Prima dell’entrata in vigore della legge 241 del 1990, il procedimento amministrativo aveva carattere autoritario: l’istruttoria era considerata un’attività unilaterale ed interna della pubblica amministrazione dalla quale era escluso il destinatario del provvedimento finale.
Il cittadino, di conseguenza, era considerato un soggetto passivo dell’azione amministrativa.
Autorevole dottrina sollevò critiche intorno a questo stato di fatto, in quanto l’ordinamento giuridico non obbligava la pubblica amministrazione a mettere in luce i reali interessi, pubblici o privati, che perseguiva nelle proprie scelte e pertanto non ostacolava l’assunzione di determinazioni prese in modo del tutto arbitrario.
Feliciano Benvenuti1 elaborò il concetto secondo il quale il cittadino, oltre ad essere amministrato, deve poter assumere anche il ruolo di << coamministrante >>2, attraverso una piena partecipazione alla formazione del provvedimento amministrativo che incide nella propria sfera giuridica.
Il noto giurista italiano mise in luce la perfetta copertura costituzionale del principio generale di partecipazione3.
Il confronto costruttivo, in sede d’istruttoria, tra soggetto partecipante al procedimento e l’autorità decidente, mette in pratica il principio di << buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione >> (ex art. 97 Cost.).
Lo sviluppo della personalità dell’individuo (ex art. 2 Cost.), e la sua crescita sociale, avviene anche attraverso la partecipazione all’organizzazione amministrativa del Paese.
L’effettività del << principio di democrazia >> (ex art. 3 Cost.) si realizza, in particolar modo, con la partecipazione dell’individuo ai processi decisionali della pubblica amministrazione, al punto che
la dottrina consolidata sottolinea l’ inevitabile passaggio dalla semplice democrazia formale al concetto di << democrazia partecipata >>.
Il << diritto di difesa >> (ex art. 24 Cost.) si espande, nel suo raggio d’azione, anche all’istruttoria amministrativa, in quanto il soggetto partecipante può, da subito, preparare una linea difensiva nei confronti di future determinazioni illegittime della pubblica amministrazione.
Dopo aver richiamato, seppure sinteticamente, i riferimenti costituzionali al principio generale di partecipazione, analizziamo la legge 241 del 1990 che ha favorito, finalmente, un
contraddittorio procedimentale e democratico4 tra l’amministrazione procedente e i cittadini.
L’articolo 10, comma 1, della suddetta legge, sancisce il diritto dei destinatari del provvedimento amministrativo finale, e di coloro ai quali possa derivare un pregiudizio diretto, di partecipare al relativo procedimento.
La partecipazione presenta un duplice scopo: collaborazione e difesa5.
Per quanto riguarda l’aspetto collaborativo, il privato arricchisce l’istruttoria, con l’apporto di nuovi elementi fattuali, e rileva bisogni, risorse, interessi pubblici o privati, sconosciuti fino a quel momento dall’amministrazione procedente.
Oppure, prospetta delle soluzioni alternative e più efficaci rispetto a quelle verso le quali è indirizzata la pubblica amministrazione.
L’aspetto difensivo e di garanzia6, invece, si realizza in quanto il cittadino presenta osservazioni, in merito a determinazioni che ritiene illegittime o inopportune, che, lì dove fossero condivise dall’autorità amministrativa procedente, potrebbero evitare futuri ricorsi amministrativi e giudiziari.
In tal caso si anticipa il contraddittorio, che avverrebbe in sede processuale, contribuendo alla c.d. deflazione del contenzioso.
Tutti gli apporti sono resi dal cittadino attraverso lo strumento della memoria scritta7.
È opportuno mettere in luce il vincolo dell’autorità amministrativa decidente alle risultanze istruttorie, in particolar modo agli apporti forniti dai privati e rilevanti ai fini decisori8.
Questo vincolo deriva dall’articolo 6, comma 1, let. e), che obbliga il responsabile del procedimento amministrativo ad adottare una decisione finale che sia conforme alle risultanze istruttorie.
L’articolo 10, comma 1, let. b), prevede, inoltre, l’obbligo di valutare nella fase istruttoria tutti gli apporti dati dal privato, purché siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
Secondo la giurisprudenza costante, la pubblica amministrazione, lì dove dovesse ritenere non pertinenti le allegazioni dei privati, non potrà omettere il loro richiamo nella motivazione, ma dovrà specificare le ragioni per le quali sono state ritenute non utilizzabili ai fini decisori.
