.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
19 La Commissione asserisce che la normativa italiana, prevedendo la possibilità, ex art. 28, n. 1, della legge 39/2002 ed ex art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003, di completare con l’aggettivo «puro» o con la dicitura «cioccolato puro» l’etichettatura dei prodotti di cioccolato e, più precisamente, le denominazioni di vendita elencate nell’allegato I di tale decreto per i prodotti che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, ha introdotto una denominazione supplementare per i prodotti di cioccolato a seconda che essi possano essere considerati «puri» o «non puri». Questa distinzione costituirebbe, in sostanza, una violazione dell’art. 3, nn. 1 e 5, della direttiva 2000/36 e sarebbe contraria alla giurisprudenza della Corte, che ha riconosciuto la natura identica dei prodotti di cioccolato che contengono fino al 5% al massimo di taluni grassi vegetali (sentenza 16 gennaio 2003, causa C 14/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I 513, punto 87).
20 La Commissione ricorda che l’utilizzo di grassi vegetali diversi dal burro di cacao è rigorosamente regolamentato. Non solo un tale utilizzo è limitato a sei sostanze elencate in modo tassativo nell’allegato II della direttiva 2000/36, ma l’aggiunta delle stesse non può superare il 5% del prodotto finito. Inoltre, come richiesto dal nono ‘considerando’ di detta direttiva, l’informazione circa la presenza di grassi vegetali deve essere corretta, imparziale, obiettiva e tale da non indurre in errore il consumatore. Di conseguenza, l’art. 2, n. 2, di detta direttiva prevede che la dicitura «contiene grassi vegetali diversi dal burro di cacao» debba figurare «accanto» e non all’interno della denominazione di vendita. Il legislatore comunitario avrebbe previsto di informare il consumatore circa la presenza o meno, nel prodotto di cioccolato, di grassi vegetali diversi dal burro di cacao mediante l’etichettatura, e non tramite l’impiego di una distinta denominazione di vendita.
21 La Commissione osserva che la distinzione creata dalla normativa italiana è doppiamente ingannevole per un consumatore medio. Essa ritiene infatti che l’utilizzo dell’aggettivo «puro» non sia né corretto, né imparziale, né obiettivo e che sia pertanto di per sé ingannevole.
22 Innanzi tutto, il termine «puro» conferirebbe automaticamente una connotazione negativa al prodotto che non reca tale dicitura.
23 Inoltre, il fatto di aver creato due categorie di prodotti di cioccolato, laddove la legge ne prevede solo una, ingannerebbe il consumatore inducendolo a pensare che esistano due categorie di cioccolato.
24 Infine, la dicitura «cioccolato puro» non sarebbe sufficientemente esplicita per informare il consumatore del fatto che il cioccolato di cui trattasi contiene soltanto burro di cacao, senza aggiunta di altri grassi vegetali.
25 La Repubblica italiana non contesta il fatto che le denominazioni di vendita di cui all’allegato I della direttiva 2000/36 siano obbligatorie ed elencate tassativamente. Essa afferma, tuttavia, che la denominazione di vendita non esaurisce il contenuto dell’etichettatura. Sarebbe evidente che gli Stati membri possono aggiungere altre diciture nell’etichettatura, in particolare allo scopo di indicare ai consumatori che non sono stati usati grassi vegetali diversi dal burro di cacao. Quindi, sarebbe possibile inserire nell’etichettatura tutte le indicazioni che non creino confusione con la denominazione di vendita, che deve rimanere quella di cui all’allegato I.
26 Il legislatore italiano non avrebbe inteso introdurre una nuova denominazione di vendita, né un’indicazione di criterio di qualità basata non sul tenore di cacao superiore al minimo richiesto, bensì sull’uso esclusivo del burro di cacao. L’aggettivo «puro» non avrebbe una connotazione qualitativa, bensì sarebbe meramente descrittivo. Esso, quindi, svolgerebbe unicamente la funzione di indicare la composizione del prodotto in esame, senza fornire un giudizio a priori sulla qualità superiore o meno di tale prodotto. Per la Repubblica italiana, dunque, l’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003 è conforme all’art. 3, nn. 1 e 5, della direttiva 2000/36.
27 La Repubblica italiana sostiene che l’apposizione dell’aggettivo «puro» persegue la finalità di indicare che come grasso vegetale si è usato solo il burro di cacao, ad esclusione di qualsiasi altro. Ciò spiegherebbe perché l’apposizione dell’aggettivo «puro» alla denominazione di vendita non interferisce con questa, che rimane immutata. Per questa ragione non si può affermare che in tal modo venga introdotta una nuova denominazione, non prevista all’allegato I della direttiva 2000/36.
28 La Repubblica italiana afferma che l’espressione «cioccolato puro» è meramente descrittiva, in quanto si limita a trasmettere un’informazione al consumatore, informazione a cui il consumatore ha diritto ai sensi del decimo ‘considerando’ delle direttive 2000/36 e 2000/13. Sulla base di questa informazione, il consumatore deciderà liberamente quale prodotto preferisce acquistare. In un contesto in cui il consumatore è perfettamente al corrente che nella composizione dei prodotti di cioccolato possono essere utilizzati grassi vegetali diversi dal burro di cacao, diciture di questo genere sarebbero percepite proprio come informazioni sulla presenza o meno dei suddetti grassi vegetali.
