La mobilità e la diversa collocazione funzionale del personale nelle aziende sanitarie

Marra Felice 20/01/11

1. Premessa

Il tempo delle ristrettezze economiche, come quello attuale e che ci attende anche nei prossimi anni, ci porta per forza di cose, a dover razionalizzare le risorse umane presenti nelle aziende sanitarie e ad ottimizzare il loro impiego. Uno dei fattori critici, da sempre, nelle aziende sanitarie è stato quello delle eccessive rigidità nel far veramente decollare i processi di mobilità e di diversa collocazione funzionale del personale. Mi riferisco, in particolare, al fatto che esiste una buona percentuale di persone che sono collocate in posti sbagliati, o meglio che avrebbero delle potenzialità per rendere meglio e di più in alcuni contesti operativi diversi da quelli di assegnazione. Tale fenomeno è consequenziale al fatto che i processi di mobilità e di diversa collocazione funzionale hanno spesso seguito la logica dell’urgenza quantitativa, anziché dell’analisi qualitativa (mi serve una risorsa, e non quale risorsa), oppure di meccanismi clientelari, o semplicemente di metodi anacronistici basati sulle graduatorie che privilegiavano il requisito dell’anzianità. Il requisito dell’anzianità era utilizzato in due modi: se era l’Azienda che aveva la necessità di trasferire delle risorse in un nuovo contesto lavorativo (mobilità interna d’ufficio) i più anziani restavano dove erano e i più giovani o gli ultimi arrivati si spostavano; se erano gli operatori a richiedere la mobilità interna volontaria, perchè gli interessava andare in quel posto, il requisito di anzianità questa volta favoriva il piazzamento in alto nella graduatoria. In tutti questi fenomeni, è stato poco utilizzato l’approccio manageriale tendente a descrivere e analizzare prima la posizione funzionale, le competenze che servivano, ciò che veramente si ha bisogno, per poi scegliere, una volta chiarite le idee, le persone giuste al posto giusto. L’esigenza non più procrastinabile, in relazione alla necessità di puntare all’utilizzo ottimale delle risorse umane disponibili, è quella di adottare e sviluppare metodi che portino alla movibilità del personale più adeguato, per competenze ed esperienza, a ricoprire la posizione. Ciò a maggior ragione per le evidenti difficoltà che si hanno, anche per effettuare degli spostamenti in situazioni critiche da una unità operativa all’altra. Pensiamo a tale proposito quante volte una unità operativa entra in crisi per malattie improvvise, gravidanze, punte di attività, situazioni che potrebbero essere risolte con l’apporto di personale di altre unità operative, ma che spesso trovano una rigidità dettata da una propensione di difesa ad oltranza del proprio settore o ambito di intervento. Su questo, però, dobbiamo anche chiederci, perché fino ad oggi la flessibilità e la diversa collocazione funzionale degli operatori ha fatto fatica a decollare: uno dei fattori determinanti è stato sicuramente la carenza di politiche contrattuali dirette a far percepire la flessibilità e la diversa collocazione funzionale come una opportunità di carriera e di sviluppo professionale. Ancora oggi il trasferimento di posto, quando è l’Azienda ad attivarlo, è vissuto come un disagio per l’operatore. Eppure già dodici anni fa, l’articolo 35 del CCNL 7.4.1999, prevedeva tra i criteri per il riconoscimento della progressione economica orizzontale (la cosiddetta fascia economica in più) “il grado di coinvolgimento nei processi aziendali, di capacità di adattamento ai cambiamenti organizzativi, di partecipazione effettiva alle esigenze di flessibilità, con disponibilità dimostrata ad accettare forme di mobilità programmata per l’effettuazione di esperienze professionali plurime collegate alle tipologie operative al profilo di appartenenza”. A tale misura si poteva aggiungere anche un attestato formativo “sul campo” di esperienza professionale plurima, valutabile dall’azienda con riferimento anche alle progressioni di carriera o nei criteri di affidamento degli incarichi dirigenziali o di posizioni organizzative o per le funzioni di coordinamento. Insomma occorreva una buona ricetta, con una serie di ingredienti che rendesse ben chiaro che se uno si sposta in azienda ha delle opportunità e non degli svantaggi.

 

2. I processi di mobilità e la diversa collocazione funzionale.

I più importanti e frequenti processi di trasferimento che possono riguardare il personale di una azienda sanitaria riguardano la mobilità volontaria esterna, la mobilità interna, la diversa collocazione funzionale e il comando.

 

a) La mobilità volontaria esterna.

