N. 09074/2010 REG.SEN.
N. 07557/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7557 del 2010, proposto da:
…………., rappresentato e difeso dagli avv. ****************, *******************, con domicilio eletto presso ******************************** E Associati in Roma, largo di ***************, 11;
contro
Questura di Firenze, Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati; sulla possibilità di adottare un provvedimento di interdizione all’accesso agli stadi nel caso di sussistenza di una sola situazione di pericolo per l’ordine pubblico, anche in assenza di un fatto specifico di violenza ed in particolare nei confronti di un tifoso che ha commesso atti contrari alla pubblica decenza nel corso di una partita di calcio
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. TOSCANA – Sede di FIRENZE- SEZIONE II n. 01527/2010, resa tra le parti, concernente DIVIETO DI ACCESSO AI LUOGHI DOVE SI SVOLGONO MANIFESTAZIONI SPORTIVE CALCISTICHE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Questura di Firenze e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 il Consigliere ************** e udito per parte appellante l’ avvocato **********.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la decisione in forma semplificata in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale ha in parte respinto (con riguardo alle prime due censure) ed in parte accolto (con esclusivo riferimento alla terza doglianza, lamentante la indeterminatezza del provvedimento inibitorio) il ricorso di primo grado con il quale era stato chiesto dall’ odierna parte appellante l’annullamento del decreto del Questore di Firenze nr. 05/10 – D del 17 gennaio 2010, recante il divieto per il medesimo di accedere per anni due ai luoghi dove si svolgono incontri di calcio dei campionati nazionali professionisti e dilettanti, tornei internazionali, amichevoli, partite della Nazionale italiana, da disputare sul territorio nazionale e degli altri Stati U.E., nonché di accedere ai luoghi circostanti gli impianti sportivi ed ai luoghi di usuale transito.
Nel merito, l’appellante aveva sostenuto che gli episodi addotti dalla Questura a fondamento del decreto sarebbero stati estranei alla previsione ex art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, perché la condotta da lui tenuta durante l’incontro di calcio “Fiorentina-Bologna” non sarebbe consistita in atti violenti od inneggianti alla violenza e comunque la sanzione sarebbe stata eccessiva rispetto ai fatti contestati
I primi Giudici – anche a seguito dell’istruttoria da essi disposta – hanno respinto dette censure: in primo luogo, infatti, la condotta di cui l’appellante si era reso protagonista non si era limitata agli atti per i quali questi stato indagato per il reato di cui all’ art. 726 del codice penale, ma aveva ricompreso anche gesti di incitamento alla violenza tra le due tifoserie (in specie – secondo il resoconto di uno dei cd. steward – l’avere invitato con gesti plateali i tifosi della squadra avversaria ad entrare nel settore ospiti dove il ricorrente stesso si trovava), pienamente rientranti nella previsione dell’art. 6, comma 1 della predetta della legge 13 dicembre 1989, n. 401,.
Secondariamente, anche a volere prescindere dalla valutazione di tali condotte, i comportamenti (consistenti nel ripetuto calarsi i pantaloni e mostrare le parti intime ai tifosi “avversari”) ad esso ascritti e riconducibili al reato di cui all’ art. 726 del codice penale, rientravano del pari nel paradigma del suindicato art. 6, comma 1, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 non potendo ricondursi ad innocue manifestazioni di “goliardia” siccome apoditticamente sostenuto.
Sotto altro profilo, la infondatezza della censura postulante la violazione del principio di gradualità della sanzione emergeva all’evidenza posto che il divieto di accesso era stato irrogato in una misura ben inferiore a quella massima prevista dall’art. 6, comma 5, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, citata (ciò dimostrava che la Questura aveva ben ponderato la gravità della condotta);
Il Tribunale amministrativo regionale ha invece ritenuto parzialmente fondato il terzo motivo di censura, postulante la indeterminatezza del decreto impugnato nella parte in cui esso indicava in modo generico, quali luoghi preclusi all’accesso, le stazioni ferroviarie ed i caselli autostradali, nonché le stazioni di metropolitana e dei mezzi di superficie utilizzate dai tifosi per raggiungere gli impianti sportivi.
Non si poteva ammettere infatti, che tutte le stazioni ferroviarie, ovvero le fermate di autobus della città di Bologna, od i caselli in corrispondenza delle uscite autostradali che conducono a detta città, fossero ugualmente interessati dal transito dei tifosi diretti allo stadio “**********”.
L’ odierna parte appellante ha censurato la predetta sentenza chiedendone l’annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima
Era stato fatto malgoverno, da parte dei primi Giudici, sia del disposto di cui all’art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, che dell’ orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione che pure il Tribunale amministrativo regionale aveva citato.
Nel merito, l’azione amministrativa era sproporzionata rispetto alla modesta gravità dei fatti ed affetta da vizi: il gesto posto in essere dall’appellante aveva pura natura goliardica (seppur sgradevole sotto il profilo del decoro).
Le dichiarazioni di uno dei due steward secondo cui l’appellante avrebbe incitato i tifosi viola ad entrare nel settore ospiti erano prive di riscontro e, per esse, egli non risultava neppure indagato (il dubbio del primo Giudice, in proposito, era mero frutto di congetture).
