1. La concentrazione tra imprese nel sistema europeo della concorrenza
L’opportunità di prevedere una normativa ad hoc in materia di concentrazioni sorgeva già nella seconda metà degli anni ’50, in sede di redazione del Trattato di Roma1, e tuttavia, in Europa, il primo atto formale compiuto in questa direzione, può essere individuato in un memorandum che la Commissione emanò solo nel 19662. In tale documento si valutava la possibilità di regolare il fenomeno della concentrazione tra imprese attraverso l’uso di strumenti antitrust, in particolare tramite l’applicazione dell’art. 82 TCE.
Al fine di rimediare alla carenza di una normativa specifica, agli inizi degli anni settanta, la Commissione Europea aveva avvertito l’esigenza di creare una disciplina in materia in grado di consentire un intervento ad hoc, realizzato attraverso la predisposizione di un controllo “preventivo” sulle operazioni di concentrazione ed in grado di impedire così “ab origine” qualsiasi effetto distorsivo della concorrenza. La discussione tra i vari Stati membri si protrasse tuttavia nel corso di tutti gli anni ’70 (e poi ancora sino all’emanazione del primo regolamento nel 1989) e nelle more di questa procedura consultiva la Commissione iniziò a sottoporre a controllo le concentrazioni utilizzando come base giuridica gli artt. 81 e 82 TCE3.
Tuttavia queste disposizioni si dimostrarono del tutto inadeguate all’obiettivo preposto:
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l’art. 81 – che vieta(va) le intese anticompetitive – presupponeva infatti che le parti coinvolte nell’operazione rimanessero economicamente e giuridicamente indipendenti e dunque tale fattispecie non trovava applicazione nelle ipotesi di concentrazione avvenuta in seguito a fusione;
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l’art. 82 – che vieta(va) l’abuso di posizione dominante – trovava applicazione solo nei casi in cui le imprese detenessero, già prima dell’operazione di concentrazione, una posizione dominante, sempre che la stessa fosse considerata abusiva.
L’inadeguatezza di queste disposizioni, ancora, si evidenziava anche sotto altro profilo. E’ evidente oggi, come lo era allora, il carattere di controllo meramente “successivo” delle disposizioni in questione ed è parimenti evidente, invece, l’esigenza di assicurare la tutela della concorrenza nel mercato in un momento anteriore alla sua effettiva distorsione. La realizzazione di alcuni fenomeni economici, infatti, non è, talvolta, operazione i cui effetti sono del tutto azzerabili ex post. In breve, sorgevano delle rilevanti difficoltà nei casi in cui, accertato l’effetto anticoncorrenziale di una concentrazione, si tentava di ristabilire gli equilibri di mercato precedenti alla stessa.
2. Le operazioni di concentrazione nel diritto comunitario: rapido excursus sull’evoluzione della disciplina
Nel 1989 il Consiglio approvava la prima disciplina comunitaria sul controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese. La necessità di tale previsione si inseriva nel procedimento di modifica del Trattato di Roma che culminò poi con l’emanazione dell’Atto unico4. La normativa in questione si concretizzò nel Regolamento n. 4064/1989 che entrò in vigore solo nel 1990. Il regolamento del 1989 poneva in essere alcuni meccanismi atti ad evitare le problematiche precedentemente sorte con l’applicazione degli artt. 81 e 82 TCE ed a tal fine, in particolare, prevedeva:
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l’obbligo della notifica preventiva delle concentrazioni alla Commissione;
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la determinazione dell’individuazione delle concentazioni da notificare con riferimento a precise soglie di fatturato (calcolate tramite la somma dei fatturati delle imprese interessate);
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il divieto di procedere ad una operazione di concentrazione quando questa realizzava la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato;
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un meccanismo di rinvio operante tra la Commissione e gli Stati membri nel caso in cui si fosse ritenuto che la prima sede di controllo non fosse la più adeguata (un rinvio biunivoco).
Tuttavia, i rapidi mutamenti di mercato che hanno caratterizzato gli anni ’80 e ’90, e l’ampliarsi dei confini e degli obbiettivi della stessa Comunità Europea, imposero, nel giro di pochi anni, un’altra revisione alla giovane disciplina introdotta nel ’89.