È evidente, infatti, che il nostro legislatore imponga la trasparenza nell’istruttoria amministrativa, affinché il cittadino comprenda l’iter decisionale seguito dalla pubblica amministrazione.
Eppure, sovente accade che, nel discorso motivazionale, l’amministrazione decidente non consideri, in alcun modo, le allegazioni presentate dai privati in sede istruttoria9 oppure non proceda, in modo adeguato, alla confutazione10 delle argomentazioni, di fatto e di diritto, presentate dai soggetti secondo il principio di partecipazione e di trasparenza.
In alcuni casi, addirittura, la motivazione del provvedimento amministrativo si limita ad una semplice affermazione stereotipata del tipo << visto le osservazioni presentate dalla S. V. >>.
Lo strumento giuridico11, attraverso il quale si possono rilevare queste gravissime carenze istruttorie, a danno dei partecipanti al procedimento amministrativo, è la motivazione del provvedimento finale12.
L’articolo 3, comma 1, della legge 241/1990, impone che la motivazione riporti i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno indotto la pubblica amministrazione ad adottare una determinata decisione finale, rispetto ad altre soluzioni possibili, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
La motivazione del provvedimento amministrativo, quindi, non può tradire l’istruttoria.
Secondo un recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, i presupposti di fatto, intesi come elementi e dati di fatto acquisiti in sede d’istruttoria, e le ragioni giuridiche, ossia le norme ritenute applicabili nel caso di specie dalla pubblica amministrazione, sono veri e propri elementi strutturali13 ed essenziali della motivazione: se uno di questi fosse mancante o fosse indicato in modo incompleto o incerto, in relazione alle risultanze istruttorie, la motivazione non sarebbe conforme all’articolo 3 della legge 241/9014.
Ne deriva, con ciò, che il provvedimento amministrativo è suscettibile d’annullamento per violazione di legge15, in quanto contrasta col modello contenutistico legale ex art. 3, della legge n. 241/199016.
Questo orientamento, quindi, considera la motivazione incompleta nei propri elementi strutturali c.d. difetto di motivazione17 ( il riferimento è ovviamente alla motivazione –contenuto) alla stregua di una motivazione mancante ( intesa come la mancanza della motivazione –testo).
Al contrario, se la motivazione si presenta completa, ma sono ravvisabili altri vizi motivazionali, come l’illogicità e contraddittorietà, allora il provvedimento finale sarà annullabile per eccesso di potere.
La motivazione, completa dei propri elementi strutturali, acquista particolare rilevanza nei provvedimenti di autotutela della pubblica amministrazione, quali la revoca e l’annullamento d’ufficio, in quanto intervengono su precedenti provvedimenti amministrativi e, quindi, su situazioni giuridiche preesistenti18, rendendo ancora più fragile la posizione del privato innanzi alla pubblica amministrazione19.
A titolo di esempio, la revoca dell’affidamento, con gara pubblica, del servizio bar all’interno di un parco pubblico comunale20, richiede che la pubblica amministrazione indichi nella motivazione il sopravvenuto interesse pubblico sotteso alla determinazione e, in caso di allegazioni fornite dai privati in sede istruttoria, le ragioni per le quali tali apporti siano considerati irrilevanti.
L’omessa valutazione o la mancata confutazione delle argomentazioni presentate dal cittadino, renderà il provvedimento di revoca annullabile dal giudice per difetto di motivazione, poiché l’autorità amministrativa ha adottato una decisione finale valutando solo alcuni dei presupposti di fatto emersi nella fase istruttoria.
Altra questione problematica concerne l’ammissibilità dell’integrazione della motivazione, da parte della pubblica amministrazione, in sede di giudizio, al fine di sanare il vizio motivazionale dovuto alla mancata considerazione degli apporti forniti dai privati.
Parte della giurisprudenza21 e della dottrina non ritiene possibile questa soluzione, in quanto andrebbe a svilire non solo il principio generale dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, ma anche quello di partecipazione e di trasparenza22, che ha nella motivazione una concreta attuazione e controllo.
Questo orientamento evidenzia come il riconoscimento in capo alla pubblica amministrazione del potere di integrare la motivazione in sede giudiziale, farebbe sorgere al privato il timore di impugnare i provvedimenti ritenuti illegittimi, giacché potrebbe vedersi opporre nuovi motivi dall’organo decidente che possono condurre al rigetto del ricorso.