I dipendenti di una azienda sanitaria possono, con una richiesta di mobilità volontaria, trasferire il proprio contratto di lavoro presso un altra azienda sanitaria. La materia per la dirigenza è disciplinata dall’articolo 20 del CCNL 08.06.2000 il quale dispone che “la mobilità dei dirigenti tra le aziende e tutti gli enti del comparto di cui al CCNQ del 2 Giugno 1998 – anche di Regioni diverse – in presenza della relativa vacanza di organico avviene a domanda del dirigente che abbia superato il periodo di prova, con l’assenso dell’Azienda di destinazione e nel rispetto dell’area e della disciplina di appartenenza”.

Stesso discorso per il personale del comparto, con l’articolo 19, comma 1, del CCNL integrativo del 20.09.2001 “ nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista e posizione economica di appartenenza del dipendente stesso”.

La norme contrattuali suindicate sono state integrate con quanto stabilito dall’articolo 49 del decreto legislativo n. 150/2009 il quale modificando anche la precedente versione dell’articolo 30 del decreto 165/2001 ha definitivamente stabilito che “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro dei dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base delle professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire.

La novità quindi più importante, apportata con il recente decreto legislativo n. 150/2009 che si inserisce direttamente nelle norme contrattuali originarie, di cui agli articoli 20 e 19 citati, è la previsione del parere favorevole del dirigente responsabile dell’unità operativa, inteso sia nei confronti della richiesta di mobilità volontaria in uscita (un dipendente già in servizio che voglia andare in un’altra azienda), sia della richiesta di mobilità volontaria in entrata (un dipendente di un’altra azienda che si voglia trasferire). Tale concezione è sicuramente collegata all’altra norma citata nella parte sulla programmazione del fabbisogno delle risorse umane, di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 150/2009, laddove prevede che il documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale e i suoi aggiornamenti sono elaborati su proposta dei competenti dirigenti che individuano i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti. Si riferisce in tal caso ai dirigenti che hanno la responsabilità di una unità operativa con diretta gestione di risorse umane, che saranno chiamati in prima battuta a rilasciare un parere preventivo sulle richieste di mobilità in entrata verso l’azienda e in uscita dall’azienda. Novità molto importante se collegata alla necessità di sviluppare tutte quelle funzioni sul job description e sulla necessità di collocare le risorse giuste al posto giusto. Su tale questione si apre, però, una partita particolare: le norme contrattuali prevedono per il personale del comparto che in caso di richiesta di mobilità esterna “il nulla osta dell’azienda o ente di appartenenza qualora non venga concesso entro dieci giorni, è sostituito dal preavviso di un mese” e ancora che “nel caso in cui il nulla osta venga concesso, ma sia rinviato ad una data posteriore a quella richiesta dal dipendente, il posticipo non può essere superiore a tre mesi”. Per la dirigenza le norme contrattuali prevedono che “il nulla osta dell’azienda o ente di appartenenza, qualora non venga concesso entro dieci giorni dalla richiesta, è sostituito dal preavviso di tre mesi”. Dal tenore contrattuale, si evince quindi, che anche se il dirigente di unità operativa rilascia un parere negativo, il dirigente o l’operatore entra nell’ambito del preavviso di massimo tre mesi o un mese (o con l’ipotesi di differimento a tre mesi anche per il comparto), entro il quale il nulla osta deve essere comunque concesso. A nostro avviso, tale interpretazione svuoterebbe sostanzialmente la norma di legge che da un peso importante al parere del dirigente di unità operativa (il trasferimento è disposto previo parere favorevole del dirigente di unità operativa) e non cambierebbe di molto le cose, rispetto a come erano prima. Sono consapevole che se una risorsa umana ha il desiderio o la necessità di andare via, a maggior ragione se già un’altra azienda sanitaria ha rilasciato il relativo assenso, si cerca, con buon senso, in tutti i modi di lasciarla andare. Sono, però, anche consapevole che alcune risorse professionali specialistiche o di difficile reperimento sul mercato del lavoro, a volte mettono in forte difficoltà i servizi per trovare una adeguata sostituzione. Allora, in ragione della recente evoluzione delle fonti normative del rapporto di lavoro che ha portato la prevalenza della legge sulle norme contrattuali, ritengo ci siano gli spazi, qualora la questione sia ben motivata (specifiche ed importanti esigenze funzionali della struttura, risorse professionali specialistiche, difficoltà a trovare in tempi rapidi una adeguata sostituzione in quanto di difficile reperimento, blocco nell’acquisizione di risorse umane) per rilasciare un parere negativo alla mobilità esterna da parte del dirigente che vada anche oltre i tre mesi previsti dalle norme contrattuali. Ciò con la dovuta attenzione sulle reali motivazioni suindicate e sul fatto che il medesimo dirigente responsabile ha anche un ruolo propositivo e attivo nella programmazione del fabbisogno di risorse umane, per cui il tempo di prolungamento potrebbe avere una ragione d’essere vista la contingenza, le caratteristiche della risorsa umana e l’essenzialità di garantire la continuità del processo assistenziale, accompagnando con ciò anche l’avvio di tutti i percorsi e processi possibili diretti a trovare la sostituzione. Tale lettura se può consentire una applicazione sostanziale della legge, dando vera valenza al parere del dirigente responsabile, deve anche considerare il fatto che più passa il tempo necessario per trovare le soluzioni adeguate e più ci si può trovare in una posizione di debolezza nei confronti del dipendente che ha formulato la domanda di mobilità esterna. Pertanto, non è auspicabile una applicazione generalizzata, ma se interviene il parere negativo che può andare anche oltre i tre mesi, lo stesso deve essere adeguatamente motivato e supportato da ragioni oggettive di impedimento come sopra descritte, con un contestuale ruolo attivo e propositivo diretto a trovare altre soluzioni. E in tale contesto non esiste solo la soluzione dell’acquisizione di una nuova risorsa, ma potrebbe anche intervenire una azione di razionalizzazione dei processi e degli interventi, una soluzione interna di diverso processo funzionale, con un approccio manageriale. La cosa sicuramente da evitare, quindi, è l’eventualità di un parere negativo con un ruolo passivo, in quanto la cosa non mi compete e mi fermo al solo rilascio del parere.

