La suprema Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un ricorso relativo all’accertamento della responsabilità medica in capo ad un dentista che aveva installato un impianto di protesi ed era stato citato in giudizio per risarcimento danni dal cliente.
Sia in primo che in secondo grado1 il dentista era stato condannato al pagamento in favore del cliente al quale aveva applicato una protesi dentaria, con la tecnica della implantologia.
I motivi oggetto del ricorso sono tre e riguardano, rispettivamente: la congruità della motivazione; la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1176, primo e secondo comma, del codice civile; il vizio di motivazione nell’accoglimento dell’appello incidentale proposto dal cliente.
Riguardo il primo motivo del ricorso, esso si basa – in buona sostanza – in una critica mossa all’operato della CTU, dando vita però ad un mero dissenso non attinente a vizi del processo logico formale da questi seguito traducendosi, quindi, nell’irrilevante critica del convincimento del perito di ufficio.
Il primo motivo è stato respinto.
Il secondo motivo trae spunto dalla duplice lettura degli articoli 1176 (2) e 2236 (3) del codice civile. Il primo articolo sopra citato dispone che la responsabilità in capo al sanitario si concretizza quando egli non abbia agito con diligenza in relazione ad una prestazione priva di elevato tecnicismo, riconducibile, pertanto, alla c.d. routine. Il secondo di questi articoli limita la responsabilità del prestatore d’opera che abbia posto in esecuzione problemi tecnici contraddistinti da un elevato grado di difficoltà, alle sole ipotesi in cui la condotta attiva od omissiva sia stata caratterizzata dalla colpa grave o dal dolo.
Grava sul dentista l’onere di provare la “speciale difficoltà della prestazione erogata”. Tale distinzione, tra intervento routinario e intervento difficile, rileva ai soli fini della valutazione del grado di diligenza e del correlato grado di colpa imputabile al dentista.
La speciale difficoltà di cui all’art. 2236 c.c. deve essere valutata alla luce delle circostanze del caso concreto e delle modalità operative dell’intervento o della prestazione sanitaria.
La inosservanza delle regole precise ed indiscusse relative ad una ipotesi routinaria ben poteva integrare, sotto il profilo della negligenza e della imperizia, la responsabilità del medico anche per colpa grave.
Per converso, la responsabilità del sanitario doveva essere limitata alla sola colpa grave nell’ipotesi in cui il caso concreto sii prospettasse come straordinario o eccezionale. (Cassazione n. 2439 del 18.6.75)
In base ad una pronuncia della Cassazione, sez. Unite, n. 577/08, il medico che intenda fare ascrivere la propria condotta all’interno del paradigma declinato dall’art. 2236 c.c., deve “dare la prova della particolare difficoltà della prestazione, laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista, in relazione alle circostanze del caso concreto”.
In caso contrario, ove trovi applicazione la fattispecie normata dall’art. 1176 c.c., “la responsabilità del medico per i danni causati al paziente postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza, che va a sua volta valutata con riguardo alla natura dell’attività e che in rapporto alla professione di medico chirurgo implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale”. (Cassazione, n. 8845 del 12.8.1995)
Ebbene la sentenza in commento ha stabilito che, trattandosi di un impianto di protesi dentaria, non emergono i presupposti della particolare difficoltà dell’intervento, “tanto più che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la diligenza del medico nell’adempimento della sua prestazione professionale dev’essere valutata assumendo a parametro la condotta del debitore qualificato, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma cod. civ.”.
Già in precedenza la Corte (4) aveva avuto modo di illustrare i criteri relativi alla scelta degli articoli da richiamare per dirimere la controversia ed aveva stabilito come “La responsabilità del professionista per i danni causati nell’esercizio della sua attività postula la violazione di doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell’attività (omissis). Ne consegue che il professionista risponde anche per colpa lieve quando per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione provochi un danno nell’esecuzione di un intervento operatorio o di una terapia medica. Mentre risponde solo se versa in colpa grave quante volte il caso affidatogli sia di particolare complessità o perché non ancora sperimentato o studiato a sufficienza, o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da eseguire”.
Avendo la Corte provveduto ad indicare il perimetro di riferimento del concetto di “intervento estremamente complesso” risulta facile il compito del commentatore nello scrutinare la odierna pronuncia della Cassazione per affermarne la piena sintonia con i precedenti giurisprudenziali.
Il secondo motivo è stato respinto.
Il terzo motivo, anch’esso respinto, prendeva spunto da un presupposto vizio di motivazione quanto all’accoglimento dell’appello incidentale del cliente, mentre alla luce delle prove documentali e della inattendibilità dei testi escussi non è stato rilevato detto vizio.
1 La Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 1152/08, lo aveva condannato al risarcimento danni.
2 Art. 1176 Diligenza nell’adempimento. Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
3 Art. 2236.- Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
4 Cassazione, sez. civ., sez. III, 12 agosto n. 8845.
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