La subdola disincentivazione all’azione giudiziaria che ne deriverebbe, potrebbe favorire scelte superficiali da parte delle autorità amministrative e determinazioni emesse sulla base di motivazioni incomplete, a danno del principio di trasparenza e di partecipazione23.
Oltretutto, il nostro ordinamento giuridico prevede un giudizio sulla legittimità dell’atto in quanto tale, quindi il giudice non può ricavare altrove gli elementi che lo integrano, poiché si finirebbe col creare, in sede processuale, un provvedimento virtuale, diverso da quello effettivamente emanato e sottoposto al sindacato giurisdizionale.
La tesi favorevole all’integrazione, si fonda, invece, sul presupposto che la motivazione è considerata, dall’orientamento dottrinale prevalente, elemento non essenziale del provvedimento amministrativo, quindi la sua mancanza determina solo un’irregolarità formale sanabile in giudizio.24
Tale orientamento si basa su diversi argomenti.
Prendendo spunto dall’art. 31, comma 3, del codice del processo amministrativo, l’oggetto del giudizio non sarebbe più l’atto in se stesso e quindi la sua violazione formale, ma la situazione giuridica ad esso sotteso. Ne deriverebbe, così, la possibilità di un’integrazione in giudizio ex post della motivazione
Occorre, però, evidenziare che il legislatore ha previsto il potere del giudice di conoscere della fondatezza dell’istanza per i soli atti vincolati della pubblica amministrazione, e non anche a quelli a carattere discrezionale.
Altro argomento riguarda l’insussistenza del rischio di favorire provvedimenti scarsamente motivati, in quanto, in caso di motivazione postuma, deriverebbe la soccombenza della pubblica amministrazione sul piano delle spese processuali e quindi sorgerebbe la responsabilità amministrativa a carico dei funzionari.
In tal caso, però, ritengo opportuno rilevare come, nonostante le norme sui controlli interni, affidati ad organismi indipendenti, quelle sulla responsabilità dirigenziale e sulla valutazione della performance nel pubblico impiego, non si riesce sempre a raggiungere un livello ottimale di efficienza, buon andamento ed imparzialità nella pubblica amministrazione, giacché il monitoraggio interno rimane, in molti casi, purtroppo, solo un’attività formale.
In via conclusiva, è doveroso richiamare anche la sentenza del 5 Novembre 2010, n. 310, della Corte Costituzionale, che ha fortemente ribadito l’importanza della motivazione nei provvedimenti amministrativi a carattere discrezionale, poiché consente al giudice di comprendere il procedimento logico seguito dall’autorità amministrativa e verificare la legittimità dell’atto.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 81, del 9 aprile 2008, nella parte in cui, stabilendo che ai provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale, per lavoro irregolare, non si applicano le disposizioni della legge n.241 del 1990, rende non applicabile l’obbligo di motivazione.
Nonostante il provvedimento di sospensione in materia di lavoro irregolare avesse carattere discrezionale, l’articolo 14 della suddetta legge esclude l’obbligo di motivare tale misura cautelare, di conseguenza l’ufficio procedente potrebbe adottarla senza indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.
Tale grave omissione, vanifica l’esigenza di conoscibilità dell’azione amministrativa, poiché essa si realizza proprio attraverso lo strumento giuridico della motivazione, << legittimando l’arbitrio>>25 da parte delle autorità decidenti.
Termino questo lavoro richiamando una breve, ma efficace, riflessione, sempre attuale nel nostro contesto sociale ed istituzionale: la libertà è partecipazione26.
L’attività amministrativa è manifestazione di un potere pubblico, che penetra negli spazi individuali del singolo cittadino.
Onde evitare la nascita di tensioni, è fondamentale che gli organi amministrativi favoriscano un contraddittorio democratico e partecipativo con i soggetti coinvolti nei processi decisionali pubblici.
La partecipazione, in questo modo, garantirà la libertà d’opinione, la libertà d’espressione, la libertà di iniziativa dei destinatari dei provvedimenti.
Inoltre, è necessario che il contenuto di questo dialogo, con l’autorità decidente, abbia una collocazione idonea a renderlo accessibile e controllabile dagli stessi protagonisti ed eventualmente dagli organi giudiziari.
L’unico strumento giuridico, adatto a questa finalità, è la motivazione.
In tutto questo << assume un ruolo importante anche la giurisprudenza, che interpreta in maniera rigorosa le norme relative alla motivazione, quando vi sono contributi partecipativi del
cittadino >>27.
