Il trasferimento delle singole opere appartenenti ad una Collezione rientrante tra le Raccolte fidecommissarie disciplinate da art. 129 del Dlgs. n. 42/2004 non può aver luogo a seguito di mera denuncia ex art. 21 co. 2, del d.lvo n. 2004, ispirato a principi di semplificazione e liberalizzazione, non compatibili con le esigenze di tutela di tali importanti raccolte.
provvedimento prot. 10666-34-13-10 del 18.11.10 avente ad oggetto: collezione doria pamphilj – trasferimento opere per mostra a genova
Con il ricorso in esame la Sig.ra GPDP ed il Sig. JDP, proprietari pro indiviso dei Palazzi di famiglia e delle raccolte di opere in esse contenute, premesso di agire in qualità di legali rappresentanti della soc.Arti Doria Pamphilj s.r.l., cui hanno concesso in locazione giusta scrittura privata versata in atti (all. 2) il Piano Nobile del Palazzo Doria in Roma, sede dell’omonima Collezione, “con tutti gli arredi, mobili e quadri”, nonché del Palazzo Doria (del Principe) in Genova, e di aver comunicato ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 comma 2 del d.lvo n. 42/2004 lo spostamento temporaneo, in vista dell’allestimento di una mostra, di alcune delle opere d’arte dal primo al secondo Palazzo con nota del 7.10.2010, impugnano, chiedendone l’annullamento, il provvedimento di cui alla nota prot. n. 10666-34-1310 del 18.11.2010 con cui la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Antropologico e per il Polo Museale della Città di Roma ha rappresentato l’inapplicabilità della previsione in parola, evidenziando che trattasi di richiesta rientrante tra quelle disciplinate dall’art. 21 co 1 lett b) e c) ed invitandoli a ripresentare l’istanza ai sensi dell’art. 48 del cod.BBCC.
La causa – che è incentrata sulla questione dell’applicabilità dell’art. 21 co. 2 al trasferimento delle opere appartenenti alla Collezione Doria Pamphilj dal Palazzo romano che ospita la prestigiosa raccolta ad altro Palazzo della medesima Famiglia sito in Genova – può essere definita con sentenza in forma semplificata sussistendone i presupposti.
Va in via preliminare disattesa l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’avvocatura erariale, sussistendo l’interesse di parte ricorrente di evitare gli oneri procedimentali e l’alea dell’ordinario regime autorizzatorio e di fruire invece di un regime ispirato a principi di semplificazione e liberalizzazione;.
Nel merito, tuttavia, la pretesa dei ricorrenti di avvalersi di tale regime semplificato non può trovare fondamento nell’invocata disposizione.
L’art. 21 co. 2, di cui i ricorrenti invocano l’applicazione, prevede che “2. Lo spostamento di beni culturali, dipendente dal mutamento di dimora o di sede del detentore, è preventivamente denunciato al soprintendente, che, entro trenta giorni dal ricevimento della denuncia, può prescrivere le misure necessarie perché i beni non subiscano danno dal trasporto”
La norma in parola,come detto, introduce un regime semplificato rispetto all’ordinario regime autorizzatorio sancito dal comma 1, che invece subordina a previa autorizzazione ministeriale alcune modifiche materiali e di collocazione dei beni culturali, tra i quali, in particolare, sub b) “lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3” nonché sub c) “lo smembramento di collezioni, serie e raccolte”.
Tale deroga, sul modello della denuncia di inizio di attività, consente di procedere allo spostamento di opere, in caso di modifica della dimora del detentore, preannunciandone l’esecuzione alla competente Soprintendenza e decorso un determinato lasso di tempo entro il quale la predetta autorità può impartire le misure necessarie ad evitare il danno che le opere potrebbero subire a causa del trasporto.
Si tratta di norma evidentemente volta ad assicurare la mera conservazione e tutela del bene culturale, che costituisce il bene protetto, finalità che viene adeguatamente realizzata mediante l’imposizione delle prescrizioni a ciò necessarie, e che, ovviamente, presuppone l’indifferenza, per l’ordinamento giuridico, della localizzazione del bene stesso, atteso che la destinazione alla pubblica fruizione è limitata, ai sensi degli art. 1, 2 e 3 del Codice, ai soli beni culturali di proprietà pubblica, mentre il bene culturale di proprietà di privati non è destinato alla fruizione collettiva salvo le ipotesi eccezionali tassativamente previste dalla legge, tra cui, appunto le collezioni di cui all’art. 104 cod.bb.cc.
