Nel quadro del delicato equilibrio tra le esigenze, da un lato, dell’osservanza dei principi costituzionali della presunzione di innocenza e della libertà dell’iniziativa economica privata, e, dall’altro, della più efficace azione di contrasto della criminalità organizzata, le informative devono fondarsi su elementi di fatto che denotino in senso oggettivo il pericolo di collegamenti tra la società o l’impresa e la criminalità organizzata, richiedendosi, in sintesi, un attendibile giudizio di possibilità, secondo la nozione di pericolo;
tuttavia non occorre “che sia provata l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, essendo invece sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, ancorché ragionevole e circostanziato, la mera possibilità di interferenze malavitose rivelata da fatti idonei a configurarne il substrato” (cfr. Cons. St., sez. V, 23/6/2008, n. 3090);
pertanto l’informativa antimafia prescinde della sussistenza di illeciti penali a carico degli appartenenti alla impresa ovvero dalla disponibilità di fonti di prova aventi il grado di certezza per l’utilizzo in un processo penale o di prevenzione, ma si giustifica considerando il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, purché sia fondato su elementi almeno presuntivi ed indiziari, la cui valutazione non è sindacabile nel merito (cfr. Cons. St., sez. VI, 14/4/2009, n. 2276), essendo il sindacato giurisdizionale di legittimità circoscritto alla verifica dell’insussistenza di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (cfr. Cons. St., sez. IV, 29/7/2008, n. 3273);
l’art. 10, co. 7, lett. c), del d.P.R. n. 252 del 1998 consente all’autorità prefettizia di avvalersi, per desumere le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, di un ampia gamma di fonti che comprende “anche” gli accertamenti disposti con i poteri di accesso antimafia, per cui questi ultimi non sono da considerare come unica fonte informativa, ad esclusione di altri atti e documenti acquisiti, stante l’ampiezza dei poteri di accertamento dell’amministrazione;
non ignora il collegio il contenuto della sentenza con la quale è stata annullata una misura interdittiva a carico di un soggetto collegato alla società ricorrente; sennonché nella specie gli elementi di quella interdittiva rappresentano il contorno di più pregnanti circostanze indiziarie, sulle quali la società ricorrente non deduce specifiche e convincenti doglianze alla quali poter dare fondamento;
infatti rimangono sostanzialmente incontestate le affermazioni dei collaboratori di giustizia, riportate dall’autorità di polizia, secondo le quali il gruppo familiare di riferimento sarebbe quello di fiducia della malavita organizzata locale, il che rappresenta una plausibile giustificazione sufficiente a sorreggere il giudizio formulato dall’autorità prefettizia sul pericolo di infiltrazione mafiosa;
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di conseguenza, oltre ad emergere l’infondatezza dell’impugnativa proposta, è pure da respingere la domanda risarcitoria, posto che il danno lamentato dalla società ricorrente non si palesa giuridicamente ingiusto
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