Alcuni aspetti del reg. 4064 furono infatti modificati tramite il successivo reg. 1310/19975 che, oltre a tenere in debito conto il generale aumento del volume d’affari delle imprese europee, introdusse financo una nuova ipotesi di fattispercie soggetta al controllo della Commissione. In particolare, il reg. 1310/1997, prevedeva:
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la modifica delle soglie di fatturato per la determinazione dell’obbligo di notifica della concentrazione con successivo ampliarsi del campo di applicazione del regolamento rispetto a quanto precedentemente statuito;
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la relativa modifica del procedimento di rinvio delle concentrazioni tra Commissione e Stati membri, peraltro già previsto anche dal regolamento precedente;
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infine, si introduceva una nuova ipotesi soggetta a controllo, quella relativa alla costituzione di un impresa comune6.
In seguito, poi, anche dopo l’entrata in vigore della nota riforma del diritto della concorrenza europeo7, si è inteso ulteriormente mettere a mano alla disciplina in questione, questa volta operando un intervento più organico rispetto alle modifiche adottate nel 1997, e tuttavia tenendo altresì in conto gli interventi adottati con quell’ultima revisione. Nell’inverno del 2004 veniva così emanata la vigente disciplina, reg. 139/20048 che ha previsto, tra l’altro, le seguenti modifiche:
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la riorganizzazione dell’ormai superata struttura del reg. 4064/1989, in linea anche con le modifiche che erano state più recentmente introdotte;
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l’inserimento di alcune ulteriori modifiche al procedimento di controllo, in particolare:
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il criterio di determinazione delle concentrazioni non compatibili con il mercato comune;
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i procedimenti di rinvio delle concentrazioni tra Commissione e Autorità nazionali.
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3. Aspetti essenziali della riforma del diritto comunitario: il test di dominanza.
Come facilmente intuibile dal rapido excursus che precede, il regolamento comunitario sulle concentrazioni, tra il 1989 e il 2004, si limitava a proibire le operazioni di concentrazione che avevano come effetto quello di:
a) creare o rafforzare una posizione dominante sul mercato
b) impedire il libero gioco della concorrenza.
Era, in realtà, la stessa struttura del test di valutazione impiegato in precedenza a non lasciare alcuna libertà di azione alla Commissione che si trovava costretta dalla esigenza di dimostrare, al fine di vietare una determinata concentrazione lesiva della concorrenza, l’esistenza di una posizione dominante.
Il criterio della dominanza non si è rivelato sempre appropriato nella valutazione dei possibili effetti che da un’operazione di concentrazione potevano scaturire, e si è molto discusso sull’opportunità di sostituirlo con altri ritenuti più idonei come, ad esempio, quello adottato dall’ordinamento antitrust statunitense9.
Al termine della fase di preparazione della nuova disciplina, caratterizzata da un lungo ed approfondito dibattito, sono emersi in seno alla stessa Commissione europea diverse scuole di pensiero che avevano individuato le carenze ed i limiti del test di rilevanza. È stato evidenziato, tra l’altro, che il test non si mostrava particolarmente adatto ad essere applicato a tutte le varie tipologie di concentrazione che producevano pregiudizio alla concorrenza10; ed ancora, che il concetto di dominanza in materia di concentrazioni veniva applicato a situazioni e fattispecie anche molto lontane da quella di concentrazione così come era stata fino ad allora intesa. Nonostante i dubbi e le perplessità, tuttavia, nella nuova normativa comunitaria in materia il test di dominanza non è stato completamente abbandonato e ciò, soprattutto, al fine di garantire una maggiore certezza giuridica, nel senso di garantire un collegamento col vasto patrimonio giurisprudenziale prodottosi nella vigenza del precedente Regolamento, evitando un’estensione spropositata del potere discrezionale della Commissione che si appresterebbe a valutare le concentrazioni con l’utilizzo di un nuovo strumento non effettivamente “collaudato”. Tuttavia, a fronte delle perplessità e delle obiezioni sollevate dalla maggior parte degli Stati membri è sorta l’esigenza dell’introduzione di un nuovo test che si basa sul criterio generale dell’impedimento significativo della concorrenza effettiva.