L’altro importante collegamento al processo di mobilità suindicato è quello indicato nell’articolo 50 del medesimo decreto legislativo n. 150/2009 , laddove è previsto che “la mancata individuazione da parte del dirigente responsabile delle eccedenze di unità di personale è valutabile ai fini della responsabilità per danno erariale”.

Sulla mobilità volontaria sono da evidenziare, pertanto, le seguenti caratteristiche essenziali:

  1. La mobilità volontaria comporta la cessione del contratto individuale di lavoro ad un’altra azienda sanitaria, con la conseguenza che rimangono fermi alcuni elementi essenziali, quali ad esempio la tipologia di rapporto a tempo indeterminato, il trattamento economico fondamentale, l’anzianità di servizio.

  2. La mobilità volontaria si perfeziona con il parere favorevole del dirigente responsabile dell’unità operativa dove il dirigente sarà assegnato (in entrata) o è assegnato (in uscita) e assenso dell’azienda.

  3. Il dipendente deve avere superato il periodo di prova. Su questo aspetto è stato più volte chiarito dalla giurisprudenza (Cassazione Civile) che la mobilità volontaria integra una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, che prevede la cessione del contratto, per cui è illegittima la pretesa di un nuovo patto di prova nella nuova azienda sanitaria qualora il periodo di prova sia stato già superato nell’azienda sanitaria di appartenenza. Di conseguenza non appare neanche fondata la concessione di aspettativa o conservazione del posto in favore dei dipendenti che si sono trasferiti.

  4. Il dirigente può accedere alla mobilità volontaria necessariamente nel rispetto delle aree e disciplina di appartenenza, ricomprendendosi tra queste solo le discipline equipollenti ai sensi delle vigenti disposizioni. Diversamente si concretizzerebbe una novazione del rapporto di lavoro non conseguibile attraverso l’istituto della mobilità1. Il personale del comparto accede alla mobilità nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista e posizione economica di appartenenza del dipendente stesso.

  5. Il dirigente o il personale del comparto che richiede la mobilità volontaria, non può ambire ad avere lo stesso incarico dirigenziale, o incarico di posizione organizzativa o di coordinamento, ricoperto nell’azienda sanitaria di appartenenza, in quanto ciò dipende dalla specifica analisi organizzativa ed esigenze funzionali dell’azienda di destinazione. Il valore della retribuzione di posizione da attribuire al dirigente in mobilità volontaria è quello che si presume sia stato concordato tra le parti prima di procedere alla mobilità in relazione all’incarico da conferire, valore che, deve trovare capienza nei fondi contrattuali di pertinenza.

  6. Si ritiene che gli istituti normativi ed economici che hanno valenza annua dovrebbero, di norma, essere liquidati e chiusi al momento del trasferimento in quanto non sembra corretto- anche dal punto di vista contabile- che effetti economici derivanti dal pregresso servizio ricadano sull’azienda ricevente, sono peraltro sempre possibili accordi in senso diverso tra le aziende interessate2.

Un aspetto importante da chiarire risulta essere il rapporto tra le procedure di selezione pubblica (concorsi) e le procedure di mobilità volontaria, nell’acquisizione delle risorse umane. A chi spetta la prevalenza nel caso ci sia una vacanza del posto in organico?

