Per mobbing si intende comunemente – in assenza di una definizione normativa – una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
Nel verificare l’integrazione della fattispecie che si esamina è quindi necessario, anche in ragione della sua indeterminatezza, attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, da apprezzare per accertare tra l’altro: – da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle sue caratteristiche di persecuzione e discriminazione), – e, dall’altro, la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della condotta.
Ne consegue che la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
E’ in primo luogo necessaria, quindi, la prova dell’esistenza di un sovrastante disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità i singoli atti cui viene riferito. D’altra parte, determinati comportamenti non possono essere qualificati come costitutivi di mobbing, ai fini della pronuncia risarcitoria richiesta, se è dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale.
N. 03648/2011REG.PROV.COLL.
N. 05426/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5426 del 2010, proposto da***
contro***
per la riforma***
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Isvap – Istituto Vigilanza Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2011 il Cons. **************** e uditi per le parti gli avvocati ************** e l’avv.to dello Stato **********;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza gravata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha accolto il ricorso con cui l’odierno appellante ha impugnato l’atto con cui l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (d’ora in avanti Istituto o ISVAP) ha istituito l’Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni, preponendo l’odierno ricorrente, in precedenza incaricato delle funzioni di Capo del Servizio Albi e della reggenza della Sezione Albi intermediari e periti (ric. n. 6970/2008); ha invece respinto il ricorso con cui l’appellante ha lamentato di essere stato vittima di una complessiva condotta di mobbing posta in essere dall’ISVAP (ric. n. 1406/2009).
Nel dettaglio, ad avviso del primo giudice “non sono invero ravvisabili nel caso di specie gli elementi identificativi del mobbing: per l’effetto dovendosi escludere che la lamentata condotta assunta da ISVAP nei confronti dell’odierno ricorrente sia caratterizzabile nel quadro di un comportamento persecutorio e possa, conseguentemente, dar luogo al pure sollecitato risarcimento del pregiudizio dal dott. ********** lamentato. La pur riscontrata illegittimità dell’atto (ordine di servizio) con il quale l’interessato è stato preposto al neo-istituito l’Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni non consente, infatti, di apprezzare – ex se riguardata – la presenza di quella molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti ove singolarmente considerati, la cui realizzazione miratamente sistematica e prolungata riveli un sotteso (quanto univoco) intento vessatorio. Né, a tali fini, rivelano concludente valenza dimostrativa le condotte dell’Istituto di appartenenza alle quali il dott. ********** annette il divisato carattere “vessatorio” (rimozione dal Servizio Sanzioni, estromissione da attività preparatorie di regolamenti, riunioni, gruppi di studio, comitati, incontri), che si sarebbero accentuate a seguito della proposizione, da parte del medesimo, del ricorso n. 3312/2008. Se, infatti, l’intento “ritorsivo” da parte di ISVAP che il ricorrente annette alla sollecitazione del sindacato giurisdizionale dal medesimo promossa non incontra elementi di accertabile conferma (rilevanti anche sotto il profilo meramente indiziante), va parimenti escluso che, sulla base delle evidenze documentali acquisite al giudizio, sia emersa la presenza di un complessivo disegno “persecutorio” qualificato da comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria e organica vessazione nonché di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa. Difetta conseguentemente, nella prospettazione di parte ricorrente, la dimostrata presenza di elementi a supporto della complessità ed organicità della strategia vessatoria che, sola, può consentire di accedere alla prospettata ipotesi di mobbing”.
Con la stessa sentenza il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha anche disatteso il ricorso proposto avverso gli atti con cui l’Istituto ha deliberato, per il periodo intercorrente fra il 1° luglio 2003 ed il 31 dicembre 2007 e per quello dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2010, l’adeguamento del trattamento retributivo spettante ai suoi dirigenti (ric. n. 3312 del 2008).
Avverso la reiezione del ricorso n. 1406/2009 insorge con il presente ricorso l’appellante sostenendo l’erroneità della sentenza di cui chiede l’annullamento; la reiezione del ricorso n. 3312 del 2008 è invece impugnata dallo stesso appellante con distinto ricorso dal Collegio definito con distinta sentenza.