La condotta “censurata” (sussumibile in astratto sub art. 726 o 527 del codice penale) era del tutto distonica rispetto al concetto di “violenza”; la sanzione irrogata era ingiusta e sproporzionata.
Con memoria datata 25 novembre 2010 l’ appellante ha fatto presente che con decreto reso dal Gip presso il Tribunale di Firenze del 15 settembre 2010 era stata accolta la richiesta del pubblico ministero di archiviazione di tutte le condotte (non soltanto istigazione a delinquere, quindi, ma anche quella di atti osceni o contrari alla pubblica decenza) che avevano costituito presupposto per la emissione dell’impugnato provvedimento
DIRITTO
Stante la completezza del contraddittorio ed in carenza di opposizione delle parti la causa può essere decisa nel merito, tenuto conto della infondatezza dell’appello.
Parte appellante aveva invocato, in primo grado, l’assenza di prove circa il proprio coinvolgimento nei disordini, dal quale sarebbe dovuto discendere l’annullamento del provvedimento impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale e, sotto altro profilo, la riconducibilità delle condotte dal medesimo poste in essere (ed ammesse pacificamente) a mere ed innocue manifestazioni di sapore goliardico.
Senonchè il parametro valutativo cui deve attenersi il Giudice amministrativo non riposa nell’indagine dell’intento soggettivo dell’autore della condotta.
La ratio della disposizione in oggetto, infatti, si rinviene -come risulta dalla formula letterale dell’ultimo periodo dell’art. 6 comma 1, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, , così come introdotta dal decreto legge 8 febbraio 2007 n. 8 – nell’attribuzione di un potere interdittivo in capo al Questore esercitabile nei confronti di chiunque, in occasione o a causa di manifestazioni sportive, tenga una condotta violenta o comunque tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica, sicché la misura di divieto di accesso a impianti sportivi può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma in caso di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo.
Detto potere si connota di un’elevata discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto, in vista della tutela dell’ordine pubblico, non solo in caso di accertata lesione, ma anche in via preventiva in caso di pericolo anche solo potenziale di lesione. Ne consegue che il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto sulla base dei suoi precedenti non dia affidamento di tenere una condotta scevra da ulteriori episodi di violenza, accertamento che resta incensurabile nel momento in cui risulta congruamente motivato avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche.
Anche la Corte di Cassazione, peraltro, non fa riferimento al concetto di gravità indiziaria, ma a quello di sufficienza, con riferimento alla convalida di convalida del provvedimento del questore di divieto di accesso a luoghi in cui si svolgono manifestazioni agonistiche assunto a norma dell’art. 6 della l. n. 401 del 1989, affermando che “l’autorità giudiziaria non può limitarsi a un mero controllo formale che svuoterebbe il suo intervento dei contenuti più pregnanti, ma deve accertare, in concreto e con riferimento all’attualità, se la pericolosità del soggetto sottoposto alla misura giustifichi e renda la misura stessa atta allo scopo di prevenzione voluto dal legislatore, verificando altresì, specialmente, se non è intervenuta una condanna, la sussistenza di sufficienti elementi indiziari atti a corroborare l’attribuibilità al soggetto stesso della condotta pericolosa e penalmente rilevante che il questore ha addotto a fondamento della misura adottata.”.(Cassazione penale , sez. I, 20 gennaio 1997 , n. 284)
Nel caso in oggetto l’Amministrazione –e successivamente il Tribunale amministrativo regionale- ha esattamente rilevato che la condotta materiale posta in essere dall’appellante poteva integrare, secondo un giudizio prognostico che appare immune da contraddizioni il “periculum” che costituisce il presupposto legittimante l’irrogazione della misura di prevenzione in esame.
Il mostrare parti intime del corpo ai tifosi della squadra avversaria, infatti, può forse essere supportato da intenti goliardici; è indubbio, però che detta volgare condotta sia atta provocare possibili reazioni violente da parte di chi, da tali condotte, si sentisse irriso.
Ciò integra pienamente il presupposto applicativo della citata disposizione che, lo si ribadisce, è volta a prevenire disordini e violenze.
Né a tale conclusione può ostare il post-factum rappresentato dalla intervenuta archiviazione del procedimento penale.
In disparte la circostanza che tale accadimento è successivo al momento in cui l’amministrazione valutò la condotta ( si rammenta in questa sede il principio secondo il quale “la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere apprezzata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del “tempus regit actum”, con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare “ex post” precedenti atti amministrativi.” -si veda Consiglio Stato , sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5381, ma anche Consiglio Stato , sez. IV, 18 dicembre 2006, n. 7618- )il parametro valutativo affidato all’amministrazione non è condizionato al positivo vaglio penalistico sulle condotte.
Ben una condotta non integrante una fattispecie di reato può essere però idonea a creare pericoli per l’ordine pubblico negli stadi, ovvero innescare condotte violente.
La sentenza impugnata, conclusivamente, resiste alle censure di cui all’appello che deve essere, pertanto, respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e pertanto l’appellante deve essere condannato al pagamento delle medesime in favore di parte appellata, in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in Euro mille (€ 1000/00) oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro mille (€ 1000/00) oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:
*****************, Presidente
*******************, Consigliere
****************, Consigliere
Bruno **************, Consigliere
**************,***********e, Estensore
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L’ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/12/2010
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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