Su tale questione è ormai consolidato il principio del “previo esperimento delle procedure di mobilità”, che privilegia l’acquisizione di risorse umane tramite la mobilità rispetto alle ordinarie misure di reclutamento e che può affiancarsi ai principi che reggono in generale le attività delle pubbliche amministrazioni quali: l’efficienza, la razionalizzazione del costo del lavoro, la migliore utilizzazione delle risorse umane3. Pertanto le richieste di autorizzazione alle assunzioni con concorso pubblico debbono essere precedute da una analisi dell’azienda dimostrativa di aver valutato le domande di mobilità presenti e che le medesime sono impraticabili e non confacenti al ruolo richiesto dall’organizzazione. Quindi si può sostenere che è importante che ci sia il previo esperimento delle procedure di mobilità, ma essendo le medesime correlate ad un parere favorevole del dirigente responsabile atto a verificare la professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto da ricoprire, è ovvio che il previo tentativo di esperimento della mobilità è obbligatorio nell’attivazione ma non è obbligatorio nella scelta automatica del professionista. In sintesi, qualora la professionalità in possesso del professionista sia confacente e funzionale al posto da ricoprire andrà privilegiato tale inserimento rispetto al concorso pubblico, qualora la professionalità non sia confacente la procedura di mobilità è impraticabile a sussistono le condizioni per l’avvio del concorso pubblico.

Il previo esperimento delle procedure di mobilità assumono una valenza ricognitiva di un principio affermato chiaramente dall’ordinamento e rispetto al quale la stessa Corte Costituzionale ha ravvisato la qualità di criterio di organizzazione dettato dal legislatore statale per governare i processi di acquisizione del personale al fine di contenere la spesa corrente4.

A sua tutela è intervenuto poi il legislatore che con la novella dell’articolo 30, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 (ad opera dell’articolo 16, comma 1, lettera b, della legge n. 246/2005) ha comminato la nullità degli accordi, degli atti o anche delle clausole dei contratti collettivi volti a eludere l’applicazione del principio del previo esperimento delle procedure di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale.

Significativo in merito risulta essere il caso di un dirigente medico, di ruolo a tempo indeterminato presso una azienda sanitaria, ma che prestava già servizio, però a tempo determinato, presso un’altra Azienda Sanitaria della medesima Regione e verso la quale aveva avanzato domanda di mobilità volontaria per evidenti ragioni di stabilizzazione. L’Azienda non aveva considerato e analizzato la richiesta di mobilità e aveva invece indetto un concorso pubblico, peraltro nella medesima disciplina di appartenenza del dirigente in questione. Su tale fattispecie, anche se fosse stato effettuato “il previo esperimento della mobilità” risultava, francamente, difficile poi motivare che il dirigente già in servizio a tempo determinato nella medesima area e disciplina oggetto del concorso, non fosse idoneo e compatibile a ricoprire quel posto. Il TAR ha quindi dato ragione al professionista medico5.

 

b) La mobilità interna e la diversa collocazione funzionale.