L’art. 2 del Regolamento definisce incompatibili con il mercato comune “le concentrazioni che ostacolano in modo significativo la concorrenza effettiva del mercato comune o in una parte sostanziale di esso”. Fermo restando, come detto in precedenza, il mantenimento del test di dominanza, è stato introdotto il nuovo test denominato SIEC, Substantial Impediment of Effective Competition. Secondo il nuovo criterio, una concentrazione è vietata solo se impedisce sostanzialmente la concorrenza effettiva e non se comporta anche una posizione dominante sul mercato. Il nuovo test rappresenta una sorta di compromesso tra il test utilizzato nel sistema statunitense (SLC), imperniato sulla riduzione sostanziale della concorrenza, e il test di dominanza. La dominanza, in questo caso, non rappresenta più il fulcro dell’intero sistema ma diventa l’esempio più tipico della riduzione sostanziale della concorrenza, assumendo le caratteristiche di specie del più ampio genere del SLC. In pratica, la riduzione della concorrenza generata da una posizione dominante diventa l’ipotesi più tipica e più frequente del pregiudizio alla concorrenza ma non completa l’intero panorama di ipotesi anticompetitive che possono scaturire da una concentrazione. Pertanto, con l’impiego del nuovo test possono essere vietate, a differenza di ciò che succedeva precedentemente, tutte quelle operazioni suscettibili di produrre restrizioni significative della concorrenza ma che non danno luogo ad una situazione di dominanza.
L’impiego di questo nuovo strumento, infine, consente ai paesi appartenenti all’Unione Europea di allinearsi maggiormente anche agli altri sistemi giuridici internazionali rendendo così più efficiente ed unitario lo studio e la trattazione di quelle operazioni di concentrazione che si realizzano in diversi contesti economico-giuridici, le concentrazioni internazionali appunto.
4. Aspetti innovativi della riforma: la procedura di controllo delle concentrazioni.
La Commissione Europea ha istituito al suo interno una Direzione generale della concorrenza (DG Concorrenza), competente in materia di attuazione della politica della concorrenza con particolare attenzione alle operazioni di concentrazione. La DG Concorrenza è, infatti, destinataria della notifica preventiva dell’operazione di concentrazione, si occupa della raccolta della documentazione e delle informazioni ritenute utili ed effettua la valutazione sull’operazione, spetta poi alla Commissione, nel plenum dei suoi componenti, emettere la decisione sulla concentrazione.
Prima di passare ad analizzare il profilo procedurale relativo al controllo delle operazioni di concentrazione previsto dalla normativa europea è opportuno specificare quando un’operazione assume “dimensione comunitaria”.
La dimensione comunitaria di un’operazione di concentrazione è determinata in base a criteri legati alle soglie di fatturato delle imprese che partecipano all’operazione (c.d. imprese interessate). Una concentrazione acquisisce quindi “dimensione comunitaria”:
a) quando il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 5 miliardi di euro;
b) quando il fatturato totale realizzato singolarmente nella UE da almeno due delle imprese interessate è superiore a 250 milioni di euro, a meno che ciascuna di tali imprese realizzi più di due terzi del proprio fatturato totale nell’UE all’interno di un unico e medesimo Stato membro.
Tuttavia, anche nel caso in cui le soglie di cui ai punti a) e b) non siano raggiunte, un’operazione di concentrazione può assumere dimensione comunitaria se
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il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 2,5 miliardi di euro;
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in ciascuno di almeno tre Stati membri, il fatturato totale realizzato da tutte le imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro;
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in ciascuno di almeno tre Stati membri, il fatturato totale realizzato singolarmente da almeno due delle imprese interessate è superiore a 25 milioni di euro;
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il fatturato totale realizzato singolarmente nella UE da almeno due delle imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro, a meno che ciascuna delle imprese di cui sopra realizzi più di due terzi del proprio fatturato totale nella UE all’interno di un unico e medesimo Stato membro.
Il criterio del fatturato, sebbene rappresenti uno strumento empiricamente plausibile, al fine di poter classificare la portata di un’operazione, non è l’unico criterio applicabile. Un suo omologo è rappresentato dal “3+”, ossia un criterio che prevede l’insorgere di una competenza esclusiva della Commissione qualora una richiesta di rinvio le venga effettuata da tutti gli Stati membri o da almeno tre di questi.