Giudizio della Corte
Sulla censura relativa alla violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 3, n. 1, della direttiva 2000/36 e 2, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/13
29 Per quanto riguarda l’inadempimento degli obblighi derivanti dagli artt. 3, n. 1, della direttiva 2000/36 e 2, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/13, occorre preliminarmente constatare che, come osservato dalla Commissione, l’art. 3 della direttiva 2000/36 ha realizzato un’armonizzazione completa delle denominazioni di vendita relative ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana finalizzata a garantire l’unicità del mercato interno. Le denominazioni di vendita di cui all’allegato I della direttiva 2000/36, a norma del suo art. 3, n. 1, sono al tempo stesso obbligatorie e riservate ai prodotti in esso indicati. L’aggiunta di aggettivi qualificativi è subordinata al rispetto delle condizioni specifiche previste all’art. 3, n. 5, della direttiva 2000/36. Inoltre, l’art. 4 di tale direttiva prevede che gli Stati membri non adottino, per i prodotti indicati nell’allegato I, disposizioni nazionali non previste dalla stessa direttiva 2000/36. Da ciò si evince che l’art. 3 di tale direttiva ha proceduto ad un’armonizzazione completa delle denominazioni di vendita dei prodotti di cioccolato, di cui, peraltro, la Repubblica italiana non ha mai contestato il carattere vincolante.
30 Questa interpretazione è ulteriormente suffragata dalla storia di detta direttiva. La direttiva del Consiglio 24 luglio 1973, 73/241/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana (GU L 228, pag. 23), indica, al settimo ‘considerando’, «che nei prodotti di cioccolato l’utilizzazione di sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao è ammessa in taluni Stati membri, dove si fa largamente uso di tale autorizzazione; che tuttavia non si può decidere fin d’ora sulle possibilità e le modalità dell’estensione dell’utilizzazione di tali sostanze grasse a tutta la Comunità, dato che le informazioni economiche e tecniche disponibili a tutt’oggi non permettono di stabilire una posizione definitiva e che di conseguenza la situazione dovrà essere riesaminata alla luce dell’evoluzione futura».
31 Quindi, al momento dell’adozione della direttiva 73/241, il legislatore comunitario, per quanto riguarda le disparità tra le normative degli Stati membri, non era stato in grado di adottare, tramite tale direttiva, una posizione definitiva sulle conseguenze, per quanto attiene alla denominazione o all’etichettatura, dell’utilizzo di grassi vegetali diversi dal burro di cacao nei prodotti di cioccolato. Il Consiglio dell’Unione europea si era pertanto limitato, per quanto concerne l’utilizzo di sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao, ad instaurare un regime provvisorio, destinato ad essere riesaminato, conformemente all’art. 14, n. 2, lett. a), di detta direttiva, alla scadenza di un termine di tre anni.
32 Con la direttiva 2000/36 il legislatore comunitario ha previsto che l’aggiunta di grassi vegetali sostitutivi non implica tanto l’impiego di denominazioni differenti per tali prodotti, bensì la presenza di informazioni supplementari sull’etichetta. Per quanto riguarda i prodotti di cioccolato nei quali sono stati aggiunti grassi vegetali diversi dal burro di cacao, l’art. 2 della direttiva 2000/36, letto alla luce del suo nono ‘considerando’, garantisce al consumatore un’informazione corretta, imparziale e obiettiva sul prodotto considerato, la quale si spinge oltre all’elenco dei suoi ingredienti, attraverso l’utilizzo della formula «contiene grassi vegetali oltre al burro di cacao».
33 In proposito, nel decimo ‘considerando’ della direttiva 2000/36 si enuncia, senza tuttavia imporre l’uso di alcuna dicitura specifica, che l’etichettatura può indicare che non sono stati aggiunti grassi vegetali diversi dal burro di cacao, purché l’informazione sia corretta, imparziale, obiettiva e tale da non indurre in errore il consumatore.
34 Per quanto attiene alla valutazione della compatibilità della normativa italiana con le disposizioni della direttiva 2000/36, come appena ricordate e contestualizzate, occorre in primo luogo constatare che l’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003 dispone che taluni prodotti di cioccolato, che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, possono riportare nell’etichettatura il termine «puro» abbinato al termine «cioccolato» in aggiunta o integrazione alle denominazioni di vendita. Orbene, se l’aggiunta al termine «cioccolato» delle parole «al latte» o «bianco» o «ripieno» dev’essere considerata all’origine di altrettante nuove denominazioni di vendita, lo stesso deve valere per l’aggiunta del termine «puro».
35 Tuttavia, occorre constatare che la direttiva 2000/36 non prevede né la denominazione di vendita «cioccolato puro» né l’introduzione di una siffatta denominazione da parte di un legislatore nazionale.