Si favorisce, in questo modo, un << cambiamento culturale >>28, in quanto la << pubblica amministrazione deve sentire la partecipazione del cittadino come un contributo utile >>29 ai fini della determinazione finale.
1 F.Benvenuti, Disegno dell’amministrazione italiana, Cedam, Padova, 1996
2 Seminario di studi sulla riforma del procedimento amministrativo. Professore Fabio Saitta presso l’Università degli studi di Bari << Aldo Moro >>, 13 Aprile 2011: anche se non si aderisce pienamente all’idea di Benvenuti, secondo la quale il privato deve essere << codecidente >>, occorre che il cittadino sia comunque messo in condizione di partecipare ed influire sulla decisione finale, attraverso l’apporto di propri contributi. È fondamentale, quindi, che la pubblica amministrazione eviti quegli atteggiamenti di chiusura, che assumeva negli anni novanta, subito dopo l’entrata in vigore della legge 241.
3 La partecipazione costituisce applicazione del Principio del Giusto Procedimento, secondo il quale la pubblica amministrazione può imporre limiti al cittadino, attraverso un provvedimento, solo dopo aver svolto gli opportuni accertamenti e ascoltato i soggetti coinvolti.
4 G.Carlotti, La partecipazione procedimentale: feliciano benvenuti e la riforma della legge n. 241 del 1990 , in www.giustizia-amministrativa.it, che ricorda come Benvenuti << ravvisava nella partecipazione dialettica del cittadino allo svolgersi della funzione, non soltanto un’occasione di arricchimento dell’istruttoria amministrativa attraverso l’apporto di elementi e di interessi provenienti dal destinatario, ma anche lo strumento privilegiato per instaurare un reale confronto, secondo il metodo del contraddittorio democratico, tra il punto di vista dell’amministrazione e quello della società civile >>.
5 La giurisprudenza costante della Corte Costituzionale richiama queste due categorie di partecipazione, poiché i privati devono essere posti in condizione di tutelare i propri interessi e anche di collaborare nell’interesse pubblico.
6 Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Dike Giuridica Editrice, 2010, pag. 1117
7 Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi, Scoca, Diritto Amministrativo, Monduzzi, Vol. II, pag. 1332 << È appena il caso di precisare che il termine memoria, tipico del processo civile, equivale a opposizioni, osservazioni, o comunque scritti rappresentativi sotto il punto di vista dell’interessato della situazione di fatto e di diritto >>.
8 Lo studio di questo specifico argomento ha tratto spunto dal programma di insegnamento di Diritto Amministrativo presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali– Università di Bari,
Avv. Michele Didonna.
9 T.A.R. Marche, 08/11/2010, n.3371: << la ricorrente, ricevuta la comunicazione di avvio del procedimento, aveva presentato le proprie osservazioni…>> ; << ..di tali osservazioni non vi è alcuna traccia né nel provvedimento impugnato né nella presupposta relazione istruttoria >>.
10 T.A.R. Puglia Lecce, Sezione Terza, 06.05.2010, n. 1085, secondo cui il provvedimento amministrativo deve indicare al destinatario le ragioni sottese alla determinazione assunta << previa confutazione delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell’ambito della partecipazione al procedimento >>.
11 CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, pag. 564 secondo cui la ratio della motivazione consiste in un vero e proprio controllo sociale sulla non arbitrarietà dell’operato della pubblica amministrazione.
12 T.R.G.A. Trento, 24.11.2010, n. 226 <<…la motivazione del provvedimento amministrativo è il veicolo attraverso il quale il destinatario dell’atto è posto in condizione di conoscere le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a provvedere in un determinato senso>>. Nel caso di specie, la commissione edilizia ha disposto il pagamento di una sanzione pecuniaria, a carico della proprietaria di una casa sita nel comune di Moena, sostenendo che l’erker realizzato sull’immobile fosse contrastante con il tessuto edilizio circostante. La donna, attraverso una documentazione fotografica fornita in sede d’istruttoria amministrativa, aveva dimostrato che l’erker fosse una struttura tipica delle case situate nella zona, in quanto molto diffusa su quel territorio. Invece, tale dato fattuale è stato ignorato dall’amministrazione comunale, come si evince dalla motivazione del provvedimento sanzionatorio.
Vedi anche T.R.G.A. Trento, 08.07.2008, n.162.
13 L’art. 3 della L 241/90 prevede non soltanto un obbligo generale di motivazione, ma anche l’obbligo di indicare nella motivazione stessa i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione finale. La mancanza o l’incompletezza di uno solo di questi requisiti rende il provvedimento viziato per violazione di legge. Vedi Caringella, cit., pag. 1220.