Su tale questione il CCNL del 31.07.2009 del personale del comparto (non dirigente) – biennio economico 2008-2009 – prevede all’articolo 3 “mobilità interna” che l’Azienda possa disporre l’impiego del personale nell’ambito delle strutture situate nel raggio di 25 chilometri dalla località di assegnazione. Tale misura rientra, quindi, nel potere dell’Azienda che dovrebbe solo motivare le ragioni tecniche e organizzative e dare una informazione preventiva alle organizzazioni sindacali. Il limite dei venticinque chilometri viene, quindi considerato dal CCNL come soglia massima che non provocherebbe disagio al dipendente, che accompagnato alle comprovate ragioni tecniche e organizzative, perfeziona l’esercizio del potere aziendale di trasferire o meglio attribuire una diversa collocazione funzionale agli operatori, che dovrebbero essere scelti in questo caso, non in base a graduatorie o criteri di anzianità, ma secondo le competenze in possesso in stretto rapporto alle caratteristiche della posizione funzionale da ricoprire. Il superamento, invece del limite dei 25 chilometri dalla località di assegnazione, non essendo qualificato quale potere organizzatorio dell’azienda, è invece soggetto ai criteri di contrattazione integrativa con le organizzazioni sindacali, ai sensi del precedente articolo 18 “mobilità interna” del CCNL integrativo del 20.09.2001, che aveva precedentemente previsto il potere organizzatorio dell’azienda entro i dieci chilometri (ora esteso dalla nuova norma contrattuale citata a venticinque chilometri). Per il vero anche il CCNL 20.09.2001 prevedeva all’articolo 18, comma 3, lettera b), nella mobilità volontaria a domanda, che “in caso di più domande per i dipendenti inclusi nelle categorie C e D, doveva essere effettuata una valutazione positiva e comparata dei curriculum degli aspiranti in relazione al posto da ricoprire, mentre per le categorie più basse A e B dovevano essere compilate graduatorie sulla base dell’anzianità di servizio”. Il CCNL, già all’epoca, tracciava quindi delle differenze per la mobilità delle categorie diciamo più professionali, rispetto alle categorie di base. Rispetto invece alla mobilità d’ufficio (per esigenze dell’azienda) il CCNL dava comunque una prevalenza alla verifica dell’esistenza di domande di mobilità volontaria e , in caso di assenza, l’ azienda poteva disporre d’ufficio l’utilizzo del personale, nel rispetto dei criteri da definirsi in sede di contrattazione integrativa. Qui il CCNL tace sulla prevalenza invece prevista per il curriculum nella mobilità volontaria per le categorie C e D. E’ palese che il riferimento alla procedura di contrattazione integrativa ha assunto un valore forte, per cui spesso tali criteri hanno visto il criterio dell’anzianità “in formula a doppio utilizzo” e cioè se si era in presenza della mobilità volontaria (su domanda del dipendente) il criterio dell’anzianità aveva peso insieme al curriculum anche per le categorie C e D, e determinava anche l’esito del posizionamento in alto nella graduatoria, viceversa se si era in presenza della mobilità d’ufficio (su esigenza dell’azienda) il criterio di anzianità aveva peso inverso e cioè si spostavano gli ultimi arrivati o le persone con meno anzianità. A tale proposito ricordiamo anche che lo stesso articolo 18, comma 4, del CCNL 20.09.2001, quand’anche parlava di criteri per la mobilità interna sottoposti alla contrattazione integrativa aziendale, faceva riferimento alle procedure previste dall’articolo 4, comma 5, del CCNL 7.4.1999, il quale prevedeva la cosiddetta “contrattazione a termine” e cioè “sulle materie non direttamente implicanti l’erogazione di risorse destinate al trattamento economico, decorsi trenta giorni dall’inizio delle trattative senza che sia raggiunto l’accordo tra le parti, queste riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e di decisione. D’intesa tra le parti, il termine citato è prorogabile di altri trenta giorni”. E’ ovvio che poi, pur procedendo con la contrattazione a termine, in caso di mancato accordo, si passava dalla sfera giuridica a quella del conflitto politico con il sindacato, per cui si preferiva la strada più sicura della pace sociale favorendo comunque la sottoscrizione di un accordo con il sindacato con criteri regolamentari il più oggettivi possibili e quindi basati anche sulla anzianità di servizio. Tale propensione, a dire il vero, è stata anche favorita dal fatto che la dirigenza non era ancora propensa a sviluppare quei processi manageriali diretti a favorire criteri di flessibilità funzionale e spostamento delle risorse umane, basati sull’analisi della posizione funzionale scoperta, sulle competenze, e sugli aspetti qualitativi che andassero oltre il mero aspetto quantitativo dell’unità di personale. Tornando al CCNL 31.07.2009, l’articolo 3, precisa ancora che non si configura in ogni caso quale mobilità, lo spostamento del dipendente all’interno della struttura di appartenenza, anche se in un ufficio, unità operativa o servizio diverso da quello di assegnazione, in quanto rientrante nell’ordinaria gestione del personale affidata al dirigente responsabile. Qui si rendono opportuni alcuni chiarimenti: è ovvio che quest’ultima previsione qualificata come ordinaria gestione (non prevede l’espresso riferimento alle comprovate ragioni tecniche e organizzative e neanche l’informazione preventiva alle OSS ), deve comunque rientrare, pur se nell’ambito della stessa struttura, nel limite dei venticinque chilometri. Pertanto, si possono verificare le seguenti situazioni: se si tratta di due strutture diverse, entro i venticinque chilometri, sussiste il potere dell’azienda, a condizione delle comprovate ragioni tecniche e organizzative e obbligo di informazione preventiva alle organizzazioni sindacali; se si tratta di spostamento nella medesima struttura, tra unità operative uffici e servizi, entro i venticinque chilometri, sussiste il potere dell’azienda senza obbligo di informazione preventiva alle organizzazioni sindacali. In tale situazione, quindi, come previsto da CCNL non si tratta più di mobilità interna, ma potremmo definirla come “diversa collocazione funzionale degli operatori”. Se nei due casi si superano comunque i venticinque chilometri si entra nella mobilità interna vera e propria con riferimento a criteri previsti in sede di contrattazione integrativa. Inoltre è ancora da precisare che non rientra mai nella mobilità, trasferimento, spostamento o altro termine, l’utilizzo temporaneo del personale (anche in alcuni giorni della settimana) su più sedi, nell’ambito della flessibilità funzionale, che potrebbe comportare anche il superamento dei venticinque chilometri, fermo restando il mantenimento della sede originaria che deve comunque comportate un attività di tempo prevalente. Tornando alla modalità di diversa collocazione funzionale tra strutture diverse, entro i venticinque chilometri, il CCNL prevede che la stessa sia supportata da comprovate ragioni tecniche e produttive e previa informazione preventiva alle organizzazioni sindacali. In tale situazione si potrebbero verificare i seguenti effetti: se gli spostamenti del personale sono diversi e hanno una valenza riorganizzativa di strutture e uffici, senza modifica dell’articolazione dell’orario di servizio, l’informazione preventiva va qualificata meglio sotto forma di consultazione, chiedendo al sindacato un proprio parere in merito, ferma restando la responsabilità e il potere di disposizione finale dell’azienda; se invece gli spostamenti sempre diversi sono correlati anche ad una modifica della articolazione dell’orario di servizio della struttura e con riflessi riorganizzativi, ricevuta l’informazione preventiva le organizzazioni sindacali potrebbero richiedere l’attivazione della procedura della concertazione, che prevede un confronto che si conclude nel termine tassativo di trenta giorni e del cui esito è prevista la redazione di uno specifico verbale contenente le posizioni delle parti, che può prevedere un accordo di concertazione, di parziale concertazione o una presa d’atto di mancata concertazione. Precisiamo che la modifica dell’articolazione dell’orario di servizio si intende quello della struttura, unità operativa di riferimento e non l’eventuale modifica del turno di lavoro dell’operatore che viene trasferito e che si inserisce nel quadro dell’articolazione dell’orario di servizio della struttura assieme ai turni degli altri operatori in servizio. In tutti gli altri casi e in particolare per spostamenti singoli o plurimi che non hanno riflessi riorganizzativi o di diversa articolazione dell’orario di servizio, ma tendenti a ricoprire posizioni vacanti, improvvise assenze, punte di attività, ecc., pur cambiando il turno di lavoro, l’informazione assume a valore di trasparenza delle scelte e strumento di partecipazione. Pertanto in tali ultimi casi, l’informazione assume a valore di conoscenza preventiva del sindacato sulle comprovate ragioni tecniche e organizzative (nel caso di due strutture diverse entro i venticinque chilometri), ma non si è obbligati ad attivare una procedura concertativa o consultativa. In queste ipotesi l’organizzazione rimane così come è, ma necessita per il suo funzionamento ordinario di ricoprire posti vacanti o per assenze improvvise, oppure richiede la necessità di un diverso apporto produttivo per eventi e situazioni imprevedibili e punte di attività (quindi la correlazione alle comprovate ragioni organizzative e tecniche non si intende, quindi, come riorganizzazione, ma come ragioni funzionali e tecniche specifiche dell’organizzazione vigente).

Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, in sede di confronto regionale è possibile la deroga in misura inferiore dell’ambito territoriale previsto per il potere organizzatorio dell’azienda (venticinque chilometri), in relazione alle problematiche legate alle dimensioni territoriali delle aziende, alla conformazione fisica del territorio e alle condizioni di viabilità delle reti di trasporto pubblico ed altre situazioni valutabili in tale sede.

Ulteriore misura prevista dal successivo comma 3 è la seguente “in caso di ristrutturazione su dimensione regionale o sovra aziendale degli enti del SSN che comportino l’accorpamento, anche parziale, di strutture appartenenti a separati enti, i criteri circa la mobilità del personale interessato, nel rispetto della categoria, profilo professionale, disciplina ove prevista nonché posizione economica di appartenenza del dipendente, possono essere affrontati in sede di confronto regionale ai sensi dell’articolo 7 del CCNL 19.04.2004 (coordinamento regionale, linee di indirizzo alle aziende sanitarie per la contrattazione integrativa).

Sul versante della dirigenza, l’articolo 16 “mobilità interna” del CCNL 10.02.2004 integrativo del CCNL 08.06.2000 – andrebbe oggi qualificato meglio come diversa collocazione funzionale dei dirigenti nelle aziende sanitarie.

La disciplina contrattuale chiarisce subito che la mobilità all’interno dell’azienda sanitaria, può essere conseguenza dell’attuale sistema degli incarichi dirigenziali. Ciò significa che al momento dell’assegnazione dell’incarico dirigenziale, l’azienda potrebbe richiedere al dirigente ampia flessibilità e movibilità sia temporanea che definitiva con un cambio della sede originaria, con modifica del contratto individuale di lavoro. Quindi dal conferimento del nuovo incarico può anche discendere un servizio in una struttura diversa da quella della sede di precedente assegnazione. Non sono indicati limiti chilometrici di riferimento, quindi la norma vale per tutto il contesto territoriale di competenza dell’azienda sanitaria. In tale ambito è opportuno che all’atto della stipula del contratto integrativo individuale di lavoro, quello per intenderci correlato all’incarico dirigenziale, ci sia anche una clausola che preveda un utilizzo flessibile del dirigente anche in diversi ambiti di intervento.

