Alcuni aspetti che non convincono nel procedimento di variazione territoriale

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La delibera del Consiglio Provinciale di Belluno n. 4/2011 sull’indizione del referendum per il passaggio della Provincia bellunese alla Regione speciale Trentino-Alto Adige/Sudtirol, ha aperto un interessante dibattito, anche tra gli studiosi del Diritto Costituzionale, sollevando rilevanti questioni che dovrebbero condurre ad una riflessione ad ampio raggio sul meccanismo di variazione territoriale di Comuni e Province disciplinato dall’art. 132, 2° comma, Cost.

Tre gli aspetti che non mi convincono:

1) il ruolo marginale delle Regioni (sia quella da cui si richiede il distacco sia quella cui tende l’ aggregazione) nel procedimento di modificazione territoriale. Sul punto, infatti, i Consigli Regionali sono chiamati ad esprimersi con un parere (obbligatorio ma non vincolante) che, pur non implicando una subalternità rispetto alle potenzialità dell’istituto di democrazia diretta (il referendum), fornisce un mero elemento di giudizio messo a disposizione del legislatore statale al pari della consultazione referendaria.

La sensazione resta, comunque, quella di una posizione di passività riservata alle Regioni mentre, dato il rilevante interesse in gioco che è quello di un potenziale rimodellamento del territorio regionale, sarebbe stato opportuno prevedere la possibilità, in capo alle stesse amministrazioni regionali, di instaurazione di meccanismi di concertazione e cooperazione tra i diversi livelli di governo coinvolti, similmente a quanto stabilito per la richiesta di forme e condizioni particolari di autonomia ex art. 116, 3° comma, della Costituzione, come condizione da soddisfare prima di dare avvio alla procedura variatoria.

2) La restrizione del concetto di popolazione interessata alla modifica e, di conseguenza, all’ambito del referendum (a seguito della sentenza n. 334/2004 della Corte Costituzionale) oggi riservato soltanto alla popolazione residente nei Comuni o nelle Province oggetto di distacco, potrebbe impedire di affrontare efficacemente il problema del bilanciamento delle istanze particolaristiche con una visione complessiva di riordino del territorio.

3) In caso di esito positivo del referendum che coinvolge l’intera Provincia di Belluno per il passaggio alla Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol, come considerare il pronunciamento del Comune di Sappada, il cui corpo elettorale si è espresso per l’aggregazione alla Regione Friuli-Venezia Giulia (tra l’altro con il già intervenuto parere favorevole del Consiglio Regionale friulano nel novembre 2010)?

Si deve concludere che l’esito del referendum su base provinciale possiede una preminenza su quelli locali con la conseguenza di surrogarne gli esiti ed il risultato conclusivo, specialmente nell’ipotesi in cui non c’è identità in termini di ente regionale al quale tende l’aggregazione ? Esiste, allora, una superiorità giuridica del diritto all’autodeterminazione della Provincia rispetto a quello delle singole amministrazioni comunali?

Eppure, con la riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, si è configurato un pluralismo istituzionale paritario, non potendosi più individuare rapporti di gerarchia o anche solo di preminenza tra enti locali territoriali (ossia tra Comuni e Province).

Come far valere, quindi, il diritto all’autodeterminazione di quei Comuni che, per primi, hanno avviato, con esito positivo, la procedura di distacco-aggregazione?

Aspettiamo l’ardua sentenza!

 

 

 

Trabucco Daniele

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