Premessa.
Il tema relativo all’accertamento della responsabilità professionale1 del medico in riferimento ad una errata prescrizione farmacologia e/o di terapia è recentemente tornato all’attenzione della cronaca a seguito di una sentenza adottata dalla suprema Corte di Cassazione.
Con il presente contributo si vuole, pertanto, cogliere l’occasione per sottolineare una serie di evoluzioni ermeneutiche condotte dalla Cassazione limitatamente alla definizione dei concetti riguardanti il nesso di causalità e l’obbligo di informazione del medico nei confronti del paziente.
Quest’ultima va ad impattare con una serie di aspetti, tutti di particolare rilevanza, a partire dalla: tutela dei diritti della personalità dell’individuo (nella fattispecie deve essere rispettato come persona, soprattutto, nella propria integrità psico-fisica) – sancito dall’art. 2 della Costituzione –; all’obbligo di prestare cure – sancito dall’art. 32 della Costituzione – ; al diritto ad essere curato efficacemente secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; alla responsabilità medica, senza tralasciare l’aspetto economico/risarcitorio che scaturisce dalla denuncia dei casi di malpractise.
Il fatto
Un sanitario, rectius un medico, è stato condannato sia in primo grado che in appello al risarcimento danni in favore di un proprio assistito al quale aveva prescritto una errata terapia (nella fattispecie trattavasi dell’assunzione di un determinato farmaco) che aveva cagionato al paziente gravi danni alla vista.
Contro la sentenza della Corte di Appello di Venezia, il medico e la Compagnia di Assicurazioni che lo tutelava hanno prodotto ricorso in Cassazione, proponendo i seguenti motivi:
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la sentenza del giudice del gravame avrebbe riconosciuto la esistenza del nesso di causalità tra l’attività svolta dal professionista ed i danni lamentati dalla vittima, con riferimento al farmaco prescritto;
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sempre in sede di Appello, i giudici avrebbero accertato la causalità astratta, senza prendere nella dovuta considerazione la causalità concreta. In buona sostanza si rimarca che sarebbe mancato sia l’accertamento che l’attore fosse affetto da maculopatia sia che tale patologia fosse dipesa dall’assunzione dello specifico farmaco prescritto dal medico condannato. Così come non si sarebbe accertato che la assunzione del medicinale fosse avvenuto per un lungo periodo di tempo e che questa prolungata assunzione fosse da ascrivere al medico in questione.
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in merito all’obbligo di informazione, che fa carico al sanitario e che scaturisce dalla prestazione che viene erogata, si reputa che la prestazione debba rientrare nel novero di quelle occasionali e diluite nel tempo.
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l’ultimo motivo, il quarto, inerisce l’eccezione di prescrizione perché la malattia si manifestò solo alla fine del 1993 ed il ricorrente sostiene che mancherebbe tale prova, che è a carico dell’attore.
La sentenza.
I motivi oggetto del ricorso sono stati considerati dalla Cassazione alcuni inammissibili ed altri infondati.
La inammissibilità emerge nei confronti di quei motivi che mirano ad una nuova valutazione della prova e ad un diverso accertamento dei fatti in un giudizio che è di mera legittimità.
Sono da ritenersi infondati quei motivi che lamentano violazioni di legge e vizi di motivazione.
Circa il nesso causale, riguardo il quale il ricorrente lamenta il mancato accertamento del nesso concreto, la Corte rileva come “il professionista non ha mai posto in discussione né l’affezione da parte dell’attore della maculopatia, né il rapporto eziologico tra questa malattia e l’assunzione dello specifico farmaco” prescritto dal medico.
La questione in sostanza attiene al rapporto di causalità, posto che, una volta stabilita la presenza di colpa nel comportamento dei singoli imputati, occorre stabilire se il comportamento di uno di essi (del medico primo prescrittore o quello degli altri medici che successivamente al primo hanno svolto il ruolo di prescrittori) possa costituire causa da sola sufficiente a cagionare l’evento. I principi desumibili dagli art. 40 e 41 c.p. portano a dare al quesito una risposta negativa.
In primo luogo deve osservarsi che in base alle predette disposizioni vale nel nostro ordinamento il principio della equivalenza delle cause o della conditio sine qua non, e cioè il principio per cui qualunque comportamento che ha influito sul verificarsi dell’evento (qualunque fattore che ha concorso al suo verificarsi) ne costituisce causa, indipendentemente dal concorso di altre circostanze, anche consistenti nel comportamento colposo di altri (art. 41 co. 3), che possano avere avuto incidenza causale dell’evento. Il principio è temperato dalla previsione del secondo comma dell’art. 41 cp, a norma del quale “le cause sopravvenute escludono il nesso di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”2.
Per quanto attiene all’eccezione sollevata dal ricorrente in base alla quale altri medici si sarebbero succediti a lui nella somministrazione del farmaco, la Cassazione ha ritenuto valida la sentenza del giudice del gravame ove si legge che “l’eventuale responsabilità di altri medici che abbiano prescritto o fornito il farmaco in questione non esclude la responsabilità concorrente e solidale del medico condannato” anche perché egli non ha fornito la prova che tali condotte siano state di per sé sufficienti a cagionare il danno.