Chiarita la dimensione comunitaria di un’operazione, occorre poi avere riguardo alla procedura di notifica. L’individuazione del momento in cui nasce, in capo alle imprese interessate, l’obbligo di notifica della concentrazione è di radicale importanza al fine di evitare le conseguenze che la notificazione tardiva di una concentrazione può comportare. Nel precedente Regolamento n. 4064/1989, l’obbligo di notifica doveva essere assolto entro la settimana successiva alla conclusione dell’accordo, dall’annuncio di un offerta pubblica di acquisto o di scambio o dall’acquisizione del controllo. Con il nuovo Regolamento è stato eliminato il termine di una settimana ed è stata introdotta una maggiore flessibilità che consente di rendere più agile il sistema, ma anche di facilitare il coordinamento delle inchieste in materia di concentrazioni con le altre giurisdizioni. Infatti, oggi la notifica può essere eseguita anche in presenza di una “goof-faith intention to conclude an agreement or to make a pubblic bid” 11.
Al fine di meglio coordinare l’attività con le autorità nazionali competenti, il nuovo regolamento introduce la possibilità per le imprese interessate di presentare alla Commissione, prima della presentazione della notifica, una richiesta motivata di rinvio alle autorità nazionali. Si tratta di una “prenotifica”, che consente di dimostrare alla Commissione che la concentrazione proposta, anche se ha dimensione comunitaria, va ad incidere esclusivamente sulla concorrenza nel mercato di un singolo Stato membro. Se lo Stato membro in questione, entro un termine di quindici giorni successivi alla ricezione della richiesta motivata, non dichiara il proprio disappunto riguardo alla richiesta di rinvio, la Commissione ha venticinque giorni per rinviare la questione alle autorità competenti dello Stato membro in questione affinché queste applichino il diritto nazionale in materia di concorrenza.
Passando alla procedura vera e propria possiamo osservare come la Commissione, in seguito al ricevimento di una notifica, conduca le relative indagini, adottando i poteri necessari per dare eventualmente avvio al procedimento e imponendo le opportune sanzioni. In questo iter la Commissione deve in primo luogo verificare se:
a) la concentrazione notificata rientra nel campo di applicazione del Regolamento;
b) la concentrazione è compatibile con il mercato comune oppure suscita seri dubbi circa la sua compatibilità.
La Commissione, entro il termine di 90 giorni dalla data dell’inizio del procedimento di controllo (termine che può essere prorogato di ulteriori 20 giorni o che può essere interrotto, su richiesta delle imprese interessate, nel caso in cui queste si impegnino a trovare dei rimedi per eliminare eventuali aspetti anti-concorrenziali), sulla base delle valutazioni effettuate, può decidere di approvare la concentrazione, di vietarla o di acconsentire al suo perfezionamento previa modifica, da parte delle imprese interessate, della struttura originaria dell’operazione.
Una concentrazione di dimensione comunitaria, in linea di principio, non può essere realizzata prima di essere notificata alla Commissione e neanche nelle tre settimane successive alla stessa. Qualora una concentrazione fosse stata realizzata nel mancato rispetto dei termini previsti e sia successivamente dichiarata incompatibile con il mercato comune, la Commissione può ordinare il disfacimento dell’operazione e può adottare qualsiasi misura, anche provvisoria, ritenuta utile ed opportuna al fine di ristabilire la situazione precedente alla concentrazione, e cercare di attenuare così i possibili pregiudizi alla concorrenza.
Nel caso in cui un’operazione di concentrazione susciti dei seri dubbi di compatibilità con il mercato comune, la Commissione può invitare le imprese interessate a fornire informazioni aggiuntive e, nel caso lo ritenga opportuno, può effettuare anche ispezioni sul posto (accedere a tutti i locali, terreni, verificare libri contabili ed altri documenti attinenti all’attività dell’impresa, estrarre copia di documenti, apporre sigilli su locali, libri o documenti, chiedere spiegazioni su fatti etc). La Commissione può quindi chiedere anche alle imprese interessate che vengano apportate le modifiche necessarie per rendere la concentrazione compatibile con il mercato comune.