14 Per completezza di esposizione, è opportuno rimarcare che secondo altra dottrina tutti i vizi motivazionali sono indici sintomatici dell’eccesso di potere.
15 Legge 241/1990, art. 21-octies, comma 1, << È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere.…>>.
16 T.A.R. Marche, cit., secondo cui il vizio della motivazione << sussiste non già in assoluto (ossia nella forma della totale mancanza degli elementi da cui si possano evincere le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a determinarsi nel senso avversato dalla ricorrente), ma in relazione a quanto stabilito dall’art. 3 della L. n. 241/1190 >>
17 T.A.R. Marche, cit., secondo cui il difetto di motivazione è inteso << anche in relazione all’omessa valutazione delle argomentazioni contenute nella memoria che la ricorrente ha presentato a seguito della ricezione della comunicazione di avvio del procedimento >>.
18 T.A.R. Lazio Roma, Sezione Seconda, 02.02.2010, n. 1408, che in materia di d.i.a., precisa che, una volta formatosi il titolo edilizio, l’intervento dell’amministrazione comunale può avvenire solo attraverso un provvedimento di revoca o annullamento d’ufficio, previo avviso di avvio di procedimento al destinatario e << previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell’ambito della partecipazione al procedimento >>.
19 Liberati, Responsabilità pre-contrattuale nei contratti pubblici. Danni patrimoniali e danni non patrimoniali, Utet, 2009, pag. 288 secondo cui il rispetto del c.d. principio del giusto procedimento deve aversi soprattutto in caso di adozione dei provvedimenti di autotutela, a causa della << delicatezza delle posizioni dei privati a fronte dell’esercizio del potere di autotutela e della adozione dei provvedimenti in cui questo si concreta >>.
20 T.A.R. Puglia Lecce, cit
21 T.A.R. Campania Napoli, 15/07/2010, n. 16814 : << ……l’integrazione della motivazione in giudizio è tuttora ritenuta inammissibile dalla giurisprudenza nettamente maggioritaria, tanto più se tale integrazione non è adottata con un provvedimento, ma in una memoria difensiva. >>.
22 Secondo una costante giurisprudenza comunitaria, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE deve essere adeguata alla natura dell’atto cui si riferisce e deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Vedi Corte di Giustizia CE, grande sezione, 02/12/2009, n.89
23 T.A.R. Veneto Venezia, 11/03/2010, n. 768: << … l’integrazione della motivazione deve pur sempre avvenire da parte dell’Amministrazione competente, mediante gli atti del procedimento medesimo o mediante un successivo provvedimento di convalida, nel mentre gli argomenti difensivi dedotti nel processo avverso il provvedimento, proprio in quanto non inseriti in un procedimento amministrativo, non sono idonei ad integrare in via postuma la motivazione (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 19 agosto 2009 n. 4993). >>
24 Per un esame sul contrasto dottrinale in materia, vedi Caringella, cit., pag. 1224 ss.
25 Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, che ha rimesso la documentazione alla Corte, riferisce che gli ispettori del lavoro hanno accertato, nei locali dell’impresa, l’impiego di due fattorini addetti al recapito delle pizze da asporto, non risultante dalla documentazione obbligatoria.
Il titolare della ditta individuale ha puntualmente esibito agli organi accertatori copie dei contratti di collaborazione autonoma e occasionale conclusi con i due impiegati e, soprattutto, è stata manifestata dalle parti private l’inesistenza del vincolo di subordinazione. Il tutto, poi, era risultante dal verbale d’accesso ispettivo.
Nonostante le dichiarazioni dei soggetti coinvolti, è stato emesso il provvedimento discrezionale di sospensione dell’attività d’impresa per lavoro irregolare, senza alcuna motivazione riguardante le esigenze cautelari e l’esistenza effettiva di rischio e pericolo, in quanto l’articolo 14 del decreto legislativo n. 81 esclude l’obbligo di rispettare le garanzie procedimentali, e quindi di indicare la motivazione.
Il giudice rimettente, quindi, dubita della legittimità costituzionale della suddetta norma, in riferimento agli articoli 97, 24 e 113 della Costituzione.
26 Citazione di Giorgio Gaber << La libertà >>, 1972.
27 Fabio Saitta , in Seminario di studi, cit.
28 Fabio Saitta, cit
29 Fabio Saitta, cit.
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