Come è noto, il diritto di usufrutto è un diritto reale parziario di godimento su cosa altrui, che permette al titolare di godere della cosa, usufruendone, con diritto di percepire i frutti (civili o naturali) che la stessa produce, “salva rerum substantia”, quindi senza alterarne la destinazione economica. Ora, volendo affrontare la problematica dell’ammissibilità dell’usufrutto su una quota di società di persone – ed in particolare sulla quota che comporta la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali – si deve aver ben presente che detta quota di partecipazione non è una res corporale, bensì una posizione complessa che comporta l’esistenza in capo al suo titolare di una serie di diritti ed obblighi, nascenti dallo stesso contratto sociale: per questo motivo era molto discussa in passato la stessa configurabilità di un diritto di usufrutto su tale tipologia di quota sociale.
Al giorno d’oggi l’ammissibilità dell’usufrutto su quota di società di persone viene pressoche’ unanimemente riconosciuta, ma resta ancora molto acceso il dibattito sotto il profilo delle prerogative e dei diritti spettanti al titolare del diritto di usufrutto. Non esistendo infatti una disciplina positiva – ed anzi non esistendo una sola norma che preveda tale fattispecie (a differenza di quanto avviene per la S.p.A. giusta l’art. 2352 c.c. e per la S.r.l. tramite il rinvio a tale articolo effettuato dall’art. 2471 bis c.c.) – le opinioni dottrinarie sull’argomento sono molteplici e molto contrastanti tra loro.
Sulla base del silenzio normativo e della assai dibattuta natura giuridica della quota di società di persone, in passato giurisprudenza e dottrina negavano l’ammissibilità dell’usufrutto della quota. Del resto le tesi sulla natura giuridica della quota di società di persone erano molteplici, infatti oltre alla tesi che individuava nella quota una “posizione contrattuale” vi erano le seguenti: 1. la tesi risalente ed oramai superata (che negava peraltro la stessa soggettività giuridica delle società di persone) della quota come diritto di comproprietà, 2. la tesi della “misura” della partecipazione del socio, 3. la tesi dello “status”, 4. la tesi della quota come “universitas iuris”, 5. la tesi secondo cui si sarebbe trattato di un semplice diritto di credito agli utili o alla quota di liquidazione.
La stessa giurisprudenza di merito risultava essere di segno nettamente contrario all’ammissibilità dell’usufrutto su tale tipologia di quote, e si fondava appunto sui seguenti tradizionali argomenti: la natura giuridica della quota di società di persone, riconducibile ad una posizione contrattuale complessa insuscettibile come tale di formare oggetto di tale diritto parziario, e la totale mancanza di una disciplina espressa e addirittura di una norma che ammettesse o presupponesse la figura. Alla tendenza negativa si obiettava in dottrina con argomentazioni che prendevano le mosse dalla possibilità di prevedere il diritto di usufrutto sul credito, anch’esso evidentemente da considerarsi un bene privo di corporalità (art. 1000 c.c.), si evidenziava inoltre che l’esistenza di una norma “ad hoc” dettata in materia di S.p.A. non poteva certo portare automaticamente a ritenere illegittimo l’analogo istituto in materia di società di persone, e che comunque la difficoltà di reperire la disciplina applicabile non poteva essere un valido argomento per concludere per l’illegittimità di un istituto.
Attualmente, come è noto, le tesi principali sulla natura giuridica della quota di società di persone sono le seguenti:
i) continua ad esistere la tesi che vede la quota come una posizione contrattuale: secondo tale teoria alla cessione della quota sarebbe in effetti con ogni evidenza applicabile la disciplina della cessione del contratto (ciò spiegherebbe il necessario intervento di tutti i soci per la cessione della quota di s.n.c.);
ii) la tesi attualmente prevalente (accolta anche dalla giurisprudenza di merito e dalla Cassazione) che ravvisa nella quota di società di persone, così come nella partecipazione di S.r.l., un bene mobile immateriale;
iii) vi è anche una tesi intermedia (suffragata da dottrina e Cassazione) che vede nella quota allo stesso tempo sia un bene mobile immateriale sia una posizione contrattuale.
La dottrina prevalente ritiene comunque oggi che le quote di società di persone siano (come le partecipazioni nella S.r.l.) beni mobili immateriali, come tali capaci di formare oggetto del diritto di usufrutto (anche in assenza di una norma espressa ed in assenza di incorporazione in un titolo cartaceo).
Per la costituzione di tale diritto di usufrutto, una volta stabilita la sua ammissibilità, si ritiene applicabile – salvo deroghe pattizie – l’art. 2252 c.c., che richiede comunque il consenso di tutti i soci. Si reputa altresì ammissibile, superati alcuni dubbi iniziali, la stessa nascita della società con l’immediata presenza dell’usufruttuario di quota, con previsione quindi del sorgere di tale diritto già in sede di atto costitutivo della società.