Con riguardo alla mobilità interna, va sottolineato che il criterio dell’attinenza o equipollenza della disciplina si attenua nei casi in cui la ristrutturazione aziendale determini eventuali esuberi, nonché in relazione al passaggio ad altra funzione per inidoneità fisica6.

Anche qui è da precisare che, qualora il dirigente pur ordinariamente in servizio in un sede precisa, sia poi chiamato a svolgere anche attività in diverse sedi, tale situazione non comporta un qualificazione di mobilità interna, quando il tempo lavoro è preminente nella sede originaria. Si tratterebbe, pertanto, di flessibilità funzionale, per la quale un dirigente può essere anche chiamato a svolgere delle prestazioni in diverse sedi nell’ambito dell’ azienda, mantenendo invariata la sua collocazione di origine.

Nei processi di mobilità interna o nella diversa collocazione funzionale e flessibilità operativa del personale ( comparto e dirigenza) è importante però, rispettare, il principio dell’equivalenza delle mansioni. Difatti ai fini della valutazione della sussistenza dello ius variandi, da parte datoriale, è necessario verificare l’equivalenza in concreto di tali mansioni con quelle in precedenza assegnate, alla stregua del contenuto, della natura e delle modalità di svolgimento delle stesse. La suddetta equivalenza presuppone che le nuove mansioni, pur se non identiche a quelle in precedenza espletate, corrispondano alla specifica competenza tecnica del dipendente, ne salvaguardino il livello professionale e siano comunque tali da consentire l’utilizzazione del patrimonio di esperienza lavorativa acquista nella pregressa fase del rapporto7.

L’articolo 16 in questione precisa anche il caso che sia lo stesso dirigente a chiedere una mobilità a domanda in una struttura diversa da quella di assegnazione originaria. In tal caso, continuando nella logica di cui sopra, la mobilità a domanda si configura come richiesta di un nuovo e diverso incarico dirigenziale e l’eventuale accoglimento della domanda segue le procedure previste per un nuovo conferimento di incarico.

Caso a parte, risulta invece essere la cosiddetta “mobilità d’urgenza” la quale viene attivata (sia per il comparto che per la dirigenza) per soddisfare esigenze funzionali delle strutture di riferimento in presenza di eventi contingenti e non prevedibili. La mobilità d’urgenza ha carattere provvisorio e urgente e viene disposta per il tempo strettamente necessario al perdurare della situazione di emergenza. In tal caso non può superare il limite massimo di un mese, salvo consenso del dipendente espresso sia per la proroga che per la durata. La mobilità d’urgenza, ove possibile, è effettuata a rotazione tra tutti i dipendenti, qualsiasi sia l’incarico loro conferito.

Sulla materia è importante anche evidenziare l’articolo 55 – quater del decreto legislativo 27 Ottobre 2009, n. 150, che prevede la sanzione disciplinare del licenziamento in caso di ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’azienda sanitaria per motivate esigenze di servizio.

Ricordiamoci inoltre che l’articolo 18, comma 5, del CCNL 20.09.2001 prevede che “la mobilità interna dei dirigenti sindacali indicati nell’articolo 10 del CCNQ del 7 Agosto 1998 (componenti RSU, dirigenti sindacali accreditati aventi titolo a partecipare alla contrattazione integrativa, dirigenti sindacali che siano componenti degli organismi direttivi delle proprie confederazioni ed organizzazioni sindacali di categoria rappresentative non collocati in distacco o aspettativa), fatta salva la mobilità d’urgenza, può essere predisposta solo previo nulla osta delle rispettive organizzazioni sindacali e della RSU ove il dirigente ne sia componente. Tranne l’ipotesi dei componenti RSU eletti di cui si ha conoscenza, è importante per le restanti ipotesi che le organizzazioni sindacali indichino per iscritto all’amministrazione i nominativi dei dirigenti sindacali titolari delle prerogative e libertà sindacali.

 

c) Il comando.

Il personale dipendente può anche prestare servizio presso un soggetto diverso dall’azienda dove è stata effettuata l’assunzione. In tal caso interviene istituto del comando che non comporta l’estinzione del rapporto di lavoro con l’azienda sanitaria originaria ma solo una modificazione temporanea di esecuzione della prestazione lavorativa presso un’altra azienda sanitaria.