A ben vedere, nella sentenza in commento i giudici hanno fatto riferimento alla c.d. ‘teoria condizionalistica’, parimenti chiamata della ‘equivalenza delle cause’, secondo la quale deve intendersi per causa qualsiasi antecedente che ha prodotto un determinato evento. In altri termini, è causa ogni condizione necessaria, ossia ogni fatto la cui presenza è stata indispensabile per il verificarsi dell’evento. Per accertare l’esistenza del nesso condizionalistico si utilizza il procedimento di eliminazione mentale (la cosiddetta formula della condicio sine qua non): pertanto, è causa ogni fatto che se eliminato, cioè non considerato, fa venire meno l’evento.
In relazione al presunto mancato accertamento della causalità concreta (ex art. 40 c.p.3) si fa rilevare che essa va scrutinata nel corso di un giudizio di risarcimento del danno aquiliano, mentre nel successivo giudizio sul quantum “resta da accertare soltanto il nesso di causalità cosiddetta ‘giuridica’ tra l’evento di danno ed i pregiudizi che ne sono derivati.”
L’obbligo di informazione del medico va valutato individuando come perimetro legislativo di riferimento la obbligazione di natura contrattuale e non quella precontrattuale. Da ciò ne deriva che “a fronte dell’allegazione del paziente, dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, è il medico gravato dell’onere della prova di avere adempiuto tale obbligazione”.
A tale proposito una recente sentenza della Cassazione, la n. 2847 del 09.02.2010, ha sancito che l’intervento del sanitario attiva un rapporto di tipo contrattuale e da ciò scaturisce che il sanitario deve illustrare al paziente quali sono le conseguenze sottese alla terapia o all’intervento.
Anche riguardo il motivo di ricorso relativo alla presunta intervenuta prescrizione si reputa corretto il conteggio effettuato dal giudice del gravame in relazione all’epoca in cui si manifestò e fu diagnosticata la malattia e furono compiuti gli atti interruttivi.
La censura, pertanto, non risulta fondata avendo entrambi i giudici di merito fatto buon governo delle norme in tema di prescrizione del reato.
Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso.
1 In materia di responsabilità medica, vista nelle sue varie sfaccettature, sia consentito rimandare a **********:* Il consenso informato al trattamento medico-chirurgico. Responsabilità civile e penale del medico nei riguardi del paziente¸ su www.iureconsult.com/areatema/responsabilità/medico/index.htm; (agosto 2005); * La responsabilità medica alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione. Per una rifondazione della responsabilità medica, www.overlex.com (febbraio2007); * Il rilievo penale dell’assenza di consenso del paziente nel caso in cui l’intervento medico abbia avuto esito fausto; (nota a sentenza Cassazione, Sez. Unite penali, n. 2437 del 10 dicembre ’08 – 21 gennaio ’09) Panorama della Sanità, n. 9 del 9 marzo 2009; RAGIUSAN – Rassegna giuridica della Sanità, Fascicolo 305/306, a. 2009; * Il test anti Aids tra la tutela della riservatezza e la acquisizione del consenso informato del paziente (nota a sentenza Cassazione, Sez. III civile – Sentenza 14 novembre 2008 – 30 gennaio 2009, n. 2468); Panorama della Sanità n. 12 del 30 marzo 2009; www.dirittosuweb.com; * Esercizio abusivo del medico: quando l’anestesia può essere praticata anche da un medico non specialista in anestesia e rianimazione. (nota a sentenza Cassazione, Sez. VI penale, n. 11004 del 12 marzo 2009). Panorama della Sanità n. 17 del 4 maggio 2009; * Quando la responsabilità del chirurgo si estende anche alla clinica (Nota a sentenza Cassazione n. 18805 del 28 agosto 2009), Panorama della Sanità n. 41 del 02 novembre 2009; * Il consenso informato del paziente tra normazione statale e regionale (nota a sentenza Corte Costituzionale n. 253 del 23 luglio 2009), Panorama della Sanità n. 43 del 16 novembre 2009; www.diritto.it; * Il rifiuto di fronte ad una richiesta di ricovero (nota a sentenza Cassazione n. 46512 del 03.12.2009); Panorama della Sanità, n. 4 del 01.02.2010; * L’assenza di consenso informato non produce sempre la condanna da parte del medico a risarcire il danno (nota a sentenza Cassazione n. 2847 del 9.2.2010); Panorama della Sanità, n. 14 del 12.04.2010.
2 Cfr. Suprema Corte di Cassazione Sezione IV Penale Sentenza 24 novembre 2009 – 4 febbraio 2010, n. 4912
3 Art. 40. Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Cfr. Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 4 luglio 2007, n. 25527, Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 3 ottobre 2007, n. 36162, Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 8 febbraio 2008, n. 6267, Cassazione Penale, sez. III, sentenza 29 luglio 2008, n. 31488, Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 11 marzo 2009, n. 10819, Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 13 ottobre 2009, n. 39959 e Cassazione Penale, sez. I, sentenza 4 febbraio 2010, n. 4912 in Altalex Massimario.
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