Fermo restando il fatto che l’usufruttuario della quota di s.n.c., data la particolare natura del bene che forma in questo caso l’oggetto del diritto, non potrà essere certo considerato un mero “percettore dell’utile”, regna un’estrema incertezza sulla disciplina applicabile alla fattispecie: mancando infatti una disposizione analoga all’art. 2352 c.c. occorrerà dunque ricercare la disciplina di ogni singolo aspetto – sia di natura amministrativa che di natura patrimoniale – del rapporto tra nudo proprietario e usufruttuario: resta da chiedersi quindi chi sarà tenuto a rispondere delle obbligazioni sociali, a chi spetterà amministrare, o decidere modificazioni dell’atto costitutivo, a chi gioverà l’aumento oneroso o gratuito del capitale sociale, il diritto alla quota di liquidazione, et cetera.
Esaminiamo brevemente i temi piu’ controversi procedendo per punti:
1) ATTRIBUZIONE O MENO DELLA QUALIFICA DI “SOCIO” ALL’USUFRUTTUARIO DI QUOTA DI S.N.C.: prevale nettamente in dottrina ed in giurisprudenza la tesi secondo cui l’usufruttuario di quota di s.n.c. non rivestirebbe la qualifica di socio. Egli in effetti è soltanto titolare di un diritto parziario sulla quota, che seppure gli attribuisce alcuni diritti, non lo rende un soggetto facente parte della compagine sociale. Il nudo proprietario è invece sicuramente socio, anche se, evidentemente, si trova ad essere spogliato di alcuni dei suoi diritti, ed in particolare del fondamentale suo diritto alla percezione dell’utile. E’ quindi il socio nudo proprietario che, in quanto tale, è ovviamente soggetto alla responsabilità personale illimitata e solidale per le obbligazioni sociali. Va evidenziato tuttavia che esiste anche un’opinione dottrinaria – del tutto isolata – che attribuisce la qualifica di socio anche all’usufruttuario della quota.
2) RESPONSABILITA’ PER LE OBBLIGAZIONI SOCIALI DELL’ USUFRUTTUARIO: ci si chiede se l’usufruttuario della quota sia o meno responsabile illimitatamente con il proprio patrimonio per le obbligazioni sociali.
La tesi della responsabilità, che era prevalente nella dottrina non recentissima (Ghidini, Gradassi) è quella secondo cui anche l’usufruttuario, oltre al socio nudo proprietario della quota, risponderebbe con il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali, ma nell’ambito di tale concezione si delineano due differenti orientamenti: il primo ritiene che l’usufruttuario sia responsabile soltanto per le obbligazioni sorte successivamente all’acquisto del suo diritto sulla quota, e quindi soltanto per la durata del diritto di usufrutto, il secondo che la responsabilità dell’usufruttuario si estenda anche alle obbligazioni sociali preesistenti. Secondo tale ultima interpretazione vi sarebbe quindi piena applicabilità al titolare del diritto di usufrutto della regola dettata dall’art. 2269 c.c. in tema di responsabilità del nuovo “socio”, con conseguente responsabilità illimitata dell’usufruttuario anche per le obbligazioni sociali preesistenti all’acquisto del suo diritto.
Su questo tema il dibattito dottrinale sul punto continua tutt’oggi ad esistere, con la peculiarità che, nella gran parte dei casi, sembrerebbe concludere per la responsabilità personale dell’usufruttuario per le obbligazioni sociali, sia chi considera l’usufruttuario “socio”, sia chi lo considera estraneo alla compagine sociale e quindi “non socio”, stante la potenziale ampiezza dei poteri connessi alla titolarità di tale particolare diritto sulla quota.
Le argomentazioni che vengono portate a fondamento della tesi della responsabilità sono varie, in particolare vi è una teoria che ritiene che all’usufrutto della quota si applicherebbe la disciplina dell’usufrutto di azienda (considerandosi quindi l’azienda sociale), sulla base dell’assunto che la responsabilità dell’usufruttuario si risolverebbe in una garanzia di buon comportamento del titolare del diritto parziario nei confronti del nudo proprietario della quota sociale.
La tesi secondo cui l’usufruttuario non sarebbe illimitatamente responsabile per le obbligazioni della società si fonda invece sui seguenti argomenti: 1. normalmente nell’ordinamento si ha la responsabilità per un debito proprio e non per un debito altrui: la norma che prevede la responsabilità del socio per le obbligazioni sociali (quindi di altro soggetto) è una norma eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica; 2. l’argomento letterale: le norme parlano sempre di “responsabilità del socio”, mentre l’art. 2561 parla di responsabilità per debiti propri dell’usufruttuario di azienda; 3. si avrebbe un ingiustificato ed assolutamente non previsto vantaggio per i creditori sociali; 4. ove non si ammetta la possibilità per l’usufruttuario di amministrare, non si giustificherebbe in alcun modo una responsabilità illimitata non accompagnata dal correlativo potere di gestione.
