Il medico del 118 tra rispetto delle “Linee guida” e l’omissione di soccorso

Introduzione

La Corte di Cassazione è stata di recente chiamata a pronunciarsi in merito alla determinazione del perimetro della fattispecie a rilevanza penale del reato di Omissione di soccorso, di cui all’art. 3281 del c.p.

Trattasi di un delitto commesso da un pubblico ufficiale consistente nella violazione di un obbligo di soccorso regolamentato dalla legge al fine di tutelare la incolumità di un soggetto che, nel caso in questione, per motivi di salute si trova esposto ad un pericolo rappresentato dalla sua incolumità.

“L’articolo 328 c.p., delinea una fattispecie penale volta ad assicurare il regolare funzionamento della pubblica amministrazione, imponendo ai pubblici funzionari di assolvere, con scrupolo e tempestivita’, ai doveri inerenti alla loro attivita’ funzionale al fine di prevenire situazioni di pericolo in materia di giustizia o sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanita’.”, è quanto affermato dalla Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 30 dicembre 2008, n. 48379.

La fattispecie richiamata nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI Penale n. 34402 del 21 settembre 2011, attiene alla prima delle due ipotesi disciplinate dall’art. 328 c.p. in base al quale, “ Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.”

Nel caso in discussione “l’atto d’ufficio” è rappresentato da quei comportamenti ai quali è tenuto il medico e si compendia nella triade costituita dalle attività finalizzate alla prevenzione, cura e riabilitazione del paziente.

Il rifiuto si concretizza attraverso un diniego a porre in essere una condotta doverosa in presenza di un atto di cui sia ravvisata l’urgenza.

Il dolo richiesto affinché la condotta assuma rilevanza penale è generico.

 

Il fatto

Un medico2 palermitano in servizio presso il 118, che in quel momento si trovava presso lo stesso nosocomio, era stato interpellato da un collega medico, oltre che da un infermiere, che gli avevano evidenziato una serie di criticità relative ad un paziente in cura presso una struttura sanitaria non in grado di erogare una prestazione adeguata alla bisogna (il paziente aveva perso conoscenza e non rispondeva agli stimoli di sollecitazione esterna a seguito di stati febbrile acuto).

Il medico del 118 si era rifiutato di trasportare il paziente presso un ospedale meglio attrezzato disattendendo le richieste del collega.

Il rifiuto era motivato dalla necessità di dovere rispettare il protocollo che regolamenta il Servizio del 118 il quale prevede che l’attivazione del servizio di trasporto sia attivata, rectius: filtrata, dalla centrale operativa che, a sua volta, da l’imput alla ambulanza.

Nel caso in questione l’imputato lamenta la irritualità della richiesta pervenuta non dalla centrale operativa bensì da un medico del nosocomio presso il quale era in cura il paziente che, a detta dell’imputato, avrebbe dovuto essere, eventualmente, trasferito ricorrendo alle ambulanze in dotazione dello stesso ospedale.

L’imputato era stato condannato sia in primo grado che in appello alla pena della reclusione di un anno.

Contro la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo l’imputato aveva prodotto ricorso in Cassazione adducendo tre motivi.

 

La sentenza

1. Il primo motivo attiene alla erronea applicazione dell’art. 328 comma 1, c.p. oltre al connesso vizio di motivazione nella parte in cui si sostiene che il rifiuto a trasporto sia indebito, cioè ingiustificato.

Il legale di parte ricorrente, a tale proposito, si richiama alle linee guida che regolamentano l’attività del servizio del 118 secondo le quali i rifiuto sarebbe stato pienamente giustificato in quanto esse prevedono che il medico di turno non possa allontanarsi arbitrariamente dalla propria postazione senza che ciò sia stato autorizzato dalla centrale operativa. In buona sostanza, la difesa si basa sull’assunto che eventuali condotte da parte del medico non disposte dalla centrale operativa rischierebbero di compromettere la funzionalità del servizio, il cui fine è quello di essere in grado di affrontare le emergenze.

Sulla scorta di tale disamina, il ricorrente evidenzia come la sentenza de giudice di appello non abbia tenuto conto della disposizione di servizio del 26 luglio 2002 la quale asserisce che il servizio del 118 non è a disposizione dei singoli ospedali ma finalizzato a garantire assistenza a livello territoriale.

Ciò a significare che il trasporto dei malati tra un ospedale e l’altro deve avvenire ricorrendo all’impiego di ambulanze gestita dalla struttura ospedaliera.

La sentenza del giudice dell’appello, inoltre, non avrebbe effettuato uno scrutinio in merito alla reale sussistenza della urgenza tenuto conto che il paziente era, comunque, ricoverato presso una struttura sanitaria pubblica con reparti e servizi in grado di assisterlo.

2. Il secondo motivo lamenta la mancata applicazione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena in considerazione del fatto che l’imputato era incensurato.

In aggiunta, parte ricorrente, rimarca l’assenza di motivazioni che hanno indotto i giudici a non applicare la pena minima.