Al fine di assicurare il rispetto delle proprie decisioni, la Commissione ha il potere di infliggere due tipi di sanzioni:
a) le ammende, di un ammontare pari all’1% del fatturato totale di un’impresa quando questa fornisca indicazioni inesatte, fuorvianti, incomplete o oltre il termine prescritto, o quando siano stati infranti i sigilli apposti nel corso di un’ispezione;
a)bis oppure un’ammenda ammontare pari al 10% del fatturato totale quando un’impresa ometta di notificare una concentrazione prima della sua realizzazione, o quando realizzi una concentrazione violando le norme del regolamento o contravvenendo ad una decisione della Commissione;
c) le penalità di mora, in percentuale del 5% del fatturato totale giornaliero medio dell’impresa per giorno lavorativo di ritardo a decorrere dalla data fissata dalla Commissione nella sua decisione relativa alla richiesta di informazioni, ad un’ispezione o altro.
5. La disciplina nazionale e la ripartizione delle competenze
La logica economica che presiede al controllo delle concentrazioni è un’esigenza direttamente legata agli equilibri del mercato la quale mira ad evitare che, attraverso un modello di crescita “esterna”, un’impresa sia in grado di acquisire un potere di mercato che le consenta di peggiorare le condizioni di offerta ai consumatori. La logica giuridico-economica è dunque la medesima logica che ha animato la disciplina delle concentrazioni comunitarie, e, nonostante nel nostro Paese si sia giunti relativamente tardi ad una compiuta disciplina in materia di concorrenza12, la pregressa esperienza derivata dall’applicazione della disciplina comunitaria ha permesso di approntare sin dal suo esordio una disciplina, sebbene ancora perfettibile, sicuramente completa, e cioè che abbraccia mutatis mutandis tutte le fattispecie di concentrazione tra imprese che erano state individuate nel sistema comunitario. Passando poi al tema del coordinamento tra le attribuzioni comunitarie e quelle nazionali occorre rilevare come la competenza esclusiva della Commissione per il controllo delle concentrazioni di dimensione comunitaria esclude radicalmente la possibilità di procedimenti paralleli sulla medesima fattispecie in applicazione della disciplina interna. I rapporti tra la legge antitrust nazionale e la disciplina comunitaria della concorrenza possono così dirsi improntati ad un modello definito di cd. “barriera unica”13.
Per quanto riguarda il dato normativo della disciplina nazionale in materia di concentrazioni occorre avere riguardo alla l. 287/90. Neppure la nostra cd. legge antitrust, come d’altra parte anche il reg. comunitario, specifica in maniera puntuale cosa si intenda per concentrazione e tuttavia descrive, all’art. 5 della legge in questione, un serie di ipotesi in cui si presumono realizzate le conseguenze di una concentrazione. Secondo la normativa nazionale tale ipotesi si realizza:
a) quando due o più imprese procedono a fusione;
b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un’impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell’insieme o di parti di una o più imprese;
c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un’impresa comune.
Vengono invece espressamente escluse dal dettato normativo le operazioni di concentrazione che hanno per oggetto o per effetto principale il coordinamento di imprese indipendenti.
In breve, dall’analisi del dettato normativo si può facilmente evincere che per il diritto nazionale si ha una concentrazione quando un’operazione incide in maniera rilevante sulla struttura delle imprese partecipanti concedendo a queste la possibilità di operare sul mercato in maniera anticoncorrenziale e comunque in contrasto con gli interessi dei consumatori. Per quanto riguarda gli altri aspetti rilevanti della discipilina vengono altresì in evidenza gli artt. 6, 7, 16, 17, 18 e 19 del medesimo testo normativo. Fulcro dell’intera disciplina è l’art. 6, rubricato “divieto di operazioni di concentrazione restrittive della libertà di concorrenza”. Tale disposizione va letta in un’ottica organica, ed in particolare, con specifico riferimento all’art. 16 che a sua volta prevede i casi in cui una concentrazione deve ritenersi soggetta a comunicazione. Si tratta sostanzialmente di un criterio quantitativo e basato sul fatturato14 delle imprese interesasate dall’operazione, criterio omologo a quello comunitario.