Tra queste, appunto, rientra la Collezione Doria Pamphilj, che, peraltro, è assoggettata al regime speciale per le collezioni d’arte delle antiche famiglie romane (cd. ex raccolte fidecommissarie) disciplinate da art. 129 del Dlgs. n. 42/2004, che richiama le leggi speciali previgenti, le quali sanciscono una tutela rafforzata per salvaguardare l’integrità di tali raccolte, assoggettandole a vincoli di inalienabilità ed indivisibilità, e quindi anche di inesportabilità, sin dall’art. 4, primo comma, della L. 28 giugno 1871, n. 286; vincoli mantenuti anche nella legislazione successiva, essendo consentita l’alienabilità delle Raccolte solo “in blocco” ed esclusivamente “allo Stato, alle provincie, ai comuni, a istituti o altri enti morali nazionali laici, fondati o da fondarsi, i quali dovranno conservare o destinare in perpetuo a uso pubblico le dette gallerie, biblioteche e collezioni” (art. 1 della L. 8 luglio 1883, n. 1461).
Com’è noto, detta collezione, a differenza di molte altre di cui lo Stato Italiano aveva disposto l’acquisizione – ed a parte il caso eccezionale della Collezione Barberini Corsini – è una delle poche, assieme alle altrettanto ricche Galleria Colonna ed alla Collezione Rospigliosi Pallavicini, rimaste in proprietà privata ma aperta alla pubblica fruizione; fruizione in cui assume importanza di tutto rilievo la circostanza che sia sempre rimasta collocata nella sua sede storica, che costituisce una condizione fondamentale per comprendere meglio l’opera, proprio in quanto sita nel suo ambiente d’origine e la cui delocalizzazione può diminuirne o alterarne la percezione culturale, come di recente ricordato dalla Sezione (cfr., TAR Lazio Sez. II quater n. 2659 del 24.3.2011 e n. 2541 del 22.3.2011).
Appare perciò evidente che il regime applicabile alla delocalizzazione delle singole opere della Raccolta non è quello di “liberalizzazione” previa mera denuncia previsto per singole opere “a seguito” del privato dall’art. 21 co. 2, del d.lvo n. 2004, quanto, semmai, il normale e rigoroso regime autorizzatorio prescritto, in via generale, dall’art. 21 co. 1 b) per lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili – come correttamente evidenziato dalla stessa società ricorrente nella nota del 7.10.2010 – , e c) lo smembramento di collezioni, serie e raccolte, come evidenziato dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Antropologico e per il Polo Museale della Città di Roma nella nota impugnata.
Tali disposizioni sono palesemente ispirate alla finalità di assicurare, previo il controllo autorizzatorio, adeguata tutela al bene oggetto di trasferimento, per evitare non solo che subisca danni – per effetto del trasporto e del cambiamento di condizioni ambientali sotto il profilo della temperatura e dell’umidità – ma anche una diminuzione del valore, per effetto della delocalizzazione.
Invero la nuova sistemazione, anche se temporanea, dovrà assicurare il medesimo valore storico-artistico espresso nell’originaria collocazione; nonché, nel caso delle collezioni, scongiurare il rischio di smembramento e dispersione di singole opere, che assume massimo rigore nel caso di Raccolte delle Famiglie Storiche romane.
Al riguardo, peraltro, non può neppure essere invocata la “presa d’atto” al precedente trasferimento di alcune opere in direzione inversa, cioè dal Palazzo del Principe di Genova al Palazzo Doria di Roma, in quanto, appunto, trattasi di fattispecie del tutto diversa di quella in esame, in cui si prospetta l’allontanamento di opere dalla sede naturale della Collezione Storica.
Quanto, infine, all’alternativa prospettata nella medesima nota impugnata, di applicabilità delle disposizioni in tema di materia prestito di opere per mostre, l’atto gravato si manifesta privo di attuale attitudine lesiva, in quanto volto, in un’ottica di collaborazione, ad invitare l’istante – , ritenendo erroneo il riferimento normativo da questi citato – a riformulare la domanda secondo le linee dallo stesso suggerite nella nota del 7.10.2010, in cui, appunto, specificava, quale ragione dello spostamento delle opere l’esigenza di esporle nell’ambito di una mostra, di durata temporanea, peraltro non precisata, nel Palazzo Genovese.
In definitiva il regime ordinario di cui alla disposizione contestata risponde alla finalità di assicurare adeguata tutela al bene oggetto di trasferimento per scongiurare il rischio di deterioramento non solo per effetto del trasporto e del cambiamento delle condizioni ambientali e della idoneità del sito ad assicurarne una adeguata “lettura” ma anche, e soprattutto, sotto il profilo delle condizioni di sicurezza per effetto dell’esposizione al pubblico, che aumenta ancor più il rischio di danneggiamento dell’opera, il cui carattere oggettivo non conferisce alcuna rilevanza al dato meramente occasionale e soggettivo dell’idendità tra il proprietario della sede originaria e quello della sede espositiva.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte il ricorso va respinto, sussistendo, tuttavia, giusti motivi per l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio
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