3) POSSIBILITÀ O MENO DI ATTRIBUIRE ALL’USUFRUTTUARIO DI QUOTA DI S.N.C. IL POTERE DI AMMINISTRARE: è questo uno degli argomenti più discussi: e, dato per presupposto, aderendo alla tesi assolutamente prevalente sul punto, che l’usufruttuario non sia comunque da considerarsi “socio”, tale nodo problematico si risolverebbe in ultima analisi nella soluzione del problema in ordine alla possibilità di nominare amministratore nelle società di persone un soggetto estraneo alla compagine sociale. Ma tale particolare ipotesi si scontra, come è noto, con l’orientamento prevalentemente negativo della dottrina e della giurisprudenza, che collega il potere di amministrare alla titolarità della posizione di “socio”, sulla base dell’“intuitus personae” che connota la società di persone.
Esiste comunque in dottrina anche chi ritiene possibile che l’usufruttuario abbia il diritto di amministrare. Si arriverebbe però a tale conclusione per il tramite di due diversi percorsi logici: da parte di alcuni autori tramite l’applicazione analogica delle norme sull’usufrutto di azienda (considerandosi l’azienda sociale) ed in particolare dell’art. 2561 c.c. che prevede l’obbligo per l’usufruttuario di gestire l’azienda (la critica a tale impostazione è che l’usufrutto sulla quota non è usufrutto sui beni che formano l’azienda sociale, sui beni aziendali: il bene “quota” è infatti bene assai diverso dal bene azienda!); da parte di altri sostenendo l’applicazione delle norme generali sul diritto di usufrutto, che attribuisce all’usufruttuario una serie di diritti e facoltà che non sembrerebbero poter essere dissociate dal potere di amministrare il bene oggetto del diritto di usufrutto.
4) IL CONSENSO PER LE MODIFICAZIONI STATUTARIE: ci si chiede se per la decisione delle modificazioni dell’atto costitutivo (i.e. dei patti sociali), da decidersi per regola generale con il consenso di tutti i soci, sia richiesto anche il consenso dell’usufruttuario di quota. Non si pone in dubbio che, dato che la posizione di socio sta in capo al nudo proprietario, il consenso del socio nudo proprietario sia chiaramente imprescindibile.
Quanto alla necessità della manifestazione della volontà anche del titolare del diritto di usufrutto sulla quota, la dottrina non è univoca:
a) secondo una prima tesi, non sarebbe possibile, in spregio al dettato normativo che assegna la competenza ai “soci”, attribuire il diritto di adottare tali decisioni ad un soggetto che socio non è, quindi tale facoltà sarebbe esclusiva del solo socio nudo proprietario;
b) secondo un’altra tesi, occorrerebbe il consenso congiunto di usufruttuario e socio nudo proprietario (salvo il dover superare l’ostacolo non solo concettuale di avere un duplice “voto” per una stessa quota). Tale tesi apparirebbe coerente con l’affermazione della responsabilità illimitata dell’usufruttuario della quota (e comunque in un certo senso dotata di una valenza “correttiva” delle conseguenze dell’accoglimento dell’assunto che vuole l’usufruttuario non amministratore della società).
5) DIRITTI DELL’USUFRUTTUARIO IN CASO DI SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO SOCIALE DEL SINGOLO SOCIO E DI SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’: sul punto si tende ad affermare in dottrina, sia per il caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio nudo proprietario, sia per quello dello scioglimento della società, che esista un’ipotesi di concorso del socio nudo proprietario e dell’usufruttuario nella riscossione e quindi nell’esercizio del diritto di credito alla liquidazione della quota o alla cd. “quota di liquidazione”: per il calcolo dei proporzionali diritti dell’uno e dell’altro, si applicheranno chiaramente i coefficienti in materia di rendite previsti per l’applicazione dell’imposta di registro dal relativo Testo unico.
Tutti gli aspetti sin qui evidenziati nei loro profili di criticità – non esistendo a tutt’oggi orientamenti certi ed unitari – andranno opportunamente disciplinati in sede di redazione dell’atto costitutivo, ovvero in sede di successiva costituzione del diritto reale parziario sulla quota, al fine di evitare ogni possibile contenzioso.
Quanto alla restante disciplina applicabile all’usufrutto sulla quota di società di persone, in relazione ai diritti e poteri dell’usufruttuario in società, piuttosto pochi sono i punti fermi, che qui si vogliono brevemente riassumere:
a. partendo dal disposto dell’art. 981 c.c.: l’usufruttuario ha certamente il “diritto di godere del bene traendone gli utili ma rispettando la sua destinazione economica”, quindi sicuramente ha il diritto alla percezione degli utili derivanti dalla partecipazione societaria;
b. nel caso di aumento del capitale a titolo gratuito, si ritiene pacificamente che l’usufrutto si estenda al valore accresciuto della quota, mentre nel caso di aumento del capitale a pagamento, si ritiene che il diritto di usufrutto non si estenda alle nuove quote oggetto di sottoscrizione;
c. il diritto di recesso compete sempre e comunque al socio, cioè al nudo proprietario, con le conseguenze viste sopra in relazione al diritto di credito alla liquidazione del valore della quota del socio receduto.
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