Ancora, poi, interessante, anche in prospettiva comparatistica con la normativa comunitaria, deve ritenersi il successivo art. 7. Tale disposizione, rubricata “controllo”, estende in maniera sostanziale l’applicabilità della disciplina in discorso all’ipotesi, riconducibile, per espresso richiamo, a quella di cui all’art. 2359 c.c. e pur tuttavia più ampia. Si ha un’ipotesi di controllo al verificarsi di una circostanza di diritto o di fatto che dia la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di un’impresa. Il controllo deve essere stabile e duraturo e può interessare qualsiasi impresa, parte di impresa o fattore di produzione a cui è possibile attribuire un fatturato. Pare che con tale disposizione il legislatore italiano, già memore e consapevole delle lacune incontrate con le prime formulazioni della disciplina comunitaria, abbia inteso porre una norma di “chiusura”, capace di adattarsi alle mutevoli esigenze del mercato ed in grado di presiedere alla direzione anche di quelle condotte che pur non rientrando specificamente nel concetto di concentrazione in senso stretto producono comunque i medesimi effetti negativi sul mercato.
I successivi articoli 16, 17 e 18 presiedono poi al procedimento di comunicazione delle concentrazioni, all’eventuale sospensione temporanea dell’operazione di concentrazione ed alla conclusione dell’istruttoria sulle concentrazioni. L’analisi di tale procedimento, e dei suoi risvolti sia sui soggetti passivi direttamente interessati da questo, sia sugli equilibri di mercato che il procedimento stesso tende a proteggere, è questione la cui trattazione non può esaurirsi in poche righe. Sia sufficiente perciò un’osservazione che valga come spunto per eventuali riflessioni. Al di là del procedimento in senso stretto è, in generale, interessante analizzare la natura ed il ruolo del soggetto che le svolge: l’autorità indipendente che in Italia presiede all’applicazione della normativa antitrust fa parte del più ampio network ECN (European Competition Network) ed è un’autorità amministrativa indipendente, priva del carattere di terzietà proprio degli organi giurisdizionali, e dall’altra parte, tuttavia, pur sempre soggetta al controllo di questi, ma il cui operato è severamente scandito dalle disposizione di legge ed il know-how dei suoi componenti altamente specializzato. Dunque, in Italia, se da una parte il ruolo dell’AGCM può in un certo modo essere considerato “ingombrante” e per certi versi le sue attribuzioni troppo ampie, in considerazione degli evidenti limiti di difesa di un soggetto passivo chiamato a rispondere in un procedimento amministrativo comunque guidato dall’insindacabilità delle scelte dell’organo che lo governa, dall’altra parte l’alto carattere di specializzazione dell’Autorità consente un equo bilanciamento degli interessi di volta in volta valutati. Da un punto di vista meramente interno, l’auspicio per il futuro sarebbe quello, mantenendo il medesimo impianto strutturale, di uno sviluppo improntato ad una sempre maggior collaborazione dell’Autorità anche con gli organi giurisdizionali, onde garantire ai soggetti interessati le medesime tutele previste dal processo anche nel procedimento ed in modo tale da contribuire altresì alla creazione di una “coscienza comune di mercato” nella cui scala di valori i posti più in alto siano occupati dall’equilibrio del mercato stesso e dal benessere sia degli operatori del settore che dai consumatori che alimentano il sistema.
1 * Junior Assistant Studio Legale Adamo – curatore blog www.concentrazioni.it
** Junior Assistant Studio Legale Adamo
*** Fondatore Studio Legale Adamo – www.studiolegaleadamo.it
Precisamente nel 1957, durante i lavori preparatori del Trattato di Roma. Si discusse in merito all’opportunità di prevedere un controllo sulle concentrazioni, disciplina poi non inclusa nella versione definitiva del Trattato. Da rilevare, tuttavia, che nel 1952 il Trattato CECA prevedeva già, ai sensi dell’art. 66, un controllo delle concentrazioni limitatamente al settore del carbone e dell’acciaio.
2“Memorandum of the Commission to the Governements of the Member State”, Concentration of Enterprise in the Common Market, EEC Competition Series, Study No. 3, Brussels, 1966
3In assenza di una specifica disciplina, e nella consapevolezza del ruolo determinante spiegato nel mercato dal fenomeno delle concentrazioni, la Commissione avviò una prassi applicativa, dapprima sulla base dell’art. 82 TCE (ex multis Europemballage Corportazion e Continental Can c. Commissione, causa 6/72, Racc. 1973, p. 215), e poi ai sensi dell’art. 81 TCE (ad es. Sentenza della Corte del 17 novembre 1987, caso 142 e 156/84, British American Tobacco Company Ltd e R.J. Reybolds Industries, inc. c. Commissione, cause riunite 142 e 156/84, Racc. 1987).
4“Monopolkommission”, 1989. Trattasi di quel processo che aveva come obbiettivo la creazione, entro il 31 dicembre 1992, del “mercato interno” (art. 14 TCE).
5Regolamento n. 1310/1997 del Consiglio del 30 giugno 1997 che modifica il regolamento (CEE) n. 4064/1989 relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese, in GU L 180 del 9 luglio 1997.
6Più precisamente “era prevista la valutazione delle concentrazioni ai sensi dell’art. 81 TCE per quelle imprese comuni le cui società madri rimanendo attive nel settore di attività dell’impresa comune, potevano coordinare il proprio comportamento in violazione dell’art. 81 TCE”, L.F. Pace, Diritto europeo della concorrenza, Cedam, 2007.
7Attuata, in prima battuta, con l’emanazione del ben noto reg. 1/2003, ed in seguito con il cd. “pacchetto di modernizzazione” del diritto antitrust europeo – tra cui rientrano, a vario titolo, almeno sei comunicazioni emanate dalla Commissione allo scopo, da una parte, di fornire agli operatori di settore ed alle imprese interessate una serie di indicazioni indispensabili ad integrare le disposizioni precettive, e dall’altra a rappresentare un quadro di insieme degli orientamenti della Commissione in relazione alle questione maggiormente dibattute -.
8Regolamento n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controlle delle concentrazioni tra imprese, GU L 24 del 29 gennaio 2004.
9Il criterio utilizzato dal sistema statunitense è il “Substantial lessening of Competition test” (SLC). In base a tale criterio sono vietare quelle operazioni in cui vi è una riduzione sostanziale della concorrenza, a nulla valendo la creazione o il rafforzamento di una posizione dominante.
10Come, ad esempio, potevano essere quelle operazioni che davano luogo a situazioni di oligopolio non collusivo; in pratica in “quei mercati a struttura oligopolistica nei quali, in presenza di determinate circostanze (prima tra tutte la differenziazione dei prodotti), l’operazione di concentrazione può condurre all’eliminazione di importanti vincoli concorrenziali reciprocamente esercitati dalle imprese partecipanti alla concentrazione, in grado, a loro volta di tradursi in significativi ostacoli ad una concorrenza effettiva sul mercato anche in assenza di un coordinamento tra i membri dell’oligopolio precludendo ogni possibilità di ricorrere all’istituto della dominanza collettiva”, così Stefano Bastianon, in “Diritto antitrust dell’Unione Europea”.
11Così art. 4, Reg. 139/2004; sul punto cfr. Merola e Amati, “La riforma del controllo comunitario delle concentrazioni: gli aspetti della procedura”, in Dir. Unione europea, 2004, che evidenziano l’utile innovazione a favore delle imprese.
12Legge 10 ottobre 1990, n. 287: Norme per la tutela della concorrenza e del mercato. (Pubblicata nella gazzetta Ufficiale n. 240 del 13 ottobre 1990)
13 Vengono così definiti quei sistemi che, per imposizione dell’ordinamento comunitario o per scelta dell’ordinamento nazionale, si escludono a vicenda con una netta divisione delle sfere di competenza. Nella medesima classificazione troviamo poi, agli estremi, il sistema di cd. doppia barriera da una parte, e quello di barriera unica omogenena dell’altra.
14 Qualora il fatturato congiunto delle imprese interessate dall’operazione sia superiore ad € 448 milioni; oppure qualora il fatturato dell’impresa acquisita sia superiore ad € 45 milioni; (e sempre che non siano raggiunte le soglie per la notifica all’UE). Da notare che le due soglie sono alternative, l’utilizzo dell’una esclude la possibilità di potersi avvalere dell’altre.
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