Il primo motivo è stato ritenuto dai giudice della Corte infondato in quanto è stato male interpretato il funzionamento, rectius: la organizzazione, del servizio medico del 118.

Detto servizio prevede che gli interventi da effettuare siano coordinati dalla centrale operativa, attraverso il sistema di radiocomunicazione, ma è altrettanto vero che “al medico in servizio sull’autoambulanza è comunque riconosciuto uno spazio di valutazione, di azione e di discrezionalità, funzionale a fronteggiare in maniera adeguata le diverse situazioni di emergenza”.

Tale margine riconosciuto all’esercizio della discrezionalità doveva essere utilizzato nel caso in trattazione considerando che si aveva a che fare con una situazione di urgenza, tale da dovere indurre l’imputato a “trasportare il malato presso una struttura sanitaria che sia in grado di assicurare tale cura, anche attraverso le necessarie indagini strumentali e specialistiche”.

La condotta del ricorrente, invece, ha assunto i connotati tipici di un rifiuto formalistico senza prendere in considerazione che lo stesso servizio medico del 118 prevede, in casi altamente critici, il dovere in capo al medico di esperire una valutazione circostanziata e, di conseguenza, attivarsi tramite una condotta finalizzata all’intervento da tradursi nel trasferimento del paziente in altro e più consono ospedale.

La fattispecie sanzionata nei primi due gradi di giudizio, ad avviso della Corte, integra il reato di omissione di soccorso, di cui al primo comma dell’art. 328 c.p., in quanto sussiste il requisito della indifferibilità, dato dalla urgenza del ricovero giustificata dall’esistente pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona.

La indifferibilità era stata rappresentata al ricorrente da un medico che aveva in cura il paziente per cui da parte dell’imputato “non vi era alcuna possibilità di sindacare la situazione rappresentatagli, per cui era obbligato, per i suoi compiti di istituto, a intervenire quale medico addetto all’emergenza territoriale.”

L’urgenza dell’atto, quindi, deriva dalla allarmata valutazione comunicata all’imputato dalla collega medico ospedaliero che aveva in cura il paziente.

Per cui egli avrebbe anche potuto non condividere la valutazione della collega ma in questo caso avrebbe dovuto egli stesso visitare il paziente.

Di conseguenza, il rifiuto penalmente rilevante ai sensi dell’art. 328 , 1 c., c.p. si consuma con la violazione dell’obbligo di soccorso, che nel caso specifico si traduce nel trasferimento del paziente in altro ospedale meglio attrezzato.

Nella motivazione della sentenza la Corte, richiamandosi a precedenti pronunce di eguale tenore3, ha ribadito il principio secondo cui “in tema di rifiuto di atti d’ufficio il medico di guardia sull’autoambulanza del servizio 118 è tenuto ad effettuare tutti gli interventi richiesti qualora sia posto al corrente, da parte di personale sanitario, di una grave sintomatologia del paziente, avendo l’obbligo di attivarsi con urgenza”.

Circa i riconoscimento della esistenza del dolo nella condotta dell’imputato, da parte dei giudici di primo grado e di appello, tale qualificazione ha trovato d’accordo la Corte in quanto è stato stigmatizzato il comportamento del medico che nonostante le sollecitazioni e le richieste pervenutagli dalla collega si è rifiutato di parlare e non ha ritenuto, neanche, di doversi mettere in contatto con la centrale del 118 al fine di farsi autorizzare l’intervento.

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato, “in quanto la mancata applicazione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, così come lo stesso trattamento sanzionatorio sono stai giustificati in rapporto alla gravità del fatto contestato, con una motivazione che non appare illogica”.

1 Antolisei F., Manuale di diritto penale, Ed. Giuffrè, 1992.

2 In tema di responsabilità medica, con riferimento alla disamina degli aspetti riguardanti il rispetto delle “Linee guida” e l’omissione di soccorso, sia consentito rimandare a Modesti G., . La responsabilità medica alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione. Per una rifondazione della responsabilità medica, www.overlex.com (febbraio2007); Il rifiuto di fronte ad una richiesta di ricovero (nota a sentenza Cassazione n. 46512 del 03.12.2009); Panorama della Sanità, n. 4 del 01.02.2010; Quando il rispetto delle “linee guida” non esonera il medico dalla responsabilità (nota a sentenza Cassazione, Sez. IV pen, n. 1873/2011); Panorama della sanità n. 12/2011.

3 Cassazione Penale, sez. VI sentenza 15 settembre 2008, n. 35344, “la norma incriminatrice di cui all’art. 328/1° c.p. è concepita come delitto di pericolo, nel senso che prescinde dalla causazione di un danno effettivo e postula semplicemente la potenzialità del rifiuto a produrre un danno o una lesione”. V. anche Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 30 dicembre 2008, n. 48379 e Cassazione Penale, sez. VI, sentenza 3 dicembre 2009, n. 46512 richiamate nel Massimario del sito Altalex.

Modesti Giovanni

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento