Numerose sono le difficoltà interpretative che si possono ravvisare sia in dottrina che in giurisprudenza in ordine alla problematica della delegabiltà degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro. Questo complicato quadro interpretativo uederiva dal fatto che non vi era nella legislazione in materia di sicurezza sul lavoro alcun riferimento che almeno indirettamente potesse far ritenere consentita la delega. Nemmeno nel testo originario del D.lgs. n. 626 del 1994 era rinvenibile una norma di questo tipo. Anzi il fatto che a differenza di precedenti produzioni legislative non fossero previste contravvenzioni aventi per soggetti attivi congiuntamente il datore di lavoro e il dirigente aveva indotto qualcuno a ritener che non fosse consentito la delega
Nel testo originario del D.lgs. n. 626 del 1994 risultava una scelta del legislatore diversa da quella precedente. Infatti, mentre in passato erano configurabili degli obblighi sia a carico del datore di lavoro che a carico del dirigente, nel testo originario erano previsti obblighi solo a carico del datore, senza attuare quella ripartizione intersoggettiva della responsabilità in materia di sicurezza.
Quindi, fino al 1996 vi era una situazione ambigua che, però, venne meno con l’intervento del D.lgs. n. 242 del 1996, il quale apportò due modifiche sostanziali.
La prima riguardava l’articolo 1, co. 4 ter del D.lgs. n. 626 del 1994, che aveva aperto la strada alla possibilità di riconoscimento di efficacia della delega: ossia la norma, prevedendo la non delegabilità di determinati obblighi, aveva comportato il riconoscimento implicito della rilevanza della delega per gli obblighi non rientranti fra quelli non delegabili. Tuttavia il discorso delle delegabilità restava attagliato al testo dell’articolo che riguardava esclusivamente gli obblighi previsti dal D.lgs. n. 626 del 1994. Per gli altri obblighi previsti dalle produzioni legislative precedenti, ritenere consentita la delega di questi obblighi avrebbe consentito il trasferimento della responsabilità del delegato.
L’altra modifica riguardava l’art. 2, co. 1 lett. b), con cui si era introdotta una definizione di datore di lavoro che lasciava anch’essa lo spazio all’ammissibilità della delega. Infatti, da un lato, conteneva l’identificazione del responsabile in colui che era titolare del rapporto di lavoro, dall’altro, l’espressione “comunque” lasciava intendere che il datore fosse anche colui che era stato incaricato ad avere la responsabilità dell’impresa secondo il tipo e l’organizzazione.
Questo tipo di definizione del datore era quindi riferibile al soggetto a cui, in base all’organizzazione dell’impresa, si potesse delegare l’adempimento di obblighi penalmente rilevanti, gravanti sul datore di lavoro, e la relativa responsabilità.
Dopo questi interventi normativi l’ammissibilità della delega era divenuta incontestabile.
Tuttavia restava un problema di notevole importanza, ossia quello dell’individuazione dei requisiti formali e sostanziali della delega.
Detto con altre parole, il quesito che ancora si poneva era quello di stabilire quando la delega fosse in grado di trasferire la responsabilità in capo al delegato e liberare da tale responsabilità il delegante. Il problema è stato formalmente risolto con il D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (cd. Testo Unico sulla sicurezza del lavoro.) Infatti, l’art. 16 del predetto decreto disciplina la delega di funzioni.
L’articolo, nel suo testo originario, ha previsto al primo e al secondo comma le condizioni e i limiti di efficacia della delega1.
La prima condizione richiede che la delega risulti da atto scritto con data certa2 Si tratta di un limite formale di notevole importanza. Infatti, non solo impone la consacrazione del trasferimento delle responsabilità in uno scritto, ma soprattutto richiede la data certa. Quest’ultimo requisito della delega è fondamentale per evitare manovre volte a trasferire su un capro espiatorio la responsabilità del datore di lavoro. Infatti, in linea teorica (ma anche pratica), il datore avrebbe potuto predisporre una delega senza data da esibire, nel caso di infortunio o ispezione, successivamente a quei fatti, in modo tale da elidere le proprie responsabilità trasferendole ad un soggetto al quale in realtà non erano mai state trasferite.
Questo requisito si coniuga perfettamente con il disposto del secondo comma dell’art. 16 che richiede l’adeguata e tempestiva pubblicità della delega3.
È ovvio che, nel momento in cui viene data tempestiva pubblicità, venga delimitato il momento della sua concessione, evitando, quindi, le manovre poc’anzi indicate.
Occorre, però, sottolineare come la norma non dica quali siano le modalità per dare certezza alla data della delega, demandando, quindi, questo aspetto alla scelta di chi conferisce la delega stessa. La via maestra è ravvisabile nell’atto notarile, atteso il valore fide facente che tale atto ha, ma possono esservi altri sistemi per avere data certa, come quello dell’invio di un piego raccomandato, per il quale la data è certa basandosi sulla timbro postale, oppure del ricorso agli atti notori certificati dal comune o dall’autorità giudiziaria. E invece non vale a conferire certezza alla data il ricorso a testimoni, in quanto il tenore della lett. a) è chiaro sul punto, visto che la data certa deve risultare sull’atto. Quindi il limite massimo riconducibile è che la data possa risultare sul retro del foglio nel quale è consacrato l’atto, come nell’esempio poc’anzi fatto del piego, ma non certo ricorrendo a prove non risultanti dall’atto stesso.
Il testo della lett. a) non indica esplicitamente l’accettazione della delega stessa. Tuttavia, la natura della delega, atteso il trasferimento di responsabilità che comporta, richiede necessariamente l’accettazione da parte del delegato affinché tale trasferimento possa validamente avvenire. Ne consegue che l’atto di volontà del delegante deve essere contestualmente accettato dal delegato perché il meccanismo di trasferimento delle responsabilità operi pienamente. È chiaro che con l’accettazione espressa della delega il delegato dimostra piena consapevolezza in ordine al trasferimento a suo carico della responsabilità del delegante.
L’art. 16 alle lettere b), c), d) contiene requisiti di carattere sostanziale che costituiscono, in pratica, la consacrazione dei requisiti individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per la validità della delega.
La lett. b) si incentra sui “requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate”. Appare evidente l’importanza di tale condizione alla luce della fin troppa ovvia considerazione che se il soggetto è privo di professionalità non è in grado di svolgere pienamente le funzioni delegate.
Nell’analisi di questa condizione richiesta dall’art. 164, occorre distinguere il requisito di professionalità da quello dell’esperienza, perché, se è pur vero che la professionalità si accresce per via dell’esperienza, è altresì vero che potrebbe essere il primo requisito interpretato nel senso di “preparazione professionale”. In questo modo il requisito sarebbe ravvisabile, ad esempio, in un brillante neo laureato in materia strettamente attinente alla funzione delegata, che, però, non ha esperienza. Al contrario, se si fosse preso in considerazione solo il requisito dell’esperienza, sarebbe stato possibile una delega ad un soggetto privo di titolo di studio idoneo ma dotato di grande esperienza nel settore interessato. La combinazione dei due requisiti nella lett. b) impedisce che si giunga a situazioni del genere, in quanto richiede che il soggetto debba avere non solo una preparazione professionale derivante dagli studi ma anche l’esperienza derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Questo abbinamento costituisce una garanzia in ordine al proficuo adempimento dei compiti delegati.
Ovviamente non basta che il delegato sia dotato di professionalità ed esperienza perché occorre, come prevede la lett. c), che abbia “tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate”5. È evidente che un soggetto, pur di alta professionalità ed esperienza, non dotato di tali poteri non risulti in grado di adempiere gli obblighi trasferiti.
Si tratta di obblighi l’adempimento dei quali è consentito solo qualora l’organizzazione aziendale sia strutturata in maniera tale da poterli adempiere sia sotto il profilo professionale che sotto il profilo del controllo.
Nel concetto di potere di gestione potrebbe rientrare il potere di spesa, ossia la possibilità di impiegare somme al fine di affrontare gli oneri economici che l’adempimento dell’obbligo importa.
L’espressione contenuta nella lett. c) potrebbe risultare sufficiente per ritenere compreso nel concetto di potere di gestione il potere di spesa necessario per acquistare i dispositivi di protezione individuale.
Per non incorrere in ulteriori equivoci il legislatore, alla lett. d), ha previsto espressamente il requisito dell’attribuzione al delegato della “autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate”. In questo modo risulta evidente che se il delegato non ha il potere di spesa che gli permetta di adempiere le funzioni oggetto di delega, la delega non ha efficacia sotto nessun profilo, tanto meno quello penale.
In conclusione, questi sono espressamente i requisiti per l’efficacia della delega, ossia i requisiti che consentono alla delega di trasferire la responsabilità penale dal delegante al delegato. Quindi da questo meccanismo risulta evidente il trasferimento degli obblighi di impedire l’evento di cui all’art. 40, co. 2, c.p.
Questa realtà normativa deve essere valutata anche alla luce del terzo comma dell’art. 16, che prevede un obbligo di vigilanza per il datore “in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”. Appare quindi evidente, anche dal punto di vista dell’art. 16, la differenza tra gli obblighi di garanzia e di vigilanza, in ordine alla quale qualcuno in passato ha fatto confusione. Quindi il datore deve controllare il corretto adempimento, anche se l’obbligo di garanzia è in capo al delegato.
L’ultima parte del terzo comma consente tale vigilanza anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui all’art. 30, co. 4 del T.U. Questo comma, con riferimento al modello di organizzazione dell’azienda (che abbia efficacia esimente di responsabilità amministrativa), deve prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del modello stesso e “sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate”.
Quindi, appare chiaro che la delega non ha efficacia liberatoria totale ma lascia in capo al datore un obbligo di vigilanza. Si tratta di una scelta logica per impedire che il ricorso alla delega abbia un carattere del tutto deresponsabilizzante a favore del datore.
Quindi un passo in avanti considerevole era stato fatto. Permaneva però un dubbio, inerente all’ambito dei soggetti che potevano delegare.
Il testo originario dell’art. 16, co. 1 consentiva la delega di funzioni solo “da parte del datore”. Questa previsione portava ad escludere validità a deleghe poste in essere dal delegato, al fine di rispettare il principio di legalità, e, quindi, al fine di non consentire il sorgere di responsabilità penale al di fuori dei casi tassativamente indicati dal legislatore.
Per risolvere il problema il recente D.lgs. 3 agosto 2009 n. 106 ha aggiunto all’art. 16 il comma 3 bis. Tale comma consente al delegato la possibilità di delegare “specifiche funzioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro”. Naturalmente anche in questo caso sono previste delle condizioni.
Innanzitutto è prevista la previa intesa con il datore di lavoro, ossia il delegante deve, prima di concedere la delega, ottenere l’assenso del datore di lavoro. Si tratta di una norma logica in quanto il titolare dell’obbligo trasferito è all’origine il delegante, il quale ha incaricato, per l’appunto, il delegato di adempiere a quell’obbligo. Nel caso in cui il delegato voglia a sua volta delegare, deve necessariamente rivolgersi a colui che gli ha conferito la delega.
Ulteriori condizioni sono quelle indicate nei commi 1 e 2 dell’art. 16, richiamate dal comma 3 bis. Infatti, appare evidente che anche la delega da parte del delegato debba necessariamente essere caratterizzata da tutti i requisiti necessari per la validità della delega conferita dal datore di lavoro. In caso contrario si potrebbe vanificare la volontà del legislatore di impedire il ricorso a capri espiatori. Si pensi a come, in assenza di una norma come quella in esame, il datore di lavoro potrebbe, d’accordo con il delegato, “scaricare” su un terzo del tutto privo dei requisiti in questione l’adempimento dell’obbligo, vanificando lo scopo della previsione dei primi due commi del’art. 16.
Similmente al terzo comma dell’art. 16, la seconda parte del comma 3 bis prevede in capo al delegante un obbligo di vigilanza in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite, in perfetta sintonia con quanto stabilito nel comma 3 con riferimento al datore di lavoro.
Infine, l’ultimo periodo del comma 3 bis, ad ulteriore delimitazione della possibilità in questione, vieta al soggetto che ha ricevuto dal delegato (dal datore di lavoro) la delega la possibilità a sua volta di delegare le funzioni delegate. Lo scopo della norma è evidente. Si tratta di impedire stratagemmi che, a mo’ di scatole cinesi, facciano perdere di vista, con una serie di subdeleghe, chi sia l’effettivo responsabile. In questo modo, quindi, si pone un limite chiaro al fine di evitare il fenomeno ora indicato.
Restano altri problemi inerenti all’ambito applicativo della norma. Si tratta di stabilire con precisione a quali obblighi si riferisca l’art. 16.
Il problema è reso particolarmente delicato dal fatto che il primo comma dell’articolo in esame non fornisce alcuna indicazione in ordine agli obblighi delegabili. Infatti, il tenore letterale dell’articolo 16 non fornisce appigli per risolvere la questione in quanto si riferisce genericamente alla “delega di funzioni da parte del datore di lavoro”.
A causa di questa genericità, varie possono essere le soluzioni proponibili: la possibilità di delega di qualsiasi obbligo penalmente sanzionato; la possibilità di delega esclusivamente degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro; la possibilità di delega solo degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro previsti dal D.lgs. n. 81 del 2008.
La prima soluzione potrebbe trovare un appiglio nel trovare una qualsiasi norma del sistema penale che consenta la delega. E’ chiaro che, se anche in mancanza di una norma come l’art. 16 veniva ritenuta possibile la delega, a maggior ragione, dal punto di vista sistematico, la norma contenuta nell’art. 16 risulterebbe applicabile anche agli altri obblighi, per esempio tributari. Si tratta quindi di un’impostazione sostenibile ma che, dal punto di vista logico e sistematico, è contrastata dalla precisa collocazione normativa dell’art. 16, facente per l’appunto parte del cd. T.U. in materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta quindi di un’interpretazione che fin dei conti dilaterebbe l’efficacia della delega a settori non previsti dal legislatore, con il rischio di ledere il principio di legalità.
Un’altra interpretazione dell’ambito applicativo dell’art. 16 può individuare il novero degli obblighi delegabili a tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro. Si tratta di un’impostazione che non denota i problemi di quella precedente e tiene conto del fatto che nel cd. T.U. non tutti gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro sono contemplati.
A questa interpretazione non osta, come si è detto, il tenore dell’art. 16, che non ricorre a locuzioni in precedenza spesso usate, del tipo “agli effetti del presente decreto”. Quindi potrebbe essere ritenuto applicabile anche agli obblighi non contemplati nello stesso decreto. Tuttavia è un’interpretazione che porta con sé il rischio di consentire la delega in ordine a obblighi non sicuramente riferibili alla sicurezza sul lavoro.
Infatti, non è escluso che vi possa essere incertezza in ordine a determinati obblighi, incertezza, cioè, sul fatto che si riferiscano alla sicurezza o in più in generale alla pubblica incolumità. Si pensi ad esempio alle norme di sicurezza delle centrali nucleari, che attualmente nel nostro Paese non sono operanti ma lo potrebbero essere in breve.
Questo lascia intendere come non sia facile discernere le due materie e catalogare i vari obblighi e come sia necessario un vaglio attento del singolo obbligo non contenuto nel decreto del 2008.
Se da tale analisi risulta che almeno in parte l’obbligo concerne la sicurezza sul lavoro, lo si potrà ritenere delegabile, anche se non si può nascondere il fatto che il vaglio ultimo spetterà sempre all’autorità giudiziaria.
Questa considerazione anticipa il giudizio sulla terza ipotesi interpretativa che vede limitata l’efficacia dell’art. 16 agli obblighi previsti nel D.lgs. n. 81 del 2008.
L’assenza di una locuzione simile a quella contenuta nel D.lgs. n. 626 del 1994, “ai fini del presente decreto”, appare significativa perché lascia intendere che la volontà del legislatore sia quella di ritenere che la norma contenuta nel T.U. valga per tutte le produzioni normative in materia, quindi anche per quelle non contenute nel predetto decreto.
Di conseguenza, la tesi che appare preferibile è quella contemplata nella lettera b) perché permette un approccio equilibrato, né estensivo, né irragionevolmente riduttivo.
È ovvio, infatti, che se si negasse la possibilità di delega di obblighi non contemplati nel T.U., non si terrebbe in alcun modo conto delle impellenti esigenze che, già in assenza di una normativa sul punto, avevano spinto dottrina e giurisprudenza a ritenere ammissibile la delega e questa considerazione consente di non ritenere valida l’interpretazione di cui al n. 3).
1 I criteri di validità attengono all’effetto costitutivo di responsabilità per il delegato. Più precisamente tali requisiti avrebbero la funzione di ricomprendere soggetti originariamente non qualificati all’interno della struttura dei cd. reati propri. La delega, in questi termini, verrebbe a costituire un elemento della fattispecie penale.
2 Con riferimento al requisito ad substantiam nell’ultimo decennio solo pochissime sentenze hanno affermato la necessità della forma scritta. Non sono invece imputabili a questo orientamento quelle sentenze che hanno dedotto la forma scritta della delega esclusivamente in relazione alla natura degli atti da compiere: qualora cioè il delegato sia chiamato a stipulare contratti scritti (Cass.pen. 30 novembre 1998, in DPL, 1998, 3331) o quando il delegato debba operare sulla base di un’autorizzazione (come quella prevista per lo stoccaggio provvisorio e lo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi) rilasciata da una PA (Cass.pen. 30 settembre 1998, in Riv.Pen. 1999, 484). In tal senso anche: Cass.pen. 6 giugno 2007 n. 32014; Cass.pen. 13 marzo 2003 n. 22931.
3 Pur formalmente non inserita nelle condizioni di ammissibilità, il mancato rispetto di tale disposizione sembra dover determinare l’ineffettività dell’atto di delega. D’accordo sul punto la giurisprudenza in Cass. pen. 17 maggio 2000, n. 425. La norma non specifica le modalità di pubblicità, anche se sembra costituire modalità sufficiente la mera affissione dell’atto di delega nei locali dell’azienda.
4 Il legislatore non sembra chiarire del tutto se il criterio della professionalità si riferisca alle attività delegate in quanto tali o più semplicemente al loro profilo organizzativo. Sul punto nemmeno la giurisprudenza ha un orientamento univoco. A fronte di sentenze in cui si parla espressamente di idoneità tecnica del delegato (cfr. in particolare Cass. pen. 9 gennaio 2002 n.478, in MFI, 2005) ve ne sono altre in cui sembra desumersi elusivamente un idoneità organizzativa (cfr. in particolare Cass. pen. 3 agosto 2000, n. 8979). Da sottolineare che la diversa qualificazione del requisito di idoneità sembra anche incidere sul momento in cui effettuare la valutazione. Ex post in caso di idoneità organizzativa, ex ante in caso di idoneità tecnica (cfr. Cass. pen. 26 maggio 2004 n. 28126;). Inoltre sul punto D’ANGELO, Sui compiti delegabili, quali condizioni e limiti per l’esonero della colpa? in Ambiente e sicurezza, 2008, n. 3: “non sembra esserci alcuna ragione per esigere che il delegato abbia una competenza specialistica differente e superiore rispetto a quella che il legislatore presuppone in capo al comune datore laddove, nel disciplinare l’attività d’impresa, pone delle norme di comportamento penalmente sanzionati”.
5 Sul punto parte della giurisprudenza (cfr. in particolare Cass. pen. 12 ottobre 2005 n. 44650) ha affermato ancora più rigorosamente la necessaria sussistenza in capo al delegato di un potere di supremazia e di direzione nell’organizzazione del lavoro, da cui la indelegabilità a soggetti in funzione sussidiaria, quali i preposti, di quei compiti affidati dalla legge di dirigenti o all’imprenditore. Tale opinione, anche in considerazione del nuovo riferimento normativo, non è tuttavia pienamente condiviso da RUSSO, La delega di funzioni e gli obblighi del datore di lavoro non delegabili in Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, TIRABOSCHI, Torino, 2007, 220. Il principio di effettività non sembra infatti escludere, almeno in astratto, che un soggetto non ai vertici della linea gerarchica possa ottenere, nello specifico ambito di azione, quell’autonomia gestionale e di spesa tale da convalidare il modello organizzativo risultante dal sistema delle deleghe. La questione dovrebbe risolversi sulla base dell’analisi del caso concreto in relazione cioè agli specifici compiti assegnati e, in negativo, al loro eventuale imprescindibile collegamento con il ruolo dirigenziale.
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