36 Pertanto, consentendo una siffatta modifica delle denominazioni di vendita, l’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003 si pone in contrasto col sistema obbligatorio e tassativo delle denominazioni di vendita istituito dall’art. 3, n. 1, della direttiva 2000/36 e disciplinato dall’art. 4 di detta direttiva.
37 In secondo luogo, va anche rilevato che, come afferma la Commissione, il sistema di duplice denominazione instaurato dal legislatore italiano non rispetta neppure i requisiti stabiliti dall’art. 2, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/13, in forza del quale il consumatore deve disporre di un’informazione corretta, imparziale ed obiettiva che non lo induca in errore.
38 Sebbene la Repubblica italiana abbia giustamente sottolineato il diritto dei consumatori ad una corretta informazione, ciò nondimeno una modifica delle denominazioni di vendita come quella cui si è proceduto nella specie non rappresenta un metodo appropriato per realizzare tale scopo.
39 Occorre, infatti, ricordare che la Corte ha dichiarato che l’aggiunta di sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao a prodotti di cacao e di cioccolato che rispettano i contenuti minimi previsti dalla direttiva 73/241, ora sostituita dalla direttiva 2000/36, non può produrre l’effetto di modificare sostanzialmente la natura di tali prodotti al punto di trasformarli in prodotti diversi (v. sentenze 16 gennaio 2003, causa C 12/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I 459, punto 92, e Commissione/Italia, cit., punto 87).
40 Da tale giurisprudenza risulta che l’utilizzo di grassi vegetali diversi dal burro di cacao, entro i limiti fissati dall’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/36, non genera di per sé una modifica di tali prodotti atta a giustificare una distinzione delle loro denominazioni di vendita.
41 L’inserimento, invece, in un’altra parte dell’etichetta di un’indicazione neutra ed obiettiva che informi i consumatori dell’assenza, nel prodotto, di sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao sarebbe sufficiente a garantire un’informazione corretta dei consumatori (v., in questo senso, citate sentenze Commissione/Spagna, punto 93, e Commissione/Italia, punto 88).
42 Da ciò si evince che, sebbene secondo la normativa italiana l’utilizzo dell’aggettivo «puro» non sia obbligatorio, l’autorizzazione ad introdurre denominazioni di vendita differenti da quelle previste dalla direttiva 2000/36 è idonea a suggerire l’esistenza di una distinzione tra le caratteristiche fondamentali dei prodotti in questione.
43 Conseguentemente, la disposizione dell’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003, consentendo di mantenere due categorie di denominazioni di vendita che, in sostanza, designano il medesimo prodotto, è idonea ad indurre in errore il consumatore e, pertanto, può ledere il suo diritto ad un’informazione corretta, imparziale ed obiettiva.
44 Da quanto precede si evince che tale art. 6 viola i requisiti di cui agli artt. 3, n. 1, della direttiva 2000/36 e 2, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/13. Pertanto, la prima censura è fondata.
Sulla censura vertente sulla violazione degli obblighi imposti dall’art. 3, n. 5, della direttiva 2000/36
45 Per rispondere a questa censura sollevata dalla Commissione, occorre constatare che, come ricordato ai punti 29-36 di questa sentenza, l’art. 3 della direttiva 2000/36, come interpretato alla luce dell’art. 4 della stessa, ha proceduto ad un’armonizzazione completa delle denominazioni di vendita dei prodotti di cioccolato. Nel contesto di tale sistema obbligatorio e tassativo, l’apposizione di aggettivi qualificativi è subordinata al rispetto delle specifiche condizioni stabilite dall’art. 3, n. 5, di detta direttiva.
46 Orbene, è giocoforza constatare che, lungi dal rispettare dette condizioni, l’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003 prevede la possibilità che per taluni prodotti di cioccolato, tra cui in particolare quelli contemplati dall’art. 3, n. 5, della direttiva 2000/36, il termine «puro» sia integrato o aggiunto al termine «cioccolato» nelle denominazioni di vendita quando tali prodotti non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao.
47 Pertanto, l’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003 non è conforme ai requisiti stabiliti dall’art. 3, n. 5, della direttiva 2000/36, in quanto consente di completare con una siffatta dicitura, relativa ad un criterio di qualità, le denominazioni di vendita dei prodotti indicati in quest’ultimo articolo.
48 Di conseguenza, la seconda censura deve essere accolta.
49 Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare che la Repubblica italiana, prevedendo la possibilità di completare con l’aggettivo «puro» la denominazione di vendita dei prodotti di cioccolato che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, da una parte, dell’art. 3, n. 5, della direttiva 2000/36 e, dall’altra, del combinato disposto degli artt. 3, n. 1, di detta direttiva e 2, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/13.
Sulle spese
50 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:
1) Prevedendo la possibilità di completare con l’aggettivo «puro» la denominazione di vendita dei prodotti di cioccolato che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, da una parte, dell’art. 3, n. 5, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 giugno 2000, 2000/36/CE, relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana, e, dall’altra, del combinato disposto degli artt. 3, n. 1, di detta direttiva e 2, n. 1, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
* Lingua processuale: l’italiano.
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