Le norme contrattuali di riferimento prevedono che per comprovate esigenze di servizio la mobilità del personale può essere attuata anche attraverso il comando tra aziende sanitarie, anche di diversa Regione, che abbiamo dato il loro assenso. Nel comando non vi è una cessione del contratto, come nella mobilità volontaria. Difatti il dipendente rimane di ruolo nella medesima azienda solo che viene utilizzato a tempo determinato e in via eccezionale, con il suo consenso, presso l’azienda sanitaria di destinazione che provvede direttamente alla relativa spesa per gli emolumenti retributivi spettanti. Tale caratteristica rende evidente che il posto lasciato disponibile dal dipendente comandato non può essere coperto per concorso o con qualsiasi altra forma di mobilità.

La giurisprudenza consolidata ha precisato che la temporaneità del distacco, pur essendo un requisito proprio di tale istituto, non esige la predeterminazione della sua durata, che può quindi anche protrarsi, essendo invece rilevante che persista l’interesse concreto del datore di lavoro originario ad impegnare in tal modo le prestazioni del proprio dipendente8.

Il comando può essere disposto anche nei confronti del dipendente per il quale sia in corso il periodo di prova, per esigenze professionali e previa individuazione delle modalità di formalizzazione del superamento del periodo di prova.

Altra fattispecie di utilizzo del comando può essere quella dettata per motivi di aggiornamento tecnico e scientifico. Difatti il dipendente può chiedere un comando finalizzato presso centri, istituti e laboratori nazionali ed internazionali ed altri organismi di ricerca che abbiamo dato il proprio assenso. Tale comando è però senza assegni, in quanto richiesto per esigenze dello stesso dipendente, non può superare due anni nel quinquennio, ferma restando l’anzianità di servizio maturata per tutti gli effetti concorsuali e di sviluppo di carriera. Qualora, invece, il comando sia giustificato dall’Azienda per far compiere al dipendente studi speciali o acquisizione di tecniche particolari, necessarie alla specifica attività assistenziale, al dipendente comandato sono corrisposti gli assegni e il trattamento di missione fino a sei mesi.

Norme, Circolari e Giurisprudenza di riferimento.

Decreto Legislativo n. 165/2001;

Decreto Legislativo n. 150/2009;

CCNL 7.4.1999 – area comparto sanità;

CCNL integrativo del 20.09.2001 – area comparto sanità;

CCNL 31.07.20009 – area comparto sanità;

CCNL 08.06.2000 – area della dirigenza medica- veterinaria;

CCNL 08.06.2000 – area della dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa;

Circolare ARAN n. 11632 del 25.10.2000;

Nota ARAN del 20 Maggio 1998 – Prot. n. 3179;

Nota ARAN del 20 Febbraio 2002 – Prot. n. 1943;

Circolare 18 Aprile 2008 n. 4 – Ministero della Funzione Pubblica;

Corte Costituzionale sentenze: n. 390/2004; n. 388/2004; n. 88/2006;

TAR Friuli Venezia Giulia sentenza n. 552/2007;

Cassazione 19 Marzo 1991 n. 2893; 17 Marzo 1998 n. 2880;

Cassazione – sezione lavoro – sentenza n. 11835 del 21 Maggio 2009.

 

1 Vedi la circolare n. 11632 del 25.10.2000 – a cura dell’ARAN “chiarimenti clausole dei CCNL 1998-2001 della dirigenza del SSN, aree medica veterinaria e dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo, stipulati l’8 Giugno 2000.

2 Nota ARAN del 20 Maggio 1998 – prot. n. 3179 – “Linee interpretative dei contratti collettivi delle aree dirigenziali del comparto sanità”.

3 Circolare 18 Aprile 2008, n. 4 del Ministero della Funzione Pubblica “ Legge 24 Dicembre 2007, n.244 – Linee guida ed indirizzi in materia di mobilità”.

4 Sentenze della Corte Costituzionale n. 390 del 2004; n. 388 del 2004 e n.88 del 2006

5 Sentenza n. 552/2007 del TAR del Friuli Venezia Giulia.

6 Nota ARAN del 20 Febbraio 2002 – prot. n. 1943 – “Chiarimenti sulle clausole dei CCNL 1998-2001 della dirigenza del SSN.

7 Sentenza n. 11835 del 21 Maggio 2009 – Sezione Lavoro – Cassazione. Ribadisce che è vietato il totale demansionamento del pubblico dipendente, ai sensi e agli effetti dell’articolo 2103 codice civile. Tale disposizione considera illegittima ogni modifica peggiorativa delle mansioni del lavoratore, anche se non comporta un danno di natura economica.

8 Cassazione 19 Marzo 1991, n.2893 – in Not. giur. lav. 1991, 640; Pret. di Milano, 29 Luglio 1997 – in Lav. Giur. 1998, 241; Cassazione 17 Marzo 1998, n. 2880, in Dir.prat.lav., 1998, 2199.

Marra Felice

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