All’udienza del 15 aprile 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso va respinto.
Giova considerare che in primo grado l’odierno appellante ha, da un lato, impugnato l’ordine del 14 maggio 2008 n. 218, con il quale è stato assegnato al neo-istituito Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni (ric. n. 6970/2008); dall’altro sostenuto che tale assegnazione funzionale, unitamente ad un ulteriore complesso di atti e condotte assunti dall’ISVAP, ne avrebbero determinato una progressiva marginalizzazione ed un connesso demansionamento, assuntamente inquadrabili in un contesto di condotte sussumibili nella fattispecie del mobbing (ric. n. 1406/2009).
Il primo giudice – ritenuta l’indicata assegnazione del ricorrente all’istituito Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni affetta da insufficienza motivazionale, carenza di preliminari approfondimenti istruttori, nonché da omesso avviso di inizio del procedimento- ha invece respinto il ricorso con cui l’appellante ha assunto che l’ISVAP abbia posto in essere in suo danno una complessiva condotta mobbizzante.
Ritiene il Collegio di confermare gli esiti cui è pervenuto il primo giudice, escludendo che la condotta complessivamente posta in essere dall’ISVAP nei confronti dell’odierno appellante sia inquadrabile in una fattispecie di mobbing.
Giova considerare che per mobbing si intende comunemente – in assenza di una definizione normativa – una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.
Nel verificare l’integrazione della fattispecie che si esamina è quindi necessario, anche in ragione della sua indeterminatezza, attendere ad una valutazione complessiva ed unitaria degli episodi lamentati dal lavoratore, da apprezzare per accertare tra l’altro:
– da un lato, l’idoneità offensiva della condotta datoriale (desumibile dalle sue caratteristiche di persecuzione e discriminazione),
– e, dall’altro, la connotazione univocamente emulativa e pretestuosa della condotta.
Ne consegue che la ricorrenza di un’ipotesi di condotta mobbizzante andrà esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare, singulatim, elementi od episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere esorbitante ed unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.
E’ in primo luogo necessaria, quindi, la prova dell’esistenza di un sovrastante disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità i singoli atti cui viene riferito.
D’altra parte, determinati comportamenti non possono essere qualificati come costitutivi di mobbing, ai fini della pronuncia risarcitoria richiesta, se è dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale. Nella specie, questo non si può escludere con riferimento all’atto – peraltro mai contestato – di assegnazione ad altro dirigente del Servizio sanzioni, alle sfavorevoli determinazioni del Consiglio dell’ISVAP relative all’adeguamento del trattamento retributivo dei propri dirigenti per il periodo 2003-2010, alla mancata corresponsione del premio di rendimento per gli anni 2008 e 2009.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che gli indicati elementi costitutivi della fattispecie di mobbing non risultino presenti nel caso di specie: in particolare, non può dirsi in alcun modo provata l’esistenza di un disegno persecutorio elaborato e perseguito dall’ISVAP in danno dell’odierno ricorrente.
In sé, un atto illegittimo, o più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore non sono sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante, occorrendo che ricorrano tutti gli altri elementi sopra richiamati. Perciò, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, la pur acclarata illegittimità dell’ordine di servizio recante preposizione dell’appellante al neo-istituito Ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni non permette – da sé sola considerata- di affermare l’integrazione della fattispecie di mobbing. tanto più che al riscontro della indicata illegittimità lo stesso giudice di prima istanza è pervenuto avendo accertato vizi di tipo solo procedimentale.
Non è in senso più generale emersa la presenza di un complessivo disegno persecutorio qualificato da comportamenti materiali, ovvero da provvedimenti, contraddistinti da finalità di volontaria e organica vessazione nonché di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa.
A maggior ragione risulta indimostrata la complessità ed organicità della strategia vessatoria che, sola, può consentire di accedere alla prospettata ipotesi di mobbing.
Alla stregua delle esposte ragioni l’appello va quindi respinto.
Segue la condanna del ricorrente alle spese processuali, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:
*****************, Presidente
*******************, Consigliere
****************, ***********, Estensore
********************, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
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L’ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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